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Autore: sarahemmo__15    08/07/2016    0 recensioni
Vengo da un piccolo paesino. Sono stata costretta a trasferirmi in una grande città perchè mio padre aveva ricevuto una grossa promozione. Nel mio vecchio paese non avevamo pregiudizi. Semplicemente avevamo capito che ognuno è un essere a se e che, a questo mondo, siamo tutti diversi e che questo è un bene e perciò bisogna rispettare l'individualità altrui. Per questo motivo noi non ci avvelenavamo l’anima cercando di far cambiare le persone che ci circondavano e, soprattutto, non l’avvelenavamo agli altri.
Sono rimasta colpita nel vedere di come il pettegolezzo e il pregiudizio esistessero così pesantemente nella mia nuova casa e di come, allo stesso modo di un tarlo, rosicchiassero ogni pezzettino di anima e di individualità di quelle povere persone che vi abitavano.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Piacere, Fey.



Entrai nella mia nuova scuola e venni some sommersa dall’eccessiva perfezione di quell’immensa scuola.
Tutti i muri erano color panna ed immacolati, al piano terra vi era un piccolo bar con un bancone color legno e degli sgabelli alti. Servivano cornetti, ciambelle, cappuccini e caffè. Andai alla segreteria per chiedere a che piano fosse la mia sezione. Mi rispose una signora un poco bassa con i capelli corti sul rosso.
La mia classe era al piano 3, stanza 9. Per i corridoi vi erano molti ragazzi con la divisa: i ragazzi indossavano jeans blu e una camicia bianca mentre le ragazze portavano la medesima camicia dei ragazzi e una gonnellina anch’essa blu, inoltre, tenevano i capelli racchiusi in un morbido chignon. Io ero l’unica ad indossare dei jeans neri con gli strappi e una maglietta dei Nirvana e lasciavo i lunghi capelli castani e ricci cadere sulle spalle.
“Che diavolo ci faccio qui?” Pensavo mentre raggiungevo la mia classe e, basandomi sugli sguardi perplessi degli altri ragazzi, se lo chiedevano anche loro.
Arrivai davanti alla mia classe. Il numero dell’aula era attaccato al muro alla destra della porta ed era color oro. La porta era bianca. La aprii ed entrai in classe. Il professore non era ancora arrivato ma già vi erano alcuni studenti. Le pareti dell’aula erano anche loro panna. I banchi erano bianchi e senza neanche una scritta sopra, erano perfettamente dritti e rivolti verso la cattedra. Dietro quest’ultima vi era una LIM e accanto ad essa la classica lavagna nera a gesso.
Andai a sedermi su un banco aspettando l’arrivo del professore. Gli altri alunni conversavano tra di loro divisi in due gruppi: uno dei ragazzi e uno delle ragazze.
Le ragazze mi guardavano con aria di superiorità mentre parlavano tra di loro. Riuscii a sentire alcune frasi che commentavano il mio abbigliamento ma non gli diedi troppo peso.
Dopo qualche minuto entrò in classe il professore e tutti andarono ai loro posti.  
La prima ora avevamo latino: non la mia materia preferita. Il professore era un ometto sul metro e sessanta/ sessantacinque, aveva i capelli grigi e un po’ di barbetta sul mento. Portava gli occhiali, una camicia bianca, giacca grigia e cravatta blu. I pantaloni erano neri così come le sue scarpe.
Si sedette alla cattedra e cominciò a smanettare col registro. Dopo qualche minuto mi presentò alla classe dopodiché cominciò la sua lezione. Stava spiegando le Satire di Orazio. Era un argomento che, fortunatamente, avevamo cominciato a trattare anche alla mia vecchia scuola, all’inizio dell’anno, prima che dovessi andarmene, e che ,naturalmente, mi annoiava a morte.  Il suono della campanella mi salvò da quella noiosa lezione.
“Bene ragazzi, come al solito noi ci vediamo Mercoledì, mi raccomando studiate: vi interrogherò su quanto spiegato oggi.” Il prof stava per uscire dalla classe quando si girò e mi fece segno di seguirlo.
Una volta usciti dal corridoio mi prese da parte.
“Signorina Sue, forse non è stata avvertita dai collaboratori ma, in questa scuola, vi è l’obbligo dell’uniforme. Non può venire vestita in questo modo. Ora se è così gentile da seguirmi la porto un secondo in segreteria, sono convinto che la signora Mina, collaboratrice scolastica, sarà più che lieta di trovarle un vestito adeguato all’ambiente scolastico.” Detto questo mi condusse dalla signora Mina, la stessa che mi aveva indicato il piano della mia classe e che mi diede una divisa della mia misura. Andai in bagno e la indossai. Era terribilmente scomoda. Detestavo quella gonnellina blu. Per non parlare della camicia che era a maniche lunghe e mi faceva un terribile caldo.
Dopo un ora di lezione, durante la quale avevamo fatto arte, suonò la campana che indicava l’inizio dell’intervallo. Uscii in corridoio con il mio pezzo di pizza bianca che consumai in poco tempo. Quella mattina non avevo fatto in tempo a fare colazione e avevo una fame da lupi.
Le ragazze della mia classe continuavano a guardarmi e a ciarlare tra di loro come vecchie galline. La cosa che mi dava più fastidio era la loro vigliaccheria. Se hai un problema con qualcuno, secondo me, devi parlarne con quel qualcuno e non con le tue amiche galline. Ma io che ne potevo sapere che quello era un modo per loro di farsi più “belle” agli occhi delle loro amiche? In fondo, nel mio paese, il pettegolezzo ti faceva perdere amicizie e non guadagnarle.
“Non fare caso a quelle” Disse una voce femminile da dietro di me.
Mi girai e vidi una ragazza un poco più bassa di me, con i lunghi capelli biondi raccolti nel solito chignon. Aveva gli occhi profondi e di un marrone acceso che era messo in risalto da un filo di trucco che quasi non si notava. Mi sorrise e mi porse la mano morbida e affusolata.
“Piacere io sono Fey. Sono del IX B” Mi disse senza mai smettere di sorridere.
“Io mi chiamo Sue, sono nuova. Sono del IX D” Le dissi stringendole la mano e sorridendole a mia volta.
“Quelle ragazze sono ridicole” Mi disse facendo un piccolo gesto con la testa ad indicare il gruppetto di galline della mia classe. “Passano tutto il giorno a parlare male degli altri, credono di essere fighe.”
La campana suonò di nuovo segnando la fine della ricreazione.
“Ora devo tornare in classe. Dopo scuola io vado al bar di fronte scuola con un paio di amici. Se vuoi sei la benvenuta.” Mi disse prima di tornarsene in classe. Prima di entrare si voltò e mi salutò con la mano. La salutai a mia volta e andai in classe.
   
 
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