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Autore: LadyBones    23/06/2016    5 recensioni
Dal testo:
[...] "Speravo di trovarti qui..." sussurrai semplicemente, ignorando appositamente il rumore del mio cuore rimbombarmi nelle orecchie.
Lanciai appena un'occhiata nella sua direzione e vederlo restare immobile in quel modo mi fece capire che - no - quello non era assolutamente da prendere come un buon segnale. Quando lo vidi voltarsi nella mia direzione e puntare i suoi occhi chiare su di me, mi ritrovai a trattenere involontariamente il respiro. [...]
Genere: Angst, Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'We Are All Lost Stars Trying To Light Up The Sky'
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Non ricordavo quando fosse stata l’ultima volta che avevo dormito così tanto. Forse erano stati tutti quei dolori o la stanchezza accumulata, ma avevo finito per scivolare in un sonno profondo, privo di sogni. Il che per certi versi era stato rassicurante. Solo il silenzio ad avvolgermi e nient’altro.

Mi ero svegliata nel tardo pomeriggio, quando il sole era ormai sul punto di tramontare. Alcuni riflessi dorati avevano finito per fare capolino da una delle finestre e posarsi sulla mia coperta. Lentamente mi ero voltata in pancia in su prendendo a fissare per qualche istante il soffitto. Dio – dormire tanto aveva finito per intontirmi più di quanto non lo fossi già, ma quanto meno il mal di testa sembrava essere sparito. Tentai lentamente di sollevarmi, sperando di non riprovare quella dolorosa sensazione di mille spilli che mi trafiggevano il cervello. Fortunatamente avevo scampato il pericolo, così, quando appoggiai la schiena alla testiera non potei fare a meno che tirare un lungo sospiro di sollievo. Con una mano mi stropicciai gli occhi ancora mezzi assonnati mentre cercavo di decidere cosa fare.

Bucky non era più nel punto in cui l’avevo lasciato la sera precedente. La cosa non mi sorprendeva, avevo praticamente dormito per un giorno intero, quindi probabilmente doveva essere in qualche punto non ben precisato della casa. Avrei potuto tentare per la seconda volta la fortuna e provare a mettere i piedi fuori dal letto, ma qualcosa mi diceva che – forse – questa volta non sarei stata poi così fortunata. Uno sbadiglio finì per sfuggire al mio controllo a causa del troppo pensare e cercai di acciuffarlo con una mano, ma era stato più veloce di me.

Forse restare a letto non sarebbe stata la fine del mondo, ma proprio quando ero sul punto di infilare la testa sotto la coperta qualcosa di più urgente richiamò la mia attenzione.

No, ok Lenny dormirai dopo aver fatto pipì…

Sussurrai prima di farmi coraggio e mettere un piede dopo l’altro sul pavimento freddo. Ne avevo fatte di cose complicate nella vita, ma raggiungere il bagno – la stanza esattamente al fianco della mia – era stata un’impresa che neanche Thor ne avrebbe avuto la più pallida idea. Inutile dire che una volta raggiunta la mia meta mi ritrovai a tirare un sospiro di sollievo. Poi, il pensiero di dover ritornare esattamente da dov’ero venuta aveva finito per farmi precipitare nello sconforto.

Così impari a voler fare l’eroe. Te la sei andata a cercare… con il lanternino proprio.

E fu così che iniziai a parlare con me stessa, e – onestamente – quella non era neanche la cosa più strana che avessi mai fatto. Avevo passato sì e no una decina di minuti in bagno approfittandone per darmi una ripulita veloce, quando non fui costretta a dover uscire. Fosse stato per me, sarei tranquillamente rimasta dentro la vasca fino a quando non avrei recuperato le forze, ma il solo pensiero di tutto lo sforzo che mi ci sarebbe voluto per entrarci dentro mi fece riconsiderare l’idea.

Uscii dal bagno a passo di lumaca e, prima di ritornare nella mia camera, diedi una sbirciatina nel soggiorno. Bucky era seduto sul divano, lo sguardo fisso sul tavolinetto davanti a lui su cui vi era posato quello che mi sembrava essere il suo fascicolo. Senza neanche pensarci due volte mi avviai nella sua direzione. Per la prima volta da quando lo conoscevo , aveva finito per sollevare lo sguardo nella mia direzione non appena mi aveva sentito arrivare.

Dovresti restare a letto…

Ci ritorno tra un po’, promesso. Cosa stai facendo?

Gli avevo chiesto prima di sistemarmi al suo fianco sul divano. Tirai un sospiro di sollievo e potei chiaramente avvertire ogni mio singolo muscolo ringraziarmi per la clemenza ricevuta – e no, non lo dicevo tanto per esagerare. Bucky, nel frattempo, aveva finito per farmi un po’ di spazio e – in silenzio – mi aveva allungato il fascicolo.

Fissai prima lui e poi tutti quei fogli indecisa su cosa fare. Tecnicamente se me lo stava porgendo significava che avevo il suo permesso di dare finalmente una sbirciata, eppure.

Già, eppure…

Non è necessario che io lo legga.

Lo so…

E non potei fare altro che afferrare il fascicolo. Potevo anche essere sicura, adesso, che per lui non ci fossero problemi che io leggessi, ma ciò non toglieva che potessi aver paura di farlo. Quei fogli rappresentavano l’ignoto e, francamente, non ero certa di essere pronta per quello.

Potrebbero non piacerti le cose che ho fatto…

Lo aveva detto piano con una strana nota nella voce che non ero stata in grado di decifrare. Sicuramente, il fatto che io fossi rimasta – immobile – con il fascicolo chiuso appoggiato sulle gambe non doveva aver avuto un buon effetto su di lui. Di solito avevo la capacità di possedere molto più tatto, però tutta quella situazione andava al di là anche delle mie capacità. Non ero certo infallibile, e stavo iniziando ad avvertirne i primi segni.

… potrebbero non piacermi le cose che ti hanno fatto.

Non ero completamente all’oscuro di quello che gli era successo. Lui stesso mi aveva confessato che lo avevano sottoposto all’elettroshock, il che rendeva già di per sé l’idea di quello che aveva dovuto subire. Leggerlo, però, avrebbe finito per rendere tutto più reale e una parte di me non era pronta. Non sapevo spiegarne il motivo, ma sapevo che in quel modo avrei finito per farmi del male. Ciò nonostante mi ritrovai ad aprire quell’involucro di cartoncino – conscia di quei due occhi blu puntati su di me.

E, lessi.

Mi ci volle tempo e forza – tutta quella che avevo – per arrivare fino alla fine. Girato l’ultimo foglio, tutto il dolore fisico che avevo provato fino a quel momento sembrava essersi annullato in confronto a tutto ciò che stavo provando. Sembrava avessi un peso, proprio all’altezza del petto, che non faceva altro che schiacciarmi senza mai riuscirci davvero. Era insopportabile, ma molto di più lo era quella dannata consapevolezza che aveva finito per invadermi il corpo.

Non avevo mai sopportato le ingiustizie di nessun genere, ma specialmente quelle rivolte nei confronti di altre persone. Non ero mai riuscita a capire come potesse un essere umano volere la distruzione di un altro essere umano. Quella era crudeltà, nuda e cruda che io non ero mai riuscita a tollerare. Tutto si era fatto, però, complicato nel momento in cui mi ero ritrovata a leggere quel dannato fascicolo perché non stavamo più parlando di una persona qualsiasi. No, stavamo parlano di Bucky e bastò quello per farmi capire ciò che avevo preferito ignorare fino a quel preciso momento.

Mi ero affezionata a lui più di quanto avrei dovuto e fu, un po’, come essere schiaffeggiati in faccia dalla realtà.

Vorrei, davvero, avere qualcos’altro da dire di un semplice mi dispiace…

Lo avevo sussurrato mentre riponevo sul tavolino il fascicolo. Al suo interno vi era persino un elenco con tutte le vite a cui il Soldato d’Inverno aveva messo fine, ma quello avevo preferito non leggerlo.

Potresti non dire nulla e andrebbe bene comunque…

No, non andrebbe bene perché meriti che qualcuno ti dica che tutto quello che ti è successo non potevi impedirlo e che, nonostante tutto, hai un’amica su cui potrai sempre contare… ok?

Avevo visto spuntare un mezzo sorriso illuminare il suo viso quando mi aveva sentita pronunciare quelle parole. Probabilmente non era quella la reazione che si aspettava e – onestamente – una persona normale avrebbe sicuramente agito diversamente, ma alle volte ci si guadagnava a essere un po’ strani.

Tu sei… sei diversa, insomma… voglio dire, non sei come le persone che ho incontrato fino a ora.

Sai, questo è un bel complimento visto le persone con cui hai avuto a che fare – senza offesa.

Aveva riso.

Non un mezzo sorriso, o quella solita smorfia che era solito fare e per un attimo mi era mancato il respiro. Era stato un po’ come rivedere il ragazzo che ero solita guardare nel vecchio video che veniva mandato a ripetizione allo Smithsonian. Quello in cui c’erano Steve e Bucky – solo due amici cresciuti insieme – intenti a ridere, chissà poi su cosa. E, cavolo, era persino bello quando rideva. Non che normalmente non lo fosse, insomma… ecco… oh per l’amor di Dio Lenny, a cosa diavolo vai a pensare.

Hai detto che sei una mia amica, questo vuol dire che posso farti una domanda?

Avresti potuta farla in ogni caso.

Si era ritrovato ad annuire e io non sapevo se dover essere più curiosa o preoccupata. Diciamo che, il fatto che ci mettesse un po’ a parlare, mi faceva propendere per la seconda opzione. E, poi, avevo capito il motivo del suo silenzio iniziale.

Tuo padre… non hai mai veramente parlato di lui.

La sua non era stata una vera e propria domanda, ma aveva ragione. Lo avevo menzionato qualche sera prima senza, in realtà, dire poi molto. Non ero abituata a parlare di lui. Solitamente lo facevo con le persone che lo avevano conosciuto, per lo più i miei nonni e Fury. La verità era che non mi piaceva parlare di lui perché era un po’ come riaprire una vecchia ferita – anche se, in realtà, non si era mai realmente chiusa.

Cosa vuoi sapere di lui?

Solo quello che vuoi dirmi…

Sembrava un po’ che la situazione tra noi si fosse capovolta, e la cosa stranamente mi piaceva. Mi ero ritrovata, così, a sistemarmi meglio sul divano – le gambe raccolte sotto di me, leggermente girata nella sua direzione. In quel modo sarei riuscita a guardarlo meglio, e lui sembrava aver avuto la stessa idea perché aveva finito per seguire i mei movimenti e sistemarsi a sua volta.

Mio padre si chiamava Christopher ed era la cosa più bella che avessi. Mia madre è morta quando ero più piccola, quindi è un po’ come se fossimo stati sempre e solo noi due. Si è preso cura di me anche quando, a stento, riusciva a occuparsi di se stesso. Lavorava tanto – troppo – ma non è mai mancato a un mio compleanno, o recita scolastica o traguardo importante…

Lo avevo sussurrato senza riuscire davvero a nascondere una punta d’orgoglio nella voce.

Era un agente dello SHIELD – dicono che fosse davvero bravo, ma io non ho mai avuto la possibilità di vederlo in azione. All’inizio, in realtà, mi aveva fatto credere che lavorasse in una libreria e ogni settimana si preoccupava di farmi avere sempre un libro nuovo… sapeva che non era facile imbrogliarmi.

Sorrisi divertita a quel pensiero e Bucky finì per imitarmi. Non potevo certo raccontagli tutti i minimi dettagli in solo cinque minuti, ma non mi era mai sembrato così facile parlare con qualcuno di mio padre. Credo che per quello avrei dovuto ringraziare Bucky che se ne stava seduto lì in silenzio ascoltando incuriosito, ma senza nessuna traccia di giudizio nel suo sguardo.

Un giorno – ero nel giardino dei miei nonni – non ricordo con precisione cosa stessi facendo. Ho visto arrivare Fury con una strana espressione sul volto. Non che solitamente sprizzi allegria, ma quel giorno c’era qualcosa di diverso e avevo ragione. Qualcosa era andato storto e mio padre non ce l’aveva fatta… tornava sempre da me, solo non quella volta…

Non mi ero neanche resa conto che – parlando – alcune lacrime avevano finito per sfuggire al mio controllo. Me ne ero resa conto solo nel momento in cui avevo avvertito il mio viso bagnarsi. Avevo cercato di asciugarle via con il dorso della mano, ma ero quasi certa che non fosse servito poi a molto.

Alle volte provavo a immaginare come sarebbe stata la mia vita se lui non fosse stato nei paraggi, ma non immaginavo che sarebbe stata così. È che mi manca… mi manca avere qualcuno che si preoccupi per me. Lui aveva quel suo modo di farmi sentire speciale per qualche ragione, è difficile da spiegare… era come se riuscisse a vedere in me qualcosa che io proprio non riuscivo a percepire, e che continuo a non farlo...

Tutta la verità, che non ero neanche riuscita ad ammettere a me stessa, era venuta fuori. Era tutta lì, che galleggiava sospesa nell’aria. Non so neanche per quale motivo avessi così tanta paura di dire quelle cose a voce alta. Sono certa che ci fosse, da qualche parte, un buon motivo per cui avevo preferito ignorare quel sassolino nella mia anima – in quel momento, però, non riuscivo a ricordare quale fosse.

Ciò nonostante mi sentivo meglio. Non bene, ma meglio sicuramente. Bucky era rimasto in silenzio ad ascoltare, senza dire nulla o interrompermi. Aveva lasciato che quel fiume in piena facesse il suo percorso, fino a quando non lo avevo sentito cercare di arginare ciò che ne rimaneva. Rabbrividì appena, quando sentì la sua mano sfiorare la mia guancia e raccogliere l’ultima tra le lacrime rimaste.

Credo che tu gli somigli più di quanto pensi…

E so – lo so – che quello era il suo modo per consolarmi, ma il mio cuore non aveva retto a quelle parole e altre lacrime avevano finito per uscire fuori. Quella era la cosa più bella che mi fosse mai stata detta e non avrei permesso a niente e nessuno di portarmela via – almeno credo che fu questo quello che pensai. Un secondo più tardi fui distratta dalle braccia di Bucky che finirono per avvolgermi in quello che sarebbe passato alla storia per l’abbraccio più goffo e tenero della storia. Era raro vederlo prendere quel tipo di iniziativa e – sarà stato il mio stato d’animo altamente instabile – ma mi ritrovai a stringerlo a mia volta, quasi come per paura che potesse andare via da un momento all’altro. Lui, invece, ci aveva messo un po’ meno forza quasi per paura di potermi frantumare.

Onestamente non so dire quanto tempo siamo rimasti in quella scomoda posizione – forse qualche secondo, o minuti. So solo che, non appena le mie lacrime si erano arrestate, Bucky aveva allentato la presa. Per quanto non volessi lasciarlo andare sapevo che prima o poi avrei dovuto farlo, quindi mi ero in qualche modo preparata. E fu proprio in quell’esatto momento che finì per sorprendermi… di nuovo. Avvertì, improvvisamente, mancarmi il contatto con il divano su cui ero seduta. Le braccia di Bucky a tenermi saldamente, senza realmente stringere troppo per paura di farmi troppo male se ci avesse messo più forza del dovuto. E io non potei fare altro che allacciare le mie braccia intorno al suo collo, mentre lentamente si avviava nella mai camera con me in braccio. Dio – quell’uomo riusciva a fare sembrare semplice anche il sollevarmi. Non che al momento avessi poi così tanto per cui lamentarmi, sia chiaro. Beh, probabilmente una cosa c’era… la mia stanza non mi era mai sembrata così dannatamente vicina come in quel momento.

Qualche secondo più tardi, infatti, mi ritrovai nel mio letto – le coperte a coprirmi. Sapevo che quello sarebbe stato il momento in cui avremmo dovuto saltarci e – lo so – la mattina sarebbe arrivata molto prima di quanto pensassi, ma quella sera non era ancora pronta a dirgli buona notte.

Ti spiacerebbe restare ancora un po’ qui?

Non aveva detto nulla – come suo solito – ma avevo sentito il letto piegarsi sotto il suo peso. A stento riuscì a trattenere un sorriso, così ne approfittai per voltarmi sul fianco e dargli le spalle. Quella volta, però, non rimase appollaiato in un angolo del letto, no. Lo sentì scivolare al mio fianco ed era così vicino che riuscivo persino ad avvertire il calore del suo corpo.

Posso preoccuparmi io per te…

Fu come andare in apnea – il respiro trattenuto e il cuore che batteva a mille. Talmente forte che per un attimo ne ebbi paura. Paura di quello che significava, ma soprattutto della consapevolezza che, ormai, era troppo tardi per tornare indietro. Tutto ciò per cui quella storia aveva avuto inizio non mi sembrava avere più molto senso. Non in quel momento, stesa lì nel letto con lui. Respirai piano, il più piano che potei quasi per paura di rompere quella bolla in cui avevamo finito per ritrovarci. E, lentamente, posai le mie spalle contro il suo torace. L’ultima cosa che ricordo è il braccio di Bucky avvolgermi la vita. 






 


NdA:

Ed eccomi qui con il nuovo capitolo. Dovete perdonarmi se arriva con un giorno di ritardo, ma a quanto pare in questo periodo il mio tempo è davvero poco. Tra l'altro, credo di essermi giocata l'ultimo neurone che avevo perchè ho realizzato di aver perso completamente la cognizione dei giorni e mi sono ritrovata per magia a Giovedì. xD Perdonatemi, davvero. Spero, però, che questo capitolo riesca a riparare alla mia sbadataggine. Finalmente, si scopre qualcosina in più su Lenny e suo padre anche se diciamo che non è tutto qui, ma tempo al tempo. In ogni caso, spero di leggervi ancora così numerose e grazie mille per il vostro supporto e per la vostra presenza perchè, anche se non recensite, so che ci siete e credetemi per me questo è davvero tanto.

Un bacione e alla prosima,
-LadyBones.


   
 
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