Lo Specchio delle Anime.
Se io avessi un
mondo come piace a me,
là tutto sarebbe assurdo: niente
sarebbe com'è,
perché tutto sarebbe come non è, e
viceversa!
Ciò che è non sarebbe e ciò che non è
sarebbe!
[Alice – Alice nel Paese delle Meraviglie,
Disney
1951]
Atto XIII – Parte I
Il Paese delle
Meraviglie.
Quando si svegliò, Draco si rese
conto che qualcosa fosse orribilmente sbagliato.
Prima di tutto, lui non ricordava
di essere mai andato a dormire, di certo non in un letto tanto comodo.
Considerando il terrificante motel in cui li aveva sistemati l’amico
della Granger, dubitava altamente di trovarsi proprio nel cuore del
Pakistan. Ed il profumo era troppo
buono, troppo pulito per appartenere a quella topaia.
«Tu vai a destra, io a sinistra. Il primo che trova la Traccia, lo
segnala».
«Granger, non puoi darmi ordini! Sei tu che ti cacci sempre nei guai».
Rabbrividì, rivivendo
quell’istante. Non credeva fosse passato molto tempo. Non ricordava
fosse passato molto tempo. Se era tornato a casa, dovevano aver trovato la
Traccia, no?
«Stai attento, c’è qualcosa che fa la guardia».
«Al massimo è il mostro a dover star attento a me».
No, era abbastanza certo che non
avessero trovato un accidenti, in quella stupida caverna. Concentrandosi, gli
sembrò quasi di sentire la puzza di chiuso e umido. Forse era stata
un’esperienza abbastanza traumatica da essere completamente cancellata dalla
sua memoria. Il Dottor Crave gli aveva detto una cosa simile, quando aveva rivelato
di non ricordare un accidenti della notte in cui gli avevano imposto il
Marchio.
«Ti stai rigirando come un Vermicolo. Piantala».
Il lamento giunse da qualche parte
al suo fianco, facendolo trasalire. Si rese conto di non aver ancora trovato il
coraggio di aprire gli occhi o di allargare le braccia per verificare di
trovarsi realmente nel proprio letto. Se non balzò via come un boccino, fu solo
perché la voce non gli era sembrata affatto minacciosa e decisamente non
sconosciuta.
Il suo primo pensiero fu quello di
essere finalmente riuscito a portarsi a letto Hermione Granger, accompagnato
dallo sdegno del non ricordarselo.
Il secondo pensiero che lo colpì
fu molto più pratico: era ancora vestito, non avevano fatto sesso.
Il terzo pensiero, finalmente, fu
una domanda: cosa ci faceva Hermione Granger
nel suo letto?
Con la grazia di un gufo, spalancò
gli occhi e si girò verso la fonte del rumore, trovandosi davanti quella che
sembrava essere una pecorella mora con un faccino incredibilmente assonnato e
carino. Due occhioni scuri stavano ricambiando il suo sguardo, curiosi e
stanchi, ed un broncio li accompagnava, concludendo quel quadretto adorabile
che era Hermione Granger appena sveglia.
Era tranquilla. Troppo tranquilla, considerando che quella dovesse essere la loro prima notte insieme,
per quanto non avessero fatto nulla.
«Sono dieci minuti che ti muovi»
si lamentò ancora lei, passandosi la mano destra sul viso e stropicciandosi gli
occhi. «Non eri tu quello che mi aveva ordinato di riposare?» continuò,
rotolandosi sotto le pesanti coperte per dargli le spalle. Quella sua calma lo
stava facendo innervosire. «Devi dormire, mia cara! Nelle tue
condizioni è fondamentale… bah, chi diavolo ti capisce è bravo, Malfoy» lo scimmiottò allora,
sbuffando come un treno. «Fai una cosa buona e massaggiami la schiena. Sai,
quella cosa che fai sempre con i pollici. E dobbiamo cambiare il materasso,
queste piume d’oca sono insopportabili. Questo è il nostro letto, non il tuo».
Draco non seppe se esser contento
del fatto che lei non potesse vedere la sua espressione sconvolta. Quello che
stava succedendo non aveva il minimo senso. Lei non aveva senso. Il fatto che
gli avesse chiesto quei massaggi che lui aveva imparato a fare in Indonesia non
aveva senso. “Nostro letto” non aveva senso.
«Malfoy, sbrigati!».
Quello era un tono che non
ammetteva repliche, quello che negli anni di scuola lo aveva sempre fatto
imbestialire. Stranamente, il suo primo istinto fu quello di sorridere e di
sbrigarsi ad obbedire.
Assurdo,
pensò, mentre le sue mani – proprio le sue, incredibilmente – si avvicinavano
alle spalle della Mezzosangue per farla rilassare. Incredibile, pensò ancora, quando sentì di
non voler commentare quel suo assurdo pigiama rosa con gli ippogrifi, quasi
glielo avesse regalato lui stesso.
«Ma che cazzo?» disse poi ad alta voce, notando l’anello d’oro che svettava,
principesco, al suo anulare sinistro.
Una fede.
«Draco, ma che modi sono?».
Sgusciando come un’anguilla, la Granger si voltò parzialmente verso di lui,
scoccandogli un’occhiataccia che avrebbe fatto piangere la McGranitt di
commozione. «Io non ti capisco, questa mattina. Prima fai la sardina, poi usi
questo linguaggio da Nocturne Alley…
queste cose avresti dovuto farmele sapere anni fa, avrei evitato di sposarti»
aggiunse poi, sbuffando ed allungando la mano sinistra per assestargli un
buffetto sul braccio.
Braccio sinistro cui era attaccata
la mano sinistra. Al cui anulare svettava il diamante di sua nonna, insieme ad
una fede.
Porca puttana.
«Noi siamo sposati» esalò allora,
tossicchiando per migliorare un po’ la condizione della sua povera voce. Il
cuore gli batteva nel petto come un tamburo, assordandolo. Voleva suonare
naturale, ma l’assurdità di quella situazione gli impediva di fingere come
avrebbe voluto. «Va… va bene se faccio così?» chiese allora, facendo pressione
con le dita nello spazio fra le scapole di lei. Qualcosa, nel retro della sua
mente, gli suggerì di aumentare la forza e lei, immediatamente, mugolò
contenta.
Gli sembrava di sapere
cosa fare, quasi l’avesse davvero fatto per anni.
Anni di matrimonio.
Non era davvero possibile.
«Hai fatto un brutto sogno, per
caso? Non eri così sconvolto, la mattina, dai primi tempi dopo le nozze. Non dirmi
che hai ricominciato a sognare Voldemort, mi faresti perdere la scommessa con
il Dottor Crave» sbottò lei, incurante del suo shock, rilassandosi sempre di
più ad ogni secondo in cui lui continuava a massaggiare.
Incubi su Voldemort?
Improvvisamente, gli sembrò di
ricordare sogni molto confusi in cui il Signore Oscuro tentava di imporgli il
marchio, per poi esser fermato da Piton, Silente e la
Mezzosangue. Era così giovane, lei. Ed anche lui lo era.
Quelle immagini gli appartenevano,
come se le avesse davvero sognate così spesso da renderle parte del suo essere,
immutabili nel tempo.
Non le ho solo sognate, le ho vissute.
Senza neppure capire perché,
abbassò lo sguardo sul proprio braccio, trovandolo immacolato come quando era
un bambino. Seppe con certezza che quella non fosse la conseguenza della
pozione di Crave ma che non ci fosse davvero mai stato nulla lì.
«Draco, amore, mi stai
spaventando». La voce di Hermione era preoccupata, ma incredibilmente dolce.
Sfuggì alla sua presa e si girò ancora, tornando ad osservarlo in volto. I suoi
occhi scuri sembrarono scandagliare ogni minimo angolo della sua anima,
lasciando alle proprie spalle una scia di calore e conforto. Lui si meravigliò
sentendosi chiamare amore, ma non tanto come avrebbe fatto
qualche minuto prima. Per qualche motivo gli sembrò normale. «Ricordi cos’ha detto il
dottore… sono passati otto anni, ma il trauma è ancora lì. Più tardi gli
manderò un gufo e prenderò appuntamento per te, va bene?» gli chiese,
sfiorandogli i capelli con la punta delle dita.
«Mi dispiace, non voglio farti
preoccupare» ammise allora lui, afferrandole la mano per portarsela alle
labbra. Non sapeva bene da dove stesse sbucando quella cavalleria, ma non gli
importò. Poterla toccare con quella dolcezza, poter sentire il suo profumo
senza paura di sembrare uno psicopatico… erano sensazioni troppo belle per
poter essere fermate.
«Mi hai fatta preoccupare quando
mi hai urlato in faccia che Voldemort avesse intenzione di marchiarti. Mi hai
fatta preoccupare quando mi hai chiesto aiuto… di certo non adesso. Ancora oggi
mi chiedo cosa accidenti ti abbia spinto a chiedere a me, piuttosto che al professor Piton o a Silente direttamente» sospirò, alzando gli occhi
al cielo. «Immagino che il tuo stupido orgoglio purosangue abbia trovato il
male minore. Per quanto Sanguesporco, almeno non sono Albus Silente».
Quella parola lo infastidì,
nonostante lui stesso l’avesse utilizzata parecchie volte. Lei stava parlando
di richieste d’aiuto che non ricordava di aver fatto, ma che, comunque, non gli
suonavano come assurde. Parlava di confessioni che sapeva di non aver fatto, ma
che al tempo stesso ricordava.
Che fosse stato davvero tutto un sogno? Il Marchio, la Guerra… e lo
Specchio? In quel
momento gli sembrava tutto meno che un ricordo. Non c’era una cosa
del suo stupido passato che fosse certa.
«Sei davvero sconvolto» sospirò
lei, alla fine, allungandosi per lasciargli un leggero bacio sulle labbra. Per
quanto Draco fosse strabiliato dalla gentilezza di quel contatto, non gli sembrò
strano come avrebbe dovuto. Erano sposati, dopotutto, no? «Ho capito, è ora di preparare la
colazione» con uno sbuffo, si rotolò ancora fra le lenzuola e gli diede le
spalle, scostando le coperte ed alzandosi. «So cosa stai per dire, ma non ho la
minima intenzione di prendere un elfo domestico. Niente schiavi in casa mia».
«Questa è anche casa mia, Granger.
A me un elfo non dispiacerebbe» le rispose, tirandosi a sedere a sua volta. Il
sorriso divertito che gli incurvava le labbra era solo uno squarcio rispetto a
ciò che gli si stava agitando nel petto.
Lei rise, lanciandogli uno sguardo
divertito da oltre la spalla. «Non mi chiamavi Granger da un bel pezzo, mi
mancava. Però mi hai tolto la possibilità di ripeterti, per l’ennesima volta-»
«Io non sono la Signora
Malfoy, sono la signora Granger-Malfoy!» senza sapere bene come, lui la anticipò, scimmiottandola.
La risata, però, gli morì nel petto quando Hermione – indossata una vestaglia
di seta – girò intorno al letto, mettendo in mostra un pancino
dall’aria particolarmente sospetta.
Aspettavano un bambino, realizzò improvvisamente, dandosi dello sciocco per non
esserselo ricordato subito. Un maschietto che sarebbe nato a
marzo.
«Mi stai fissando in modo strano».
Lo avrebbero chiamato Alexander Lucius.
«Scusami, sono solo molto confuso.
Quel sogno era davvero brutto».
Lo sguardo dolce che lei gli
dedicò avrebbe potuto fargli passare qualsiasi dolore. La osservò girare
intorno al letto ed avvicinarsi per dargli un altro piccolo bacio sulle labbra.
«Va’ a svegliare Rosie, io preparo
i pancakes e mando un gufo al Dottore. Non
preoccuparti, sono solo brutti sogni, nessuno può farti del male, qui».
Per una ragione a lui sconosciuta,
Draco le credette. Non riuscì ad impedirsi, però, di porre a se stesso una domanda.
Chi diavolo era Rosie?
***
Venne fuori che Rosie – Rosemary Gwen Narcissa1 – altri non fosse che la sua
primogenita, una signorina di tre anni con grandi occhi scuri ed una cascata di
ricci color miele. Draco aveva sentito le gambe tremare al solo notarla nella
penombra della sua cameretta.
Naturalmente, Draco non era un
idiota. Se qualcosa era riuscito a manipolarlo fino a quel momento,
facendogli credere che lui e la Granger fossero davvero sposati e con figli, non aveva
fatto i conti con una cosa fondamentale.
Per quanto a lui piacessero gli occhi scuri di Hermione, non c’era
speranza che sua figlia li avesse come quelli. Il grigio era un marchio dei
Malfoy da generazioni, nessuno era scampato.
Ebbene, nonostante quella
consapevolezza lui non aveva la più pallida idea di dove fosse finito, di come
ci fosse arrivato o di come tornarsene alla sua realtà. La sua memoria reale
sembrava peggiorare di minuto in minuto, sostituita da quella che sembrava
essere una versione migliorata della sua vita. Per esempio, aveva iniziato a
ricordare il giorno del suo matrimonio, sentendo una stretta allo stomaco nel
realizzare quanto meravigliosa sua moglie fosse stata con l’abito da sposa.
C’era, oltretutto, qualche immagine risalente alla nascita di Rosie che lui
avrebbe preferito non ricordare.
«Papà, non arrivo» si lamentò la
bambina seduta al suo fianco, indicando la ciotola con il porridge che sua
madre le aveva piazzato davanti. La sua determinazione nel raggiungerla era
ammirevole, da vera Malfoy, ma aveva dovuto arrendersi all’evidenza delle
proprie braccia corte.
«Attenta a non sporcarti» la
ammonì, automaticamente, Draco, avvicinandole la colazione e lanciandola la
migliore fra le sue occhiate alla Lucius. Dentro di sé, l’emozione per ciò
cui stava assistendo era irrefrenabile. Osservare quella mocciosa – erano
davvero così piccoli, i bambini di tre anni? – bere il suo succo di frutta ed
aggredire quel porridge come se l’avessero lasciata a digiuno da tre giorni era
un balsamo per la sua anima. Era bellissima, era graziosa, era una vera Malfoy.
Sua figlia.
«Papà? Ma se solo le persone
cattive hanno gli elfi… allora anche nonno Lucius è cattivo? E zio Harry?».
Era anche figlia della Granger, però.
Sorrise, alzando gli occhi al
cielo ed abbassando la voce per non farsi sentire dalla donna incinta che lui sapeva
essere particolarmente vendicativa a causa della gravidanza. «Non tutte le
persone che hanno gli elfi domestici sono cattive» le spiegò, avvicinandosi
come se avesse voluto ordire una congiura. «Se proprio lo vuoi, per Natale te
ne porterò un paio».
Allettata da quella proposta,
Rosie assottigliò lo sguardo e si portò il piccolo indice al mento, sporcandosi
di porridge. Alla fine, con un grande sorriso, batté le manine. «Anche Santa Claus ha gli elfi! Se ne prendiamo uno anche noi, allora mi
potrà costruire i giocattoli tuuuutto l’anno!».
Era decisamente una Malfoy.
Pur sorridendo a sua figlia –
quantomeno lo era in quel luogo – Draco non poté non chiedersi chi accidenti
fosse quel Sandy Claws2 e perché usasse
degli elfi per costruire dei giocattoli, invece che usare la propria magia.
Forse era qualche diavoleria babbana che la Mezzosangue aveva insegnato alla
loro bambina.
Una volta tornato indietro, avrebbe fatto bene ad avvertire quella
donna che i suoi futuri figli non si sarebbero immischiati con quelle
sciocchezze.
«Cosa state confabulando, voi
due?». Preceduta da tre piatti pieni di pancake e marmellata, Hermione fece il
suo ingresso nella Sala da Pranzo. Il suo viso era incredibilmente simile alla
versione più giovane che lui aveva conosciuto, nonostante fosse illuminato ed
ammorbidito grazie alla gravidanza.
Doveva per forza essere un trucco, era troppo bello per essere vero.
In fondo, Draco sapeva bene che la
sua vita con la Mezzosangue non sarebbe mai stata tanto pacifica. Nella realtà,
lei lo avrebbe costretto ad ascoltarla lamentarsi delle caviglie gonfie,
incolpando lui e tutta la sua stirpe di razzisti, avrebbe bruciato i pancake ed
avrebbe trovato il modo di renderlo responsabile.
Quella versione era dolce, ma noiosa.
«Papà mi ha chiesto cosa voglio da
Santa Claus» mentì spudoratamente la bambina, con un
sorriso talmente innocente che, per un istante, Draco stesso le credette.
Nessuna figlia di Hermione Granger saprebbe mentire così, con lei.
Neppure io so mentire così con lei.
«Spero tu non le abbia offerto un
elfo, perché la risposta resta sempre no» tranquilla, la Mezzosangue lanciò a
suo marito uno sguardo di fuoco, cui lui rispose sorridendo. «Fra poco Rosemary
verrà a prenderla, io però devo andare a lavoro» aggiunse, versandosi una
generosissima dose di sciroppo d’acero sui pancake. «Puoi aspettarla tu?».
Come in un flash, Draco vide
Rosemary Crave prendere in braccio una Rosie appena nata e ringraziarli per
averle dato il suo nome.
Era ancora viva.
«Sì, non preoccuparti». Avrebbe aspettato comunque, pur di vederla di nuovo, viva e sana. «Cerca di non esagerare con il
lavoro, ricordati che sei in attesa del mio pupillo» aggiunse poi, d’istinto,
allungando la mano per sfiorare quel ventre ben pronunciato, in cui riposava e
cresceva il più giovane dei Malfoy.
Sarebbe bellissimo, se solo fosse vero.
Hermione alzò gli occhi al cielo, sbuffando.
«Sei assurdo. Sono incinta, non malata…» vagamente indispettita, nonostante il
sorriso, gli pizzicò leggermente il braccio. «Mi stai guardando come se temessi
di vedermi sparire da un secondo all’altro».
Lui non riuscì ad impedirsi di
abbassare lo sguardo.
«Non essere sciocca, mia cara.
Altra marmellata?».
***
Rosemary Crave3 era
seduta nel suo salotto, con una divisa in pelle rinforzata ed un enorme peluche
a forma di Ippogrifo rosa, tutto per la sua giovane figlioccia. Quando era
entrata, nonostante lo shock di Draco, lo aveva abbracciato e poi l’aveva
immediatamente oltrepassato, seguendo l’urlo belluino con cui Rosie aveva
accolto il suo arrivo.
Erano trascorsi cinque minuti,
eppure lui non era riuscito a capacitarsi che fosse proprio lei.
Aveva sempre gli stessi capelli neri e gli stessi occhi simili a cristalli,
eppure era diversa. Certo, secondo i suoi calcoli aveva quasi ventiquattro
anni e, a giudicare dal vestiario, doveva essersi addentrata parecchio nello
studio delle creature magiche, oltre ad essere perfettamente sana. Eppure,
Draco non riusciva a comprendere cosa gli stesse sfuggendo, di lei.
«Quindi… con il lavoro va tutto
bene?» le domandò allora, sondando il terreno e cercando, inutilmente, di farsi
venire in mente qualcosa di lei. Stranamente, era come se il suo cervello si
stesse rifiutando di collaborare.
Rosemary gli lanciò un’occhiata
divertita, continuando a giocare con la bambina. «Hai saputo della mia
disavventura col drago, eh?» sbottò, arrossendo leggermente. «Senti, non è
colpa mia! Gli stavo pulendo le squame superiori e mi sono dimenticata di
addormentarlo! Quando ha iniziato a sbattere le ali era troppo tardi!».
L’immagine terrificante di una
prima pagina del Profeta con Rosemary che esultava scendendo dal dorso di un
drago appena atterrato lo fece rabbrividire.
Quella psicopatica.
«Hai fatto un giro su un drago,
ragazzina» le disse, tirando fuori tutto lo sdegno purosangue di cui era in
possesso. «A tuo padre sarà venuto un colpo! Questo è l’esempio che vuoi dare a
Rosie?» aggiunse, giocandosi la carta della responsabilità paterna che lui sapeva
avrebbe funzionato. Dopotutto, per quanto si trovasse in un mondo parallelo in
cui tutti i suoi drammi passati sembravano andati miracolosamente a puttane,
lei era sempre figlia di Crave. E non c’era modo che Crave, ovunque si
trovassero, non considerasse sua figlia il suo bene più prezioso.
Il flash di un funerale, un uomo così prostrato dal dolore da dover
essere trascinato via di forza dalla bara della figlia.
Probabilmente era quello il motivo
per cui, diversamente da quanto gli stava succedendo con la Mezzosangue, non
riusciva a rivedere gli squarci del passato mai vissuto con Rose. Il trauma della
sua morte, del suo funerale, era troppo impresso nella sua mente per essere
semplicemente spazzato via da nuovi ricordi.
La giovane si imbronciò,
incrociando le braccia al petto. «Non lo vedevo così arrabbiato dal giorno in
cui ho portato Charlie4 a casa. E tu sai quanto si è arrabbiato quella
volta». Fortunatamente, non guardò Draco negli occhi, quando pronunciò quelle
parole. Lui non aveva la più pallida idea di chi – o cosa, conoscendola sarebbe
potuto essere un animale – fosse Charlie. «Non preoccuparti, comunque, ho
imparato la lezione. Troppa gente si è arrabbiata per quel giochetto, magari mi
limiterò agli ippogrifi, d’ora in poi».
Non che quell’affermazione fosse
di conforto, per Draco. Quando aveva esaminato il braccio destro, aveva trovato
la cicatrice che quello stupido pollo di Hagrid gli
aveva lasciato al terzo anno.
«Anche io voglio un ipplogrifio» si intromise la bambina, con sguardo orribilmente
deciso, voltandosi verso suo padre e sventolando il pupazzetto. «Lo possiamo
chiamare Biscottino, vero papà?» chiese, per poi imbronciarsi quando Draco la
guardò malissimo. Allora si voltò verso la sua omonima, che non aveva mai
smesso di sorriderle. «Posso, zia?».
«Certo che puoi!» ribatté allora
lei, facendo un occhiolino allo sventurato padre nella stanza, che ebbe la certezza
che un giorno avrebbe dovuto trovare il modo di impedire a quella mocciosa di
dare asilo politico a qualche ippogrifo. «Il mio ippogrifo preferito si chiama
Pasticcino!».
L’ippogrifo era ritratto in una fotografia che svettava sul comodino
dell’ospedale.
«Povera bestia» fu l’acido
commento con cui lui commentò quella sua uscita. Pasticcino. Forse si era lasciato
impressionare dal fatto che la Granger avesse chiamato il mostro di Istanbul Fuffy. Rose non poteva essere tanto psicopatica.
Il pensiero della Granger e della
sua bestiola, però, gli ricordò qualcosa che fino a quel momento aveva messo da
parte, strabiliato nel trovarsi davanti ad una versione migliorata di quella
stessa ragazza che aveva visto morire.
La Traccia. Il mostro che l’aveva catturato e intrappolato lì.
Se davvero qualcosa l’aveva preso,
probabilmente era perché lui si era avvicinato al nascondiglio della Traccia. E
se non era riuscito ad avvertirla, probabilmente la Granger era in pericolo.
Occhi azzurri come il cielo che imploravano il suo perdono, mani
fredde contro la sua tempia e poi il nulla.
Qualcuno lo aveva fatto cadere in una trappola.
«Che cos’hai?» improvvisa, la
domanda della giovane lo fece trasalire. Nonostante fosse intenta a giocare con
la sua figlioccia, Rose era totalmente concentrata su di lui, l’espressione
orribilmente identica a quella che suo padre era solito dedicargli prima di
torturarlo psicologicamente. «Qualcosa ti turba, non provare a negarlo».
Draco sorrise, esasperato. «Come
potrei negarlo? Ti intestardiresti al punto da convincermi di avere qualcosa». Il sesto
senso dei Crave era rimasto anche in quel mondo, dunque. Il sangue non era
certo acqua, nonostante lei fosse una Magizoologa.
«In realtà, avrei bisogno di un consulto specialistico» aggiunse poi,
realizzando quanto maledettamente fortunato fosse. Sì, quel mondo probabilmente
era una finzione ed era frutto dei suoi più reconditi desideri, quindi lei non era
davvero una Magizoologa. Ma, al tempo stesso, era
abbastanza sicuro di conoscere il nome della bestia e, interrogando lei,
credeva di poterlo ricordare.
«Se vuoi parlare con uno
psichiatra, mio padre sarà felice di prenderti un appuntamento» scherzò lei,
per poi farsi più attenta. «Forza, il mio tariffario è estremamente alto e tu
hai già sprecato venti secondi del mio tempo».
«Ti comprerò un mazzo di fiori»
concesse allora lui, ridendo. «Si tratta di una creatura capace di rinchiudere
le persone in realtà alternative» spiegò, raddrizzando le spalle. «Ne sai
qualcosa? Magari è un veleno…».
L’espressione che lei tirò fuori
lo fece rabbrividire. Era così identica a suo padre da essere quasi
inquietante. L’effetto di quegli occhi chiarissimi, se possibile, era ben più
terrificante di quello ottenuto da quelli scuri del dottore. «Ci sono dei Ragni
della foresta pluviale il cui morso ha effetto allucinogeno, so che li vendono
come se fossero droghe» spiegò, con una risatina. «Non che io abbia mai usato
robaccia simile, certo…».
L’immagine del gatto psicotico del
dottore si affacciò alla mente di Draco e, per qualche motivo, quell’ultima
affermazione suonò alle sue orecchie come una confessione implicita5.
«Fa’ quello che ti pare, finché
mia figlia non è coinvolta» borbottò lui, cercando di essere severo, per poi
scuotere il capo. «Non credo sia un ragno e non sono allucinazioni. In un certo
senso, è come se la vittima fosse intrappolata in un mondo diverso, senza
possibilità di capire quanto sia diverso» aggiunse poi,
cercando di spiegarsi meglio. «Un mondo in cui tutti i suoi sogni sono realtà».
L’espressione spaventata con cui
lei accolse quella specificazione lo inquietò non poco. «Allora stai parlando
dei Djinn» sbottò, scuotendo il capo. «Brutto affare, brutto davvero… al
Ministero ne avete beccato uno? Sarei entusiasta di studiarlo! E come me
tantissimi altri scienziati. Sono praticamente estinti da secoli».
Si chiamano Djinn, Malfoy.
«Come funzionano le loro capacità?
Dimmi tutto quello che sai» le domandò, schiarendosi la voce. Cominciava a
ricordare qualcosa – un avvertimento – dalla realtà da cui proveniva.
Non era una bella immagine. C’era stata preoccupazione, nella voce della
Granger.
Rosemary si accigliò. «Hanno la
capacità di imprigionare l’anima di una persona in un altro mondo. Un mondo in
cui tutti i suoi desideri più nascosti sono reali. Alcuni discutono che si
tratti solo di un’illusione… ma io non credo sia così. I corpi di chi non è
stato abbastanza forte da opporsi al Djinn si sono ridotti proprio come quelli
delle vittime del Bacio dei Dissennatori. L’anima era sparita» spigò,
stringendo poi le labbra. «È una brutta faccenda, Draco. Davvero avete di
questi problemi, all’Ufficio Misteri?».
Ufficio Misteri? Era il mio dannato sogno, da ragazzino.
«Beh, sì» mentì, alzando gli occhi
al cielo. «Ovviamente, quello che io faccio è indicibile6, Rose, lo sai benissimo»
aggiunse, come se avesse voluto rimproverarla. In realtà aveva sognato tutta la
vita di poter fare quella battuta.
Lei non apprezzò. «Merlino,
Malfoy, ormai fai gli stessi scherzi di un padre di mezz’età con la classica
pancia da birra7» gli disse, disgustata, fingendo di rabbrividire.
Draco ridacchiò. «Tuo padre è di
mezz’età, ma non ha la pancia da birra» le fece notare, mentre la bambina,
annoiata dal gioco, si arrampicava sul divano e gli si sedeva in braccio.
«Ma si tratta di mio padre, lui è
meraviglioso».
Draco non se la sentì di
controbattere. Troppe donne – in entrambe le realtà in cui aveva vissuto – non
avrebbero messo in discussione quell’affermazione.
«Quanto al Djinn… mi stai dicendo
che quella realtà esiste davvero?» domandò allora, sentendo qualcosa di molto
simile alla speranza sbocciargli nel petto. Forse poteva restare.
Rose si strinse nelle spalle, con
un sospiro. «Sì e no. Esiste per l’anima, come quello
che in molte religioni è il Paradiso, sai? Stando alle testimonianze, le
vittime arrivano ad un punto tale in cui si dimenticano del mondo da cui
provengono e, semplicemente, fanno in modo che la loro anima sopravviva nella
realtà parallela. Sono pochissimi quelli che sono riusciti a tornare».
Poteva restare e morire lì, con una famiglia che lo amava. Con degli
amici che non avrebbe mai potuto incontrare.
La scelta era stata fatta, per
quanto lo riguardava. Non c’era nulla di certo che lo attendesse, nel mondo da
cui proveniva. Quante volte aveva meditato di porre fine a tutto? Quante volte
non ne aveva avuto il coraggio?
Gli sarebbe bastato accettare
quella fortuna, per farla finita ed essere finalmente felice. Non meritava
anche lui il suo angolo di paradiso?
Occhi come il cielo pieni di
orrore, una richiesta di scuse prima dell’oblio.
Qualcuno l’aveva fatto cadere in una trappola.
La Granger era in pericolo.
«Come hanno fatto a tornare
indietro?». Strapparsi quelle parole fu doloroso come se ognuna di esse fosse
stata una freccia piantata nel suo petto. Il calore della piccola Rosie,
accomodata sulle sue gambe, all’improvviso non gli sembrò sufficiente.
Stava per abbandonarla.
«Il procedimento è inverso,
possiamo dire» spiegò Rose, con una smorfia. «Se per restare nella fantasia si
deve lasciar morire l’anima nel mondo vero, allora per tornare nel mondo vero
bisogna morire nella fantasia». Sospirò, preoccupata. «Non è semplice, il
ritorno. In molti non sono più riusciti a rassegnarsi alla verità, dopo aver
vissuto l’illusione, e si sono suicidati».
Draco lanciò uno sguardo alla
bambina stretta al suo petto, ripensando alla Mezzosangue ed al bambino non
ancora nato. Non faticava a comprendere il motivo che avesse spinto quelle persone
ad un gesto tanto estremo.
«Grazie Rose. Mi sei stata di
immenso aiuto».
Doveva soltanto capire come uccidersi.
»Marnie’s Corner
Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!
Prima
di tutto, ho una pagina facebook!
Seguitemi per futuri aggiornamenti!
Ancora
non mi sono ripresa dalla morte di Rose, questo capitolo ne è la dimostrazione.
Abbiate pazienza, dovevo farlo. Dovevo vederla felice, anche solo una volta.
Il capitolo è un po’ più lungo, mi sono ritrovata ispirata e non me
la sono sentita di togliere qualcosa. Nel prossimo, rivedremo Hermione ed anche
altri amici.
Punti
importanti:
»
Prima di tutto, il Djinn è
ispirato alla serie tv Supernatural (episodi 2x20,
6x01, 6x10, 8x20 e 9x20). Si tratta di creature della tradizione islamica (il
Pakistan è uno stato di religione islamica, per questo ho scelto loro) capaci di
alterare la percezioni della realtà delle loro vittime con un solo tocco. Nella
serie tv si nutrono del sangue (o della forza vitale, non ricordo) delle loro
vittime, qui, invece, sono un po’ come i Dissennatori, solo che mandano l’anima
“in un posto migliore” e si nutrono della vita della vittima.
» 1 I tre nomi della bambina sono quelli di
Rosemary (ovviamente), della madre di Hermione e di Narcissa,
le tre donne più importanti nella vita di Draco (Gwen
perché è la madre di Hermione, ovviamente). Capisco che lui e Rose non abbiano
avuto questa amicizia duratura, ma lei ha influito su di lui molto più di amici
di vecchia data.
» 2 Sandy Claws è un omaggio a Nightmare before Christmas, il miglior film di Halloween/Natale
mai realizzato. Se non l’avete già visto, dovete farlo.
» 3 Questa Rosemary,
ovviamente, è una proiezione dei desideri di Draco, ufficialmente è ciò che lui
avrebbe voluto per lei. Ufficiosamente, invece, io non mi sono rassegnata e,
almeno in un universo parallelo, ho dovuto darle la vita felice che merita,
piena di salute e successo lavorativo. La storia della cavalcata sul drago è
qualcosa che lei avrebbe sicuramente
fatto e non necessariamente per errore.
» 4 Questo Charlie non è un cane, ma Charlie
Weasley. Vedete, io adoro solamente due Weasley come se fossero figli miei: al
secondo posto c’è Percy (scelta improbabile, lo so, eppure…), ma al primo c’è
sicuramente Charlie. Lui ed i suoi draghi. In questo AU (di cui io mi sono
innamorata perdutamente), Charlie e Rose
si sono conosciuti durante una conferenza sui draghi e, con MOLTI PROBLEMI,
sono finiti insieme. Sì, lui è dieci anni più grande di lei, ma alla fine è un
bambinone. Il povero Newton non è stato affatto
contento. Se Draco non fosse intervenuto (con un proverbiale “e se si innamorasse di uno senza spina
dorsale?”), probabilmente il vecchio Newt avrebbe
ammazzato il secondo Weasley con le sue manine delicate. Quindi sì, la ship Charmary è nata.
Devo scrivere di loro due.
» 5
Rosemary non è una drogata, state calmi. Semplicemente, è una
ragazza che conosce bene le capacità di alcuni veleni. È un po’ come se stesse
fumando erba, una volta ogni tanto. Non prendetevela. Anche perché la
sottoscritta è contraria anche alle sigarette.
» 6 Malfoy come Indicibile
è una mia fantasia. Secondo me quei tizi, nel mondo magico, sono come gli 007.
Quale maghetto non vorrebbe diventare un tizio figo, da grande?
» 7 Il classico “Dad Joke”, si fa
riferimento alle battute così pessime da farti cadere il latte dalle ginocchia
ma che sembrano piacere un sacco ai papà. Stessa cosa per il riferimento alla
classica “trippa da birra”.
Mamma mia quante note,
in questo capitolo. Scusatemi, ma mi sono davvero fatta prendere la mano.
Questo universo alternativo mi ha ispirata in modo incredibile, non volevo
smettere di scrivere, pur di continuare a pensarci.
Piccola comunicazione di servizio: I prossimi due lunedì
avrò esami, quindi la pubblicazione verrà spostata al martedì! Per possibili aggiornamenti,
tenete d’occhio facebook!
Grazie ancora a chiunque
leggerà,
-Marnie