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Autore: tixit    01/07/2016    6 recensioni
Alcuni momenti assolutamente non mancanti dell'anime, tra Lady Oscar e le rose.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Oscar François de Jarjayes
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Regalo di Natale

Tutto del tragitto verso casa le parve simbolico.

All’andata - un altro tempo - aveva visto le anatre selvatiche puntare il loro muso nel vento, felici (le era parso) di volare, libere, senza una vera meta, eppure dentro una geometria definita, ognuna nel suo posto assegnato dentro lo stormo, come altre generazioni di oche, prima di loro, avevano fatto ogni anno.
Ora non c’era nemmeno una folaga di passaggio su quel cielo bianco, che molto in fretta sarebbe diventato viola e poi nero.
Le oche selvatiche dal passo ballonzolante, come quello dei bambini che imparano a camminare, erano tutte migrate - qualcuna sarebbe morta sul mare - e quelle domestiche, grassottelle e stordite, sarebbero presto finite in un forno, con ripieno di mele.

I contadini si stavano preparando a bruciare via l’anno vecchio - vide i cumuli di vecchie stoppie pronte per i falò.

Le dita intirizzite stringevano poco convinte le redini, mentre il passo di César crepitava ovattato sui sentieri innevati del borgo fuori la reggia.

A parte la strada per Parigi, tutto il resto era un intrico di stradine: c'era il sentiero grande e pieno di buche che portava al vecchio mulino di pietra, c'era quello stretto con le siepi alte che escludevano ogni altro orizzonte, per condurre le pecore al pascolo comune senza che alle bestie venisse voglia di sconfinare, pazze, in un campo, c'era quello largo per il carretto del mercanti che giravano, borgo per borgo, portando spille, pezze di stoffe, pettegolezzi e libri... tornare a Palazzo Jarjayes per la via più corta, significava passare dall’uno all’altro, tagliando per un campo o curvando dietro un focolare, una strada che aveva imparato da bambina assieme ad André.

A pancia in giù sul tappeto, in camera sua, avevano disegnato mappe, inventandosi mille avventure, dove la casa della vedova del vecchio Constantin diventava la Capanna della Strega dalla Bocca di Rana, e il mulino non era solo un mulino di pietra, ma un fortino da conquistare - sua sorella rideva e leggeva di un uomo con una lancia, di uno scudiero grassoccio, e di un mulino a vento e lei non capiva che ci trovasse di bello in qualcuno che guardava la realtà e vedeva tutt’altro.

André la seguiva in silenzio - si chiese se gli mancava sua nonna, se gli faceva piacere essere venuto con lei a Versailles, ma non a fare il soldato, solo il suo servitore, che nessuno poteva comandare tranne lei (dovevano solo provarci!), se lo sapeva che questo era solo un dettaglio, anche se lei, in fondo, lo aveva sempre comandato, fin da piccoli (le veniva naturale pensare di fare il capo, ogni volta) se quando disegnava con lei i sentieri intorno al paese e si inventavano un mondo tutto loro, senza damigelle da salvare, pensava già che un giorno li avrebbe percorsi un passo dietro di lei, adattandosi alla sua andatura.
Se lo chiese, rabbiosa, il respiro che le si condensava a filo di labbra, se tutto quello che André aveva sognato era davvero pulirle gli stivali incrostati e guardarle le spalle perché non facesse sciocchezze.

Si accorse di essere infuriata con lui perché non era diventato un pirata, un contrabbandiere, un capitano di ventura o un eroe, qualcuno che tutti ammiravano, uno che potesse camminare al suo fianco, come poteva un Girodelle qualunque, che non se lo meritava, se non per la nascita.
Avevano studiato ogni giorno tutti e due le stesse cose, mettendoci lo stesso impegno… e ora? tutto qua? davvero gli bastava? a lei non sarebbe bastato, infatti si era battuta con Girodelle, a suo tempo, e aveva vinto. Lo aveva voluto. Perdere sarebbe stato semplice: nessuno si sarebbe sorpreso. Lo aveva voluto, poche storie - se quel giorno avesse voluto un destino diverso avrebbe potuto barare.
Ma seppe che si sarebbe sentita ancora più persa se André lo avesse fatto davvero, andarsene a farsi una vita, e l’avesse mollata.

Doveva aggiungere anche lui alla lista di quelli che pagavano al suo posto? C’era da qualche parte una nave su cui non si sarebbe imbarcato, o una vigna che non avrebbe coltivato e di cui lei non avrebbe mai saputo proprio nulla di nulla?

Lui taceva - non stava ad un servo parlare per primo con il suo padrone: a Versailles, ramazzando lo sterco nelle stalle assieme agli altri come lui, lo aveva imparato.

Lei non riuscì a dirgli nessuna delle cose che avrebbe voluto sapere - mia sorella sta bene, verrà, le piaccio ancora come persona, c’era una strada, perché io non ho visto, se tu ci fossi stato quel giorno, io a te piaccio ancora, mi stimi, o mi vedi un po’ sciocca, pomposa, rigida, a tratti egoista, mi vuoi ancora bene, me ne vorrai anche se sto cambiando, me ne vorrai sempre, se ti invitassi a bere in una ginguette fuori porta, dove saremmo solo un soldato ed un amico, tu ci verresti, con me, solo noi, nessuno che presume che dovresti tacere, o è già troppo tardi pure per questo… sarebbe solo l’ennesimo obbligo...
Ma non chiese nulla.

Passare il cancello di Palazzo Jarjayes, fu un sollievo. Smontarono, sentendo le gambe contratte.

André prese i cavalli e li portò nella stalla per una bella strigliata - il sudore, con quel freddo, non gli avrebbe fatto bene. E dopo sarebbe passato in cucina a lavarsi.

Oscar entrò nel Salone dove la salutarono tutti - era tornata, si era fatta più alta, il viso più tondo. Suo padre le mise una mano sulla spalla ammirando il soldato - se la portò di lato, per versarle da bere qualcosa di forte, ci voleva col freddo, ci voleva qualcosa da bere da veri uomini, che ti incendiasse le vene, voleva tenergli compagnia per un brindisi?
Lo chiese solo a lei, escludendo naturalmente sua moglie e le altre, le “figlie”. Faceva sempre così - le donne non bevono, al limite sorseggiano durante il pasto, vino bianco e leggero - Oscar ne era sempre stata orgogliosa e lo fu anche stavolta: questo, per lo meno non era cambiato, lei era il “figlio”.
Con suo padre non doveva pretendere affetto, pensò finalmente rilassata, non doveva rimuginarci sopra in silenzio sperando in un gesto qualunque che glielo confermasse: suo padre l’amava, l’amava senza riserve, anche in quella sua forma che ai suoi compagni d’arme, non le era sfuggito in quei mesi, generava un sottile imbarazzo.
Le sfuggì - o non volle pensarlo - che l’amava in quella forma che era poi quella che lui aveva scelto per lei dal giorno in cui lei era nata.

Sua madre la guardò preoccupata, osservando gli zigomi, valutandone il peso, il passo e la postura delle spalle.

Oscar la osservò a sua volta: le prime rughette attorno a quegli occhi, così simili ai suoi, l’oro dei capelli ancora brillante sotto le candele - si somigliavano molto, ma non se ne era mai accorta.
Distratta, pensò che non aveva mai immaginato, nemmeno quando era proprio piccola, che in lei ci potesse essere qualcosa di Madame Marguerite.

Poi se ne andò con suo padre, nello studio, per ammirare un nuovo fucile e raccontare di come erano ora gli alloggi, il suo capo, la vita di tutti i giorni per una Guardia del Re.


Il Natale fu orribile. La notte della Vigilia dormì come un sasso, saltando la Messa - André di sicuro ci era andato - non più abituata a quel letto, così grande e morbido, e a tutto quel caldo nella sua stanza.
Sua sorella, ci aveva sperato così tanto, non venne.
La aspettò tutto il giorno, mentre passeggiava con suo padre e ammirava i nuovi affreschi dello scalone d’onore - dei trompe-l’oeil, l’artista uno scenografo assai promettente, aveva pensato ai disegni, ma per la realizzazione finale era stato chiamato un pittore di affreschi, un italiano che di solito lavorava per un Cardinale. Sembrava che lungo la scala ci fossero balconi e finestre aperte su una eterna primavera che avrebbe dovuto scaldarle il gelo entratole, le parve, proprio sotto la pelle.

Fece i complimenti a Joséphine per il suo vestito e per l’anello donatole dal suo fidanzato - disegnato e realizzato dal gioielliere del Re, con i brillanti con quel nuovo taglio che catturava la luce, nemmeno la Delfina, e si che pure lei, si diceva, adorava i diamanti!

Non chiese. E nessuno le disse.

Solo sua madre, le parve, guardava di nascosto una miniatura, pensosa, ma, quando le si avvicinò, fu rapida a rimetterla in tasca e ad abbozzare un sorriso: “Ti serve qualcosa, tesoro?”

La cena fu lunga.
Razionalmente si disse che il Natale è il giorno in cui ci si riunisce nella casa di un uomo che è riconosciuto come capo della famiglia e con lui si festeggia.
Suo padre era un Conte, il marito di sua sorella un Duca, l’etichetta spiegava garbatamente una assenza che a tutti sembrava scontata.
A tutti tranne che a lei e a Madame Marguerite - si somigliavano, quindi, era vero, da qualche parte, sotto il soldato e la bambina sbruffona, c’era forse anche un pezzettino della donna che era sua madre? Una debole, forse?

Joséphine le consegnò il suo regalo di compleanno da parte di sua sorella - s’era quasi dimenticata, che distratta! - e Oscar alzò un sopracciglio, e così quelle due si vedevano? E nemmeno le sfiorava l’idea di passare a trovarla?

Il regalo era bello, ma talmente anonimo da sembrare un insulto. Sua madre scosse impercettibilmente la testa, ma nessuno lo colse. Tranne Oscar - stava diventando brava a catturare i dettagli, decise, anche se ancora c’era così tanto che le sfuggiva.

Si domandò se Joséphine fosse stata accolta come amica, sorella o solo come una carceriera. Non chiese.

Il discorso imperante fu sulla Delfina e Madame Du Barry: la prima si ostinava a ignorare la seconda, che, per etichetta non poteva rivolgerle la parola per prima.
Il re era irritato, in fondo si sentiva giudicato da una ragazzina su cose che non la riguardavano e di cui, a voler ben vedere, in fondo non sapeva proprio nulla… avesse saputo qualcosa, il suo matrimonio sarebbe stato già consumato, e il suo ventre pieno come si conveniva. Ma il lenzuolo, accuratamente osservato ogni mattina, raccontava altre cose: solo gran belle ronfate.
Le figlie zitelle del Re intessevano discordia col filo di vecchi rancori.

E lei? Beh lei non amava il suo ruolo di protettrice di una ragazzina viziata. Possibile che non sapesse sforzarsi di fare ciò che tutti si aspettavano da lei? Era così complicato? Salutare l’amante del Re e passare oltre? E avere un bambino?

Si ritirò presto ed uscì a salutare il cavallo.

“Vuoi venire?” la voce di André, nel buio della stalla, la colpì a tradimento. L’aveva seguita? O era rimasto lì dentro tutto il tempo?

“Dove?” chiese, registrando con piacere che non le dava del Voi e che le parlava per primo. César le leccò il palmo della mani, in un gesto d’affetto, la lingua calda a scioglierle il cuore, un nitrito leggero. Delicata gli accarezzò il muso.

“C’è una festa non molto lontano, scavalliamo?”

Scavallare, bel verbo... tutto di loro invenzione. Da piccoli voleva dire imbucarsi alle feste dei loro vicini non proprio vicini; il divertimento era legare i cavalli nell’ombra, scavalcare qualche muro, come cavalieri che prendono un castello di sorpresa, mescolarsi tra gli invitati, rubare un bicchiere, un biscotto e filarsela via.

Stava per dirgli che ormai erano grandi e che era una idea proprio scema.

Lui la guardò speranzoso "Ti farà bene, vedrai... domani rientriamo a Versailles..." la stava pregando.
Lei annuì - era Natale e questo era il suo regalo ad André, uno scampolo della loro infanzia, forse l'ultima delle loro avventure. Peccato lui si fosse scordato del suo compleanno - o forse era chiedere troppo.

Cavalcò dietro di lui, sdraiata su César, apprezzando il freddo che la schiaffeggiava. Il gelo era dentro ed era fuori.


Mentre bisbigliavano nel giardino innevato, illuminato da mille candele in bocce di vetro, come lucciole troppo golose, improvvisamente la vide: da sola, lontano dalla festa, stava osservando una statua, pensierosa, avvolta in un mantello bordato di pelo di volpe.

Oscar si voltò, ma Andrè era sparito. Andato a cercare da bere, probabilmente, un classico - c’era musica poco lontano.

Sua sorella le venne incontro, e la abbracciò. Non sembrava sorpresa. Si vergognò così tanto di restare rigida tra le sue braccia, ma lei non ci fece caso.

“Sei proprio bella...” sua sorella la guardava ammirata, sfiorandole il viso.

“Anche tu…” mormorò Oscar, guardando gli zigomi un po’ troppo affilati e quegli occhi un po’ troppo grandi, maledicendo la mancanza di luce che le nascondeva i colori. Capì perché sua madre che non chiedeva mai, si limitava frugare con gli occhi. Una debole.

“Come stai?” glielo chiese. Di colpo comprese perché sua madre non chiedeva. Mai.
Sapeva che le avresti raccontato una balla.

“E’ un po’ come mangiare una torta che si è bruciacchiata: devi fare attenzione a dove affondi i denti, cercare con cura, ma un boccone gradevole lo si trova,“ disse pratica, la donnina davanti ai suoi occhi “mi sto sforzando sul serio, a fare la moglie.”


Oscar pensò alla Delfina con rabbia. L’Austriaca… si stava sforzando?
Poi chiuse gli occhi, sentendosi tanto meschina… anche la donna che lei proteggeva di malavoglia, sentendosi sprecata (aveva fatto un duello per quello?), era solo un ostaggio, uno scambio tra due famiglie per un benessere allargato.
Fece una veloce preghiera - una protezione per una protezione, una vita per una vita… l’avrebbe protetta come fosse stata… non l’avrebbe mai più giudicata. Salutasse o non salutasse chi diavolo mai le pareva.
   
 
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