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Autore: effe_95    16/07/2016    4 recensioni
Questa è la storia di diciannove ragazzi, i ragazzi della 5 A.
Questa è la storia di diciannove ragazzi e del loro ultimo anno di liceo, del loro affacciarsi a quello che verrà dopo, alla vita. Questa è la storia di Ivan con i suoi tatuaggi , è la storia di Giasone con le sue stelle da contare, è la storia di Italia con se stessa da trovare. E' la storia di Catena e dei fantasmi da affrontare, è la storia di Oscar con mani invisibili da afferrare. E' la storia di Fiorenza e della sua verità, è la storia di Telemaco alla ricerca di un perché, è la storia di Igor e dei suoi silenzi, è la storia di Cristiano e della sua violenza. E' la storia di Zoe, la storia di Zosimo e della sua magia, è la storia di Enea e della sua Roma da costruire. E' la storia di Sonia con la sua indifferenza, è la storia di Romeo, che non ama Giulietta. E' la storia di Aleksej, che non è perfetto, la storia di Miki che non sa ancora vedere, è la storia di Gabriele, la storia di Lisandro, è la storia di Beatrice che deve ancora imparare a conoscersi.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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I ragazzi della 5 A
 
43. Fiera di te, Mi dispiace e Con calma.

Febbraio

Cristiano lasciò andare l’evidenziatore solamente quando le parole presero a vorticare freneticamente sul foglio. Non sapeva con precisione da quante ore stesse sul quel libro di letteratura greca, ma Teocrito non voleva entrargli in testa in alcun modo.
Appoggiò con spossatezza la schiena sullo schienale della sedia, allungò le gambe sotto la scrivania e stiracchiò le braccia dietro la testa lasciandosi andare ad uno sbadiglio rumoroso.
Con gli occhi leggermente appannati dalle lacrime del sonno, spostò distrattamene lo sguardo sull’orologio digitale sistemato nell’angolo dell’ingombra scrivania e si accorse che erano ormai le otto passate.
Chiuse con malagrazia il libro di greco, ripromettendosi di riprenderlo in mano più tardi, e scostò distrattamente la tenda per osservare il panorama imbiancato e silenzioso della strada sottostante.
Il vetro era leggermente appannato a causa della condensa e i lampioni apparivano come tante macchie sfocate di luce attraverso le goccioline d’acqua che precipitavano con una sequenza sorprendente, Cristiano appoggiò timidamente le dita sul vetro e si bagnò i polpastrelli, quando ritrasse la mano le impronte delle sue dita erano ben visibili.
<< Signorino, è pronta la cena >>
La voce lontana di Marta lo fece sobbalzare strappandolo dai pensieri affollati che gli riempivano senza tregua la mente, si allontanò leggermente dalla scrivania dandosi una piccola spinta con le mani, infilò le pantofole e si tirò in piedi aggiustando svogliatamente il pantalone largo del pigiama sceso pericolosamente oltre il bordo delle mutande.
Quando lasciò la sua stanza trovò il corridoio completamente immerso nel buio, se non fosse stato per il fascio di luce che usciva dalla porta semichiusa della cucina, Cristiano avrebbe facilmente creduto di essere solo.
Sospirò pesantemente e si incamminò con passo lento, non era una novità cenare da solo, in realtà non faceva altro che stare da solo da quando aveva l’età di sette anni, ma almeno un tempo, quando aveva finito di cenare, poteva andare distrattamente in salotto ed osservare sua madre profondamente addormentata sul quel divano che non era riuscito a salvare.
Suo padre l’aveva fatto buttare subito dopo che lui ne era uscito fuori.
Un giorno era tornato da scuola e aveva trovato l’intera stanza completamente cambiata, le tende, la posizione della parete attrezzata, dei divani nuovi fiammeggianti, del tappeto e del lungo tavolo antico. Cristiano aveva provato una rabbia insolita, una rabbia che aveva sostituito senza troppa remore quell’apatia persistente che lo aveva sempre protetto quando si trattava di avere a che fare con suo padre.
Cristiano non aveva mai gridato così tanto come quella sera, quando Emanuele Serra era rientrato a casa si era ritrovato un figlio infuriato nell’ufficio, avevano gridato talmente tanto che il giorno dopo entrambi non avevano più voce.
A Cristiano non era importato molto sentirsi dire di essere tale e quale a sua madre, che avrebbe fatto la sua stessa fine, di essere un fallito e un peso inutile.
Tutte quelle cose le aveva già sentite moltissime volte, e non gli dava più peso.
Era diventato così bravo a non provare più nulla.
Piuttosto, era stato Emanuele a restare senza parole alla fine, non aveva mai sentito tutte quelle cose che Cristiano gli aveva riversato addosso come veleno e non l’aveva mai visto arrabbiato, in effetti, non l’aveva visto e ascoltato mai.
Non si parlavano da quel giorno e facevano il possibile per non incrociarsi nemmeno.
In realtà era da tre giorni che suo padre dormiva fuori casa dalla sua amante.
Cristiano scosse freneticamente la testa quando raggiunse la cucina, non voleva in nessun modo che i suoi pensieri uscissero fuori, non voleva che Marta capisse cosa gli passasse per la testa in quel momento.
La donna gli dava le spalle, indossava un grembiule blu sopra la solita divisa in bianco e nero, i capelli scuri legati sempre in uno chignon erano impeccabili come al solito.
Trafficava frettolosamente con padelle, pentole e mestoli.
Cristiano non ricordava con precisione quando Marta fosse arrivata a casa, non aveva memorie del suo arrivo, per lui c’era sempre stata, una donna piccola e taciturna che occupava la stanza della servitù e viveva con loro.
Era una cameriera, doveva obbedire ai suoi ordini e chiamarlo signorino.
Gli avevano insegnato che le cose funzionavano così con lei.
Cristiano non la pensava più in quel modo da parecchio tempo ormai.
<< Cos’hai cucinato Marta? >>
La donna sobbalzò esageratamente quando Cristiano decise di palesare la sua presenza, il mestolo che stringeva tra le mani traballò leggermente e del sugo cadde sul tappeto.
Cristiano finse di non accorgersene e si diresse con passo lento e strascicato verso l’enorme tavolo di vetro apparecchiato per una sola persona.
Aveva sempre detestato quella cucina immensa e asettica, elettrodomestici di ultima generazione, mobili moderni … Cristiano detestava quella cucina perché sembrava priva di vita, sembrava che nessuno ci avesse mai mangiato.
<< Signorino io … io non l’avevo vista >>
Balbettò con aria imbarazzata Marta affrettandosi a ripulire il tappeto macchiato, Cristiano la osservò con occhi illeggibili, un gomito sul tavolo e una mano chiusa a pugno poggiata sulla guancia rasata di fresco quella mattina.
<< Marta … quando sei arrivata a casa? Non me lo ricordo >>
La donna sollevò lo sguardo sorpresa quando sentì quella domanda, osservò l’espressione apatica di Cristiano per alcuni secondi, poi gli diede le spalle e si affrettò a sciacquare lo straccio che aveva utilizzato per pulire il tappeto.
<< Non potete ricordarlo signorino, non eravate ancora nato >>
<< Davvero? >>
Quando gli lanciò un’altra occhiata veloce, Marta si accorse che Cristiano aveva incrociato le braccia sul tavolo davanti al piatto vuoto e la scrutava con uno strano interesse sul viso.
<< Si. Non so se conoscete questa storia, ma prima di avere voi … vostra madre ha avuto due aborti spontanei >> Cristiano aggrottò le sopracciglia e osservò attentamente Marta che afferrava un piatto dalla credenza mettendosi sulla punta dei piedi << Voi siete stato un vero dono per lei, un miracolo insperato per i signori. Il medico aveva detto che probabilmente non avrebbero potuto avere figli … e invece siete arrivato voi >> Cristiano continuava a tacere perché quella storia non l’aveva mai sentita, Marta gli stava riempiendo il piatto abbondantemente di qualcosa che nemmeno sapeva cosa fosse  << In quel periodo io avevo appena perso mia madre e stavo cercando un impiego. Non avevo famiglia e lei era l’ultimo parente che mi era rimasto … è stato allora che ho conosciuto vostro padre.
Mi ha offerto un posto fisso qui per assistere vostra madre durante la gravidanza.
Non avevo nulla da perdere e ho accettato >> La donna si girò reggendo tra le mani un piatto stracolmo e gli sorrise << Vi ho visto nascere signorino >>.
E gli mise la sua cena davanti, Cristiano osservò il cibo per alcuni istanti e poi sussultò leggermente sorpreso, Marta gli aveva preparato l’amatriciana, il suo piatto preferito.
<< Era da un po’ che non ve lo preparavo. Ho pensato vi facesse piacere >>
Commentò frettolosamente la donna gesticolando eccessivamente, Cristiano la fissò per un istante, i loro sguardi si incrociarono e lui si lasciò andare ad un sorriso sincero.
<< Mi fa molto piacere Marta >>
Aveva appena preso la forchetta per avvicinarla al piatto, quando Marta spostò la sedia e si mise seduta proprio davanti a lui osservandolo sorridente.
Cristiano era sempre stato abituato anche a quello, facevano in quel modo tutte le sere fin da quando era bambino, Marta cenava sempre da sola parecchie ore più tardi, dopo aver servito tutti ed essersi occupata della casa.
Cristiano quella sera lo trovava particolarmente fastidioso e sbagliato, non riusciva a mangiare dopo averci pensato.
<< Marta … >> La donna sollevò lentamente lo sguardo e sorrise incoraggiante, Cristiano esitò per un secondo, poi lasciò andare la forchetta nel piatto e si tirò improvvisamente in piedi slanciandosi verso la credenza, Marta era talmente sorpresa che non trovò le parole.
Si limitò ad osservarlo con la bocca leggermente spalancata mentre afferrava le posate, un bicchiere, un tovagliolino puliti, un piatto pieno di pasta e glieli sistemava davanti.
<< Mangia con me per favore, tutte le sere >> Replicò Cristiano rimettendosi seduto, non riusciva a guardare la donna negli occhi, ma sapeva di avere il suo sguardo sorpreso su di se.
<< Signorino, ma vostro padre … >>
<< Non me ne frega niente di cosa dice mio padre! >>
La replica di Cristiano fu talmente immediata che Marta ammutolì immediatamente.
<< Non … non mi va di mangiare da solo >> Si affrettò a continuare il ragazzo grattandosi leggermente la fronte con imbarazzo << E poi … chiamami Cristiano, va bene? >>
Quando sollevò lo sguardo Cristiano si rese conto che probabilmente quello era troppo per Marta, aveva le lacrime agli occhi e cercava di asciugarle con le dita.
<< Oh signorino, questo non posso prometterlo >>
Cristiano sorrise leggermente e lo fece anche Marta, si guardarono per alcuni secondi e poi presero a mangiare in silenzio per i primi minuti, silenzio che venne interrotto inizialmente con imbarazzo quando la donna gli domandò come andassero le cose a scuola.
A Cristiano bastò rispondere perché l’imbarazzo scemasse e tutta la cena fosse accompagnata dal loro chiacchiericcio continuo.
Cristiano non ricordava di essersi mai sentito così bene dopo una cena.
<< Sai Marta … sei più o meno l’unico motivo per cui ho voglia di tornare a casa la sera >>
Quel pensiero Cristiano non riuscì proprio a controllarlo, gli uscì spontaneo, senza freni.
Era stato sincero poche volte nella sua vita, era stato poco sincero prima di tutto con se stesso, aveva soffocato ogni tipo di sentimento perché gli era stato insegnato che amare o voler bene significava essere deboli, significava avere un punto debole.
Cristiano stava cominciando ad imparare che amare, o essere sincero, erano due cose che gli uscivano piuttosto semplici, più semplici di quanto avesse mai immaginato possibile.
Amare era più o meno come respirare, come gridare finalmente tutta la verità, buttarla fuori senza pensarci, senza ripensamenti, era come sbattere ripetutamente le ginocchia sul terreno duro, ferirsi le mani sull’asfalto consumato dal sole … amare era come il sorriso di Sonia alle otto del mattino di una giornata nuvolosa, prima di una noiosa lezione di matematica, amare erano i suoi capelli crespi tra le dita e gli incontri proibiti in palestra.
Cristiano si rese conto solo in quel momento di quanto avesse amato quando aveva quindici anni, era stato un amore che non aveva mai capito, un amore che non aveva mai davvero sentito, e che l’aveva colpito senza remore nel principio dei suoi diciotto anni.
Lasciò scivolare completamente le braccia fino ai gomiti nell’acqua sporca dei piatti, che aveva deciso di lavare a tutti i costi bagnandosi la maglietta del pigiama, e spalancò leggermente le labbra trattenendo il respiro come se qualcuno l’avesse colpito sul petto.
Quella consapevolezza, la consapevolezza che qualcuno l’avesse amato nonostante tutto il marcio che c’era in lui, fu come la carezza di sua madre prima di andare a dormire quando era bambino, fu come aver ricevuto un bacio sul cuore.
Cristiano sobbalzò leggermente quando una mano piccola e calda gli accarezzò una guancia asciugandogli quella lacrima solitaria scesa senza permesso.
<< Signorino … Cristiano voi … tu sei sempre stato come un figlio per me >>
<< E cosa ci hai visto in me, se non cattiveria e veleno? Perché avresti dovuto … >>
Le mani di Cristiano premevano inevitabilmente sul fondo sporco del lavello, tra piatti e bicchieri, altre lacrime scendevano dagli occhi arrossati.
<< Perché ho sempre pensato che tu … che quel bambino dai grandi occhi da cerbiatto che osservava tutto con entusiasmo, che correva la notte nel mio letto quando i genitori gridavano … ho sempre pensato che quel bambino avrei potuto salvarlo >>
Cristiano chiuse gli occhi e si lasciò andare ad un singhiozzo lamentoso da bambino, Marta gli sfilò delicatamente le braccia dall’acqua, gliele asciugò in uno strofinaccio e poi lo strinse in un abbraccio affettuoso, proprio come se stesse stringendo quel bambino di cui aveva parlato pochi istanti prima.
Cristiano ricordava di non aver mai avuto un abbraccio così materno.
<< E ho pensato bene. Sono proprio fiera di te >>
<< Ma … >>
<< E non è mai troppo tardi per aggiustare le cose. Non è mai troppo tardi, se nemmeno ci hai provato … bambino mio >>
Cristiano ispirò profondamente, strinse forte le braccia attorno all’esile figura di Marta e chiuse ancora una volta gli occhi.
Vide riflessi blu in un mare di nero, sentì il suono di una risata cristallina …
Vide due occhi verdi e luminosi.
 
<< Sei un incosciente! Cosa ti abbiamo insegnato io e tuo padre?! A volte penso davvero di essere stata troppo indulgente con te. Ti ho sempre perdonato tutto, la bocciatura, il caratteraccio … ma questo proprio no! Questo proprio non posso! Non posso perdonarti di aver rischiato di morire in quel modo! Non ti permetterò più di mettere piede su quella macchina nemmeno se … >>
<< Lara, adesso piantala! >>
Gabriele non aveva idea se fosse rimasto più stordito dall’invettiva di sua madre o dal grido esagerato e categorico di suo padre, poi ci pensò un po’ su e si rese conto che probabilmente lo stordimento era dato dall’anestesia recente.
Gli girava la testa, aveva un dolore insopportabile al braccio destro e un fastidio pungente alla coscia sinistra, ma tutto ciò non sembrava impressionare sua madre nemmeno un po’.
Da quando aveva aperto gli occhi, nauseato e con la vista appannata, Lara non aveva fatto altro che urlargli contro con le lacrime agli occhi, Gabriele aveva prestato ascolto solo a metà del discorso, perché era troppo concentrato a cercare di nuovo la sensibilità del corpo.
Aveva capito che quelle grida non erano nient’altro che la dimostrazione d’amore di sua madre, ma Gabriele lo trovava piuttosto fastidioso quando la testa gli sbatteva in quel modo.
<< Non lo vedi che non riesce nemmeno a tirare la lingua fuori dalla bocca?! >>
Gabriele aggrottò leggermente le sopracciglia e cercò di articolare alcune parole, poi si accorse di non riuscirci, sollevò leggermente il braccio sinistro e afferrò con le punte insensibili delle dita il bordo della maglietta di suo padre, tirandola.
Nicola e Lara si girarono contemporaneamente verso di lui, Gabriele li vide bene in faccia per la prima volta da quando aveva ripreso conoscenza, sua madre aveva gli occhi gonfi di pianto, suo padre sembrava provato e aveva il viso pallido e teso.
Era messo davvero male?
Non ricordava assolutamente nulla dell’incidente, l’ultima cosa che aveva visto era stato il viso pieno di terrore di Catena, ricordava di aver pensato a Katerina sono per un momento.
<< Gabriele, Gabriele, cosa c’è che non va? Ti fa male il braccio? >>
Sua madre si chinò immediatamente su di lui dimenticando di avergli urlato contro solamente pochi istanti prima, Gabriele aprì la bocca per articolare qualche parola ma ancora una volta non ci riuscì, era come se i comandi non arrivassero correttamente.
<< Nicola, perché non parla? Hanno detto che non ha avuto danni alla testa … >>
<< È l’anestesia Lara, l’hanno dovuto operare al braccio è normale che … >>
Gabriele si estraniò completamente alla conversazione, sentiva la testa sempre più pesante, come un palloncino che si gonfiava incessantemente, aveva paura che prima o poi sarebbe scoppiata. Aveva fatto proprio un bel casino, aveva proprio superato se stesso.
La consapevolezza del pericolo che aveva corso lo investì in pieno petto, sentì il respiro accelerare freneticamente e le lacrime salire agli angoli degli occhi.
Aveva rischiato di morire.
Aveva rischiato di morire senza salutare nessuno …
Senza che Katerina potesse mai sapere la verità, senza che Aleksej potesse perdonarlo …
Gabriele aveva sempre saputo di essere uno stupido, ma credeva fermamente di aver superato se stesso, non poteva toccare il fondo più di quanto non stesse facendo.
Non era mai stato un buon figlio, né un buon amico, e con Katerina aveva dimostrato di non essere nemmeno in grado di fare il fidanzato …
<< Gabriele! Perché piangi? >>
Mi dispiace mamma, mi dispiace …
Gabriele avrebbe voluto gridare quelle parole con tutto il fiato che aveva in gola, ma non ci riusciva, era stanco e voleva dormire, voleva solo chiudere gli occhi bagnati di lacrime.
<< Nicola! Oddio Nicola perché piange?! >>
Mi dispiace papà, mi dispiace davvero …
Gabriele vide suo padre afferrare sua madre per le braccia e scuoterla leggermente, lo vide voltarsi verso di lui e passargli una mano sulla fronte come faceva quando era piccolo e aveva la febbre, lo vide domandargli qualcosa che Gabriele non riusciva a capire.
Mi dispiace veramente per tutto …
 
Quando riprese nuovamente conoscenza Gabriele si rese conto di riuscire a muovere perfettamente tutti gli arti del corpo, compresa la lingua, anche se la sentiva impastata e un  sapore cattivo non faceva altro che provocargli fastidio allo stomaco.
Sbatté ripetutamente le palpebre, giusto per focalizzare meglio tutti quegli occhi che lo fissavano dall’altro lato della stanza. Vide i suoi genitori e sua sorella alla destra del suo letto, alla sinistra c’era sua nonna paterna, Luna, con la divisa da medico che controllava meticolosamente la sua cartella clinica, vicino la finestra invece c’erano sua zia Claudia e suo zio Yulian insieme ad Ivan e Aleksej, i figli più grandi.
E per ultimi, infondo alla stanza, c’erano Francesco e Iliana.
Gabriele prestò poca attenzione a Jurij, ma il suo sguardo non poté fare a meno di soffermarsi sulla figura minuta, rannicchiata e sofferente di Katerina, che lo guardava con gli occhi spalancati come se fosse un fantasma.
Gabriele scostò immediatamente lo sguardo, le aveva fatto talmente male con quell’ultima stupidaggine, che non meritava nemmeno di poterla guardare.
<< Nonna, ha aperto gli occhi! >> Alessandra gridò ad alta voce quello che gli altri già avevano notato, ma nessuno replicò nulla, nella stanza regnava un silenzio piuttosto surreale per una famiglia chiassosa come la loro.
<< Ho visto, allora … >> Gabriele vide sua nonna chinarsi su di lui con il solito sorriso dolce sulle labbra sottili, i capelli striati di bianco erano raccolti in una coda ordinata, aveva tante rughe attorno alla bocca e agli angoli degli occhi, e alcune parti del viso portavano le macchie dell’età << … tira fuori la lingua Gabriele, fammi vedere un po’ come fai uhm? >>
Il tono di sua nonna era gentile, mesto, lo stesso tono che usava quando era bambino e gli chiedeva qualcosa, quando gli cantava la ninna nanna o gli proponeva di mangiare una fetta delle sue torte inventate. Mentre eseguiva il comando senza difficoltà, Gabriele notò che sua nonna profumava di lavanda e che aveva anche lei gli occhi rossi.
<< Mi fa male il braccio … >>
La voce gli uscì come un gracidio, ma provò un sollievo evidente quando riuscì a tramutare i pensieri in parole, avrebbe volto gridare fino a farsi bruciare la gola.
<< Ha parlato! >> Il commento di sua madre suonò a vuoto nella stanza.
<< Certo che ti fa male il braccio! >> Intervenne bruscamente Aleksej, spingendo da parte il fratello Ivan e avanzando verso il letto senza remore, Gabriele vide lo scarso tentativo di sua zia Claudia di trattenerlo, ma Aleksej procedette come se lei non lo avesse nemmeno sfiorato << Ti hanno dovuto operare e hai tredici punti di sutura se proprio vuoi saperlo! >>
Aleksej aveva gli occhi gonfi e stravolti, i capelli scombinati e i vestiti stropicciati.
<< Ah, ti sei anche ferito la gamba e ben ti sta! Così impari a … >>
<< Aleksej! >>
<< Mi dispiace >>
Il rimprovero tuonante di zio Yulian venne immediatamente stroncato dalle parole di Gabriele, nella stanza tutti si girarono a guardarlo, ma lui aveva gli occhi stanchi fissi in quelli del cugino più piccolo, del suo migliore amico.
Gabriele avrebbe voluto che Aleksej capisse quanto altro c’era dietro quelle parole, per quante cose gli stesse chiedendo scusa, che era stanco, mortificato ed umiliato.
Che avrebbe voluto avere un po’ più di coraggio.
Aleksej non replicò nulla, ma continuò a fissarlo dritto negli occhi, a leggerlo.
<< Va bene, adesso basta però. Deve riposare, usciamo tutti eh? >>
Il tono di sua nonna era stato gentile, ma c’era anche qualcosa di assolutamente categorico nelle sue parole, così pochi istanti dopo Gabriele si ritrovò da solo nella stanza e cedette nuovamente al sonno senza che nemmeno se ne accorgesse.
Quando riaprì gli occhi per la terza volta quel giorno, il sole dalla finestra stava per tramontare e la stanza era in apparenza vuota.
In apparenza, perché non appena voltò leggermente la testa alla sua sinistra incrociò la figura rannicchiata di Katerina nella poltrona, che dormiva profondamente.
Gabriele non provò nessuna sorpresa, nessun tipo di sconvolgimento interiore, era come se in fondo se lo aspettasse di trovarla lì, come se il suo cuore avesse avuto quella consapevolezza da sempre.
Katerina dormiva profondamente, aveva il respiro pesante e il petto si alzava e si abbassava ritmicamente, come a voler confermare con tutte le forze che era viva e bella e giovane.
I capelli corti erano leggermente scombinati nel lato che poggiava sullo schienale della poltrona e sulla guancia destra aveva il segno rosso di un braccialetto di cuoio che portava al polso, Gabriele sussultò leggermente a quella vista, cercò di alzarsi sui gomiti ma venne raggiunto da una fitta lancinante al braccio destro, spostò lo sguardo e vide che era bendato dal polso fino alla spalla.
Dov’era il braccialetto di Katerina?
Puntellandosi sul fianco sollevò leggermente la schiena, provocandosi un moto di nausea dato dall’anestesia ancora recente, e rivolse un’occhiata alla stanza fino a quando i suoi occhi non incontrarono il luccichio familiare proprio sul comodino, accanto ad una bottiglia d’acqua che doveva essere caldissima dato le bollicine che ne incorniciavano la superficie.
Gabriele sospirò sollevato e appoggiò meglio la schiena sul cuscino, aggiustandoselo alla bell’e meglio con il braccio sano, qualcuno gli aveva infilato uno dei suoi pigiami, anche se era leggermente sollevato sulla gamba sinistra lì dove si trovava un’enorme cerotto macchiato di sangue, strizzando leggermente gli occhi Gabriele si rese conto che tutto sommato non era messo malissimo, se non fosse stato per l’operazione al braccio se la sarebbe cavata con poco.
Rimase in silenzio per alcuni secondi, era un silenzio opprimente che stava cominciando a detestare, l’odore d’ospedale gli aveva sempre dato fastidio e il ticchettio rumoroso delle macchine lo infastidiva particolarmente.
L’aria gli sembrava pesante in quella stanza con le tende tirate, non entrava la luce del tramonto e tutto sembrava scivolare lentamente nella penombra, l’unica cosa che lo faceva desistere dall’alzarsi da quel letto e scappare era la ragazza addormentata sulla poltrona.
Katerina era come un raggio di sole, come il filo nel labirinto.
Gli dava calma, gli dava forza.
Lei si svegliò quasi di soprassalto, come se avesse fatto un brutto sogno, Gabriele la vide alzarsi di colpo dalla sedia stringendo forte i braccioli e guardarsi intorno con gli occhi ancora arrossati dal sonno, ma l’aria di una persona vigile che si domandava cosa stesse succedendo. Quando Katerina sembrò essersi abituata all’ambiente e alla situazione in cui si trovava, Gabriele spostò gli occhi verso la finestra e fissò ostinatamente le pieghe giallastre della tenda.
<< Gabriele … >>
<< Non mi guardare! >> La replica del ragazzo fu talmente veloce e violenta che Katerina sobbalzò e rimase immobile dov’era << Non voglio che tu mi veda in queste condizioni >>.
Katerina sospirò pesantemente, fece qualche passo avanti e si mise seduta sul bordo del letto dandogli le spalle, sembrava ingobbita in quella posizione, era stanca.
<< Se ti stai chiedendo come faccio ad essere ancora qui … ho pregato la nonna di lasciarmi restare con te. Me ne tornerò a casa con lei non appena avrà terminato il turno >>
Gabriele tenne ostinatamente lo sguardo fisso sulla tenda con gli occhi che bruciavano.
<< Ah, non preoccuparti … la nonna già sapeva che ero innamorata di te. L’ha scoperto mesi fa quindi non mi ha fatto storie … anzi, mi ha aiutata con papà senza che lui capisse >>
Gabriele si morse violentemente il labbro e con la mano buona strinse forte le lenzuola, non voleva che Katerina parlasse proprio di quelle cose, non gli importava più in quel momento che tutti lo scoprissero, non gli importava niente di quello …
Gli importava solamente la consapevolezza di aver rischiato di morire senza poter dire a Katerina tutto quello che voleva dirle … senza trovare le parole.
Spostò finalmente lo sguardo dalla tenda e lo puntò sulla sua schiena curva, le mani di Katerina tremavano mentre parlava, tremavano violentemente, Gabriele agì quasi di istinto probabilmente, sollevò la schiena e con il braccio sinistro le circondò la vita stringendola verso di se, facendo in modo che potesse appoggiare la fronte sulla sua schiena ossuta e piangere senza che lei lo potesse vedere, lasciandosi travolgere da quell’odore di cocco familiare che tanto gli piaceva, lasciandosi trascinare dai ricordi di quando lei entrava nella sua macchina inebriandola di quel profumo e dalla consapevolezza di quanto gli fosse mancato quel piccolo particolare ogni volta che la vedeva passare.
<< Mi dispiace … non lo farò più, te lo prometto >>
Gli era molto più semplice sussurrare in quel modo, mentre le lacrime scendevano dagli occhi e sgocciolavano dalla punta del naso sulle lenzuola bianche.
<< Non farò più nulla di tutto quello che ho fatto … mi prenderò cura della mia vita >>
Gabriele soffocò a stento un sussultò di stupore quando Katerina si girò di scatto e lo abbracciò con foga, con impeto, senza curarsi dell’ago che aveva nel braccio sano, o di quando gli stesse facendo male a quello operato.
Lo abbracciò perché aveva la necessità di farlo, di sentire che stava bene, che era vivo, e Gabriele lo capì e la lasciò fare, si lasciò ricadere con la schiena sul letto e lasciò che lei lo abbracciasse fino a sentire caldo, fino ad abituarsi all’idea di averla così addosso.
<< Certo che ti prenderai cura della tua vita! >>
Sbottò lei con la voce soffocata nel suo petto.
<< E mi prenderò cura di te, se lo vorrai … quando vorrai … >>
Gabriele non riuscì a proseguire quella frase, perché proprio non sapeva cos’altro poter aggiungere, come farlo, non ne aveva il coraggio o la forza in quel momento.
Voleva solamente che Katerina capisse.
<< Ne parleremo con calma … >>
La calma.
Di calma Gabriele non ne aveva mai avuta, nemmeno un po’.
Di calma però quel giorno ne avrebbe avuta fino a soffocare, se significava poter avere Katerina ancora un po’ tra le sue braccia, anche se ferite.
Anche se stanche.



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Effe_95

Salve a tutti :)
Allora, posso dirvi ufficialmente e con immenso piacere che finalmente ho terminato la sessione estiva!
Sono riuscita a dare tutti gli esami che volevo e a passarli, quindi sono proprio soddisfatta e contenta.
Spero vivamente che questo capitolo vi piaccia, è stato davvero molto difficile da scrivere, soprattuto la parte tra Gabriele e Katerina. 
Infatti, come avrete notato, non ha una vera e proprio conclusione.
Questa decisione l'ho presa perchè voglio che Katerina e Gabriele parlido davvero, per bene, quindi avranno una parte dedicata completamente a loro più avanti, che qui avrei dovuto sacrificare.
Vi prometto che da adesso gli aggiornamenti saranno molto più veloci, non lascerò più passare così tanto tempo fino alla prossima sessione prometto xD 
Grazie mille come sempre per il vostro sostegno infinito.
Risponderò prestissimo alle recensioni.

Alla prossima spero :)
  
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