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Autore: Luce_Della_Sera    19/06/2016    1 recensioni
(Sequel di “L’amore è sempre amore” e di “La vera essenza delle famiglie”)
Dal terzo capitolo: "L’amore per i figli è l’amore più grande: è infinito, così infinito che ti lascia senza fiato".
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 9: Vendite e decisioni

Vittoria, seduta su uno scalino della rampa che portava al piano superiore a quello dove si trovava la sua aula, era sconsolata: le sue compagne le avevano detto che con i trucchi e i prodotti per il corpo erano a posto, ma che le “avrebbero fatto sapere” in caso ne avessero avuto bisogno. Non se la sarebbe presa più di tanto, se non avesse saputo che, appena aveva lasciato la stanza, le altre erano andate da Priscilla, che non si aspettava un assalto del genere per ovvie ragioni, e avevano fatto degli ordini! Era stata proprio la sua migliore amica a dirglielo.
“Ti giuro che non me lo aspettavo proprio, dopo che hanno detto di no a te. Ho scritto i loro ordini però, perché così ce li dividiamo!”, le aveva detto; ma lei aveva rifiutato. Non ce l’aveva con Priscilla, ma non poteva fare a meno di chiedersi se l’atteggiamento delle sue compagne non fosse legato ad una cosa che, lo sapeva, le avrebbe creato qualche problema tutta la vita…
“Ehi, Vittoria! Sai cosa abbiamo fatto io e le altre, mentre non c’eri?”.
La diciottenne alzò lo sguardo sulla compagna di classe: non la aveva vista arrivare, ma sapeva già cosa Paola stava per dire.
“Lo so, me lo ha detto Priscilla”, rispose, ostentando freddezza ed indifferenza; l’altra sembrò interdetta per questo suo atteggiamento, come già era accaduto in precedenza in altre occasioni.
“Non riuscirai a scalfirmi, mi spiace”, pensò la giovane eletta al consiglio d’istituto. Così, continuò:
“Beh? Ti sei mangiata la lingua?”.
“Ero venuta solo a dirti che, se vuoi, puoi provare a vendere qualche trucco ai ragazzi della classe…ah, no, dimenticavo: loro sono etero. Mica come quel frocio di fratellastro che ti ritrovi!”.
“Cosa hai detto su mio fratello? Come lo hai chiamato? Ripetilo se hai il coraggio, brutta tr…”.
Vittoria si rese conto troppo tardi che Paola l’aveva fatto apposta, voleva farla arrabbiare e ci era riuscita: ma ormai era fatta.
“Cos’è quella faccia scandalizzata? Ho detto solo la verità! Sta con un quindicenne, lo sapevi? Gli è andata bene, perché hanno solo due anni di differenza… se ne avevano quattro, poteva quasi essere tacciato di pedofilia. Ma d’altronde si sa, che i gay sono potenzialmente tutti…”
“I gay sono potenzialmente tutti cosa?”
Kevin sopraggiunse proprio in quel momento, scendendo le scale insieme a Davide.
“Oh, ma guarda: la coppia dell’anno”.
“Brutta cosa l’invidia, eh?”, fece Davide.
“Cosa dovrei invidiare esattamente? Il tuo talento nel lasciare che il tuo fidanzato prenda le sberle al posto tuo?”.
Il ragazzo indietreggiò, colpito in pieno dall’accusa. Si era prestato alla messa in scena per proteggere l’amico, ma ancora si sentiva colpevole per quanto gli era capitato il mese precedente…
“Le dinamiche interne alla nostra coppia non sono affar tuo, mi pare”, si intromise Kevin, fissando la ragazza con sguardo minaccioso: se quella ignorante pensava di fargli paura, si sbagliava. Non si aspettava che potesse essere così bella e così ristretta di vedute: se l’avesse saputo prima, non l’avrebbe proprio presa in considerazione. Evidentemente, il destino aveva deciso per lui: forse, era Priscilla la ragazza che faceva al caso suo!
“Comunque, stavi dicendo sui gay?”, chiese ancora.
“Una schiacciante verità. In ogni caso, Vittoria, sai una cosa? Credo che forse ordinerò qualche prodotto anche da te…mi mostri il catalogo? Ce lo hai in classe, no?”.
“Lo hai già visto il catalogo, svampita. Mi sbaglio o poco fa lo hai usato per ordinare le cose a Priscilla? Fatti bastare quelle: io non ti venderei niente neanche se tu fossi l’ultima donna sulla faccia della Terra. Forse un po’ di trucco potrà renderti più bella esternamente, ma dentro sei attraente come una mela marcia, fattelo dire. E ora scusami, ma dovrei parlare con mio fratello riguardo al regalo che mi ha chiesto per sua madre!”.
Detto questo, fece un cenno ai due ragazzi, che la seguirono: Paola rimase impalata a fissarli per qualche minuto, poi si diresse in bagno, per accertarsi che il suo aspetto esteriore fosse a posto.

 
 

“Kevin?”.
Il ragazzo alzò lo sguardo dal libro di matematica.
“Sì, mamma?”.
“Vado a prendere Isabel a scuola: quando ritorno ti ritrovo a casa, vero?”
“Oggi no, mamma…ho gli allenamenti di calcio”.
Jasmine fissò suo figlio.
“Tesoro, non ho molto tempo…ma dimmi una cosa, sinceramente: il calcio ti piace? Perché non mi è mai parso che nutrissi una grande passione per questo sport…”.
Ricordava benissimo le liti tra il marito e il figlio su questo punto: ma non riusciva a capire se il rifiuto del diciassettenne fosse totale o se dipendesse dal fatto che non rendeva bene come gli altri compagni di squadra.
“Ehm… no, mamma. Mi piace. Solo che non segno mai, tutto qua”.
La donna sorrise, rassicurata.
“Vedrai, ci riuscirai prima o poi! E comunque, se anche non fai gol non è una gran tragedia”.
“Per te, forse. Dimentichi che sono nove anni che vado ai corsi, e per quanto mi sia impegnato a parte qualche volta per pura fortuna non ho mai segnato un gol come si deve! E qualcuno a caso in famiglia rompe le scatole…”, pensò Kevin, indignato. Non volendo rattristare la madre, però, disse solo: “Se lo dici tu!”.
“Ma sì, dai!”. Jasmine corse ad abbracciare il figlio, che cercò invano di sottrarsi; poi lo salutò e uscì.
Kevin sentì la porta sbattere, e chiuse il libro: si sentiva un po’ in colpa.
Sua madre non meritava tutti quegli inganni, ma che altra scelta aveva?
Vittoria gli aveva detto che avrebbe ordinato i trucchi e che questi sarebbero arrivati entro un paio di settimane a casa sua; lui doveva solo andarli a prendere e darle i soldi, dopodiché poteva nasconderli e darli a sua madre in occasione del suo compleanno visto che non era poi così lontano, sempre che suo padre non li scoprisse prima per qualche ragione. Non gli importava più così tanto di farsi beccare con i trucchi, però: da qualche giorno, in realtà, quello che gli premeva era entrare in contatto con Priscilla, sapere qualcosa di più su di lei. Certo, poteva chiedere alla sorellastra: dopotutto, erano migliori amiche da quando avevano iniziato il liceo! Ma forse, almeno quel giorno, poteva avvicinarla in un altro modo…
“Vedrai come mi allenerò bene, tra poco!”, pensò, mentre si alzava dalla sedia e si allontanava dalla sua scrivania per andare verso l’armadio.

 
 
Irene, intabarrata nel cappotto, si guardò intorno, cercando di intravedere Gabriele tra tutti i bambini che uscivano. Visto che in quella scuola si provvedeva a far uscire le classi dalle prime in poi, ormai erano rimasti pochi bambini, ma non voleva rischiare di perderlo di vista!
Girò ancora lo sguardo a destra e a sinistra, e infine lo vide, vicino alla maestra. Si stava guardando attorno anche lui: probabilmente cercava Sara, perché gli era stato detto che sarebbe venuta lei a prenderlo.
“Non mi vede”, pensò, cominciando a sbracciarsi, a chiamarlo e venirgli incontro.
“Tesoro, eccomi!”.
“Oh, sei venuta tu mamma Irene? Mamma Sara dov’è?”.
Prima che l’adulta potesse rispondere, l’insegnante si intromise.
“Lei ha l’autorizzazione per riprendere questo bambino, signora?”.
Irene si impose di mantenere la calma. La maestra era una supplente e a quanto ne sapeva aveva anche altre classi oltre quella di Gabriele, perciò era logico che si fosse dimenticata della situazione familiare di uno dei suoi alunni; inoltre, non si erano mai viste prima, dato che da quando era iniziata la supplenza c’era sempre stata Sara fuori la scuola… eppure, tanta supponenza la infastidiva. Ma cosa credeva quella donna, che lei fosse una rapitrice?
“Certo che ce l’ho. La madre naturale mi ha inserita tra le persone autorizzate”.
“Capisco. Quindi, lei sarebbe…”
 “Come, scusi?”.
“L’altra madre, cioè. Quella non biologica. Mia moglie mi aveva detto che gliene aveva parlato, non si ricorda forse?”
Irene era rimasta con lo zaino di Gabriele a mezz’aria.
“Ah. Sì. Giusto, infatti mi ricordavo di avere un bambino con una famiglia… particolare”.
“Lei è troppo gentile”, rispose la quarantaduenne, che nel frattempo era riuscita a mettersi lo zaino del figlio su una spalla. “In realtà, siamo una famiglia piuttosto ordinaria, più di quanto gli altri possano immaginare. Ora mi scusi, ma…”.
Senza neanche finire la frase, fece cenno al bambino di seguirla, e insieme si allontanarono.
“Mamma, perché tutti dicono che siamo una famiglia particolare?”.
L’adulta si bloccò poco oltre il cancello della scuola, fissando il bimbo.
“Tutti chi, tesoro?”.
“Tutti quelli che conoscono la nostra situazione da poco. O almeno, tanti tra loro…”.
“E’ che la gente è abituata a vedere bambini con un padre e una madre, Gabri, quindi una situazione come la nostra a queste persone appare strana. Lo sai, no? Mamma Sara e io te lo abbiamo spiegato tante volte!”.
“Sì, però… a volte lo dicono come se non ci considerassero normali!”.
“E poi dicono che i bambini sono ingenui: a modo suo, ha capito tutto!”, pensò la donna mentre riprendeva a camminare.
“Perché per la gente è così importante che i bambini come me abbiano per forza un papà e una mamma? Non capisco! Io sto bene, perché degli sconosciuti dovrebbero preoccuparsi per me? L’importante è che ci si voglia bene, io l’ho detto tante volte in classe!”.
“Ah, sì? E gli altri, cosa hanno detto?”.
“Gli altri bimbi hanno capito…”.
“E le maestre?”.
“Alcune quando lo dicevo mi guardavano strano”.
“Per forza: avranno pensato che quelle due pervertite che ti ritrovi in casa ti hanno fatto il lavaggio del cervello, avendo tu solo dieci anni”, pensò Irene, ma non lo disse: una frase del genere sarebbe stata troppo complicata per il suo figlio adottivo. Quindi, ignorò il commento, e ringraziò mille volte il cielo quando, pochi istanti dopo, arrivarono alla macchina.
“Eccoci qui, finalmente. Salta su, dai! Così mentre guido mi racconti cosa hai fatto oggi a lezione…”.
 
 

Dario uscì dal suo studio, sovrappensiero. Quel giorno aveva fatto più fatica del solito a concentrarsi… c’era infatti un pensiero che lo aveva tormentato sin dalla sera prima, mentre vedeva una partita di pallone del turno infrasettimanale. Che suo figlio fosse arrabbiato con lui non perché non volesse fare calcio, ma perché era venuto poche volte a vederlo da quando aveva iniziato ad andare al liceo? Non aveva mai pensato che potesse essere un problema, visto che sapeva per esperienza diretta quanto agli adolescenti desse fastidio la presenza dei genitori nei luoghi dove si divertivano… e pensava di aver avuto la conferma da quando anche Jasmine, presa da Isabel, aveva smesso di andarci. Che si fosse sbagliato?
“Beh, l’unica cosa da fare per scoprirlo è andare al suo allenamento: chissà, magari gli farà piacere! Può essere anche che sia per quello che non riesce a segnare, chissà?”.
Si diresse verso la sua automobile, soddisfatto: forse, entro la fine della giornata lui e Kevin si sarebbero finalmente chiariti, almeno riguardo la questione dello sport. Per il resto, ci sarebbe stato tempo…
 
 

“Insomma, capito? Roba da matti, siamo ancora a questi livelli! Mi ha guardata come se fossi un’adescatrice di minorenni. Gabriele è anche mio figlio, che alla gente piaccia o no! Se non ci fosse stato lui, sono sicura che quella cretina avrebbe usato la parola ‘anormale’ . Io l’ho ringraziata e ho fatto come se nulla fosse, tanto per spiazzarla… ma sapessi che umiliazione!”.
“Lo so, amore”, fece Sara, paziente. “Ma non sarà né la prima né l’ultima volta che capiteranno cose del genere però, giusto?”.
“Mica tanto giusto, in realtà. Non dovrebbe succedere, non nel ventunesimo secolo, e non dopo l’approvazione delle unioni civili. Gabriele poi ha già capito tutto, figurati. Sapessi cosa mi ha detto dopo che siamo usciti dal cancello della scuola…”.
Sara guardò la moglie dritta negli occhi, interessata. Non dubitava dell’intelligenza di suo figlio, e sapeva che prima o poi qualcosa dell’atteggiamento del mondo esterno verso di loro gli sarebbe arrivata… ma la cosa la preoccupava lo stesso. Come poteva proteggerlo da adulti che, fin troppo spesso, avevano meno capacità di comprensione riguardo a certe tematiche di quanta ne avesse lui?
 
 

“Mi dispiace, signore. Pensavo che Kevin si fosse ritirato, perché in effetti è da settembre che non si fa vedere. Sa, ho creduto che volesse concentrarsi solo sullo studio”.
Dario fissò l’allenatore di suo figlio, a bocca aperta: Kevin saltava gli allenamenti da più di un mese? Se si fossero trovati ancora nel periodo dopo il pestaggio, l’avrebbe capito: infatti, lui per primo aveva insistito affinché il figlio restasse a casa, la settimana dopo essere stato dimesso dall’ospedale. Ma adesso, che motivo aveva per non andare? Sapeva che quelli come lui non amavano le partite di pallone: ma Kevin non aveva nulla che non si potesse curare, dopotutto, specie dopo la visita di qualche specialista serio. E poi, poteva anche essere solo una fase: tanti adolescenti attraversavano periodi di confusione, per poi tornare sulla retta via. Quindi, forse, con una chiacchierata da uomo a uomo… però c’era un problema: se Kevin non era lì, allora dove si trovava in quel momento?
“Mi scusi, devo andare”, disse al suo interlocutore; fece un breve cenno di saluto, e mentre usciva dal campo sportivo afferrò il cellulare e compose il numero di casa: sua moglie rispose dopo il secondo squillo.
“Pronto?”
“Jasmine, sono io. Kevin è lì?”.
Seguì un attimo di silenzio.
“Come sarebbe a dire, se è qui? Non è con te? Mi avevi detto che saresti andato a vederlo e lo avresti riportato a casa!”.
“Infatti sono andato al campo sportivo…ma lui non c’è”.
“COSA???”.
“Ha saltato gli allenamenti, Jas. E’ più di un mese che lo fa”.
“Dio mio…e adesso, dove può essere?”.
“Non ne ho idea. Dai tuoi genitori, forse?”.
“Potrebbe, ma mia madre me lo avrebbe detto. Sai com’è diventata, da qualche mese: quando Kevin va a trovare lei e papà, insiste sempre affinché io le porti anche Isabel! Quindi, se fosse stato da loro l’avrei saputo”
“Prova a chiamarli, non si sa mai”.
“Ok, poi ti faccio sapere. Non è che per caso è a casa di Vittoria? O da qualche amico?”.
“Amico? Ma quale amico, gli amici maschi giustamente se li sarà giocati tutti da quando è diventato fro… va bene, lascia stare. Provo a sentire mia figlia, intanto, poi si vedrà. Ma ti giuro che appena lo ritroviamo mi sente!”.
“Non so che dirti…io spero solo che stia bene, e che non gli sia successo niente. Del resto, mi importa poco”.
“Hai ragione. Allora, chiama i tuoi e poi fammi sapere, d’accordo?”.
“Va bene… se riesco,chiamerò anche a casa di qualcuno dei suoi amici, non si può mai sapere. A dopo!”.

 
 

Vittoria spense il phon, sentendo bussare alla porta del bagno.
“Sì?”.
“Vee, il cellulare!”, disse la voce di Irene da dietro l’uscio.
“Arrivo”.
Girò la chiave, e si ritrovò davanti la madre, che teneva in mano il suo cellulare che squillava.
“Forse è Priscilla”, pensò, mentre si portava il telefonino all’orecchio.
“Pronto?”.
“Vittoria, sono papà”.
“Ciao! Come va?”. Nella fretta, non aveva notato che la chiamata veniva da suo padre: ma la cosa peggiore era che le sembrava preoccupato.
“Senti, Kevin è lì?”.
Che strana domanda!
“No, perché?”.
“E’ sparito”.
“Come???”.
Irene, che aveva fatto per andarsene immediatamente dopo aver consegnato il cellulare alla figlia, si bloccò a metà corridoio e le rivolse uno sguardo allarmato: ma la ragazza a malapena ci fece caso.
“Oddio…mi aveva detto che saltava gli allenamenti, ma io l’ho preso sul serio solo per qualche minuto. Dopodiché, ho pensato l’avesse detto per fare lo spaccone!”.
Ci fu una pausa, durante la quale Vittoria pensò che suo padre stesse per prendersela con lei chiedendole come mai non gli aveva detto che il fratello le aveva confidato quelle cose, anche se non l’aveva considerato serio: invece, lo sentì dire solo:
“Hai un’idea di dove possa essere? Ho provato a chiamarlo, ma ha il cellulare spento”.
“Ehm…io… io non saprei… forse è da qualche compagno di classe, a fare i compiti per domani…”. La sua mente lavorava a ritmo frenetico: cercò di pensare a tutti gli amici del fratellastro, e dovette scartarne parecchi. Kevin infatti le aveva detto che dopo il falso coming out molti gli avevano voltato le spalle…
“Jasmine sta provando a chiamarli, per quanto ne so. Ma mi chiedevo se magari non ci fosse qualcuno a cui noi non abbiamo pensato. Qualcuno che tu conosci, e che io e mia moglie invece non abbiamo ancora incontrato…”.
“Mi sta praticamente chiedendo se ha un fidanzato. Incredibile!”, pensò la ragazza.
La finzione del fidanzamento tra lui e Davide valeva chiaramente solo a scuola: in famiglia era stato deciso di non dire nulla. In questo modo, si sarebbero evitati fraintendimenti e casini vari…per quel che ne sapeva lei, quando Jasmine aveva chiesto al figlio se si era innamorato lui le aveva detto di sì, ma era rimasto sul vago, senza accennare ad una possibile relazione. E conoscendolo come lo conosceva, non aveva sicuramente cambiato idea…
“Che io sappia non ha una relazione, papà”.
“Ma tu non hai notato qualcosa a scuola? Magari c’è qualcuno con cui va più d’accordo, con cui lo vedi più spesso…”.
Stava per dirgli che sì, in effetti lo vedeva spesso con Davide. Era la verità,dopotutto, anche se tra loro non c’era niente. Ma se glielo avesse detto, suo padre sarebbe andato sotto casa del ragazzo, e chissà cosa avrebbe fatto, dato quello che pensava di sapere! Non poteva rischiare che andasse a fare una scenata e sproloquiasse sulla innaturalità dell’omosessualità a casa di due uomini gay, specie considerando che Kevin poteva anche non essere là.
“No, papà, niente del genere: sta sempre con la stessa gente. O meglio, i suoi amici sono diminuiti, ma non aumentati, e non mi pare abbia un rapporto particolare con nessuno di loro”.
Non sentì la risposta del padre, e quando lui la salutò, rispose meccanicamente; chiudendo la comunicazione, si sentì quasi sopraffare dalla paura.
“Vittoria?”.
La diciottenne sobbalzò: non si aspettava che la madre fosse ancora nei paraggi.
“Cosa è successo, tesoro? Kevin è nei guai?”.
“Io…non lo so, mamma! Papà dice che non si trova!”
“Come, non si trova? In che senso?”.
Irene era consapevole di aver parlato a voce piuttosto alta: sapeva che molto probabilmente nel bagno sarebbero stati in quattro, ma non le importava: quello che le premeva era consolare la figlia che, dimentica del phon e del fatto che aveva ancora qualche ciocca bagnata, aveva iniziato a piangere per l’agitazione. La strinse forte a sé, e in quel momento, come aveva previsto, arrivarono gli altri due componenti della famiglia, uno dalla cameretta e l’altra da salotto.
“Vittoria, perché piangi? Ti sei bruciata con il phon?”.
Gabriele fissava la figlia della sua mamma adottiva, allarmato e incuriosito insieme: la ragazza gli fece cenno di no con un dito, ma non riuscì a dire altro.
“Gabri, forse è meglio che tu torni in camera con mamma Irene: Vittoria forse ha bisogno di stare un po’ tranquilla. Ci resto io con lei e poi ti racconto, va bene?”, gli disse Sara, che a differenza del figlio aveva intuito che la situazione era abbastanza seria.
Irene si staccò dalla sua bambina: un po’ le dispiaceva farlo, ma era anche vero che Vittoria si apriva di più con Sara, quindi forse era meglio lasciarla con lei. Che stesse in sua compagnia o con sua moglie, in fondo, non le importava: l’unica cosa che voleva, era che sua figlia stesse presto meglio: aveva sempre detestato vederla triste!
Lanciò quindi alla compagna un’occhiata che significava: “Quando sai bene tutto, avvertimi”, e uscì dalla stanza in compagnia del piccolo di casa.

 
 

“Non lo hai proprio sentito? Per niente?”.
Davide sospirò.
“No, Vittoria. Non ci siamo parlati, oggi, a parte a scuola, e degli allenamenti non me ne ha neanche accennato”.
“E…non sai dove può essere, giusto?”.
“Se lo sapessi, te lo direi, non trovi?”.
“Scusami. Sono nel panico più totale”.
“Lo vedo, ma cerca di non agitarti troppo. Se lo fai, la situazione comunque non cambia. Dove sei, ora?”.
“In giro per la città, con le mamme. Siamo in macchina”.
“Gabriele è con voi?”.
“Sì. E’ molto tranquillo, devo dire”.
“Lo vede come un gioco, immagino, o quasi: di certo le tue mamme non gli hanno detto tutto, e quindi non sa quanto la cosa in realtà sia seria. Perché non lo portate qui? Papà Marco è sempre felice di averlo a casa…”.
“Glielo abbiamo chiesto, dice che preferisce venire con noi. Però mamma Sara è riuscita a strappargli la promessa che, se non troviamo Kevin a breve, farà il bravo e si farà portare da voi per la notte: i tuoi padri lo sanno, ho sentito che li ha chiamati”.
“Ah, ecco con chi parlava papà Marco poco fa…io non avevo capito, perché stavo studiando e comunque non mi piace sentire le loro conversazioni private”.
“Ti capisco: vale anche per me”.
“Beh…spero che tutto si risolva, davvero”.
“Lo spero anche io. Se Kevin dovesse farsi vivo con me, te lo dirò, d’accordo?”.
“D’accordo. Io farò lo stesso con te”.
“Grazie…ciao!”.
“Ciao!”.
Il quindicenne sospirò. Parlare con la ragazza dei suoi sogni gli faceva sempre piacere, ma ovviamente avrebbe voluto parlarle di altre cose… non gli piaceva vederla tanto sconvolta. L’amico aveva combinato un vero disastro, aveva messo in agitazione tutti quanti…persino i suoi due padri, che erano i meno coinvolti in quella storia, erano parecchio preoccupati: al punto che venivano in camera sua a chiedergli come si sentiva ogni cinque minuti, quasi come se avesse quaranta di febbre. Quindi, in quel momento, c’erano ben tre famiglie che si stavano facendo la stessa domanda: dove si era cacciato Kevin?

  
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