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Autore: Lilith in Capricorn    19/07/2016    1 recensioni
In un mondo in cui la magia è scomparsa da ben 1300 anni e gli dèi hanno smesso di parlare con i mortali ormai da tempo, l'Impero Katileo è all'apice del suo sviluppo tecnologico e la sua sete di conquista sembra incontrastabile. Ha ormai sotto il suo controllo gran parte del Grande Continente, ma una nuova alleanza di regni del nord sembra essere in grado di tenergli testa: la guerra con il Wesmark Settentrionale e Meridionale, infatti, va avanti già da diversi anni e sembra non vi sia modo di uscire dall'impasse ... Finché l'Imperatore Kut non ha un'idea brillante e ambiziosa e decide di mettere insieme una spedizione per realizzarla.
Intanto, antichi misteri, enigmatiche profezie e arcaiche forze da tempo sopite iniziano a riemergere dalle profondità dell'oblio, ma non tutti sembrano rendersene conto ...
Genere: Avventura, Guerra, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Non-con, Violenza
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Capitolo 4: Il Principe di Katils
 
Il sole batteva forte sulla sua pesante armatura di cuoio e metallo e, se non fosse stato per il leggero cotone che gli proteggeva il busto, probabilmente si sarebbe già scottato la pelle. Sulla parte anteriore dell'armatura due imponenti tarkal impennati sulle zampe posteriori erano stati finemente scolpiti in bassorilievi, con la lunga e robusta coda, il collo sormontato da una cresta variopinta e le corte corna affusolate. Erano da secoli i destrieri favoriti dei Katili e in battaglia erano più che mai utili, con i loro denti aguzzi e le mascelle poderose.

Non per nulla erano stati scelti proprio loro, con quel misto di eleganza e possanza, per rappresentare il popolo dei Katili, dipinti di nero sullo sfondo dorato dei loro vessilli e delle loro divise. Erano un simbolo di forza e raffinatezza, due qualità che avevano sempre caratterizzato i Katili, anche nei periodi storici più sfortunati. Hanun, per fortuna, non era nato in uno di questi, ma il fatto che il suo modesto regno della penisola Katilea fosse tornato ad essere il grande impero che era stato un tempo non doveva costituire una ragione per essere meno cauti: anche bestie grandi e spaventose come i tarkal dovevano costantemente guardarsi da altri predatori.

La maggior parte dei regni più piccoli aveva già stipulato trattati di pace e stretto alleanze con l'Impero, pur di evitare un'invasione da parte di quel gigante inarrestabile. Talvolta, però, qualcuno trovava il coraggio di opporsi alla sua avanzata e i Katili avevano imparato che non era mai qualcosa da sottovalutare, da quando era iniziata la guerra contro i Regni Gemelli del Wesmark, sul fronte settentrionale. Inizialmente, infatti, si trattava di un solo regno di modeste dimensioni, a cui la sua famiglia aveva commesso l'errore di prestare scarsa attenzione, ritrovandosi poi a dover affrontare un'intera coalizione di clan in grado di tenerle testa.

L'Imperatore Kut non avrebbe mai permesso che accadesse una cosa simile anche a sud. Era proprio per questo che Hanun si trovava lì, a pochi chilometri dalla capitale, nella vasta e arida savana meridionale, attraversata da alcuni corsi d'acqua lungo i quali prosperavano le città dei Mei Faliùsh, gli abitanti delle ex colonie continentali dell'Isola di Falùsh. Era voce di poche settimane addietro, infatti, che un esercito si stava radunando non molto lontano dalla capitale dell'Impero. Quando la voce era stata confermata, Kut Menradt aveva subito ordinato a suo figlio Hanun di condurre alla battaglia tutti gli uomini ai suoi ordini e di sventare l'imminente attacco alla città di Katils.

Ansioso soprattutto di ricevere un po' di approvazione da parte del padre, che per qualche ragione sembrava averne per lui sempre meno con l'avanzare dell'età, Hanun era partito carico di fiducia e risolutezza. Tuttavia, ora che si trovava di fronte a quello che sarebbe presto diventato un campo di battaglia, la sua sicurezza vacillò: i Katili non erano abituati a scontrarsi in terreni così aperti e vasti. Conoscevano bene i monti, le colline e le foreste, sapevano quali strategie erano più efficaci, come e dove piazzare le trappole e in che modo tagliare eventuali vie di fuga. Ma ora, osservando quella sconfinata distesa pianeggiante ricoperta di erba gialla come il sole, Hanun si rese conto di non sapere neanche da dove cominciare.

Silenzioso come uno dei predatori notturni della foresta, un giovane pressappoco della sua stessa età, con indosso un busto di cotone rinforzato sorprendentemente resistente, raffigurante il più velenoso dei serpenti dell'arcipelago di Mīër, gli si affiancò e, inclinandosi verso di lui, sussurrò: «È meglio andare via: più restiamo, più rischiamo di essere visti.»

Hanun annuì lentamente, ma non mosse un muscolo. Il ragazzo gli mise una mano sulla spalla e si avvicinò ancora un po'. «So cosa stai pensando. Non temere, ci faremo venire un'idea. In fondo, gli uomini accampati alle porte del villaggio non sono ancora molti. Possiamo farcela.»

Con un sospiro, il Principe di Katils si staccò finalmente dalla roccia alla quale si era appoggiato e, tornando a nascondersi dietro quella più in basso, ripercorse al contrario il sentiero che lo aveva portato a quel comodo punto di osservazione.

«Non avevo mai visto niente di così sconfinato in vita mia» confessò all'altro durante il tragitto. «Sembra un enorme oceano di fili d'oro, con una striscia di seta verde distesa nel mezzo.»

Per tutta risposta, il compagno inspirò bruscamente tra i denti stretti, come se qualcosa lo avesse punto o ferito.

«Cosa c'è?» domandò Hanun, voltandosi leggermente verso di lui.

«Temi che moriremo tutti» rispose l'altro, senza però perdere il sorriso sornione che quasi niente riusciva a far vacillare.

«Non è vero: sono ottimista quanto te.»

«Hm!» fece il giovane, con tono ironico. «Anche se normalmente lo fossi, cosa di cui dubito, vorrei farti notare che l'eventualità della morte tira sempre fuori il tuo lato ... poetico, se così possiamo definirlo.»

«Sobech, io non ho paura» ribatté il Principe, mortalmente serio.

«Non ho detto questo.»

«E in ogni caso, non sei comunque rassicurante.»

Sobech fece spallucce. «Dirti quello che vuoi sentirti dire non ha mai funzionato, con te. E in ogni caso, preferisco che siamo onesti l'uno con l'altro.»

«Quindi pensi davvero che abbiamo una possibilità?»

«Sì, e francamente non capisco perché tu non lo pensi. Ragiona: non è detto che il campo di battaglia debba per forza essere quello. E se anche fosse, lo hai visto, c'è un fiume, possiamo sempre ...»

«No» tagliò corto Hanun, facendo un ampio gesto con un braccio, «non ho intenzione di chiedere all'Imperatore di far intervenire gli shuriel.»

«Ma sarebbe tutto molto più semplice, vinceremmo di sicuro!»

«Questa volta devo cavarmela da solo, Sobech. Sono certo che mio padre ha voluto mettermi alla prova. Quell'uomo mi ritiene un incapace.»

«Francamente, amico mio, non lo credo» ribatté Sobech, cingendogli le spalle con un braccio. «Ti ha affidato un compito difficile e importantissimo. Se davvero non ti avesse ritenuto all'altezza, non lo avrebbe mai fatto: non dimenticare che le sorti della città di Katils, la capitale dell'Impero, dipendono solo da te.»

«Da noi» lo corresse Hanun, con un sorriso.

«Io combatterò sempre al tuo fianco, lo sai. Te l'ho giurato. Ma anche se avrai sempre il mio aiuto, la decisone finale su cosa fare spetterà sempre e solo a te.»

«Per me è comunque importante che tu ci sia: riesci sempre ad offrirmi un nuovo punto di vista su ogni cosa.»

«Beh, questo rende più facile dirti che quell'armatura è ridicola e pesante, specie sotto questo maledetto sole» scherzò Sobech, facendo risuonare l'oggetto con un colpo di nocche.

«Sarà, ma la tua, anche se è persino più resistente della mia, dovrà presto essere sostituita.»

«Quel giorno, sarò comunque meno stanco e accaldato di te.»

Hanun sapeva che Sobech era nel giusto e infatti non avrebbe esitato ad indossare anche lui una delle comode e maneggevoli armature di Mīër, se solo non fosse apparso ridicolo agli occhi dei suoi uomini. I Katili avevano uno stile tutto loro e rifiutavano con disgusto qualunque cosa non si adattasse a quei canoni.

A Sobech poco importava di apparire buffo o strambo, ma Hanun doveva essere l'incarnazione del perfetto condottiero Katileo: uno strato di peli sul volto, non più lunghi dei capelli tagliati corti, un'armatura dorata decorata con i simboli dell'Impero e la tipica spada dei Katili, leggermente ricurva, spessa e perfetta sia per tagliare la fitta vegetazione della giungla che ricopriva gran parte dei loro territori, sia per tranciare in due un uomo con un solo, poderoso colpo.

Quando fecero ritorno al campo, Sobech si separò da lui con un sorriso sul volto affilato e Hanun fece un rapido giro per accertarsi che le difese fossero state piazzate a dovere. Aveva scelto un piccolo avvallamento nascosto tra le montagne per l'accampamento, perché sapeva bene come muoversi su un terreno simile. Certo, era a dir poco improbabile che i Mei Faliùsh passassero di lì con il loro esercito e ancor meno che vi si lasciassero attirare, ma nell'eventualità di un attacco era comunque il posto migliore in cui difendersi.

Molte delle tende dovevano ancora essere piazzate e il campo era in pieno fermento. Dei suoi comandanti, però, non c'era traccia e Hanun ne dedusse che dovevano essersi già riuniti nella grande tenda piazzata al centro del campo. Difatti, non appena scostò un lembo del ruvido tessuto che copriva l'entrata, il giovane Principe si ritrovò davanti i suoi tre uomini più fidati: suo cugino Vertran, il suo più vecchio amico, Nuss, e un abile veterano di nome Genan Tārmend che l'Imperatore in persona aveva deciso di affiancargli, qualche anno addietro.

Sebbene non nutrisse particolari simpatie per quest'ultimo, la sua lunga esperienza si era rivelata più volte decisiva in battaglia e Hanun aveva comunque fiducia in lui. Nonostante fossero spesso in disaccordo, quel giorno il Principe di Katils contava soprattutto sul suo supporto per convincere gli altri a confidare nel piano che stava iniziando a formarsi nella sua testa. Non avrebbe saputo dire quando, né come gli fosse venuto in mente: stava di fatto che ora si trovava lì, davanti ai suoi tre comandanti e, nonostante solo pochi minuti addietro brancolasse nel buio, adesso sapeva cosa era meglio fare. La dea Depna, quel giorno, doveva aver poggiato le labbra sulla sua fronte.

Al suo ingresso, i tre lo salutarono con un leggero inchino. «Dunque? Avete visto l'accampamento? Raccontateci» lo esortarono impazienti e il giovane li rassicurò subito, informandoli che l'esercito dei Mei Faliùsh era poco più grande del loro, per il momento. Tuttavia, quando descrisse l'immensità di quel campo aperto e pianeggiante, attraversato dalla sottile striscia verde del fiume, vide la preoccupazione tornare sui loro volti in un baleno, mentre tenevano gli occhi fissi sulla mappa, al centro della tenda semivuota.

«Perciò» chiese Vertran facendo scorrere il dito sulla striscia di terra che separava le montagne dal fiume, «dici che qui non c'è nulla?»

«Nulla. È un'immensa pianura arida, senza alberi, senza colline o avvallamenti. C'è solo una strana erba gialla. Forse secca.»

«E cosa potete dirci sull'accampamento?» domandò invece Genan, senza ruotare la testa un po' di più, nonostante fosse rivolto verso di lui con il lato del volto a cui mancava l'occhio, perduto in duello meno di un lustro addietro, stando a quanto egli raccontava.

«Ha quattro diversi accessi, uno per ogni punto cardinale, ma non sarebbe saggio dividere le nostre forze per attaccare contemporaneamente più di due entrate: anche se non hanno ancora molti uomini, l'accampamento è troppo vasto. Immagino che sia previsto l'arrivo di altri soldati.

«Non ho visto torri, catapulte, o altre macchine da assalto; d'altronde, nei nostri territori troveranno legno in abbondanza per costruirne. Tuttavia, nulla ci garantisce che non ve sia qualcuna nascosta, da utilizzare in caso subissero un attacco.

«Inoltre, c'erano un paio di uomini che sembrava stessero pattugliando il territorio. Forse sono i loro esploratori. La loro presenza renderebbe vano qualunque attacco a sorpresa: lancerebbero l'allarme non appena metteremmo piede in quella pianura, dov'è impossibile nascondersi.

«Non è il genere di campo di battaglia a cui siamo abituati, purtroppo; non ho mai letto di uno scontro in un territorio simile che non comprendesse due eserciti decimatisi a vicenda. E io non voglio rischiare di perdere così tanti uomini, a maggior ragione se presto arriveranno dei rinforzi per i Mei Faliùsh.»

Seguì un silenzio di riflessione carico di tensione, che Nuss ruppe azzardando: «Ma noi conosciamo diverse tattiche da adottare su questo genere di terreni.»

«Loro ne conosceranno certamente di migliori» lo interruppe subito Genan. «Hanno combattuto per anni contro i Falùshei per sottrarsi al loro dominio. E se hanno trionfato contro un popolo noto per essere eccezionale nell'arte della guerra, sarebbe da sciocchi attaccarli in questo territorio, così familiare a loro ed estraneo a noi.»

Ignorando la sottile offesa nell'ultima frase, Nuss replicò: «Il fiume, allora. C'è il fiume Tôlle, qui. Potremmo chiedere all'Imperatore di inviare qualche guerriero shuriel.»

«Mi dispiace, amico mio» ribatté Hanun, scuotendo la testa, «ma stavolta ho intenzione di farcela con le mie sole forze.»

«Con tutto il rispetto, Altezza» esordì Genan Tārmend con un sospiro, «chiedere aiuto quando se ne ha necessità non è un disonore, ma non farlo è certamente da idioti.»

Anche Hanun lasciò correre l'insinuazione e disse solo, con estrema serietà: «È molto importante per me. Inoltre, credo di avere un'idea.»

In quel momento, anche Sobech fece il suo ingresso nella tenda, esitando sulla soglia. «Chiedo perdono, Miei Signori» disse, «non era mia intenzione interrompervi.»

«No, entra, per favore. C'è una cosa che devi ascoltare anche tu» lo invitò il Principe.

Gli altri tre si lanciarono qualche occhiata infastidita, ma non osarono commentare, né contraddirlo. Non tutti vedevano Sobech di buon occhio. Forse perché era un forestiero, forse per il suo aspetto bizzarro per un guerriero, o forse perché Hanun era profondamente cambiato durante il periodo di addestramento nell'arcipelago di Mīër e loro non capivano il legame che aveva con il giovane, né perché egli lo seguisse ovunque.

«Osservate» disse Hanun, indicando un punto sulla mappa e cingendo le spalle di Vertran con un braccio, per portarselo più vicino. «Vedete questa serie di puntini che parte da Katils, attraversa le montagne e prosegue verso sud?»

«È un'antica rotta commerciale» rispose Vertran annuendo.

«Ed è anche la via più rapida e sicura per arrivare a Katils» aggiunse Sobech, col suo solito sorrisetto sghembo.

«Esatto» confermò Hanun. «È improbabile che i Mei Faliùsh tentino di risalire il fiume Tôlle perché il suo corso li allontanerebbe troppo da Katils e allungherebbe inutilmente la via.

«Seguire la catena montuosa fino alla costa e da lì risalire verso nord, invece, sarebbe rischioso, dato che sulla piccola isola nella baia c'è una nostra antica fortezza riconquistata e quella striscia di terra è ben difesa e sorvegliata.

«È vero, ci sono anche altri sentieri di montagna, ma solo questo è abbastanza ampio e praticabile per un esercito di tali dimensioni.»

«Ed è lì che avete intenzione di tendere un agguato, immagino» lo anticipò Genan Tārmend.

«Sì. Più precisamente qui» aggiunse, indicando il versante della catena che dava sulle terre dell'Impero. «Nel tratto finale la via si restringe e prosegue così per alcuni chilometri, stretta fra due pareti rocciose. È il punto perfetto per tendere un agguato.»

I quattro continuarono a fissare in silenzio la mappa per qualche istante, ognuno immerso nei propri ragionamenti. Genan, col suo volto squadrato e privo di un occhio, annuiva impercettibilmente; Sobech forse stava già pensando a quali tattiche adottare; Vertran e Nuss, invece, si stavano scambiando un'occhiata dubbiosa, consapevoli di stare pensando entrambi la stessa cosa.

Furono proprio questi ultimi a rompere per primi il silenzio, a partire da Nuss: «Questo, però, significa che dovremo aspettare che l'esercito si metta in marcia.»
«E non possiamo sapere quanto sarà diventato grande, a quel punto» proseguì Vertran, guardandolo negli occhi.

Ecco, era proprio questa la reazione che Hanun temeva e che aveva previsto. «Genan?» disse, sperando che il comandante privo di un occhio giungesse alla sua stessa conclusione.

«Se la pianura oltre la montagna è come voi la descrivete, Altezza, e se il loro accampamento è tanto vasto che saremmo costretti a dividerci in quattro piccoli schieramenti per assaltarlo, allora l'idea che proponete è forse la migliore.

Inoltre, su ordine di vostro padre, l'Imperatore, ho seguito molto da vicino la guerra fra le colonie continentali e l'Isola di Falùsh: so di cosa è capace questa gente, so quanto può essere pericoloso affrontarli nei loro territori e sono certo che abbiano piazzato molte trappole all'esterno dell'accampamento. Tentare di farvi irruzione sarebbe un suicidio.»

«Insomma, non c'è proprio alcun modo di scontrarci con loro subito, prima che ne arrivino altri?» chiese Vertran con un sospiro.

«Non senza correre il rischio di perdere molti dei nostri uomini, cugino» rispose Hanun.

«E se non riuscissimo a sconfiggerli tutti, lungo quel passo?» domandò invece Nuss.

«Possiamo fare molto lì, fidati di me, amico mio.» Poi, rivolgendosi anche agli altri, aggiunse: «Domani, miei comandanti, partirete con me, vi mostrerò com'è fatta quella zona e allora capirete anche voi che il giorno in cui i Mei Faliùsh passeranno di lì sarà un giorno di gloria, per noi» promise, scuotendo vigorosamente una spalla sia a Vertran, che a Nuss.

«Non mi avete ancora illuminato su quale sia il mio ruolo in tutto ciò, Altezza» disse allora Sobech. Quando erano in pubblico, si rivolgeva sempre al Principe con la consueta formula riverente imposta dall'etichetta, dato che non era né un parente, né un vecchio amico di nobile estrazione, ma Hanun riusciva sempre a percepire una sottile vena ironica nel suo tono, che per fortuna agli altri sembrava sfuggire, forse mascherata dal suo forte accento straniero.

Cercando di trattenere un sorriso divertito, il Principe disse, con un tono di complicità: «Ricordi la battaglia della fortezza di Priar?»

Il sorriso sul volto di Sobech si fece ancora più ampio. «Ricordo.»

«Pensi di poter realizzare qualcosa di simile?»

«Certamente. Ma devo avvertirvi che in un luogo del genere potrebbe essere pericoloso, Mio Signore.»

«Riprenderemo il discorso domani, dopo che avremo osservato e studiato il terreno. Nel frattempo, voglio delle sentinelle di guardia attorno al nostro campo» aggiunse poi, rivolgendosi ai tre comandanti. «Ma che non si avventurino troppo a sud: dubito che i Mei Faliùsh si siano accorti di noi e preferirei che continuasse ad essere così.

Se non avranno alcun sentore della nostra presenza, la vittoria ci sorriderà ancor prima che la vera battaglia abbia inizio.»

Quella notte, l'imminente scontro fu protagonista dei sogni di Hanun, tra il clangore delle armi, il ruggito dei tarkal, l'odore ferroso del sangue e il calore delle fiamme. Nonostante il sogno tutt'altro che rilassante, però, il suo sonno fu tranquillo e sereno, tanto che dovette andare Sobech a svegliarlo.

«Sai, credo di aver finalmente capito come mi sia venuta in mente quest'idea» gli confessò Hanun, ancora un po' assonnato. «È stato grazie a te, quando mi hai detto che il campo di battaglia non doveva per forza essere in quella pianura.»

Sobech sorrise con un piccolo sbuffo e disse solo: «Beh, ti conviene tenertelo per te, se non vuoi che i tuoi comandanti inizino a riconsiderarla.»

Il Principe di Katils gli affidò il comando e la gestione dell'accampamento fino al suo ritorno e, con il cuore pieno di coraggio e la mente ridondante di idee, partì di buonora in compagnia di Vetran, Nuss e Genan Tārmend.

Nonostante il nomignolo di Yon Nin affibbiatogli alla nascita e il suo presunto dono della veggenza, Hanun sapeva che i suoi sogni in realtà non avevano alcun significato, tuttavia le immagini che lo avevano accompagnato durante la notte lo avevano riempito di rinnovata fiducia e orgoglio. Immaginò che dovesse essersi sentito così anche il suo avo della dinastia Menradt che aveva dato inizio alla rinascita del popolo Katileo, conducendolo oltre i confini della sua penisola, permettendo ai suoi successori di discendere lungo il corso del grande fiume Geremendt, fino all'altro capo del continente, strappando la loro antica capitale al popolo dell'acqua.

Ora Hanun avrebbe difeso quella magnifica città eroicamente riconquistata da suo padre, dimostrandogli così il suo valore, e sarebbe stato solo l'inizio: i suoi avi avevano restituito ai Katili le loro antiche glorie, ma lui li avrebbe resi ancora più grandi e potenti, come nessun popolo era mai stato dall'Età degli Eroi.


Vista la complessità dell'universo narrativo di questa storia, ho deciso di pubblicare a breve una piccola guida con tutte le informazioni di lore e sui vari personaggi. Dato che EFP non me lo permette, però, sarà su Wattpad e ovviamente vi lascerò il link nei capitoli.
   
 
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