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Autore: Morgana89Black    29/06/2016    1 recensioni
E se Lily Potter avesse avuto un secondo figlio, poi dato in adozione?
Dal capitolo 2:
"Ti lascio queste poche parole, nella speranza che quando le leggerai non mi odierai per essere stata codarda e non aver avuto la forza di tenerti con me. Purtroppo temo che non vivrò comunque abbastanza per vederti raggiungere i tuoi undici anni, il perché forse un giorno lo scoprirai da sola, per ora ti basti sapere che io e tuo padre siamo una strega ed un mago".
Dal capitolo 22:
“Draco... Draco... svegliati”. Le ci vollero diversi minuti per convincere il ragazzo ad aprire gli occhi ed inizialmente lui parve non notarla neanche mentre sbatteva ripetutamente le palpebre nella vana speranza di comprendere cosa fosse successo.
“Nana...”, la ragazza sorrise della sua voce impastata dal sonno. Era quasi dolce in quel momento e sicuramente molto diverso dal solito Malfoy, “è successo qualcos'altro?”. Parve svegliarsi di colpo, al sentore che doveva essere accaduto qualcosa di grave se lei lo svegliava nel pieno della notte.
Dal capitolo 25:
Prima che attraversasse l'uscio per scomparire alla sua vista, udì poche parole, ma sufficienti a gelargli il sangue nelle vene, “lei è un mangiamorte”.
Genere: Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: James Potter, Lily Evans, Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: James/Lily
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Durante l'infanzia di Harry, Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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Voci di corridoio. Parte II.
 

Rimasti da soli nell'ufficio del preside i due uomini non parlarono per diversi minuti.

“Non mi avevi detto che fosse in punizione con te la sera in cui è comparso il messaggio sul muro”. Il primo ad interrompere il silenzio fu il preside, che guardava ancora Piton con uno sguardo a metà fra il sorpreso ed il confuso.

“Non sappiamo quando sia stata effettuata la scritta, non mi sembrava dirimente il fatto che si trovasse con me in quel momento. Comunque non penso sia stata lei, Albus”.

“L'hai chiamata per nome”, era una costatazione, non una domanda, ma fu sufficiente a far sollevare un sopracciglio dell'altro che lo fissava confuso.

“Non l'ho fatto. Non chiamo i miei studenti per nome, non essere sciocco”.

“Lo hai fatto... e comunque, lei, tecnicamente, non è una tua studentessa”.

“Dove stai cercando di arrivare, precisamente?”.

“Mi hai sorpreso, ragazzo. È brava?”.

“Sì, ha talento per le pozioni. Molto talento. Durante una delle punizioni che ha trascorso con me ha riconosciuto dagli ingredienti una pozione doxicida e ne ricordava persino il procedimento”. Albus Silente continuava a guardare il suo professore stupito. Vi era orgoglio nella sua voce e non lo aveva mai sentito, in più di dieci anni di lavoro, parlare così di una studentessa, figuriamoci di una corvonero.

“Come mai era in punizione?”

“E' arrogante e parla troppo”, lo disse quasi sbuffando, ma senza riuscire a nascondere un piccolo ghigno divertito, “diciamo che l'ho sentita fare commenti offensivi su alcuni professori e non ho potuto evitare di punirla!”.

“Quali professori?”.

“Cambia qualcosa?”.

“Sembravi divertito più che contrariato, potrei pensare che si tratti di persone che tu non apprezzi molto”. Ora Albus Silente era molto più che confuso. Severus Piton lo stava guardando sorridendo e lui non ricordava di averlo mai visto sorridere prima di allora.

“Diciamo che potrebbe aver definito il professor Allock un idiota inetto”, pronunciò quelle parole con aria compiaciuta e persino Silente non poté evitare di sorridere. Infondo, chi poteva darle torto?

“E di chi altro ha parlato?”.

“Come?”.

“Hai detto di averla sentita fare commenti su più professori... chi altro?”.

“Non credo di aver detto così, ora perdonami, ma devo proprio andare. Buona notte, Albus”.

Lo guardò andar via senza dire più una parola, decisamente allibito. “Hai visto anche tu quello che ho visto io, Funny?”, si rivolse alla propria fenice sconcertato, “Severus è arrossito... cosa sta succedendo in questa scuola?”.

 

7 febbraio 1993

 

Finalmente era domenica e Morgana aveva deciso di trascorrere la giornata girovagando per il parco del castello, lontana dall'aria opprimente di quella scuola e soprattutto dai suoi compagni. Era seduta sotto ad un faggio al limite della foresta proibita, con un libro in mano. La neve non si era ancora sciolta, ma là il terreno era asciutto, poiché riparato dagli alberi.

“Come mai sei tutta sola?”, al suono di una voce, si decise ad alzare gli occhi dal libro. Aveva sentito qualcuno avvicinarsi, ma aveva sinceramente sperato che non si sarebbe messo a parlare con lei, anche perché era stufa di commenti sarcastici sulla sua presunta parentela con Salazar Serpeverde. Alzando il viso incontrò due profondi occhi verdi.

“Harry, sei tu. Che vuoi?”.

“Non hai risposto alla mia domanda. Comunque nulla. Ti ho vista qui da sola ed ho pensato di venire a vedere se era tutto a posto”.

“E' tutto a posto. Ora puoi andartene”.

“Io non credo che tu sia l'erede di serpeverde, se ti può consolare”. Lo disse mentre si sedeva di fianco alla ragazzina. Le dispiaceva vederla così triste e da quando era stata chiamata nell'ufficio del preside dopo l'ultima aggressione tutta la scuola la evitava e l'additava come autrice degli attentati.

“Sei l'unico in tutta la scuola”. Lo disse con un tono di voce così triste e demoralizzato, che al ragazzo quasi si spezzò il cuore a sentirla così abbattuta. Non era sicuro che fosse la mossa giusta, ma in quel momento sentiva che era la cosa giusta da fare, pertanto allungo una mano per circondarla con un braccio e stringerla a sé. La sentì irrigidirsi e poi, pian piano, rilassarsi fra le sue braccia. La cullò così, con tranquillità, cercando di farle capire che qualcuno era dalla sua parte.

Non la conosceva molto bene. Non avevano avuto molte occasioni per parlare ed aveva l'impressione che a lei non piacessero molto i suoi amici, ma una parte di lui era attratto da quella bambina così forte e fiera, che infondo sembrava nascondere molte debolezze. Forse si sentiva legato a lei per il fatto che era anch'ella orfana, o per lo meno era ciò che si diceva a scuola. Con lei non ne aveva di certo parlato.

Rimasero così per diverso tempo. Senza dire nulla. Finché il ragazzo non riprese a parlare. “Non dovresti prendertela tanto per quello che dicono a scuola. Fino a qualche mese fa erano convinti fossi io l'erede di serpeverde. Parlano molto ad Hogwarts. Lasciali parlare. L'unica cosa che sanno è che sei stata convocata nell'ufficio del preside dopo l'ultima aggressione, ma per quel che ne so io le cose non sono neanche collegate, no?”. Era la verità, non sapeva perché lei fosse stata convocata dal preside, visto che lui e i suoi amici erano stati fatti uscire quasi subito dopo il suo arrivo.

“Tu parli il serpentese”, non era una domanda, quella di Morgana era un'affermazione sussurrata contro la sua spalla.

“Sì. A quanto pare io sono un rettilofono. Ma non sono stato io ad aprire la camera dei segreti. Te lo posso giurare”. La guardava con una nota di disperazione così evidente, che le fece quasi tenerezza.

“Io ti credo. Solo... mi chiedevo come mai sai parlare quella lingua”.

“Io, sinceramente, non lo so. Hermione ha fatto delle ricerche e pensa che, magari, ho dei legami di sangue con Salazar Serpeverde. Sai, è molto difficile capire se in qualche modo io discenda o meno da lui, visto che è vissuto moltissimi anni fa”.

“Ma potresti non essere legato a lui, insomma, non è detto che tu discenda da lui solo perché parli il serpentese, no?”.

“In realtà secondo Hermione quasi tutti i rettilofoni conosciuti discendono da Serpeverde. Lei sostiene che si tratta una capacità che si tramanda per via ereditaria... ehi.. stai bene?”, la ragazzina lo fissava allibita, con gli occhi spalancati e sembrava sconvolta.

“Io... sì, sto bene. Sei sicuro che sia una caratteristica ereditaria?”.

“Non proprio. Ma lo ha letto Hermione in alcuni libri e di solito quello che dice lei è attendibile. Ma non sarebbe poi così strano, no? Insomma... Serpeverde è vissuto mille anni fa. Potrei tranquillamente essere un suo parente”.

“Certo... potresti”, il suo sguardo era perso nel vuoto mentre parlava, “scusa ma io ora dovrei andare. Ci vediamo in giro”, prima di allontanarsi si girò un'ultima volta a guardare il ragazzo e chiese, “tu sai qualcosa della famiglia Gaunt? Sono per caso tuoi parenti?”.

“Non credo. Non che io sappia. Perché? Chi sono”.

“No. Nessuno. Ne ho solo sentito parlare. Buon pomeriggio”.

Stava per correre via, quando si girò di nuovo verso il moro, con uno sguardo titubante in volto. Non le piaceva chiedere, aveva sempre fatto tutto da sola, ma quel ragazzino con gli occhiali le ispirava fiducia. E poi era veramente bravo, o almeno così dicevano tutti.

“E' tutto a posto, Morgana?”.

La ragazzina raccolse tutto il suo coraggio e, prima di cambiare idea, pose la domanda che tanto le premeva, “Harry... io... volevo chiederti una cosa. Insomma, Ginny dice che tu sei molto bravo a volare, che sei il miglior cercatore di Quidditch della scuola. Quindi, io mi chiedevo se potessi darmi una mano...”. Lo disse con un filo di voce, quasi temesse di rivelarsi debole.

“Certo, perché no? Vuoi imparare a giocare a Quidditch?”.

“Oh. No! Sei matto?”, a quel punto il ragazzino la fissò stupefatto e sconcertato, “io volevo solo chiederti se potessi darmi qualche lezione di volo. Sono proprio imbranata e rischio di non passare l'esame a fine anno”. Si sentiva così stupida, che quasi si pentì di averglielo chiesto, “comunque se non puoi non fa nulla, non ti preoccupare...”.

“Certo che posso. Facciamo domenica mattina? Ci vediamo al campo da Quidditch verso le 11?”.

“Va bene. Grazie mille... sei gentilissimo”.

Lasciato il ragazzo lì, Morgana si era diretta verso l'interno del Castello. Girava per i corridoi distrattamente. Cercava qualcuno. Alla fine lo vide, in un corridoio del quarto piano, con un gruppo di compagni. Si avvicinò con un'aria spavalda, che sentiva di non possedere veramente.
“Malfoy”, lo richiamo per attirare la sua attenzione, “io dovrei parlarti”.

Lui si girò a guardarla, con la sua aria di superiorità e con un'espressione quasi di disgusto dipinta sul volto.

“L'erede di serpeverde in persona mi ordina di ascoltarla... mmm... è sentiamo: perché la cosa dovrebbe interessarmi?”.

“Non mi sembra di averti chiesto di interessarti, ma solo di seguirmi per discutere di una questione in privato”.

“Hai cinque minuti, muoviti. Non vorrei che mi pietrificassi”, ridendo cominciò ad incamminarsi per il corridoio, per allontanarsi dagli altri e la bambina dovette quasi correre per stargli dietro.

“Allora, Belmont? Che vuoi? E muoviti. Come ti ho già detto non ho tempo da perdere con te”.

“Siamo simpatici oggi”, non riuscì a trattenersi dall'essere sarcastica. Lui la prese per un braccio stringendola sino a farle emettere un lieve gemito di dolore.

“Senti, ragazzina. Non siamo tutti a tua disposizione in questa scuola. Quindi arriva al dunque e subito, che già non sopporto di respirare la tua stessa aria”. Le faceva male, ma lei non disse niente. Aveva bisogno di lui e ormai aveva imparato che quel ragazzo era sin troppo umorale e, soprattutto, difficile da controllare.

“Volevo solo chiederti se potessi darmi informazioni su alcune famiglie di maghi o, per lo meno, se potessi indicarmi dove trovarle”.

“Che genere di informazioni e su quali famiglie?”. Sembrava soppesare la sua domanda, come chiedendosi se valesse o meno la pena di assecondare la sua richiesta.

“Gaunt, Smith, Prince e Peverell”.

Vide il suo sopracciglio sollevarsi, come se stesse cercando di comprendere un senso nascosto della sua domanda.

“Posso dirti che l'unica di queste famiglie a far parte delle sacre ventotto è la famiglia Gaunt”.

“Le sacre ventotto?”, chiese la ragazzina titubante. Non aveva idea di cosa lui stesse parlando.

“Sì, le famiglie di purosangue più antiche e rispettate del mondo magico inglese”.

La ragazzina sembrò soppesare per qualche secondo l'informazione ricevuta, prima di proseguire “mentre delle altre non sai dirmi nulla?”.

“Non molto, in realtà. So che sono nomi di famiglie purosangue note nel mondo magico, per essere estinte nella linea maschile”.

“Estinte nella linea maschile?”, prima di dar tempo al ragazzo di rispondere continuò, “hai parlato delle sacre ventotto, ma hai anche detto che queste famiglie sono famiglie di purosangue. Quindi non sono solo ventotto le famiglie di purosangue esistenti?”.

Il ragazzo scoppiò a ridere sonoramente. Si stava evidentemente prendendo gioco di lei.

“Certo che non sono solo ventotto. Le sacre sono le famiglie considerate veramente pure, ma esistono altre famiglie purosangue, che in passato si sono mischiate con sanguesporco o addirittura babbani e quindi non fanno parte dell'elité”. Qualcosa suggerì a Morgana che la famiglia Malfoy dovesse far parte delle sacre ventotto, ma non riuscì a esternare i suoi pensieri, perché il ragazzo ricominciò a parlare, “comunque, mezzosangue... come mai ti interessa tanto?”. Aveva calcato su quell'epiteto con cattiveria e quasi con disgusto. Si chiese, vagamente, se dovesse sentirsi insultata. Sapeva che sanguesporco era un insulto, ma quel termine non lo conosceva affatto.

“Mi interessa perché ho letto qualcosa su queste famiglie in un libro e sono curiosa”, si chiese se continuare, ma la curiosità ebbe il sopravvento, “perché mi hai chiamata mezzosangue?”.

“E' vero quello che si dice in giro?”.

“Non saprei. Si dicono tante cose. A cosa ti riferisci?”.

“E' vero che sei orfana?”. Vide un'ombra oscurarle il viso solo per qualche secondo.

“Sì. È vero. Non ho mai conosciuto i miei genitori e sono cresciuta in un orfanotrofio”.

“Ed è per questo che ti interessi tanto delle famiglie purosangue? Tranquilla, non sei una di noi”, lo disse quasi con cattiveria, “se anche fossi figlia di un membro di una famiglia purosangue, sicuramente uno dei tuoi genitori sarebbe un indegno babbano o per lo meno un sanguesporco. Altrimenti non saresti cresciuta in un orfanotrofio. Ma d'altronde, parli il serpentese, o almeno così si dice, ed hai un conto alla Gringott, quindi almeno uno dei tuoi genitori deve essere un mago”, a quelle parole a Morgana venne in mente la lettera di sua madre, la donna le aveva detto che entrambi i suoi genitori erano maghi, ma poteva non essere vero, “di conseguenza sei solo una piccola mezzosangue arrogante”.

Lasciò la ragazza sbigottita senza neanche salutarla. Quel ragazzino sapeva essere veramente perfido. Era perfetto come serpe, non vi erano dubbi.



 

+++
 

Non è mia abitudine lasciare commenti al termine delle mie storie, ma oggi volevo avvisarvi che ho pubblicato con un pò di anticipo perché non credo mi sarà possibile farlo nei prossimi giorni, probabilmente sino al 10 luglio.
Visto che ci sono, mi piacerebbe tanto sapere da chi legge e chi ha messo la storia fra le preferite, seguite e ricordate, se vi sta piacendo.
Buona lettura!

   
 
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