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Autore: Luce_Della_Sera    26/06/2016    1 recensioni
(Sequel di “L’amore è sempre amore” e di “La vera essenza delle famiglie”)
Dal terzo capitolo: "L’amore per i figli è l’amore più grande: è infinito, così infinito che ti lascia senza fiato".
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 11: Legame

“E’ qui allora, no?”.
Sara si girò verso i due ragazzi, e fissò la figlia adottiva. Si trovavano davanti ad un palazzo verde scuro, di sette piani; lì, stando a quanto aveva detto la diciottenne, c’erano la sua migliore amica, e il fratello.
“Sì, è qua”.
“Bene. Siete pronti?”.
I due ragazzi si guardarono. “Certo!”, esclamarono in coro.
Mentre parcheggiava e spegneva il motore, Irene sperò che il suo ex non fosse troppo severo con il figlio e che non usasse parole troppo offensive verso di lui e verso tutti loro: non era sicura infatti che, in quel caso, si sarebbe trattenuta dal non dirgliene quattro. Frammenti di immagini del loro passato le si affollarono nella mente: loro due insieme, mano nella mano per strada; lei con il test di gravidanza in mano, e l’unico,  tremendo consiglio si lui in merito: “Abortisci”; la mail che gli aveva mandato alla nascita di Vittoria, l’averlo ritrovato sette anni dopo e la battaglia legale che aveva dovuto fare quando lui aveva cercato di portarle via la bambina… e quello che le aveva quasi fatto dopo: al solo ripensarci, le venne la nausea.
“Mamma? Stai bene?”.
La voce della figlia, che le aveva aperto lo sportello e la fissava con sguardo preoccupato, la riportò alla realtà, e così si accorse di essere l’unica rimasta in macchina. Gli altri erano scesi, e lei non se ne era nemmeno accorta!
Prese un bel respiro, e sorrise.
“Sì, tesoro, sto benissimo. Andiamo!”.
 
 

“E’ Vittoria. E’ arrivata”.
Priscilla, seduta sul divano accanto al suo ospite, staccò lo sguardo dal cellulare per posarlo su di lui.
“Ah”. Kevin era così su di giri, che quasi fu scontento di sapere che la sorella era arrivata, e con lei tutti gli altri. Non gli andava proprio di andarsene! Non ora che si era liberato del peso che portava dentro riguardo alla sua bugia, e soprattutto non dopo che, finalmente, aveva trovato anche il coraggio di dire, seppure in modo quasi frettoloso, anche il resto… pronunciare quelle due paroline era stato magico, anche se erano state la cosa più difficile che avesse mai detto: ma la gioia più grande era stato sentirsi dire da Priscilla che anche per lei valeva la stessa cosa.
“Ehi, che c’è? Hai paura?”
“Chi, io? Ma no, figurati”.
“E allora, vai: vedrai che tuo padre capirà”.
“Lo spero. E’ cocciuto come un mulo, ma non si può mai dire”.
“Sarà, ma voglio conoscerlo, ok? E anche tua madre, e l’altra tua sorella”.
“Ehi, non stiamo correndo un po’troppo?”.
“Forse, chissà. Prima che vai, credo che tu debba fare una cosa”.
“E cioè?”.
A Priscilla venne quasi da ridere vedendo la faccia sbigottita del ragazzo: era evidente che non avesse idea di cosa stesse parlando!
“Vieni qua, stupido”.
Lo attirò a sé e posò le labbra su quelle di lui.

 
 

Aveva scelto l’ascensore perché gli sembrava la via più veloce, ma la discesa gli sembrò fin troppo breve: era stato così occupato a pensare, che si era quasi dimenticato dove si trovava! Non riusciva a smettere di pensare a Priscilla: al suo corpo, alla sua voce, al modo in cui rideva… e al modo in cui lo aveva baciato, poco prima, all’inizio esitante e poi sempre più sicura; anche se era solo, sentiva ancora le labbra di lei sulle sue, e le loro lingue che si cercavano.
“E pensare che papà crede ancora che…” non riuscì a finire la frase: fuori del portone, c’erano quasi tutti, chi più vicino, chi più distante; e il più vicino a lui era, per ironia della sorte, proprio suo padre.
 

 
“Indietro, ragazzi, lasciamoli soli”.
Sara, bisbigliando, fece cenno ai due adolescenti di allontanarsi ancora un po’ di più, per dare a Kevin e ai genitori un po’ più di privacy; guardò la moglie per trasmetterle il medesimo messaggio, e tutti e quattro si spostarono; Vittoria però non poteva fare a meno di lanciare al fratellastro occhiate preoccupate e curiose insieme.
“Voglio chiamare Marco e Tommaso, vi va di parlare con loro? Così sentiamo anche come sta Gabriele…” Sara pensava che una proposta del genere avrebbe distratto i ragazzi, e non rimase delusa: purtroppo però sapeva anche altrettanto bene che una donna di quarantadue anni non si sarebbe fatta incantare tanto facilmente. Irene infatti, pur dimostrandosi entusiasta anche lei per la proposta, lanciava occhiate in direzione di Kevin più spesso di quanto aveva fatto sua figlia fino a poco prima, e sperava che il giovane non rimanesse troppo ferito da quello che il padre molto probabilmente gli avrebbe detto.
 
 

“Ciao mamma. Ciao papà. Dov’è Isabel?”.
“Kevin, mio Dio, stai bene? Non ti è successo niente, vero?”.
Jasmine aveva deliberatamente ignorato la domanda del figlio e si era lanciata su di lui, stringendolo in un abbraccio che lo imbarazzò non poco.
“Dai, mamma… sto benissimo!”. Cercò di divincolarsi, ma niente da fare.
“Perché sei venuto qui? Come mai hai saltato gli allenamenti? Ci hai fatto stare in pensiero, lo sai?”.
“Mi dispiace…ho sbagliato, ma non ne potevo più del calcio, mamma”. Fece una pausa poi continuò, rivolto verso Dario: “Non è lo sport per me. Non ci sono portato. E non mi piace! Punto e basta. O dal prossimo anno si cambia, o continuerai a spendere i soldi senza che io mi presenti agli allenamenti. A te la scelta”.
“Ah, sì? E quale sport ti piacerebbe fare, sentiamo? Ne hai uno, almeno?”.
“La pallavolo”.
Dario fece una smorfia. “E questa, da dove ti è uscita?”.
“Dalla scuola. Sai che lì ci giochiamo, no? Ecco, lì mi diverto. Anche quando la mia classe perde, non mi importa, perché mi piace giocare e perché comunque so di aver sempre dato il meglio di me stesso. Poi sai, ho provato anche a guardarlo alla televisione, e come sport mi emoziona molto di più del calcio, il calcio mi annoia. Dopo cinque minuti di partita di pallone mi annoio da morire, con la pallavolo invece questo non succede; potrei vedermi anche dieci partite di fila, e mi andrebbe benissimo! In pratica, hai presente tutto quello che provi tu nei weekend, per novanta minuti? Ecco, io provo la stessa cosa quando riesco a vedere un altro sport. Che c’è di male in questo?”.
Approfittando di una distrazione della madre, che nel sentirlo parlare in quel modo aveva allentato la presa, Kevin si liberò dall’abbraccio, e si preparò a dire la cosa più importante.
“Oltretutto, c’è un’altra cosa che dovete sapere. Lì, dentro quel palazzo”, disse, indicando l’edificio che aveva alle spalle, “c’è la mia ragazza. Sì, la mia ragazza”, ripeté, vedendo lo sguardo sbigottito dei genitori. “Io non sono né gay, né bisessuale: sono etero. Ho solo finto di essere gay. E sai perché, papà?” chiese, scegliendo di rivolgere la sua totale attenzione solo ad un suo genitore, “perché quello che mi hai detto all’ospedale mi ha fatto davvero arrabbiare. Sembrava come se ti aspettassi che io mi tramutassi in un ninja e mi mettessi a dar colpi ai miei aggressori a destra e a manca! Eravamo quattro contro uno! Che altro avrei dovuto fare? Non mi sono mica divertito ad avere la peggio, cosa ti credi? Ma era normale che succedesse! Visto che secondo te ero una femminuccia, allora ho pensato di confermare le tue peggiori paure. Volevo vedere… se tieni veramente a me, o se invece tieni soltanto a quello che vorresti che io fossi!”.
Kevin chiuse gli occhi: ormai aveva lanciato la bomba: ora doveva solo sperare che tutto andasse bene. Si sentiva più leggero: aveva fatto la sua parte, si era liberato del tutto del peso che lo opprimeva… aveva lanciato la palla, ma adesso stava a qualcun altro raccoglierla. Certo, non gli aveva detto che aveva messo su tutta quella messinscena anche per fargli cambiare idea su una certa categoria di persone, ma per quello ci sarebbero state altre occasioni; o almeno, se lo augurava!
 

 
“Kevin sta bene adesso, vero? E’ ancora vivo? Certo che è incredibile, tutto quello che è riuscito ad inventarsi! E Davide che l’ha aiutato facendosi passare per il suo fidanzato a scuola, e non ci ha detto niente… ma noi eravamo così impulsivi alla loro età? Non mi ricordo proprio. Che dici Sara, stiamo invecchiando?”.
“Marco, ma quanto sei tragico… neanche avessi settant’anni! I tempi cambiano, tutto qua. E se certe pazzie non si fanno da ragazzi, quando si fanno?”.
“Hai ragione. Almeno, noi possiamo stare sicuri che Gabriele non ci farà scherzetti del genere!”.
“Ma ce ne farà altri, probabilmente”.
“Ah, beh, se ha ripreso da sua madre questo è sicuro”.
“Ehi, cosa vorresti insinuare?”. Sara finse di essersi offesa per qualche secondo, poi tornò seria.
“A proposito, ma Gabriele è lì?”
“Non esattamente: è in cucina con Tommaso, stanno preparando la cena insieme”.
“Pensi che potresti passarmelo per pochi minuti? Ci sono anche Irene, Vittoria e Davide che vorrebbero sentirlo!”.
“Cavoli, è richiesto il ragazzo, eh? E ha solo dieci anni!”.
“Tutta invidia, ammettilo”.
“Ovvio. Aspetta che te lo passo…”.
Qualche secondo dopo, tramite il cellulare arrivò una voce infantile.
“Ciao mamma!”.
Sara sorrise mentre rispondeva, anche se sapeva che il figlio non poteva vederla: era incredibile come due parole semplici come quelle potessero rendere una donna tanto felice!
 
 
“Tuo figlio ti sta praticamente chiedendo se gli vuoi bene, a prescindere da quello che è. Diglielo una buona volta, ha il diritto di saperlo! Digli quello che senti, vedrai che capirà”
Lo sguardo che sua moglie gli aveva lanciato era fin troppo chiaro: ma se ne era reso comunque conto già da solo. Suo figlio non era ancora un uomo, ma lo sarebbe diventato prima che lui e Jasmine se ne accorgessero: ma per diventarlo, doveva acquisire delle certezze che ancora non aveva. E a quanto pareva, voleva che gliele desse lui...ripensò a come si era sentito fino a qualche momento prima, in macchina, non sapendo dove Kevin si fosse cacciato; quando poi erano scesi per andare nel locale dove lui si ritrovava di solito con i coetanei, pur vedendo tanta gente che mangiava non aveva sentito neanche un briciolo di fame, tanta era la paura che aveva. Lo aveva immaginato spaventato, ferito, aveva pensato che lo avessero aggredito di nuovo…più altre teorie una più spaventosa dell’altra; e nonostante non si fosse confidato apertamente, sapeva che la sua consorte aveva provato e pensato le sue stesse identiche cose. Rivide poi se stesso in ospedale, il figlio sdraiato sul letto, sotto quelle lenzuola bianche...e capì che non solo Kevin, ma neanche lui stesso aveva capito bene come si era sentito in quel momento!
“Kevin, quel giorno in ospedale non ce l’avevo con te. Ma con chi ti aveva fatto del male; l’agitazione può farti dire cose che non pensi davvero, lo sai”.
“Allora perché non te la sei presa direttamente con loro, invece che con me?”
“Se lo avessi fatto, non mi avresti capito: anche se non mi avessi detto nulla, sotto sotto ti avrebbe dato fastidio. O no?”.
Kevin ci pensò su. Il padre non aveva tutti i torti, effettivamente: se avesse preso le sue difese apertamente, l’avrebbe fatto sentire come quel pappamolla che immediatamente dopo l’aveva accusato di essere. Una difesa a spada tratta l’avrebbe tollerata di più da sua madre…anche se pure suo padre una parolina di conforto in più avrebbe dovuto dargliela, in ogni caso!
“Ti sta dicendo che era sconvolto, che aveva paura per te. Che altro vuoi di più?”, si rimproverò. “E poi ricordati che adesso viene il bello…”.
“Però non capisco perché hai dovuto fingere di essere gay. Se eri arrabbiato perché a tuo parere ti avevo fatto sentire quasi colpevole, potevi dirmelo invece di mettere su tutta quella commedia!”.
“La rabbia può farti dire cose che non pensi davvero, lo sai!”, ribatté il ragazzo, calcando appositamente su tutta la frase, “Però, dimmi una cosa… se io poco fa avessi detto: ‘lì dentro quel palazzo c’è il mio ragazzo’ che avresti fatto?”.
“Probabilmente ci sarei rimasto secco. Almeno per un po’. Però la sai una cosa? Sei stato via poche ore, ma sono state ore d’inferno: a me non importa chi ami, mi importa che stai bene!”.
“Oddio, questa sarebbe da riprendere. Peccato non avere un registratore… avrei potuto rubare il suo, lui ne ha uno e ne ha fatta di carriera quell’aggeggio! Ma forse certe cose è meglio raccontarle: Vittoria non ci crederà quando glielo dirò! E a proposito della mia sorellona…”.
“Il discorso vale anche per Vittoria, vero?”
“Certo che sì. Perché?”.
“Perché vedi, lei si è presa una cotta spaventosa per qualcuno che tu potresti non apprezzare…”
Tanto valeva dirglielo: sua sorella non se la sarebbe presa. Era sicuro che se suo padre era riuscito a dire quello che aveva detto, avrebbe retto benissimo venendo a sapere che la sua primogenita era innamorata del figlio di due uomini! E che oltretutto, udite udite, il ragazzo in questione pur crescendo in quel tipo di famiglia era etero….
“Questa giornata non se la scorderà più… ma credo che non me la dimenticherò neanche io. Perché ora finalmente so che ho un padre che mi vuole bene davvero!”.

  
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