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Autore: CarolPenny    17/06/2016    3 recensioni
Dal capitolo 3:
Carol era felice di potersi spostare senza quella fastidiosissima sedia a rotelle e senza che qualcuno dovesse obbligatoriamente aiutarla. Si era svegliata più volte nella notte in preda a qualche piccolo dolore. La prima volta aveva sentito Daryl sussurrare che si sarebbe spostato e avrebbe dormito altrove, ma lei gli aveva preso una mano e gli aveva detto di restare lì. La seconda volta si era svegliata a causa di un incubo che adesso nemmeno ricordava e aveva trovato la mano di Daryl ancora stretta alla sua, entrambe poggiate sul suo fianco.
MINIMI SPOILER DAL FUMETTO e SPECULAZIONI SULLA SETTIMA STAGIONE.
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Carol Peletier, Daryl Dixon, Morgan Jones
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Carol aprì gli occhi di soprassalto e non fu certamente un bel risveglio. Sentì bruciori ovunque e un mal di testa lancinante. Aveva anche la gola secca e appena provò a muoversi non riuscì a trattenere un colpo di tosse.
“Carol, Carol tutto bene?”
Nella mente della donna iniziarono ad affiorare delle scene, tante figure e suoni confusi: colpi di pistola, un cavallo, sangue, un taccuino con una lista, le parole “non è ancora arrivato il tuo momento”, le ali del gilet di Daryl…
Iniziò a mettere a fuoco ciò che aveva intorno a sé.
Vide Morgan sporgersi verso di lei, con sguardo apprensivo ma dolce, quello che le aveva rivolto per tutta la settimana.
“Carol?”
La stava chiamando, avrebbe dovuto rispondere.
“Sto… bene” disse lei, un po’ incerta. Sentiva ancora il bruciore provenire dalle ferite all’addome, braccio e coscia ma il mal di testa stava diminuendo. Guardò nuovamente la stanza e la riconobbe. Era l’aula di quella scuola nella quale l’avevano sistemata quando erano arrivati. Erano in penombra, segno che doveva essere calata la sera e c’era solo un remoto vociare provenire da fuori. Morgan era seduto su una sedia accanto alla brandina dove si trovava lei e le stava porgendo un bicchiere d’acqua.
Carol aveva già vissuto quel momento, era così che terminava ogni giornata. Lei stesa lì e l’uomo che le faceva compagnia. Iniziò a ricordare di essere uscita fuori al cortile della proprietà, di aver visto due uomini entrare dai cancelli, e uno di loro era Daryl.
Che fosse stato tutto un sogno? Che in realtà lei fosse sempre stata stesa lì e avesse semplicemente dormito?
“Daryl” disse “Come sta Daryl?”
Morgan la guardò con un mezzo sorriso, mentre il cuore di Carol iniziò a battere forte, terrorizzata da qualunque risposta le avrebbe dato.
“Sta bene. Era ferito, ma sta bene” disse infine e il sollievo provato da lei fu immenso “È nell’aula qui di fronte”.
Carol prese il bicchiere, bevve e poi si mosse con l’intenzione di scendere da lì e raggiungere l’amico. Il suo desiderio di scappare stava miseramente perdendo la battaglia contro qualunque cosa fosse che la legava a Daryl, qualcosa che aveva sottovalutato.
Prevedibilmente Morgan la fermò.
“Carol non è il caso…”
“Voglio andare da lui.”
“Non credo che tu ce la faccia…”
“Allora accompagnami. Voglio andare da lui.”
Morgan sospirò pazientemente e allungò subito le braccia per aiutarla.
Carol si sforzò non poco per potersi mettere in piedi, ma non era certamente così grave come quando era arrivata.
“Sono svenuta?” chiese per capire meglio cosa fosse successo.
“Sì, poco dopo aver raggiunto Daryl. Ti abbiamo dato qualche antibiotico”.
Carol si morse un labbro. Non avrebbero dovuto sprecare antibiotici per lei, pensò. Si era convinta di stare meglio, invece aveva perso i sensi.
Morgan la stava osservando con sguardo severo e a tratti triste ma Carol se ne accorse solo quando lui parlò di nuovo.
“Prima di raggiungere Daryl, c’è qualcosa che devi sapere.”
Il panico tornò di nuovo, forse anche più forte di prima visto che persino Morgan sembrava preoccupato, ma Carol cercò di non darlo a vedere. Cercò con tutta se stessa di stare calma.
“Avevi detto che stava bene, che…”
“Non si tratta di Daryl.”
Era andata via da Alexandria per quello. Ogni avvenimento era diventato un colpo in pieno stomaco e non riusciva più a sopportarlo.
“Lo hanno incontrato” proseguì Morgan “Rick e gli altri… hanno incontrato quel Negan”.
“Dunque, qualcuno è morto” constatò Carol “Non c’è mai limite al peggio” ma rimasero pensieri fluttuanti. Chiunque fosse la vittima, la notizia le avrebbe strappato un altro pezzo di quel fragile cuore che si ritrovava al momento.
E così fu. Il male arrivò ancora una volta e tutto ciò che Carol riuscì a pensare fu il suo desiderio di raggiungere Daryl e di poter stare stretta tra le sue braccia. Non c’era un secondo fine in quel desiderio, solo la consapevolezza che lì avrebbe trovato conforto, che sarebbe stata male, sì, ma anche bene. Era l’unico posto dove sarebbe voluta essere. Carol non aveva percepito alcun tipo di rancore o delusione in lui quando si erano abbracciati qualche ora prima, quindi forse era arrivato lì proprio mentre era alla sua ricerca? Ma cosa gli era successo?
Morgan abbassò lo sguardo e per un attimo Carol pensò che avrebbe ceduto alle lacrime, invece non successe e aprì la porta. Nel corridoio, qualche curioso si girò verso di loro ma non li fermarono. Nella stanza di Daryl c’erano delle persone: il giovane gentile con l’armatura e un ragazzino il cui nome le sfuggiva ma con il quale aveva già parlato un paio di volte. Non appena li notarono, Daryl fu il primo a muoversi, nonostante fosse in pessime condizioni. I due ragazzi fecero per aiutarlo ma lui era già in piedi e aveva raggiunto Carol.
“Stai bene?” le chiese stringendola delicatamente. Aveva notato le fasciature e si era quindi curato di non fare pressione sui punti sensibili.
Carol sussurrò un “sì” e gli pose la stessa domanda.
Daryl annuì.
 “Non dovresti essere in piedi” aggiunse in tono serio e la fece sedere sulla barella dove poco prima era steso.
Lei non obbiettò e si chiese invece se lui già sapesse ciò che le era successo.
I due giovani de Il Regno si scambiarono delle occhiate con Morgan e poi uscirono dalla stanza, lasciando i tre da soli.
I tre outsider di Alexandria, in qualche modo.
“Rick deve essere avvertito” fece Daryl, andandosi a sedere di fianco a Carol.
“Lo sarà” rispose Morgan, prontamente.
La donna osservò Dixon attentamente. Era pallido, molto pallido. La stanza era in penombra, ma lei non riuscì a non notarlo. Anche lui aveva delle fasciature, la più vistosa sulla spalla destra.
Daryl si girò a guardarla a sua volta ed entrambi cercarono di decifrare lo sguardo dell’altro per capire a cosa stesse pensando.
Morgan disse a Daryl che Carol non conosceva i dettagli di ciò a cui era andato incontro il gruppo, così lui iniziò a raccontare. Partì dal momento in cui era uscito in moto da Alexandria, passando poi a quando era stato ferito e rapito insieme a Glenn, Michonne e Rosita. Parlò di quando erano stati costretti ad inginocchiarsi davanti quel Negan e della successiva decisione dell’uomo di portarlo alla loro base, come garanzia, in modo che Rick rispettasse i patti, ossia cedergli metà degli averi della safe zone. Quello che gli avevano fatto nella loro base non era stato certamente bello e più il racconto di Daryl andava avanti, più Carol sentiva aumentare quella sua stanchezza nei confronti del mondo. La voce del compagno sembrò quasi spezzarsi in più punti, ma non si fermò. I suoi occhi erano lucidi, il tono burbero e grave e non mancarono delle colorite imprecazioni.
Morgan lo osservò con serietà, ma non commentò. Carol invece cercò di mettersi in una posizione più comoda. Odiava essere schiava dei dolori provenienti dalle proprie ferite e finì per poggiare la schiena contro il muro e le gambe quasi completamente stese sulla barella, che si trovava a livello del pavimento. Chiuse gli occhi per far passare delle vertigini improvvise.
“Qui sei al sicuro” disse Morgan a Daryl.
Carol percepì dei momenti accanto a lei e per un minuto buono nessuno parlò. Quando riaprì gli occhi si accorse che anche Morgan era uscito dalla stanza, lasciando la porta socchiusa.
Daryl si sistemò meglio accanto a lei mettendo un cuscino sulla parete per stare più comodo. Si lamentò palesemente delle ferite che gli facevano male. Erano praticamente sulla stessa barca. Lui in particolare non era il tipo di persona che amava stare fermo in un posto per più di qualche ora, obbligato per giunta, a riposarsi. Rimasero in silenzio per un po’, forse un paio di minuti, poi Carol notò l’amico iniziare a giocherellare con le dita e seppe perfettamente cosa sarebbe accaduto, cosa significasse. Daryl stava cercando il coraggio per parlare e probabilmente si trattava di qualcosa di importante per lui, tanto da fargli prendere l’iniziativa.
Alle volte non sarebbe stato necessario, ma in quel caso c’erano troppe cose in sospeso.
“Sei andata via da Alexandria, quindi?” domandò tutto di un fiato.
Dunque aveva saputo. Morgan gliene aveva parlato e chissà, probabilmente gli aveva anche citato il contenuto della lettera.
Il primo istinto di Carol fu rispondere semplicemente di “sì”, ma poi le venne in mente altro.
“Anche tu”.
Daryl a quel punto la guardò e Carol resse lo sguardo, come era sempre accaduto.
Lui annuì.
“Mhh mhh… è stato davvero stupido.”
Carol non seppe cosa rispondere e in realtà si chiese se si stesse riferendo anche a lei.
“Ho lasciato una lettera e me ne sono andata. Non volevo che nessuno pensasse di essere responsabile e mi venisse a cercare… ma Rick e Morgan sono venuti lo stesso”
Carol aveva spostato lo sguardo altrove ma con la coda dell’occhio percepì quello di Daryl fisso su di lei.
“Come sei arrivato qui? Chi era quell’uomo che aveva le tue cose?” gli domandò, notando il gilet e la balestra a terra, a pochi metri da loro.
“Si chiama Dwight. È quel bastardo che mi ha rubato la moto nella foresta bruciata, lo stesso che ha ucciso Denise e che mi ha sparato alla spalla.”
Quell’informazione sorprese la donna ma si rivelò allo stesso tempo molto più interessante di quanto pensasse. Quell’uomo aveva ucciso un membro del loro gruppo e ne aveva rapiti altri per volere di quel Negan. Aveva minacciato, derubato e ferito Daryl, eppure lo aveva anche portato lì. Che tipo di rapporto c’era tra Il Regno e il gruppo dei cosiddetti Salvatori? Carol non poteva saperlo.
“E ti ha salvato?” domandò, ma suonò quasi come un’affermazione.
“Mhh mhh” rispose Daryl. Non era una risposta molto esauriente e lei non si sentì affatto rassicurata.
“Ti fidi di lui?” chiese ancora.
“No” la risposta di Daryl fu quasi immediata “Non lo so…”
 A quel punto Carol decise di girare la testa e notò che in realtà lui stava osservando la sua fasciatura sull’addome, con una mano che quasi arrivava a sfiorarla.
“Fa male?” le chiese con un filo di voce.
Carol annuì semplicemente, dopodiché entrambi si mossero di nuovo per sistemarsi meglio su quella scomoda barella. Ogni movimento, prevedibilmente, provocò loro delle fitte.
“Sembriamo una coppia di vecchi” commentò Dixon prendendo il cuscino e posizionandolo in mezzo a loro due, in modo che potessero averne una parte ciascuno. Carol non riuscì a trattenere sorriso. Fu breve, ma lo fece.
Se Daryl era capace di rispondere ironicamente, come aveva appena fatto, doveva essere un buon segno. Dopotutto, quante tragedie avevano entrambi vissuto sulla propria pelle per poi ricominciare da zero?
L’ultima volta che si erano visti, ad Alexandria, non era stato un momento felice, entrambi davanti la tomba di Denise, lui con il viso sporco di terreno e una bottiglietta di rum tra le mani. Forse quello era l’unico rimpianto che si era lasciata alle spalle abbandonando la comunità: non essere riuscita ad aiutare Daryl, a dirgli che il mondo va così e lui dovrebbe saperlo bene.
No, in quel momento non sarebbe stata neanche capace di dire quelle stesse cose a se stessa.
Aveva lasciato Daryl lì, tra i suoi rimpianti e con il timore di alzare la testa per guardarla negli occhi, a differenza di come stava facendo in quel momento.
Non c’era delusione nel suo sguardo e Carol ne fu sollevata. Ma quello che si erano lasciati alle spalle era tanto e quello che probabilmente sarebbe arrivato a breve non era da sottovalutare. C’era sempre troppo in gioco e Carol non aveva alcun punto di riferimento se non quegli occhi che continuavano a sostenerla nonostante tutto.
Era sera, ormai, ed entrambi erano costretti al riposo più assoluto, non sarebbero potuti andare da nessun altra parte. Era impossibile scappare, era impossibile tornare ad Alexandria, quel momento era come sospeso nel tempo ed entrambi senza saperlo, ne stavano traendo conforto. Forse era la presenza dell’altro, chissà.
Carol alzò il braccio sano per andare a spostare i capelli disordinati di Daryl e lui lasciò che lei lo facesse senza dire nulla. Negli anni il suo volto era cambiato, le guance erano più scavate, la barba più incolta, la pelle aveva qualche cicatrice in più e ovviamente i capelli si erano allungati ma il suo modo di guardarla, timoroso ma anche estremamente desideroso di darle conforto, era una vera e propria costante.
Se avessi potuto scegliere un compagno, in questo mondo…” si ritrovò a pensare Carol, amaramente, realizzando che dimenticare Daryl e quello che aveva rappresentato per lei sarebbe stata la cosa più difficile da affrontare e c’era una parte di sé che non avrebbe voluto farlo.
L’indomani lui si sarebbe messo in viaggio per tornare dal gruppo mentre lei non sarebbe partita, quindi quello era l’unico momento, forse l’ultimo, che avrebbero potuto davvero passare insieme.
Carol staccò il capo dalla parete e lo avvicinò a quello di Daryl. Il gesto fu repentino, o almeno così lo percepì lui tanto da indietreggiare leggermente, per riflesso.
La donna rimembrò la sera in cui si era avvicinata all’amico in quello stesso modo, ricevendo quello stesso tipo di reazione poco prima che lei riuscisse a baciargli dolcemente la tempia. Ma i tempi erano cambiati, lui era certamente cambiato e a dimostrarlo fu il suo riavvicinarsi, come se non fosse successo nulla.
Lo sguardo di Daryl indugiò brevemente sulle labbra di lei per poi ritornare sui suoi occhi e a quel punto Carol fece quello che il suo istinto le stava suggerendo dal momento in cui si erano iniziati a guardare.
Il contatto tra le loro labbra fu breve. Carol lo sentì trattenere il fiato e restare immobile, quasi pietrificato. Quando riaprì gli occhi notò che Daryl non la stava più guardando, aveva gli occhi puntati sulle dita, con le quali stava giocherellando di nuovo. Ma non si era allontanato, né stava commentando ironicamente come aveva fatto quella sera alla fattoria di Hershel. Era semplicemente lì accanto a lei, di fronte ad una verità della quale, prima o poi, avrebbe dovuto prendere atto.
Nel bacio non c’era stata la sicurezza di Ed, o la dolcezza di Tobin.
In Daryl c’era tutto un mondo da scoprire, un mondo che forse sarebbe stato pronto ad accogliere ma per il quale probabilmente era troppo tardi.
 “L’ho sempre voluto, sai?” disse e questo servì a riportare lo sguardo di Daryl su di lei “In realtà, una parte di me continua a volerlo” lui la ascoltò senza commentare “Ma non c’è mai tempo. Sembra non esserci mai tempo per noi due…”
Daryl sembrava imbarazzato. Le lanciava occhiate veloci per poi rivolgere le sue attenzioni altrove. Carol si sentì quasi in colpa, ecco perché era sempre stata convinta che non avrebbero mai avuto tempo per affrontare la questione.
“Non… non sono abituato”sussurrò lui prendendola quasi alla sprovvista.
“Non c’è bisogno che tu dica qualcosa” gli rispose.
Daryl scosse la testa.
C’era qualcosa di così spontaneo e puro nel modo in cui stava reagendo, da ricordare a Carol perché si fosse innamorata di lui. Fu la realizzazione finale della profondità di quel sentimento, così diverso da ogni altro, così unico. Perché con lui sembrava essere ricominciato tutto d’accapo, era tutto da scoprire, tutto da mandare avanti gradualmente, un tutto nel quale dava esattamente quanto avrebbe ricevuto, equamente.
Quasi non le sembrò reale ciò che aveva vissuto poco tempo prima ad Alexandria, con Tobin. Aveva creato un’illusione attorno a sé, ed ora se ne rendeva conto con grande amarezza.
“Ci tengo a te”
A quelle parole Carol cedette e i suoi occhi iniziarono a riempirsi di lacrime.
“Anche io tengo a te” rispose prima che la sua voce potesse essere rotta da singhiozzi.
Ecco a cosa era servito evitare Daryl nell’ultimo periodo: a non cedere. Con lui era difficile non farlo.
Dixon si avvicinò delicatamente a lei e andò a poggiare il capo tra la spalla e l’incavo del suo collo. Lei lo accolse volentieri , iniziandogli a massaggiare i capelli, che ancora una volta gli stavano coprendo il viso.
Sentì il respiro caldo di Daryl sul collo e fu per lei di un sollievo quasi terapeutico. Erano giorni che non sentiva i muscoli rilassarsi come stava accadendo il quel momento e si sarebbe potuta addormentare se solo lui non avesse parlato di nuovo.
“Cosa è successo? Perché sei andata via?”
Ho paura. Ho di nuovo paura.
“Qualcuno ti ha fatto del male o…”
“No” Carol lo interruppe “E’ che… sono stanca, Daryl. Stanca di come vanno le cose, stanca di uccidere”.
Lui aveva mosso il viso per guardarla di nuovo. Prese la mano che lo stava accarezzando nella sua e la strinse con forza.
Non le disse che si era comportata da debole, né che in realtà fosse forte e che l’avrebbe superata facilmente. Era lì, a farle compagnia, in attesa che fosse successo qualcosa, qualunque cosa. Era la sua presenza a fare la differenza, non ciò che avrebbe detto o fatto. Quello sarebbe arrivato da sé e Carol fu felice di apprendere che non fosse cambiato proprio nulla tra loro.
“Scusa” sentiva di dover mettere in chiaro che ad Alexandria non l’aveva allontanato perché non si fidava più di lui “Non avrei dovuto tagliarti fuori in quel modo”
Spostò le gambe indolenzite a causa della posizione scomoda e quel movimento le causò una fitta.
“Sei testarda” le rispose Daryl, spostandosi ed aiutandola a stendersi sulla barella “Ti conosco”.
Carol fece un mezzo sorriso, mentre lui si sistemava accanto a lei.
E tu sei così coraggioso! Il mondo continua a farti del male, a punirti, a darti ciò che non meriti… eppure eccoti qui.
Carol ripensò a quello che gli uomini di Negan gli avevano fatto e ai guai in cui lei stessa si era cacciata. Si sentì stupida ed egoista per aver pensato di voler morire mentre lui era nuovamente vittima di violenze.
“Siamo ancora vivi” constatò in un sussurro.
Daryl la stava guardando di nuovo con attenzione ed intensità.
Si morse le labbra e annuì.
“Forse è quello che dobbiamo continuare a fare…”
Un tempo Carol aveva creduto che la vita fosse un piano prestabilito da Dio, qualcosa quasi completamente indipendente dalla volontà degli esseri umani. Adesso basava la sua esistenza sulle proprie scelte, eppure non riusciva a spiegarsi come il mondo spingesse lei e Daryl a ritrovarsi ogni volta, anche quando erano partiti in direzioni opposte, separate, indipendenti.
Rimasero a contemplare in silenzio, il vociare remoto proveniente dal corridoio si era completamente spento, restavano solo i loro respiri.
Carol si sentì toccare la testa.
“Mi piacciono i tuoi capelli”
Daryl fece un mezzo sorriso (qualcosa che capitava raramente) arricciando la chioma argentea di lei con e dita.
Il sorriso di Carol, invece, fu pieno di sorpresa. Forse il primo vero sorriso che rivolgeva a qualcuno da mesi. Immaginò che quello fosse il modo di Daryl per dire “mi piaci” e ne fu quasi divertita.
Chiuse gli occhi ed ebbe una rivelazione:
Il tempo per loro due c’era e c’era stato, sarebbe bastato semplicemente riconoscerlo. Proprio come era accaduto quella sera.


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Angolo dell'autrice: Salve a tutti! Mi dispiace averci impiegato così tanto per pubblicare anche il secondo capitolo ma tra vari impegni (tra cui la laurea) non sono riuscita a terminare la stesura prima. Tra l'altro non sono soddisfattissima di quello che sia uscito fuori, ma spero invece che a voi sia piaciuto.
Non è ancora finita, ci sarà anche un terzo ed ultimo capitolo che spero di poter pubblicare quanto prima.
Alla prossima!
Carol.
   
 
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