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Autore: Ellery    23/07/2016    3 recensioni
Francia, Marzo 1942 - Un piccolo caccia della Royal Air Force viene abbattuto nella campagna francese, lungo il Fronte Occidentale. Per i due piloti non c'è alcuna speranza: catturati da una brigata tedesca, torturati per informazioni su una importante azione militare degli Alleati. Allo spietato capitano Weilman si contrappone il Maggiore Erwin Smith, altrettanto desideroso di ottenere informazioni; almen fino a che qualcosa non scatterà nella mente del giovane ufficiale, portando alla luce vecchi debiti e promesse.
Aveva cercato in tutti i modi di tenere su l’aereo, tirando al massimo la cloche, sterzando ripetutamente per non costringere il piccolo caccia allo stallo, ma era stato tutto inutile: le ali non riuscivano a catturare correttamente l’aria, trapassate come erano, mentre dal motore usciva una scia di fumo nero.
La ff, a più capitoli, si propone di partecipare alla Challenge AU indetta sul forum da Donnie TZ. Prompt: Historical AU! IIWW = seconda guerra mondiale.
Genere: Guerra, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Farlan, Church, Hanji, Zoe, Irvin, Smith
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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2. Non te ne andare!


Marzo 1942 – Fronte occidentale, Francia. Base tedesca.


Levi non aveva idea di dove si trovasse. Li avevano spostati dalla stanza con le seggiole, guidandoli bendati attraverso un intricato percorso di corridoi, sino ai sotterranei. Vi erano delle stanze immerse nella pietra scura, separate da porte con pesanti sbarre di ferro. Nemmeno una finestra e l’unica luce era prodotta da torce e lanterne. L’atmosfera, in compenso, era quasi medioevale. Era ridicolo pensare che esistessero posti simili nel 1942!
Li avevano fatti accomodare in una piccola cella, chiudendo l’inferriata a doppia mandata ed abbandonandoli alla sola compagnia di una coppia di candele. In quella stupida prigione non c’era niente! Solo un giaciglio di paglia umida, che avrebbero sicuramente dovuto dividere, una brocca d’acqua ed un secchio, la cui funzione era sin troppo intuitiva. Storse il naso a quell’idea, spostando alcuni escrementi di topo con la punta degli stivali neri. Dunque non erano soli: vi erano altri coinquilini con cui fare i conti. Disgustoso.
Si accovacciò sui talloni accanto a Farlan, che si era accasciato sul giaciglio stringendo le fasciature improvvisate.

«Fa vedere»

«No… » era la prima volta che sentiva la voce dell’amico, da quando erano precipitati. Stranamente, non provò alcun sollievo: il tono era debole, affaticato, ma c’era un accenno di sorriso sulle labbra esangui.

«Ti posso aiutare» si intestardì, prendendo a slacciare la giubba dell’altro fino a scoprirgli il ventre. Le garze erano intrise di sangue, mentre la pelle recava segni rossi e secchi lungo i fianchi e la schiena.

«No…fai… schifo come medico»

«Non è vero» mentì, iniziando cautamente a sciogliere le bende. Ignorò i lamenti dell’altro, limitandosi a tirare piano il panno bianco, sino a svolgerlo completamente. «Sei messo male» constatò, sfiorando leggermente i margini frastagliati della ferita con la punta delle dita. Era un taglio profondo, forse prodotto da una scheggia metallica. Non si intendeva di medicina, non era un dottore, ma aveva visto abbastanza ferite da sapere quando c’era bisogno di ago e filo. Quei maledetti crucchi! Cosa pensavano di fare? Di lasciarlo così, nella speranza che campasse? Evidentemente, non ritenevano Farlan sufficientemente importante da sprecare punti di sutura. Spostò tutto il peso sulla gamba destra, cercando di non forzare la caviglia slogata, riprendendo solo dopo qualche attimo: «Ah, ma… te la caverai. Ne sono sicuro» sussurrò, affatto convinto.

«Sei un pessimo bugiardo, sai? Lo sei sempre stato» già… e, al contrario, l’artigliere aveva imparato egregiamente a leggere ogni sfumatura nei suoi comportamenti «So di… non avere scampo… è questione di… tempo.» un altro sorriso a bagnare la bocca arida «Potrei sopravvivere ancora domani… forse dopodomani, ma … presto…» una mano tremante scivolò nella tasca dei pantaloni, cavandone un foglietto spiegazzato. Levi lo prese, cercando di dispiegarlo, ma la voce tentennante lo fermò ancora «No. Non leggerlo, ti prego… promettimi solo che… Lo consegnerai a Isabel quando tornerai.»

Isabel? La loro amica, la loro confidente. L’avevano conosciuta in tempo di pace: una mocciosa senza casa, una dei tanti orfani dei sobborghi londinesi. Cresciuta tra l’istituto e la strada, con lo scoppiare della guerra si era offerta come volontaria per la Croce Rossa. Assisteva i malati in un distaccamento del sud della Francia. Era così lontana da loro. In quel momento, avrebbe dato qualunque cosa per averla lì, per sentire la sua voce allegra e squillante, per vedere le sue dita veloci pulire la ferita, ricucire la pelle strappata, donare qualche altra ora di vita.

«E se non dovessi tornare?» all’improvviso, quel dubbio. Dopo tutto, le previsioni non erano affatto rosee. Prigionieri in un campo tedesco, in attesa d’essere nuovamente interrogati. Questa volta, non si illudeva, Weilman gliele avrebbe fatte sputare le informazioni. Sarebbe stato in grado di resistere? Non ne aveva idea… ma, più che la tortura, lo spaventava l’idea che potessero nuovamente rivalersi su Farlan. Poteva sopportare il dolore su sé stesso – o così almeno credeva – ma non sugli altri: e se avessero nuovamente toccato il compagno? Il biondino non sarebbe sopravvissuto, questa volta. Il corpo avrebbe ceduto e lui si sarebbe trovato improvvisamente solo e disperato, a fare i conti con i rimorsi e la cocciutaggine. Non poteva rivelare i piani dell’Operazione Chariot, nemmeno se fosse servito a salvare le loro vite. Doveva snocciolare altre informazioni, qualcosa che li sorprendesse e che non si aspettassero. Menzogne? Sì, era fattibile. Doveva soltanto.. inventare qualcosa di credibile! Posò il capo al muro retrostante, rilassando le spalle e piegando le ginocchia al petto. Accanto, l’artigliere respirava a fatica, sempre più debole e distante.

«Resisti, per favore» sussurrò, sperando che Farlan potesse sentirlo «Domani farò in modo che ti curino»

«No… la mia vita… non vale le informazioni che..»

Posò una mano sulla bocca avvizzita, come a cercare d’arrestare quel fiume di parole: «Non dire sciocchezze. So perfettamente quello che faccio! Andrà tutto bene. Ti rimetteranno in sesto e… potrai consegnare personalmente la lettera ad Isabel. A proposito… cosa c’è scritto?»

«Non sono cazzi tuoi…» un tono sollevato, quasi allegro in quel piccolo insulto. Erano sprazzi di normalità che piovevano improvvisamente nel buio di quella cella, come a spezzare i dubbi e le angosce. Come se tutto potesse tornare normale con il sorgere del sole, come se l’aereo caduto, il fumo, le torture dei tedeschi non fossero altro che un lontanissimo ricordo. Un attimo dopo, però, la realtà tornava ad avvolgerli, come un pesante mantello da portare «Avrei voluto… salutarla. Stringerla a me e dirle che… è l’amica migliore che potesse capitare. Forse… qualcosa di più, non so… è una cosa non saprò mai. Mi manca, sai? È come se… mancasse quella parte spensierata e perennemente felice. Se fosse qui, ora… sicuramente troverebbe qualcosa di… divertente da fare» un colpo di tosse, un lamento poco dopo «come… tirare le cacche dei topi… ai tedeschi»

Allungò la mancina, recuperando le bende sudice. Non aveva altro per ricreare la fasciatura: il compagno avrebbe dovuto accontentarsi. Prese a passargliele attorno ai fianchi, cercando di ricordare gli insegnamenti della giovane infermiera: fare dei giri stretti, passare più volte sullo stesso punto, evitare di annodare in prossimità della ferita. Non era complicato. Ignorò il continuo sussultare del suo paziente, arrivando a fermare la fasciatura sulla schiena, ben attento a coprirla poi con la camicia e la giacca da pilota.

«Ecco fatto» annunciò infine «Non ti senti un uomo nuovo?»

«Mi sento… un salame. Mi manca… il fiato»

«Perfetto! Così dovresti resistere… almeno un altro po’» si spazzolò le mani sui pantaloni, incurante delle tracce carminie sulla stoffa. In fondo, erano già completamente lerci e i tedeschi, senza dubbio, non gli avrebbero fornito dei vestiti di ricambio. «Sete?» non attese risposta, allungandosi per recuperare la brocca. La avvicinò al naso, controllandone l’odore: non che temesse vi fosse del veleno – i nazisti conoscevano metodi migliori per uccidere – ma urina di topo. Non colse altro che la puzza di umidità salire dalla terracotta sbeccata. «è a posto» proseguì, avvicinando l’anfora alle labbra dell’altro ed inclinandola un poco.

«Levi…» Farlan aveva inclinato il capo, segno di sazietà. Allontanò subito l’acqua, tornando ad accucciarsi accanto al moribondo «Non devi preoccuparti … per me… qualunque cosa tu faccia… sono spacciato»

Non gli piacevano quei discorsi! Afferrò istintivamente la mancina dell’amico, stringendola tra le proprie, portandola al petto:
«Non voglio nemmeno sentirtelo dire!» non era concepibile un discorso simile. E ascoltarlo… non aveva senso, no. Farlan ce l’avrebbe fatta! Sarebbe sopravvissuto.

«Smetti di… illuderti. Non… me la caverò. Sono solo… un inutile peso.»

«Non lo sei! Non lo sei mai stato, né lo sarai. Sei… un buon compagno, un bravissimo artigliere e… dannazione, vorrei avere la mira che hai tu! Hai fatto moltissime cose giuste. Ti ricordi quando…» accidenti, gli serviva un ricordo,  in fretta! «Quando hai abbattuto quel bombardiere nazista? C’eravamo solo noi in cielo, eppure… sei riuscito a tirarlo giù con un paio di mitragliate precise…»
«è anche merito tuo… se non fossi un pilota tanto bravo, io…»

«Tu cosa? Prenditi i tuoi meriti, una volta tanto! Non sono certo stato io a tirarlo giù! Ti ho solo dato una mano.»
«Una grossa…» un altro colpo di tosse affaticato «…mano»

«Non te ne andare, Farlan» un sussurro smorzato «Isabel… ti aspetta, lo sai. Ha bisogno di te e…» parole appena mormorate, che mai avrebbe pensato di poter pronunciare. Eppure, quello era il momento delle confessioni: in ginocchio, accanto ad un amico morente. Chissà se Farlan avrebbe visto l’alba… o se si fosse spento nella notte, in quella veglia interminabile che si accingeva a cominciare. «Anche io ho…» “ bisogno di te.” «Non.. troverò mai un … artigliere in gamba come te» forse non erano quelle le parole giuste. Ritentò «Un…amico come te. Tu e Isabel siete…» “la mia famiglia” « ed io…» “vi voglio bene”.. quelle parole si spensero in gola, incapaci di mutarsi in voce, soffocate dall’orgoglio che, anche in quei momenti, tornava a farsi sentire, prepotente. Come se quella ammissione fosse un segno di debolezza, un peso e non una liberazione. Ma… Farlan si era già addormentato: il respiro leggero si stava gradualmente regolarizzando. Gli occhi si erano chiusi, mentre le labbra pallide lasciavano sfuggire dei rantoli sottili.

Decise di non svegliarlo. Si coricò sulla pietra fredda, accontentandosi di appoggiare il capo sulla paglia e destinando al ferito il resto del giaciglio. Non avrebbe ceduto, rimanendo a vegliare tutta la notte. Avrebbe impedito a Farlan di morire! Lo avrebbe tenuto con sé. Avrebbe lottato contro mostri e fantasmi se fosse servito, ma lo avrebbe difeso ad ogni costo.

Ti riporterò a casa” giurò, nella quiete. della cella “Non ti permetterò di lasciarci! Non ci abbandonerai e…Torneremo da Isabel, insieme. È una promessa” strinse ancora la mano debole dell’altro, come a sigillare quel patto silenzioso.
Poco dopo, però, il sonno lo tradì: involontariamente chiuse gli occhi, abbandonandosi a sogni confusi ed agitati.


 

Angolino: terzo capitolo (e per oggi mi fermo) della ff. Spero sempre vi possa spiacere e mi scuso per le incongruenze storiche e geografiche che potrete riscontrare nel testo. Non ha la pretesa d'essere una fedele ricostruzione della II guerra mondiale, purtroppo ç_ç sono consapevole d'aver commesso sbagli piuttosto grossolani, ma Wikipedia non mi aiuta nel rimediare, sob...
non ho altro da aggiungere rispetto ai capitoli precedenti, se non ringraziarvi per la pazienza che avrete avuto nel legger sin qui *_*
Grazie ancora, un abbraccio!
  
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