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Autore: Soleil Jones    23/07/2016    3 recensioni
Ovunque fossero, sull'orologio di Molly, la lancetta di quei due era sempre lì; sì, c’era una sola lancetta per due, perché Molly Weasley sapeva che sarebbero sempre stati nello stesso posto. Si muovevano praticamente in simbiosi, i suoi figli; mai, però, avrebbe immaginato che un brutto giorno non sarebbe più stato così.
[...]
«Mh, siete per caso dei patiti dei prodotti Weasley & Weasley?» Tirò ad indovinare: perché, beh, quei due avevano tutta l’aria di due bambini che tutto possono avere tranne che buone intenzioni. I due gemelli annuirono all’unisono «Anche!»
«Ma non è questo il motivo per cui siamo qui, giusto Eric?»
«Giusto John! Detto senza mezzi termini, vuoi indietro tuo fratello, vero?»
«Oh, se è vero!»
[...]
«È semplice, tanto che neanche tu avrai problemi a capire come usarla.»
«Simpatica quanto un troll nel suo periodo rosso del mese, noto.» Bofonchiò tossicchiando sottovoce George. Gli occhi verdi dello spirito si ridussero a due fessure taglienti quanto il suo tono di voce. «Hai detto qualcosa, Weasley?»
«Io? Niente!»
Genere: Fantasy, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Fred Weasley, George Weasley, Nuovo personaggio
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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 32 — Mille e una Illusioni

 
C'era una stanza, nell'arcata in cui vivenano i TimeRiders; una stanza molto speciale, di cui Hailey non aveva mai varcato la soglia.
A dirla tutta non aveva mai visto neanche Max o James farlo; il primo sapeva rivolgere alla grossa porta in mogano solo occhiate torve, il secondo non la guardava affatto.
"Fidati di me, al momento è l'unica cosa che non hai bisogno di sapere." Le aveva detto James qualche giorno dopo averla reclutata. Il primo periodo passato all'interno della squadra era stato difficile per lei — a dire il vero, solo negli ultimi giorni il temperamento emotivo dell'ex-Grifondoro pareva essersi acquietato, iniziando, pian piano, a metabolizzare la realtà con più raziocinio — e l'Osservatore era convinto che sapere cosa ci fosse dietro quella porta avrebbe dovuto essere l'utlima delle preoccupazioni dell'Empatica.
O per meglio dire lui e Max ne erano sempre stati più che convinti.
Ma ora era diverso; Hailey era curiosa, e James non desiderava che arrivasse a fare determinate scoperte da sé piuttosto che tramite lui o Max: avrebbe leso il precario equilibrio fondato sulla fiducia reciproca che si stava creando all'interno della loro squadra.
"Sei d'accordo con me?" Chiese un giorno a Max.
"Hai dei buoni argomenti." Fu la risposta evasiva dello Scrutatore.
"Benissimo. Allora cerca di essere delicato, okay?"
Il moto aggrottò la fronte e si mise meglio a sedere sul letto, ribattendo sinceramente a disagio: "Non so se è una buona idea."
"Max..."
"Le stai più simpatico tu, non la prenderà male!"
"Non è questione di simpatia o antipatia, e non ti stavo chiedendo di farlo."
"Se per caso speri di far scattare qualcosa nella sua testa, James, lascia stare. Va bene così."
"Qualcosa scatterà comunque, prima o poi, ma non è questo. Non voglio e non potrei mai entrare là dentro. Cerca di capirmi, Max, te lo chiedo per favore."
Max guardò per qualche istante James come a voler scavare fin nelle profondità dei suoi occhi cerulei e scorgere un qualche motivo particolare per cui non voleva essere lui a parlare ad Hailey della Stanza, poi annuì. Il biondo era bravo a celare i suoi veri pensieri, davvero molto bravo, ma Max prim'ancora che uno Scrutatore era un ragazzo sveglio e dalla mente acuta: varcare quella soglia avrebbe riportato indietro ricordi che James non era ancora pronto ad affrontare.
'Ha solo sedici anni.' Si disse Max — esattamente l'età che aveva lui nel momento in cui era diventato un TimeRider. 'Nessuno lo avrebbe fatto per me, all'epoca, ma io non sono nessuno, dopotutto.'
I muscoli del viso di James si rilassarono visibilmente e, con una certa gratitudine, le sue labbra si distesero in un sorriso.
"Grazie, Max."
 
 
*
 
 
Su indicazione di Lukas, John aveva optato per fare prima una ricerca nella biblioteca scolastica. Non conoscendo la scuola aveva pensato che arrivarci sarebbe stato molto più difficile: d’altronde Amstrong era enorme! — “Oh, per questo ci sono i Fuochi Fatui! Ti aiuteranno loro, non si occupano solo dei Rossincendio.” Gli aveva detto il Cobaltaurora mentre scappava a lezione.
Così, seguendo una di quelle strane fiammelle fluttuanti, John era arrivato a destinazione. In confronto alla biblioteca di Hogwarts quella di Amstrong era molto più sgombra; che fosse per via della mole di volumi presenti invece nella Sala Comune dei Cobaltaurora?
“Non dovresti essere a lezione, tu?” Gli aveva chiesto con la fronte aggrottata la bibliotecaria: una strega bellissima, dal colorito perlaceo e lo sguardo sagace. Lo aveva squadrato per poco più di qualche secondo prima di addolcire la propria espressione e correggersi: “Oh, sei un ospite! Perdonami, ma a giudicare dal tuo aspetto avevo dedotto che fossi uno studente. Hai bisogno di qualcosa?”
“Devo solo dare un’occhiata, grazie lo stesso.” Aveva risposto imbarazzato John.
Che poi la sua occhiata fosse durata praticamente tutta la giornata pasti compresi erano dettagli. Aveva trovato parecchi libri da consultare tra quelli sulla storia magica degli Stati Uniti e di Amstrong e quelli riguardanti leggende e miti del posto, e preso dalla curiosità aveva iniziato a leggerli uno per uno con interesse febbrile e minuziosa attenzione finché Eric non era andato a pescarlo col naso tra volumi polverosi con la ferma intenzione di trascinarlo fuori.
"Johnny, sono le undici, ho sonno."
"Allora vai a dormire."
"Non riesco a dormire se so che tu resti qua ad ammuffire."
"Non sto ammuffendo, Eric."
"La pazienza della bibliotecaria sì, però: questo posto deve chiudere. Forza, passami un paio di quei mattoni e andiamo!"
Come primo approccio non era stato dei migliori, suo fratello si era dimostrato più ostinato del solito e si era anche portato via qualcuno dei libri su cui John aveva messo gli occhi.
Ovviamente non ne avrebbe letto più di mezzo, ma le buone intenzioni c'erano; ecco perché il giorno successivo Eric optò per leggere all'aperto, fuori dal castello, e saltare le lezioni.
Nel separarsi dalla folla e imboccare l'uscita si imbatté in un mago alto e distinto in testa a un gruppo di bambini indossanti i colori dei Cobaltaurora e dei Rossincendio: aveva capelli riccissimi che si muovevano ribelli e disordinati a ogni suo passo, scuri più o meno come gli occhi limpidi e accesi. A giudicare dall'ampio e leggero mantello che lasciava in bella mostra la divisa da Quidditch meno inglese che Eric avesse mai visto, doveva essere l'insegnante di Volo & Aviazione: materia presa spaventosamente sul serio dagli americani, che non consisteva solo nell'imparare a reggersi in equilibrio su una scopa.
Eppure era giovane ─ "Il professor Turner è il più giovane del corpo docenti, dopo quello di Trasfigurazione." Gli avrebbe detto più tardi Claire, non senza una punta di rossore sulle gote.
Non appena lo vide ─ perché Eric, concentrato com'era nel non farsi travolgere dal flusso di studenti ritardatari che andavano da una parte all'altra, nemmeno l'aveva notato ─ il suddetto professore scompigliò senza tante cerimonie i capelli del più piccolo, aprendosi in un sorriso spigliato e che tutto pareva fuorché quello di un adulto: "Segui noi, piccoletto, o potresti non arrivare indenne al cortile con questa mandria di scalmanati!"
Inutile dire che aveva ragione; i bambini che erano con lui lo seguivano a pochi passi di distanza, e gli studenti al suo passaggio o lo salutavano con entusiasmo o si facevano da parte senza comunque staccargli gli occhi di dosso.
Le ragazze erano comprese più nella seconda categoria che nella prima.
"Di solito arrivare in classe non è così problematico, è che in questi giorni i ragazzi hanno gli esami." Esordì il professore una volta fuori. Pareva essere una persona dalla chiacchiera facile, notò Eric, ma per quanto spigliato aveva anche l'aria di essere alla fin fine abbastanza riservato; a tratti, con quelle sopracciglia scure e pronunciate quanto lo sguardo intenso e profondo, poteva anche finire con l'incutere una certa soggezione.
A ben pensarci lo aveva scorto la sera prima in compagnia di un due altri insegnanti — uno biondo e col sorriso scanzonato, l'altro moro e con un'aria sardonica perennemente stampata in faccia — e solo quando era rimasto solo con il primo dei due si era aperto in un sorriso simile a quelli che lo vedeva rivolgere ai ragazzini del primo anno.
A quanto pareva diventava un cuore di panna con i più piccoli.
In ogni caso, dato che il campo da Quidditch era a dir poco enorme e nei dintorni non si vedeva che verde e cielo, Eric fu ben contento di seguirlo; almeno sarebbe stato certo di non perdersi.
Seduto sulla fila di spalti più alta, le gambe incrociate e un libro dallo spessore poco incoraggiante in grembo, il castano alzò gli occhi al cielo mormorando un: "Cosa non si fa per la famiglia!" prima di iniziare a esaminare il sommario.
Storia, storia, ancora storia — John si era concentrato su quella: come poteva un semplice edificio, per quanto straordinario potesse oggettivamente essere, aver bisogno di essere raccontato in milleduecentotrentadue pagine?
E che diavolo si aspettava di trovarci, poi, John?
Prima che potesse anche solo accorgersene, mentre le dita sottili sfogliavano pagina dopo pagina e la mente creava le immagini descritte dalle parole riportate nero su bianco, Eric avvertì appena le palpebre appesantirsi.
E si addormentò.
 
 
"Polluce, Polluce!"
La voce forte e bambina del fanciullo risuonò tra le verdi fronde degli alberi. Si guardò attorno nuovamente e, non sapendo che altro fare, raccolse un cumulo di terra. Lo avvicinò alla bocca e vi sussurrò parole segrete dalla dolce pronuncia; soffiò, dal suo palmo la terra si librò leggiadra e volò via, seguita dal giovane.
Un quarto d'ora più tardi arrivò con il cuore in gola a un albero secolare che ben conosceva: il confine con il mondo dei mortali. Deglutì e pensò di ritentare l'incantesimo, quando sentì la voce della persona che stava cercando in lontananza.
"Sì," ridacchiò una voce dal tono malandrino sopra di lui. Stravaccato su un ramo, un giovane dai capelli ricci gli sorrise. "l'ha fatto!"
"Naturalmente non potevi impedirglielo, Ermes, vero?" domandò ironicamente il più piccolo.
"Naturalmente!"
Se possibile Castore provò ancora più inquietudine.
"Polluce?" chiamò con tono incerto. La voce argentina non si zittì, ma neanche gli rispose, per cui, inspirando a fondo, il giovane passò oltre l'albero. La voce di Ermes, allibita e improvvisamente preoccupata, lo seguì finché finalmente non si imbatté nel gemello.
"Polluce, che stai facendo?"
"Castore! Giusto in tempo, ho bisogno di assistenza." Polluce teneva le mani premute sul fianco di una cerva, da cui sgorgavano rivoli cremisi. Castore gli fu subito vicino, intenzionato ad aiutarlo.
"Che barbaria..."
"Lo so, è ancora molto piccola, vero? L'ho vista da oltre il confine. Un uomo l'ha ferita e non ho potuto non intervenire."
Castore si voltò a guardare il gemello con occhi sgranati. "Un uomo? E ti ha visto?"
"Ovvio che mi ha visto, gli ho intimato di farsi indietro perché potessi curarla. Dopodiché lui ha chiesto perdono ed è fuggito." spiegò con leggerezza Polluce, lasciandosi sfuggire un lieve sogghigno. "In realtà più che altro ha implorato."
"E la cosa ti fa ridere?" sbottò Castore. Polluce scrollò le spalle; si alzò e rispose semplicemente: "Dovrei piangere?"
"Era un cacciatore, Polluce, un cacciatore armato!"
"Un cacciatore armato mortale. Un uomo senza poteri, Castore, innocuo anche per dei ragazzini della nostra età."
Castore, boccheggiante, emise un gemito frustrato e lasciò che la cerva si rimettesse in piedi.
"Andiamo," lo riprese bonariamente Polluce, abbracciandolo da dietro e facendo gravare giocosamente il suo peso sulle spalle del gemello. "non essere arrabbiato con me, sai che non avrei attraversato il confine senza una valida ragione."
Castore non scacciò via il gemello, ma non staccò gli occhi dalle sue mani, sporche del sangue rappreso dell'animale. Un senso di nausea gli attanagliò lo stomaco e gli fece arricciare il naso.
"E tu sai che in questo mondo non valgono le nostre leggi, ma le loro. Sai che la magia non può seguirci ovunque."
"Vero, ma i miei poteri non mi hanno abbandonato; infatti ho potuto aiutare la cerva." annuì Polluce, le braccia attorno al collo del gemello e gli occhi chiari sorridenti rivolti all'animale. Castore si mosse a disagio, al che l'altro aggiunse: "Sarei potente per tutti e due, se servisse. Non importa se i tuoi poteri sono deboli fintantoché rimani insieme a me."
"Non mi interessano i miei poteri, Polluce." obiettò mesto Castore. "Mi interessa il fatto che saresti disposto a usare i tuoi contro chi non può difendersi, contro un mortale."
Il castano, a quelle parole, perse un po' del suo entusiasmo. Lasciò andare il fratello solo per prendere le sue mani tra le proprie, stringendole forte; il mento sulla sua spalla.
"Anche noi lo siamo."
"Per metà."
"Attraversato il confine tu lo sei per intero." dichiarò in tono freddo Polluce.
Si morse le labbra, trattenendo il respiro: una grande differenza tra lui e Castore era proprio quella. Dinnanzi agli altri maghi erano entrambi due bambini mortali per metà, ma lontani dal mondo magico solo la metà umana di uno di loro prevaleva sul resto, ovvero quella di suo fratello gemello, i cui poteri erano meno potenti e vistosi rispetto alla media.
Conoscendo la reputazione del loro padre, Zeus, molti non avevano nulla da dire al riguardo. Ma 'molti' non è 'tutti', e Castore lo sapeva: per Polluce non c'era nessuno più importante di lui.
"Che importanza ha?" mormorò con un timido sorriso Castore. Polluce lo guardò inarcando un sopracciglio. "Non ho intenzione di allontanarmi da casa o da te molto presto, sai. Solo... niente magia con i mortali, Polluce, intesi?"
Polluce sorrise radioso, annuendo. "Se questo ti rende felice, fratello, allora va bene; intesi."
 
 
*
 
 
Quando John si svegliò si ritrovò con il proprio avambraccio destro a fargli da cuscino; il libro che stava leggendo abbandonato sotto di esso, un calamaio ormai bello che asciutto e nella mente voci confuse e lontane.
Intontito, quasi fu deluso nel vedere le piante sempreverdi e le acque trasparenti dissolversi man mano che la realtà gli dava il bentornato.
Si guardò intorno, nella Sala Comune, e notò che gli altri Cobaltaurora stavano appena iniziando, lentamente, ad entrare per lasciare i libri in camera e andare a pranzare. Qualcuno del suo stesso anno e con il quale aveva scambiato qualche parola da quando era giunto ad Amstrong lo salutò anche, ma John, riscuotendosi e abbassando gli occhi sulla pagina che stava leggendo, chiuse di scatto il libro davanti a sé e uscì di tutta fretta.
Quasi rischiò di caracollare giù dalle scale mentre scendeva dalla torre.
"Ough — John, ma dove corri?!"
"Ti stavo cercando!"
George allargò le braccia con eloquenza. "E mi hai trovato. Che cosa—?"
"—Hai fatto strani sogni." Lo interruppe il ragazzino, mentre riprendeva fiato, negli occhi verdi un costante lampo di certezza. Tanto evidente che il rosso aggrottò la fronte confuso, puntandogli contro un dito, incerto. "Io... non penso ad alta voce, vero?"
John riprese a respirare e, prendendolo per mano, iniziò a trascinarlo via: "Dobbiamo trovare Eric."
"Stavo giusto venendo a cercarvi, ho trovato Ivory."
"E ti ha confermato che Ailis esiste?"
"Esatto."
"E che fa qualcosa ai sogni della gente?"
"—Lo ha fatto anche a te?!"
 
 
*
 
 
"Non è un granché, in realtà, ma a volte le persone possono farla diventare pericolosa."
"E tu e James pensavate che con me sarebbe successo?"
Max schioccò la lingua sul palato e lanciò ad Hailey un'occhiata così eloquente che la castana si schiarì la voce e spostò il proprio peso da un piede all'altro: , l'avevano pensato. E a ragione.
"Allora, uhm, cosa... cosa c'è dietro questa porta?"
"La Stanza delle Mille e una Illusioni." rispose meccanicamente Max. "Non ho un'idea precisa per la quale sia stata creata, forse perché all'inizio la gente reagiva anche peggio di te quando veniva reclutata." Se notò il lieve rossore che comparve sulle gote dell'Empatica, di questo Hailey gliene fu grata, non lo diede a vedere. "O forse perché ci si allenasse in ambienti familiari, per prevenire traumi, curiosare nella vita altrui... non ne ho idea."
Si fermarono davanti a quello che la più grande aveva sempre pensato fosse uno sgabuzzino inutilizzato o comunque un luogo per qualche motivo off limits, chiuso a chiave e protetto da qualsiasi incantesimo d'apertura e simili.
Max infilò la mano nella propria manica sinistra e la ritrasse seccato, palpandosi ovunque da sopra il proprio maglione sotto lo sguardo perplesso di Hailey finché non si fermò di scatto e controllò la destra. Ne tirò fuori una chiave grande quanto la sua mano e piena di ruggine.
"Che razza di nascondiglio è quello?" Sbottò la castana.
"Quante possibilità avevamo che controllassi addosso a me?" Rispose serafico e con un che di imbarazzato e piccato il moro.
"Touché."
"Facciamola finita una volta per tutte. Ricorda: niente è reale, sta tutto nella tua testa, quindi vedi di non allontanarti. Potresti perderti."
Detto questo, Max impugnò la chiave alla rovescia e la usò per dare tre colpetti a ritmo alla serratura. Dopo il terzo, questa scattò, e la chiave sparì nella tasca posteriore dei pantaloni del moro.
Impugnò il pomello e spinse di poco, quanto bastava perché si intravedesse un abisso di colori caldi così terso e infinito che Hailey sentì la testa girarle.
Era come una finestra sul nulla, la castana ebbe l'istinto di pensare che se avesse oltrepassato l'uscio sarebbe precipitata senza raggiungere mai il fondo. Pensiero che venne interrotto da Max — non si era accorta di essersi posta dietro di lui e di star guardando da oltre la sua spalla, così vicina da poter notare qualche efelide spruzzata qua e là sul viso del moro — il quale, un sopracciglio alzato e la mascella serrata, si scostò appena.
"Fa un po' impressione, ma è perfettamente sicura se sai come usarla. Devi solo... chiudere gli occhi, Hailey, e immaginare." Le disse.
Hailey inspirò e fece come le era stato detto. "Cosa devo immaginare?"
"Casa. Un posto che senti tuo, che è stato importante... qualsiasi cosa. Poi fa' un passo avanti." Max emise un lieve sbuffo che fece pensare ad Hailey a un sorriso inghiottito. "Vedrai che trucchetti conosce, questa stanza!"
Dopodiché Max tacque, e si tenne a un passo da Hailey nel momento in cui quest'ultima varcò la soglia della Stanza delle Mille e una Illusioni, riempiendola di campi di grano e nuvole bianche.

 
 
 
Angolo dell'autrice negligente
 
Non ricordo nemmeno da quanto non aggiorno, so solo che... ehm... che è meglio tardi che mai? Heh.
Comunque, eccoci qua, a pochi capitoli dalla fine! In questi giorni ho ricontrollato questo e rivisto il finale che ho in mente. Tempo permettendo non dovrei correre il rischio di lasciarvi a secco per altri... ew, non voglio nemmeno pensare a quanti mesi ho lasciato passare senza postare nulla!
Comunque, siamo quasi alla fine. Quasi. Ugh. Appunto, yep, quasi.
 
Oh, so della scuola che la Rowling ha dato agli States eccetera ma, well, ponendo da parte il fatto che non mi ha entusiasmata chissà quanto (perché me tediosa e me anche tanto puah/?/), in un certo senso sono arrivata prima io con Upside Street, Amstrong & co. — col cavolo che mi metto a modificare e adattare, con tutto il rispetto. xD
 
Spero che ci sia ancora qualcuno interessato alla fiction e, se siete riusciti a fare un po' il punto della situazione e non state cercando di ripescare dai capitoli precedenti informazioni al fine di colmare buchi e dubbi vari, vi ringrazio e vi abbraccio! ;)
  
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