Film > X-men (film)
Segui la storia  |       
Autore: Juliet Leben22    27/06/2016    6 recensioni
Erik deglutì e agì d’istinto. -Non credo che potrei mai intraprendere un simile percorso, professor Xavier.
Il sorriso si spense sul viso di Charles per poi spalancarsi in un’espressione sorpresa.
Rimasero a guardarsi per diverso tempo, quando uno dei suoi studenti pose una domanda all’insegnante.
-La lezione è finita. Segnatevi le domande per domani. Risponderò a tutto ciò che vorrete.
-Ma professore… mancano quaranta minuti!
-Fate come vi ho detto, ragazzi. Quest’uomo è un vecchio… amico. È stato lontano da questo posto per tanto tempo. Forse troppo- si morse il labbro, posando i suoi occhi cielo su di lui.
Iridi azzurre e iridi mare si fusero e Charles, come ipnotizzato, continuò a guardarlo proferendo solo poche parole. -Andiamo nel mio ufficio.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: Lemon, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Image and video hosting by TinyPic
Capitolo 2°”Different Smiles”
 
 
La prima cosa che il Signore dei Metalli guardò fu la giacca della sua vecchia amica sul divano. Cercò qualcosa nelle tasche che potesse fargli comprendere la motivazione della sua comparsa nella sua vita in un momento così.
Sfilò un foglio piegato su se stesso e lo aprì. Stava per richiuderlo, quando le parole lo colpirono una ad una. Il suo cuore cominciò a battere più forte del dovuto e il respiro cominciò a mancargli.
Si morse il labbro e le mani tremarono. Poteva davvero avere scritto lui quella lettera? Lo stesso uomo che aveva le pietre grezze di cielo al posto delle iridi?
-Non ti ha insegnato a non frugare nelle tasche delle persone la tua mamma?
La voce di Raven lo riportò alla realtà e la fissò stranito per qualche istante. Quella lettera, quella fotocopia, era ancora tra le sue mani. ogni parola sembrava accarezzarlo nel profondo.
-Chi ha scritto questa lettera?
-Se sapevo che bastassero delle parole scritte da Charles a mandarti in crisi, l’avrei fatto prima… lo ammetto.
Charles. Lo stesso uomo che aveva… abbandonato, come diceva lo scritto.
-Stai mentendo!
Scosse la testa e mosse anche i capelli biondi. -Affatto. Non riconosci la sua grafia? Ci sono momenti che avete passato solo voi. Come quello sull’aereo, quando gli hai fatto da scudo con il tuo corpo… oppure quando la pallottola ha deviato e… -
-Io ho deviato quella pallottola.
-Sono passati anni, Erik! Talmente tanti anni che lo stesso uomo a cui hai impedito di camminare ti ha perdonato!
-Ma io non ho perdonato me stesso, Raven! – esclamò, mentre con una mano si teneva al divano.
-Quelle parole… non ti toccano nemmeno un po’? Quella confessione che avrebbe dovuto bruciare… ora è giunta a te. Cosa farai? Rimarrai a prenderti in giro sul fatto che questa è la vita per te? Che lei è quella giusta? Oh, andiamo Erik! Non essere così cieco!
-Io amo Aleksandra.
-Oh certo- ridacchiò amaramente- ed è per questo che sei così sconvolto da quelle parole di Charles?
-Lui aveva Moira.
-Che ha lasciato.
-E come lo sai? Non l’ha lasciato lei?
Raven scosse la testa. -Me l’ha detto Hank. Loro non… Charles l’ha lasciata andare.
-… la sedia a rotelle. – concluse lui in maniera secca e sofferta- Prende ancora quel siero?
Sollevò le spalle. –Non lo so. Forse dovresti prendere un volo per New York e scoprirlo.
Erik sgranò gli occhi. -Raven tu non capisci… Ale e io stiamo costruendo una vita assieme.
-Se non provi nulla per lui, brucia quella lettera e non farlo soffrire. Ti chiedo solo questo.
Prese la sua giacca e la rimise. -Salutami Aleksandra o come si chiama.
Uscì dalla porta senza nemmeno aver bevuto il suo caffè che ancora fumava su quel tavolo tondo in legno.
Erik la inseguì prima che lei potesse andare troppo lontano. -Chiama un taxi.
-Lo farò. – rispose senza nemmeno voltarsi.
Rientrò in casa, mentre il buio ormai era calato. Salì stancamente le scale e si tolse i vestiti.
-Tesoro- ridacchiò Aleksandra nel vederlo – Mi aspetti già così?
Posò gli occhi sulla donna con cui voleva costruire una famiglia. Perché voleva ancora farlo?
La lettera era ancora nelle sue mani e bruciava, scottava, come se fosse una fiamma viva che continuava ad ardere e ingrandirsi. La posò dietro la cornice e si fece una doccia veloce.
Lasciò scorrere l’acqua calda sul suo corpo temprato da cicatrici e duro lavoro… dalla guerra.
Quante volte aveva pensato a Charles in quegli anni? Troppe.
E quante volte non era riuscito a scacciare il pensiero del calore di quel corpo anche quando faceva l’amore con la donna che amava? Non contabili.
Ricordava bene quando lo aveva stretto a sé dopo la pallottola. Il suo corpo era ancora caldo, malgrado la zona fredda della schiena.
Eppure, non avrebbe mai pensato di poter dire che… si sentiva in colpa. Che malgrado fosse colpa degli umani, era anche colpa sua. Non proporzionalmente, ma era un dato di fatto.
Aveva convissuto per anni seguendo la via di Charles e non se ne stava pentendo. Anche se, l’azione gli mancava e i giorni all’acciaieria si stavano susseguendo tutti troppo uguale agli altri.
Chiuse il rubinetto e sistemò il sapone nell’apposito contenitore. Aleksandra lo aspettava già le tra le pieghe di quel letto, nuda e meravigliosa come era sempre stata.
Ma perché stavolta il suo corpo non reagiva di conseguenza?
Lei vide immediatamente la linea marcata del dubbio, della preoccupazione… di qualcosa che non avrebbe dovuto esserci negli occhi dell’uomo che amava.
-Cosa ti ha detto Daniel?
Si sedette sul letto e la strinse a sé. -Tra di noi non ci sono mai stati segreti… a parte qualcuno che direi necessario per la vita che facevo prima.
-Ha scoperto dei tuoi poteri?
Erik scosse la testa. -Quell’uomo… non era Daniel. Era un mutante. Una mutante. Una cara amica che ha la facoltà di prendere qualsiasi aspetto.
-Cosa voleva? – si sollevò istantaneamente, non curante del fatto che il lenzuolo era rimasto ancorato alle sue gambe e il seno era esposto all’aria e allo sguardo del suo uomo.
Lui sospirò. In che modo avrebbe potuto partire?
-Anni fa, conobbi un uomo come me. Mi aiutò a controllare i miei poteri. Pian piano facevamo progressi. Altri erano con noi. Ci facevamo chiamare gli X-men. Sai, volevamo cambiare il mondo… aiutare gli umani con queste… nostre abilità.
Aleksandra sorrise. -Dev’essere stato un’ottima persona se ha ispirato così tanta bontà.
-Lo è. Lo è ancora.
-Ancora? Vuol dire che è ancora vivo?
Erik si sollevò dal letto e afferrò la cornice con la foto di lui e Charles. Gliela porse. Aleksandra lo guardò indispettita. -È lui? Mi avevi detto che era un tuo amico morto in guerra! -esclamò, quasi quella bugia fosse la più pesante di tutte.
Lui deglutì, continuando ad osservare la foto. Quel sorriso era così… reale e mai visto che la mente di lei cominciò a rimuginare sulle sue parole. I sospetti s’insinuarono in quelle che lei volle chiamare riflessioni.
-Non è morto. Abita negli Stati Uniti e non ho sue notizie da anni.
-Anni? Quanti?
-Per l’esattezza sei.
Lo sguardo della sua compagna ricadde nuovamente sull’immagine. Quel sorriso non l’aveva veduto mai in quegli anni. Certo, increspava le labbra in sua presenza, ma mai in quel modo.
Accarezzò la linea delle sue labbra e lo fissò. -Era importante davvero per te. Insomma, ti manca.
Erik non ebbe l’ardire di contraddirla, ma era più che una carenza. Non gli mancava Charles in quanto amico. Perché quella mancanza era una sofferenza, una presenza costante che negli anni gli aveva dato ben poca tregua.
-Cosa pensi di fare? – fermò il susseguirsi dei suoi pensieri.
Lui si morse il labbro e si maledì per le lacrime che cominciavano a bloccarsi sulle sue lunghe ciglia.
Istintivamente l’abbracciò. -Io ti amo, Aleksandra. Tu lo sai.
-Però vorresti essere altrove.
-No.
-Vorresti che lui fosse qui.
-Sì. – era un’ammissione velata, un qualcosa che aveva sepolto dentro di sé per anni.
-Quindi che farai? – domandò nuovamente.
-Resterò qui. Con te.
La vide sorridere e posare dolcemente le labbra sulle sue in un bacio passionale. Erano ancora nudi e lui non se ne era nemmeno accorto.
Rimase a baciarla per tutta la notte, sfiorandole la pelle esposta. Ma durante quella luna piena non entrò di lei come Aleksandra si aspettava.
Nessuno dei due riuscì a prendere sonno, per diversi giorni.
 
 
                                            ******
La sera precedente, per fare uno scherzo ad un suo rivale in “amore”, il ragazzo aveva deciso di assorbire la luce nella sua camera. Oltre alle urla del malcapitato, aveva cominciato a fare cose illecite -in una scuola- alla ragazza per la quale i due litigavano.
Charles aveva già parlato con la ragazza, che gli aveva promesso che non sarebbe più successo nulla del genere, ma mancava Gabriel. Gli avrebbe parlato domattina.
Quella notte, una di una lunga serie, una lacrima era sfuggita al suo controllo. Si era persino rimproverato perché avrebbe davvero dovuto essere felice e invece… non ci riusciva. Erano rari i momenti in cui poteva ancora dirsi davvero soddisfatto della propria vita. Erano quei momenti in cui i suoi studenti dimostravano di aver cominciato a trovare e intraprendere la propria strada. Era davvero una bella sensazione.
Ma non quella notte.
Aveva scritto altre tre lettere nel corso dell’anno, ma le aveva stracciate tutte con rabbia, prima di andare a dormire. Dopo che aveva perso quella di agosto, non si era più permesso di tenerne nessuna.
Le due cornici erano ancora al loro posto, anche se i rispettivi protagonisti delle foto non si erano più fatti vivi.
Hank aveva sofferto per Raven, in maniera molto simile a come lui aveva sofferto per Erik, ma nessuno dei due aveva avuto il coraggio di proferire parola. Charles Xavier si era chiuso in un silenzio intangibile e incontrollabile, difficile da sopportare. Ma Hank non aveva detto nulla e aveva accettato ogni singola cosa. Ogni singolo muro, ogni singolo silenzio.
Ma come avrebbe mai potuto accettare i suoi sentimenti per… Erik Lenhsherr? Mai. Nemmeno lui li aveva ancora accettati.
Un rumore nella stanza affianco lo risvegliò da quei profondi pensieri. Non gli restava che infilarsi nelle coperte e cercare di spegnere il cervello.
 
 
Il professor Xavier si trovava nel suo ufficio e stava parlando con Gabriel Summer, un alunno della sua scuola che aveva la capacità di assorbire qualunque forma di energia.
Lo studente se ne stava seduto di fronte a lui a braccia conserte, orgoglioso, con il petto in fuori, dal capo dei suoi sedici anni.
-Gabriel… devi imparare a controllare i tuoi poteri, non puoi giocarci in questi modi. Sarebbe potuta finire male questa storia.
-Oh, andiamo, professore! Non ci credo che lei non ha mai usato i suoi poteri per scoprire cosa pensassero gli altri di lei! Per esempio… mettiamo che gli piacesse qualcuno… io sono sicuro che gli avrebbe letto nella mente!
Charles sospirò. -Gabriel, sei nell’età per capire che non posso lasciartela passare liscia.
-E cosa ha intenzione di fare? Punirmi?
Il professore ridacchiò. -Certo che no, ma sono sicuro che al professor Hank serve un valido assistente per sistemare tutte le provette e tutte le ampolle nell’ordine giusto.
Il ragazzo sgranò gli occhi. -Che?! No! Mi dica che scherza… -
-Vedo che approvi questa mia decisione. Bene, mi fa piacere. Ora va a scontare la tua punizione, forza!
-Ma per quanto tempo?
-Per il tempo che occorrerà – gli sorrise.
Gabriel sbuffò e si alzò arrogantemente, uscendo dalla porta di legno.
Charles Xavier si spostò con la sua sedia a rotelle fuori dalla stanza, pronto ad intraprendere una nuova giornata di lezione.
I più piccoli lo aspettavano, impazienti di cominciare ad imparare. Ma non appena avrebbe iniziato a dargli dei compiti, quell’entusiasmo sarebbe sciamato. Era sempre così.
Adorava il fatto che quei piccini rimanessero ad ascoltarlo e amava pensare, sperare, che un giorno avrebbero davvero cambiato il mondo e sarebbero stati seriamente accettati dagli umani.
Ma pochi passi per volta. Prima di tutto dovevano imparare a gestire il loro potere e controllare le loro abilità.  Avrebbero creato da soli il loro cammino.
Anche se, non poteva mentire a sé stesso: mancava qualcosa. O meglio, qualcuno. Tutti i progetti che avevano scelto e deciso… erano cambiate tante cose nonostante dovette riconoscere che avevano costruito tanto. C’erano tante cose da fare ancora, ma mentre Charles spingeva la porta dell’aula per entrare, era sicuro di volerle fare tutte.
-Buongiorno! – esclamarono i piccoli studenti, facendo sorridere il professore.
-Buongiorno a tutti! Io sono il professor Xavier come molti di voi sanno. Per quelli nuovi, benvenuti! Sono davvero felice che siate arrivati qui. Sappiate che qui non sono ammessi atti di bullismo, razzismo o altre brutte parole. Qui si vive in pace e non è accettata la violenza! – disse serio.
I ragazzini stavano attenti ad ascoltarlo, senza perdersi una parola, mentre il silenzio faceva da padrone.
 
 

 
                                            ******
 
La targhetta fuori dalla scuola, accanto al cancello, era ancora la medesima.
Si sistemò la sacca sulle spalle che conteneva due cambi di vestiti necessari per il viaggio. Non sapeva quanto ci aveva messo a giungere lì, ricordava solo di non aver chiuso occhio per tutto quel tempo. Lo stomaco era ancora stretto in una morsa e i pensieri frusciavano come non mai nella sua mente.
Era stata Aleksandra a fargli la valigia. Aveva aspettato per settimane che la situazione cambiasse, che lui facesse qualcosa. Ma, sebbene lui lo desiderasse, non ci era riuscito. Era stata davvero una sofferenza vedere le lacrime scorrerle sul viso mentre gli augurava ogni bene. Anche quando gli aveva urlato in faccia che non l’amava veramente e forse non l’aveva mai fatto a causa di quell’uomo che ancora albergava nella sua mente e nel cuore. Lei aveva la certezza che Charles era l’unico uomo per Erik, non ce ne sarebbero stati altri. Come d’altronde, nella sua vita, aveva avuto solo donne.
Entrò nel castello, indossando il solito caschetto protettivo e percorse la stradina di pietra fino al portone.
Si guardò attorno e vide diversi ragazzi fare lezione contro gli alberi, in postazioni ben sistemate e costruite appositamente.
“Charles ha voluto facilitargli il lavoro”, aveva pensato, increspando l’angolo destro delle labbra.
Il vento frusciava, muovendo anche i fili d’erba e le chiome degli alberi, facendogli assaporare quell’aria pulita, conosciuta… di casa.
Aprì anche il portone e venne quasi investito da alcuni studenti con diversi libri o raccoglitori per le mani. Il brusio era solito di una scuola con molti componenti e così era. Charles ci era davvero riuscito.
Fermò uno dei ragazzini che lo stavano fiancheggiando o superando, prendendolo per un braccio.
-Scusami, sai dov’è Charles Xavier?
-Xavier? Intende il professor Xavier? Sta facendo lezione nell’aula di storia.
Erik roteò gli occhi al cielo. -E dove sarebbe l’aula di storia?
-Ah, ma sei nuovo! Ti ci accompagno! Sei leggermente vecchio per il target di questa scuola, ma… secondo me, il professore ti accetterà!
“Se non chiuse la bocca lo strozzo con la collanina di metallo con metà cuore”, rifletté.
Percorsero diversi corridoi, giungendo infine alla stanza designata. Era l’ultima in fondo al corridoio ed era chiusa. All’interno si udiva una voce. La sua voce che spiegava delle guerre mondiali, delle guerre tra l’umanità e qualcuno che voleva eliminarla.
-Gli ebrei sono stati vittime di antisemitismo… lo stesso si può dire dei mutanti. Anche loro sono state delle vittime nei campi di concentramento. La razza umana ci temeva e noi gli abbiamo dimostrato che siamo alleati, non nemici.
La sua voce, il tono della sua voce… era qualcosa di estremamente perfetto che gli era mancato negli anni.
Lo studente bussò alla porta prima che Erik potesse fermarlo.
-Professore? Professor Xavier? Scusi se interrompo la lezione… ma è arrivato un… signore che vorrebbe entrare nella scuola.
-Fallo entrare, Matt*.
Erik deglutì e agì d’istinto. -Non credo che potrei mai intraprendere un simile percorso, professor Xavier.
Il sorriso si spense sul viso di Charles per poi spalancarsi in un’espressione sorpresa.
Rimasero a guardarsi per diverso tempo, quando uno dei suoi studenti pose una domanda all’insegnante.
-La lezione è finita. Segnatevi le domande per domani. Risponderò a tutto ciò che vorrete.
-Ma professore… mancano quaranta minuti!
-Fate come vi ho detto, ragazzi. Quest’uomo è un vecchio… amico. È stato lontano da questo posto per tanto tempo. Forse troppo- si morse il labbro, posando i suoi occhi cielo su di lui.
Iridi azzurre e iridi mare si fusero e Charles, come ipnotizzato, continuò a guardarlo proferendo solo poche parole. -Andiamo nel mio ufficio.
Erik lo seguì senza dire nulla e salirono assieme in ascensore.
Avrebbe voluto parlargli della lettera, dirgli tante cose.
-Quell’elmetto è perché non ti fidi di me?
Scosse la testa e se lo sfilò. -No, preferivo solo che non guardassi nella mia mente prima che… insomma… prima di aver parlato.
-Mi fa piacere vederti.
-Anche a me, Charles.
-Dov’eri finito?
Sorrise. -Ogni cosa a suo tempo. Eh sì che ero io quello impaziente, una volta.
Charles sorrise e spingendo la sua sedia a rotelle entrò nella stanza.
Erik si bloccò, posando lo sguardo su quelle ruote grandi e quella sedia troppo bassa. Era colpa sua se si trovava in quella condizione. Abbassò lo sguardo, colto da qualcosa che non pensava fosse così forte.
-Erik… entra con me.
La sua voce era un caldo invito che gli fece fare qualche passo tremolante.
-Non ti reputo colpevole, Erik.
-Non devi leggermi nella mente.
-Allora entra e parlami.
Obbedì, come se al posto del parquet ci fosse della lava e si mosse velocemente. Chiuse la porta dietro di sé.
Si sedettero l’uno di fronte all’altro.
-Per rispondere alla domanda che mi hai fatto prima… ho vissuto in Polonia.
-Da solo?
Scosse la testa. -Con una donna… Aleksandra.
Era evidente come solo il nome avesse colpito il professore nel profondo. -Ah. Immagino ti stia aspettando.
-No, mi ha lasciato.
-Che hai combinato? – domandò, cercando di essere sarcastico.
Erik sospirò. -Ha avuto il coraggio di fare quello che io non avevo.
-E sarebbe?
-Lasciarmi essere felice.
-Deve essere una grande donna.
Ridacchiò. -Sai, dice lo stesso di te.
-Che sono una grande donna?
Inclinò la testa. -Che sei una grande persona. Le ho parlato di te. Ma non montarti la testa, eh.
Charles chinò il capo ridacchiando ancora. -Cosa ti porta qui?
Erik sfilò delicatamente dalla tasca quella lettera che aveva conservato per tutto quel tempo vicino al cuore e gliela porse.
Il sorriso del telepate svanì. -D-dove l’hai trovata?
-Diciamo che è una storia lunga ma… l’ho letta mille volte e non riesco a trovare qualcosa che mi faccia pensare di aver capito male.
Gli occhi cielo si spensero e, colto con le spalle al muro, sospirò. -Sei qui per questa?
-Sono qui perché ho bisogno di sapere di non aver travisato quelle parole, Charles.
-Non l’hai fatto. -lo guardò negli occhi.
Fu allora che Erik posò le sue labbra su quelle di Charles, udendo quelle parole.
Il telepate schiuse la bocca, pronto a conoscere la sua lingua proprio come voleva l’altro. L’uomo dalla barba ispida si staccò solo per far cadere i quaderni e i raccoglitori dal tavolo, pronto a scavalcare quella scrivania che li divideva. Charles tentò di sollevarsi, senza riuscirci.
Erik lo alzò di peso, permettendogli di aggrapparsi a lui e continuare a baciarlo.
-Potrei prenderti qui su questa scrivania se non mi fermassi.
-Non avrei nulla in contrario.
-Io invece sì.
Charles lo fissò stranito.
-Dov’è la tua stanza?
-In fondo al corridoio. Ma non possiamo uscire così. Ci saranno gli studenti in giro.
Sollevò il sopracciglio, continuando a baciarlo avidamente.
-Rimettimi sulla mia sedia, daremo meno nell’occhio.
-Non ho intenzione di lasciare le tue labbra.
Lui rise e ad Erik sembrò di aver perso davvero troppo in quegli anni. Perché quella risata gli era mancata più di quanto non avrebbe mai ammesso.
-Credevo che quella lettera ti avrebbe allontanato, sai?
-Non avresti dovuto pensarlo.
Strabuzzò gli occhi, come se fosse evidente che c’erano tutte le probabilità di farlo. -Diciamo che prima Raven, poi… chissà quante. E ora questa Aleksandra.
Increspò le labbra malizioso. -Se non ti conoscessi da così tanto, non potrei dirti che sei geloso.
-E anche se lo fossi?
-Potrei dire lo stesso di te e Moira.
-Che ho lasciato perché non l’amavo. O almeno sì ma non quanto… credevo.
-L’ho sempre odiata.
-Perché?
-Perché sapevo che ti piaceva e poi era umana…-
-Oh, perché Aleksandra non lo era?!
-Stiamo litigando davvero per delle ex fidanzate?! Non credevo che l’avremmo mai fatto. Non ti facevo il tipo da gelosia e cose così, sai?
Charles sbuffò. -Potresti cortesemente mettermi giù, Erik?
-Ho intenzione di portarti fino al letto così, Charles Xavier. E nessuno potrà impedirmelo. Nemmeno i tuoi studentelli giovani e casti.
-Io dovrei dare il buon esempio.
-Certo, comincia a dare il buon esempio come sto immaginando.
Gli fece segno di leggergli nella mente e la prima immagine che vide fu Erik mentre gli toccava il corpo ormai senza veli sul vecchio letto in cui avevano dormito assieme in una notte di tanti anni fa. Si erano addormentati dopo una lunga chiacchierata e nessuno dei due aveva voluto lasciare quella stanza. Non conoscevano la motivazione, a causa del pregiudizio e dell’immaturità. Ma ora lo sapevano.
D’istinto, le guance gli si colorarono lievemente di rosso.
-Non avrei mai pensato di farti arrossire. Non ti facevo così puro e casto- disse sarcastico.
Charles sorrise malizioso, desideroso di dimostrargli che si sbagliava.
Erik accolse senza nemmeno esserne cosciente l’immagine del telepate e spalancò gli occhi: l’immagine che gli aveva mostrato era molto meno casta rispetto a quella che aveva immaginato lui.
-Puro e casto mi descrivono perfettamente, dopo questa – disse ironico Charles, ancora con le gote arrossate.
-Non sei credibile mentre arrossisci, sai? Ma ci sarà tempo anche per quello.
Se lo sistemò tra le braccia e, nonostante i tentativi del professore di essere posato sulla sua sedia, spalancò la porta.
-Dormi sempre nella solita stanza?
Charles non rispose e annuì solamente.
Per fortuna nel corridoio non c’erano studenti o ritardatari dell’ultimo minuto a lezione e in pochi attimi furono nella sua stanza.
Era cambiata di pochissimo rispetto a quello che ricordava. Solamente la disposizione degli oggetti e il letto, che ormai era di ferro battuto.
Due foto, due cornici si trovavano su quel tavolo. Lui e Raven.
Erik sorrise. Non l’avrebbe mai ammesso, ma avevano la stessa identica foto nella cornice. Loro che ridevano durante i primi allenamenti. Lo appoggiò sul letto e Charles lo attirò a sé per la nuca, baciandolo passionalmente. Avevano sprecato troppo tempo e dovevano recuperare ogni istante. Ci sarebbe stato tempo per le parole, i discorsi e le litigate, in quel momento c’era solo spazio per i sentimenti, la passione e la necessità.
L’uomo dagli occhi cielo stava togliendo la maglia a Erik che gli stava mordendo il collo e toccando la pelle del fianco ormai scoperto. Si abbassò ancora per prendere possesso delle sue labbra, mentre con una mano andava a sondare la situazione sotto la cintura. Lo desiderava. Era presente e rigido, proprio come lo aveva immaginato nei suoi sogni più lussuriosi. Gli slacciò la cintura e Charles lo fissò impaziente. Il telepate cominciò ad accarezzare la sua zona più sensibile da sopra i pantaloni, facendolo ansimare.
-Fermami ora, Charles, o non riprenderò il controllo di me stesso.
-Il controllo non so più cos’è da quando mi hai bacio la prima volta, Erik- ribatté, gettando indietro la testa non appena il partner prese il suo membro con entrambe le mani.
Stavano entrambi per liberarsi di ogni vestito, quando bussarono alla porta. Entrambi si guardarono e Erik scoppiò a ridere.
-Vedi tu, aspettiamo anni e i tuoi studenti vengono anche ad interromperci. Io non vado.
-Erik, vai.
-Non ci pensare nemmeno. Io non sono qui giusto? Quindi se non rispondiamo non siamo qui.
-Ma noi siamo qui. Inoltre ho delle responsabilità. Magari è successo qualcosa – disse alzandosi a fatica.
Non appena vide la smorfia sul suo volto, il signore dei metalli lo aiutò ad alzarsi.
-Ho bisogno della mia sedia- mormorò a mezza voce e Erik annuì.
Si sistemò e schiuse l’entrata.
Hank si trovava di fronte a lui e lo guardava più che stranito.
-E-Erik?!
-Ciao Bestia. Non sei blu- constatò.
-Ho imparato a gestire la mutazione. Ma cosa… dov’è il professore?!
-Fai troppe domande e poche sensate, come sempre-sbuffò- comunque il professor Xavier è qui. Vado a prendere la sua sedia-
-Perché non è sulla sedia? Che gli hai fatto?
Da dietro la porta, udì la voce del professore calma e tranquilla. -Hank va tutto bene. Sono qui.
-Qui dove?
Erik sollevò il sopracciglio, incredulo. -Ora, non ti aspetterai che risponda a questa domanda.
Spalancò con impeto la porta e vide Charles steso sul letto, che si era rivestito appena in tempo.
-Bene. Ora che hai controllato che sta bene, potresti spostarti?!
-Dov’è la sedia, Charles? – domandò ignorando Magneto.
-Hank non preoccuparti, ci pensa Erik. Di cosa avevi bisogno?
-Uno dei piccoli ha avuto qualche problema e la situazione sta degenerando anche emotivamente. Potresti venire?
-Certamente. Il tempo di prendere la sedia.
Erik la richiamò a sé velocemente, stando attendo a non beccare nessuno degli studenti in quel corridoio. Il cambio delle lezioni era decisamente affollato. Le ragazze erano vicine le une alle altre, mentre confabulavano su qualche teoria sui mutanti oppure di sedute di bellezza; dall’altro c’erano i ragazzi che trovavano ogni scusa per avvicinare le fanciulle.
Erik, nel vedere la scena, rise. Portò immediatamente la sedia vicino al letto e aiutò l’uomo dalle iridi cielo a salirci sopra.
-Hank ho finito le dosi. Potresti portarmene ancora qualcuna?
-Oh. Ci hai messo molto a finirle stavolta. Mi fa piacere. Certamente. Entro stasera te le porto!
-Dosi? Quali dosi? -domandò Erik, accanto a Charles. Il suo sguardo vagava dall’insegnante allo scienziato.
-Se tu fossi stato qui in questi anni, sapresti che Charles assume degli antidolorifici necessari per sopportare il dolore alla colonna vertebrale.
Il professore cercò di fermare il suo migliore amico dal continuare quella conversazione, ma il mutante proprio non accennava a fermarsi.
-A causa di quella tua pallottola, sai.
Erik continuava a rimanere in silenzio. -Charles, io… -
-Erik non devi dire nulla. Ti ho perdonato, sto bene. Sono solo dolori che a volte sbucano e devo controllare. Insomma, per quella sera non ho i miei poteri al massimo, ma poco importa. Ho fiducia nei miei studenti e se per una sera voglio farmi un riposo ristoratore… insomma, non mi sentirò in colpa.
Hank stava per ribattere, ma stavolta il telepate riuscì a fermarlo. -Basta così. Ora accompagnami dallo studente. Erik questa è casa tua. Sistemati dove vuoi e in che stanza preferisci.
Il signore dei metalli sorrise malizioso. -Direi che allora resto qui- disse spavaldo.
 
 
                     *****
Hank non sapeva davvero cosa pensare. Aveva fatto di tutto per rendere felice Charles, il suo più caro amico, ma ora… si accorgeva che non riusciva a fidarsi di Magneto. Li aveva sempre abbandonati nel momento in cui avevano bisogno e ora, vederlo così vicino a Charles che sembrava rinato, rinvigorito dalla sua presenza… temeva per lui.  Forse aveva sbagliato, forse non avrebbe dovuto mandare la lettera a Raven. Guardò il professor X andare nel laboratorio e lui rientrò nella stanza, pronto a parlare con Erik che se ne stava davanti al camino, seduto sulla poltrona a sistemare le sue cose nella sacca.
-Ti stai già mettendo comodo?
Il signore dei metalli si voltò, in maniera calma e ponderata. -Prima mi mandi la lettera e poi vuoi che me ne vada? Mi sa che in una delle tue trasformazioni da bestia hai battuto la testa.
Quasi Hank ringhiò, ma seppe controllarsi a quella provocazione. -Era giusto che tu lo sapessi. Per quello l’ho inviata a Raven… è stata una sua scelta fidarsi di te.
-Oh e ti liberi di ogni responsabilità così?
Hank sorrise sprezzante. -Mi dispiace dirtelo, Erik. Ma Charles non sta così per colpa mia.
Si era reso conto dopo di averlo detto davvero e mentre guardava quell’uomo perdere le fila di se stesso, vide in quello spiraglio di arroganza e sarcasmo un’incrinatura, un senso di colpa… dei sentimenti.
-Senti, hai intenzione di restare?
-Sì.
-Per quanto tempo?
Non lo sapeva, glielo leggeva in quelle iridi color mare in tempesta.
-Almeno non hai una data per tornare a casa.
-Questa è la mia casa.
-Oh, davvero? Non ci credo, Erik. Dopo tutto quello che hai fatto. Sedici anni in tutto, da quel giorno in cui eravamo davvero contro il mondo… contro Trask.
Sedici anni che pesavano come macigni sul cuore di Charles. Ma ora poteva vederlo chiaramente, anche sul cuore di Erik.
-Io non sono nessuno per dire al mio migliore amico chi amare.
-Ma lo vorresti.
-Sì. E gli direi che non sei tu quello da amare.
Erik sbuffò. -Sei ancora innamorato di Raven, non è vero? Te lo leggo negli occhi il rancore che hai.
-Non è solo questo, io-
Allargò le braccia teatralmente. -Oh, Hank andiamo! Credi davvero che se non provassi qualcosa per lui sarei qui?! Credi davvero che avrei lasciato tutto quello che avevo costruito e stavo costruendo? Ti facevo più intelligente, davvero. Inoltre, se ami davvero Raven, vai e diglielo! Sii coraggioso! Visto che l’hai persa una volta, io farei di tutto per riaverla ancora.
Il ringhiò echeggiò in tutta la stanza e forse anche in tutta la scuola. Erik dovette abbassarsi perché Hank aveva già caricato un pugno nella sua direzione, che prontamente schivò.
-Calmati, Hank. Non sono tuo nemico!
Ma lui non lo ascoltava e ringhiò ancora.
Non si doveva permettere di parlare di Charles, figuriamoci di Raven. Quella ferita era troppo aperta e per tutti quegli anni non aveva mai smesso di sanguinare.
In silenzio, non riusciva nemmeno a guardare un’altra donna senza pensare di tradirla.
Era un pensiero folle. Soprattutto perché magari, in quei rari momenti in cui si abbandonava al dolore, lei si trovava tra le lenzuola con la persona che si trovava davanti e quella parte di lui, quella bestiale, lo odiava per questo.
 

                     *****
-Hank! – esclamò Charles entrando nella stanza assieme ad uno dei suoi studenti -Gabriel blocca Hank!
Lo studente obbedì prontamente, afferrando Bestia per le spalle.
Erik si trovava ancora di fronte a lui, ma non l’aveva mai colpito, neppure una volta. Si era limitato a scansare i colpi senza dire nulla.
Charles si frappose tra loro e entrò nella mente del suo migliore amico, calmandolo.
Non si era trasformato completamente, ma stava per accadere.  Si voltò verso Erik.
-Stai bene? Che è successo?
Si scrocchiò il collo. -Ci siamo scambiati dei punti di vista molto chiari.
Charles sospirò, guardandolo dal basso della sua sedia a rotelle.
-Lascialo, Gabriel, grazie. Hank, abbiamo risolto tutto con quello studente. Non preoccuparti. Vai in stanza a riposarti.
-Sì, Charles, grazie e scusami per la poltrona.
-Che poi è mia- mormorò ironico Erik -Mi ci sono sempre seduto io da quella parte.
Il professore lanciò un’occhiataccia a Erik, cercando di sedare la situazione.
-Forte! Io sono Gabriel- disse lo studente, tendendo la mano al signore dei metalli che, sebbene non ne fosse entusiasta, la strinse.
-Sono Erik.
-Sei uno studente? Sei un po’ attempato!
-Ancora con questa storia? – domandò facendo ridere Charles – Sono un amico del professore, non uno stupido alunno.
Gabriel sollevò le spalle. -Poco male, mi stai simpatico. Magari diventi professore anche tu e la smettiamo di porci dei limiti alle nostre abilità.
Charles sospirò. -Gabriel ti ho spiegato che non sono limiti, semplicemente non puoi far del male alle persone. Devi imparare a gestirti prima che…-
-Si, si, si. Le solite cose insomma. Vado a mangiare.
Hank lo seguì, lasciandoli da soli.
-Simpatico il ragazzino – mormorò sarcasticamente Erik.
Charles scosse la testa. -Lui è più forte degli altri e fatica a controllarsi. È un ragazzo arrogante e spaccone… mi ricorda decisamente qualcuno, sai?
Erik sollevò il sopracciglio. -Ah sì? -disse chinandosi e appoggiando le braccia sui braccioli della sedia. -Ma dimmi, adesso che facciamo da qui?
Charles deglutì e annullò la distanza tra le loro bocche.
-Adesso vado a fare lezione e stai qui buono e non fai danni.
-Come sarebbe a dire che non faccio danni? – domandò risentito.
Charles ridacchiò. -Credi che nella mente di Hank non abbia udito le tue parole? Raven per lui è un argomento davvero difficile da gestire. Non dico sia un argomento intoccabile ma… ci sono giorni in cui non esce dalla sua stanza. – era serio, stavolta non c’era alcun sorriso a solcargli quelle guance lisce.
-Capisco. Ma lei è libera. Lo è sempre stata. Ci siamo lasciati tantissimi anni fa.
Il professore annuì. -Motivazione? L’hai fatta soffrire? -domandò, protettivamente, come fosse un fratello maggiore davvero.
-Sì, lei stava bene quando ci siamo separati. Era bella, forte e fiera. Come è sempre stata, d’altronde.
-Non mi stai dicendo il perché, però.
Erik prese la sedia e si sedette di fronte a lui. -Non l’amavo. Non quanto credevo.
-Capisco.
Erik annuì e sorrise. -Ora andiamo a fare lezione, professore.
-Andiamo?
-Bè, credi che mi sarei perso questo spettacolo?
Charles ridacchiò e, con un pochino di ansia, andò all’aula prestabilita. Una nuova lezione di letteratura inglese cominciava.
 

                                                          *****
 

-Devo dirtelo, Charles, oggi eri davvero attraente mentre spiegavi a quelle adolescenti.
-Hai davvero guardato le adolescenti?! – domandò incredulo.
-Alcune ti mangiavano con gli occhi.
-Certo, come no, Erik. Non ho quasi vent’anni in più di loro.
-Ma noi invecchiamo più lentamente, lo sai.
-Questo però non cambia che sia davvero troppo grande per loro.
-Oh, se hanno compiuto diciotto anni… tutto è lecito.
-Tutto è lecito? Ah, se ti interessa saperlo, la ragazza che continuava ad alzare la mano per rispondere, continuava a guardarti.
Erik scoppiò a ridere, vedendo come Charles si stesse innervosendo. Erano seduti l’uno di fronte all’altro per giocare ad una delle loro solite partite a scacchi. Continuavano a chiacchierare, non prestando attenzione alle pedine.
-Charles- disse osservandolo in maniera maliziosa -Stavo scherzando.
-Io no. Davvero quella ragazza andrebbe a letto con te.
Buttò a terra la scacchiera con un gesto della mano e si alzò di scatto per sollevare di peso l’uomo seduto di fronte a lui. Era così fragile il suo corpo tra le sue braccia.
Una smorfia di dolore colpì in pieno viso Charles.
-Ti ho fatto male?
Scosse la testa. – Soliti dolori. Hank non ha ancora portato le fiale. Non preoccuparti.
Lo portò delicatamente a letto, facendolo accomodare.
-Non credevo che fossi così.
-Così come?
-Non credevo ti saresti mai preso cura di me. Pensavo che quando avresti visto…-
Erik sgranò gli occhi. -Pensavi che a causa della sedia io..? Charles, no. È a causa mia se tu sei seduto su quella sedia e io non me lo perdonerò mai. Avevo deviato la pallottola per proteggere tutti noi, per non… permettere che ci facessero del male. Invece quando ti ho visto a terra, io… ti prego, leggimi nel pensiero.
Charles sgranò gli occhi e si sistemò meglio sul letto, appoggiando la testa sul cuscino bianco e si concentrò.
Da come lo stava guardando, l’uomo dalle iridi color mare sapeva benissimo che stava per commuoversi. Poteva vederlo dagli occhi lucidi e da una piccola goccia che era sfuggita al suo controllo.
-All’inizio- disse prendendo un respiro profondo- Ti ho detestato, Erik. Ma mi sono accorto che non potevo nemmeno dire di averlo fatto davvero. Volevo odiarti e più cercavo di farlo e più sentivo che non era vero.
Erik rimase in silenzio, seduto a pochi centimetri da lui. Gli posò un bacio a fior di labbra. -Non credevo che mi avresti mai perdonato.
-Io l’ho già fatto, ora non resta che perdonarti.
-Avresti potuto fare moltissime cose se io…-
Gli posò due dita sulle labbra morbide che Erik prontamente baciò, cogliendolo alla sprovvista. Qualcuno bussò poco prima che potessero davvero scambiarsi un bacio.
-Ma i tuoi studenti che problemi hanno?!
Charles scoppiò a ridere. -Vieni avanti, Hank.
L’uomo che fino a poco tempo prima lo aveva attaccato, ora era perfettamente nel controllo di sé stesso. Sorrise non appena vide Charles. -Non mi sono dimenticato. Eccole- disse posandole sul tavolo -Mi raccomando, continua a diminuire pian piano la dose. Così agirà davvero solamente come antidolorifico.
-Grazie, amico – gli sorrise di rimando il professore, facendo segno a Erik se per favore poteva portargli l’astuccio con siringa e fiale.
Erik non se lo fece ripetere due volte e obbedì.
-Posso fare qualcosa?
Charles scosse la testa. Aspirò con le sue esili dita e la siringa il contenuto di metà fiala, controllò che non vi fosse aria all’interno e se lo iniettò in una vena del braccio.  
Aspettarono qualche istante, in silenzio, che facesse effetto il siero.
Poi Charles sorrise dolcemente e Erik non riuscì più a controllarsi. Spostò il contenuto medico di quell’astuccio delicatamente e si stese sopra di lui. Lo baciò intensamente, tanto che il suo corpo reagì immediatamente. Charles lo stringeva a sé, affondando le dita tra i suoi capelli, trattenendolo a sé per la nuca e i fianchi. Strusciandosi il poco che poteva su quel corpo che tanto amava e desiderava.
-Ehi-
-Sì? – domandò Charles.
-Se ti strusci ancora una volta non rispondo delle mie azioni.
Charles ridacchiò, leccandosi il labbro, invitandolo ad assaggiarlo ancora una volta mentre gli sfilava la camicia. Si strusciò ancora, provocandolo e fu allora che Erik si concentrò sulla sua cintura e la lampo dei suoi pantaloni neri. Glieli sfilò con velocità e maestria, lasciandolo solamente in boxer.
Il telepate aveva il respiro accelerato e roco, carico di desidero, soprattutto quando l’uomo dalle iridi mare si chinò per assaggiarlo. Diversi gemiti di piacere lasciarono la sua bocca e Erik seppe che quello che stava facendo era giusto. Non l’avrebbe mai detto, ma era la prima volta con un uomo.
Abbandonò il suo membro solo per riprendere il possesso delle sue labbra e gli fece segno di leggergli ancora il pensiero.
“Sei il primo uomo. L’unico che abbia mai desiderato”.
Charles sapeva cosa significava, perché era la stessa cosa che provava lui. Mentre gli mordeva il collo e gli leccava qualche lembo di pelle, Erik gli sollevò le gambe e lo preparò dolcemente con un dito. Ci mise un po’ ma poi sostituì quel dito con il suo membro. Scivolò dentro di lui lentamente, nonostante fosse un’agonia non poterlo sentire completamente. Charles si morse il labbro, trattenendo il dolore. Pian piano si abituò e Erik cominciò a muoversi. Un’esplosione di piacere si mosse in entrambi i corpi e l’uomo dalle iridi mare prese con una mano il membro del partner, aiutandolo a superare l’ostacolo e ad aumentare il piacere.
Charles chiedeva di più, Charles chiedeva baci che Erik era solo felice di concedergli. Anche se, sentirlo gridare era decisamente musica per le sue orecchie – e il suo ego-.
Fino a quando non si riversò dentro di lui e allora sorrisero entrambi. Erik non fermò il suo gioco con le mani finché non raggiunse l’orgasmo anche lui.
Charles lo abbracciò, non fece altro. C’era tempo per i “Ti amo”, per i “resta”, per i “mi completi”, l’unica cosa che contava ora era che iridi cielo e iridi mare si stavano fondendo nuovamente e stavolta non c’era nessuno a fermarli. Con i corpi già nudi, bisognava solo sperimentale e conoscersi.
Erik seppe di essere nel posto giusto, al momento giusto e con la persona giusta.
Seppe che era la persona giusta con cui costruire i ricordi. Nuovi ricordi. Forse non sarebbe rimasto per troppo tempo, ma sarebbe tornato presto. Perché dopotutto a casa devi sempre tornare, prima o poi.
-Sei la mia casa. – mormorò dopo qualche minuto che si erano stesi sotto le coperte.
-Cosa? – domandò stranito Charles.
Erik gli posò un bacio sulle labbra.
-A domani, Charles.
-A domani, Erik. Ti ritroverò qui?
Non ebbe risposta, ma vide la luce spegnersi e avvertì labbra fameliche calarsi sul suo corpo alle sue spalle.
Charles sorrise e percepì anche Erik farlo.
Erik era felice, proprio come non lo era mai stato. Quel sorriso era proprio simile a quello nella foto che aveva portato con sé nella sacca. Ma non poteva saperlo.


Nda: Ciao a tutti! Ecco la seconda parte... spero davvero che vi sia piaciuta. Mi è piaciuto, personalmente, scrivere in questo fandom. Adoro il personaggio di Xavier e adoro il personaggio di Erik. Ci sarebbero mille cose da scrivervi.
Innanzitutto grazie per averla letta. Sono curiosa di sapere cosa ne pensate. Fatemi sapere!
So che è lunga... ma non volevo tagliarla troppo.
Grazie a presto!
Un abbraccio, 
Juliet. 


Ps: Se volete, potete trovarmi qui con aggiornamenti, anticipazioni e avvisi!
https://www.facebook.com/groups/875099779210780/

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > X-men (film) / Vai alla pagina dell'autore: Juliet Leben22