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Autore: dreamfanny    29/07/2016    2 recensioni
Questa storia ha come protagonista Laxus, che dopo l’ennesimo litigio tra suo padre e suo nonno, è partito senza salutare nessuno viaggiando per due anni tra una città e l’altra. Sentendone la mancanza e a corto di soldi, ritorna finalmente a Magnolia per trovarsi ad affrontare alcuni fantasmi del passato e ritrovare gli amici più cari. Forse anche innamorarsi.
Piccolo avvertimento: alcuni personaggi potrebbero metterci qualche capitolo per comparire, ma essendo Laxus il protagonista dovrete pazientare. Se siete interessati per lui, invece, buona lettura!
*Le età dei personaggi sono leggermente diverse da quelle del manga: Laxus e altri hanno solo due anni o poco più di differenza con gli altri ragazzi più giovani, invece di quattro anni come nella storia originale.*
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Il Raijinshuu, Lisanna, Luxus Dreher, Mirajane, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Premessa dell’autrice
Avvertimento angst! Come se non ce ne fosse abbastanza in questa storia e il mio Laxus non stesse soffrendo a sufficienza, questo capitolo ha una nota di tristezza non da poco. Almeno per quanto mi riguarda, scrivere di Laxus così perso e disperato mi fa scendere una lacrimuccia. Però ho voluto raccontare di quello che gli è successo durante i due anni lontano da Magnolia, anche se sono brevi episodi e molte cose saranno spiegate più avanti, e descrivere in maniera indiretta il suo carattere, che personalmente mi piace molto. Spero che si sia capito anche nei capitoli precedenti, ma in questo in particolare volevo sottolineare la sua determinazione e la sua voglia di lottare: sembra burbero e arrogante, ma è uno che non molla e si impegna per ottenere quello che vuole. Per questo adoro il suo personaggio anche nella storia originale. Mi auguro di averlo reso come volevo.
A parte questo breve sproloquio, vi ho scritto prima del capitolo perché ci sarà un continuo balzare dal periodo in cui lui era lontano da Magnolia ai giorni presenti. Quindi, ad ogni cambio di scena ci sarà un ritorno ad uno dei due tempi narrativi.
Buona lettura!
Alla prossima,
dreamfanny
 
PS. Ovviamente, vi ringrazio moltissimo perché mi state seguendo e vi state appassionando alla mia storia, soprattutto un abbraccio speciale va a Honey, Red e Dominox, che hanno commentato lo scorso capitolo :)
 
 

 

 
Non sei solo
 
 


 
La porta sbatté violentemente e sentì i passi pestati di Natsu percorrere le scale. Un altro rumore violento gli segnalava che era uscito anche dal ristorante. Si voltò verso suo nonno, che stava ancora fissando la sedia da cui il ragazzo si era alzato e gridando se n’era andato. Guardò Gildarts e lo vide sospirare pesantemente, per poi bere tutto d’un sorso il vino che era rimasto nel bicchiere.
«Non l’avete preparata molto bene» commentò Laxus, prendendo i piatti e portandoli in cucina.
«Avremmo dovuto dirglielo prima, dopo il funerale di Igneel».
«Perché pensi che l’avrebbe presa diversamente, Gildarts?» suo nonno scostò la sedia e lo aiutò a sparecchiare. «Ha appena scoperto di non essere figlio di suo padre e non può chiedergli nulla perché è morto. Dubito che la notizia l’avrebbe sconvolto meno se l’avesse saputo un anno fa». Cominciò a posare i piatti, che Laxus stava sciacquando e impilando sul lavandino, nella lavastoviglie.
«Può darsi… comunque, credo sia il momento di assumere un investigatore e capire da dove venga» disse Gildarts, accendendosi un sigaro.
«Sì, ho il numero di un ex-agente di polizia che potrebbe occuparsene» lo informò Makarov. «Lasciamo che elabori da solo la cosa, nel frattempo troveremo quante più risposte possibili alle sue domande» e, dopo aver chiuso lo sportello della lavastoviglie, tornò a sedersi di fianco a Gildarts.
Laxus finì di lavare i bicchieri, li salutò con un «Buona notte» appena udibile e andò in camera sua. Forse sarebbe dovuto andare da Natsu, magari aveva bisogno di sfogarsi con qualcuno. Prese il cellulare con l’intenzione di chiamarlo, ma cambiò improvvisamente idea e compose il numero di Mira.
«Pronto?» la sua voce assonnata lo raggiunse dall’altoparlante del telefonino.
«Stavi già dormendo? Scusa» le disse Laxus, controllando solo in quel momento l’ora. Era l’1 di notte.
«Non importa, è successo qualcosa?». Sentì un suo sbadiglio deformare il suono dell’ultima parola e sorrise pesando al suo viso addormentato.
«Lisanna è sveglia?» chiese alla fine «Ho bisogno di parlarle un minuto».
Alla sua richiesta seguì un lungo silenzio e «Pronto?» una voce un po’ più squillante lo fece appena sussultare dalla sorpresa.
«Lisanna?»
«Sì, sono io. Cosa c’è?»
Dopo un attimo di esitazione, le riferì quello che era successo durante la cena concludendo con il chiederle «Quindi magari potresti chiamarlo e sentire come sta, non lo so… credo che parlerebbe più volentieri con te che con me».
«Ma è terribile!» commentò una voce più profonda.
«Chi è?»
«Sono Elfman»
«Hai messo il vivavoce e nemmeno me lo dici?» si lamentò Laxus, ripensando al discorso accorato che le aveva appena fatto.
«Sei così dolce, Laxus» gli disse Mira.
«Lo potresti sentire, Lisanna?» domandò, cercando di scacciare la sensazione di imbarazzo che stava provando per il commento di Mira.
«Sì, lo faccio subito. Grazie!». Un breve suono gli fece capire che era stato tolto il vivavoce.
«Sono solo io adesso» lo informò Mira, facendolo sorridere «Sei stato carino a preoccuparti per Natsu».
«Se lo dici tu…» le rispose con una leggera smorfia. Ripensò a quando se n’era andato di casa e allo smarrimento che aveva provato durante i primi mesi, incapace di chiedere aiuto anche a suo nonno e testardo come suo padre, aveva rischiato di vivere per strada se non fosse stato per le persone che aveva incontrato. «Non voglio che faccia la mia fine, tutto qui» sussurrò con amarezza.
 
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-DUE ANNI PRIMA-

Scese dal treno e uscì incerto dalla stazione, stringendo con le mani le fibbie dello zaino che portava sulle spalle. Si guardò intorno intimorito. Non sapeva dove andare, non era mai stato in quella città. Forse sarebbe dovuto tornare a casa, suo nonno gli avrebbe sicuramente fatto una ramanzina ma almeno… Il volto deluso e sprezzante di suo padre gli comparve davanti agli occhi interrompendo il flusso dei suoi pensieri, scosse la testa con violenza per cancellare quell’immagine e si incamminò sulla via alla sua destra. Non aveva idea di dove conducesse, né dove avrebbe dormito quella notte. L’unica cosa di cui era certo era che non voleva più sentire quel vuoto nel petto ogni volta che suo padre lo guardava od ogni volta che pensava a lui. Dopo qualche minuto, vide l’insegna luminosa di un motel ed entrò senza esitazione chiedendo una stanza singola.
Guardò fuori dalla finestra e vide il muro del palazzo di fianco. Osservò la camera: l’arredamento era vecchio, sembrava che le tende stessero per staccarsi dalle aste inchiodate al soffitto. Ma, nonostante il letto e la scrivania fossero stati probabilmente comprati cinquant’anni prima, era pulita. Posò lo zaino sulla sedia di fianco al comodino e si sdraiò, con molta cautela, sul letto. Temeva che non reggesse il suo peso. Tutto sembrava precario e sul punto di rompersi. Qualche secondo e sprofondò in un sonno agitato.
 
«Non mi mettere in mezzo!»
«Sei un debole!»
«Lasciami in pace!»
«Ivan!»
«Non lo vedi? Non combinerà mai niente con questo atteggiamento»
«Smettila, Ivan»
«È troppo sensibile, tua madre è morta. Fattene una ragione!»
«Sei uno stronzo!»
«Cos’hai detto? Vieni qui, che ti insegno come rivolgerti a tuo padre!»
«Ivan, esci da qui»
 
Si svegliò con il cuore che gli batteva così velocemente da sentirlo quasi uscirgli dal petto e con il sudore che gli gocciolava sugli occhi e gli aveva bagnato la maglietta che indossava. Se la tolse e andò nel piccolo bagno di fianco al letto. Aprì il rubinetto del lavandino e mise la testa sotto l’acqua ghiacciata. Rimase in quella posizione per minuti, o ore. Quando finalmente si decise a tornare nella stanza, fuori era ormai buio pesto. Guardò l’orologio: segnava l’1 di notte. Osservò la stanza vuota e un senso di disperazione lo pervase. Prese lo zaino, tirando fuori il cellulare per chiamare Freed o Bickslow o Ever. Chiunque. Lo accese e in pochi minuti cominciò a squillare, c’erano almeno una ventina di chiamate di suo nonno e altrettanti messaggi da parte di ognuno dei suoi amici. Era in qualche modo confortante sapere che qualcuno lo stesse cercando. Scorse la lista delle chiamate perse e ne vide tre di suo padre, una era stata fatta appena dieci minuti prima. Lo spense di nuovo e si ributtò sul letto.
 
°°°°°°°°°°°°
 
«Potremmo andare in spiaggia uno di questi giorni». Erano passate un paio di ore da quando l’aveva chiamata e stavano ancora parlando. Era stanco, ma non potendole stare vicino lo confortava sentire la sua voce. Continuavano a tornargli in mente episodi di quei primi mesi lontano da Magnolia e lo stava lentamente avvolgendo una strana tristezza.
«Sì, è un’idea carina…». Un tonfo gli bloccò le parole in gola, si alzò di scatto dal letto e aprì la porta della camera scrutando il corridoio non illuminato.
«Nonno?». Laxus lo chiamò mentre si avvicinava alla sua stanza.
«Cos’è successo?» si allarmò Mira d’altra parte del telefono.
«Nonno?». Aprì lentamente la porta e lo vide disteso a terra con una mano sul petto e il viso contratto dal dolore. «Nonno…» sussurrò in preda al panico. Chiuse la chiamata e compose con le mani tremanti il 118.
«Andrà tutto bene, stai tranquillo». Si accovacciò di fianco a lui, tenendogli la testa sulle ginocchia e massaggiandogli il petto.  «Andrà tutto bene» ripeté, mentre vide suo nonno diventare sempre più pallido.
 
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Percorse le vie con passo veloce, scrutando con timore ogni volto che incontrava. Rivivendo ad ogni svolta la paura di qualche ora prima. Non si era mai sentito così fragile e indifeso. Era uscito dall’hotel per esplorare i dintorni della nuova città in cui aveva deciso di fermarsi e, mentre imboccava un vicolo, un uomo gli si era parato davanti e con il coltello in mano gli aveva intimato di dargli lo zaino che portava sulle spalle. Aveva provato ad opporre resistenza, sferrandogli qualche calcio e pugno ma lui era riuscito ad avvicinarsi tanto da fargli sentire la lama sul collo e Laxus si era immobilizzato. Aveva sentito lo zainetto sfilarsi e poi, all’improvviso, aveva capito di essere rimasto solo nel vicolo. Si era accasciato a terra in preda al panico: i soldi, il cellulare. Aveva perso tutto. Non sarebbe nemmeno potuto tornare a casa. Casa. Aveva cominciato a piangere quando il volto di suo nonno era comparso davanti a lui. Sarebbe potuto andare alla polizia a chiedere aiuto. E suo padre cosa avrebbe detto? “Sei un debole, non riesci nemmeno a difenderti!”. Aveva pianto convulsamente desiderando un abbraccio di sua madre e si era stretto le ginocchia tra le braccia nascondendoci il viso. «Mamma…» aveva biascicato.
Si era deciso ad alzarsi solo dopo molte ore e in quel momento stava camminando in cerca della stazione di polizia, ma non aveva idea di dove dovesse andare. Scrutava i volti in cerca di qualcuno di rassicurante. Si fermò quando vide una donna uscire da un negozio con un bambino piccolo per mano.
«Scu…» si schiarì la voce e si avvicinò appena. «Scusi…» le disse, tenendosi a distanza.
«Sì?». La donna gli sorrise, stringendo a sé quello che doveva essere suo figlio. Avevano lo stesso nero ebano a contornare il volto.
«La polizia, dove si trova la stazione di polizia?» le chiese, deglutendo a fatica.
«Oh, caro. Stai bene?» gli domandò, improvvisamente preoccupata dopo aver notato la sua espressione.
«Sì, grazie. Ho bisogno…» deglutì ancora prima di proseguire «Ho bisogno di andare alla polizia, me la può indicare?».
«Certo, prosegui sempre dritto. In fondo alla via svolta a destra e trovi un enorme palazzo grigio. Lo vedi subito». Si zittì e lo osservò prima di chiedergli «Vuoi chiamare qualcuno?». Sembrava essersi resa conto solo in quel momento della sua giovane età.
«No, grazie per l’indicazione». Laxus fece un sorriso forzato alla donna e poi al bambino e si allontanò.
 
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«Cos’è successo?». La voce di Mira lo raggiunse prima che potesse vederla. Alzò la testa e la guardò mentre correva verso di lui. Dietro riconobbe Freed, Ever e Bickslow insieme a Lisanna ed Elfman.
«Scusa se ho chiuso la chiamata in quel modo… io… credo abbia avuto un infarto… non mi dicono niente…». Si alzò, cercando di sciogliere il nodo che gli bloccava la gola. Era stato in sala d’attesa per mezz’ora prima di decidersi a rispondere alle chiamate di Mira, che preoccupata non aveva smesso di cercarlo. Non voleva affrontare da solo quella situazione. Sentì le mani dei suoi amici posarsi sulle sue spalle e le braccia di Mira avvolgergli la vita. Perdere suo nonno… non riusciva nemmeno ad immaginarlo. Si sedette di nuovo, stringendo Mira quando lei fece per allontanarsi e chiedendogli con lo sguardo di sedersi sulle sue ginocchia. Lei gli sorrise e cominciò a passargli una mano tra i capelli, come per tranquillizzarlo.
«È forte, vedrai che starà bene» sentì Freed dire, mentre gli stringeva la spalla.
«Sì, è uno che non molla». Ever gli diede un bacio sulla fronte e si sedette di fianco a lui, prendendogli una mano e accarezzandogliela.
Bickslow si accovacciò di fronte a lui e lo fissò negli occhi. «E anche se succedesse qualcosa, non sei solo» gli disse con decisione. «Non sei mai stato solo» aggiunse sedendosi sul pavimento con le gambe incrociate. Laxus guardò Freed, Ever e Mira e loro gli sorrisero. Intravide il volto di Lisanna e la massa enorme di Elfman. Non era solo. Sospirò e chiuse gli occhi, cullandosi nella sensazione di protezione che gli stavano infondendo.
 
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Uscì dall’edificio con più determinazione di quando vi era entrato. Non voleva tornare a casa, non l’avrebbe data vinta a suo padre. Per quanto confortante potesse essere stato sapere che qualcuno lo stava cercando, non se ne era andato per ritornare dopo poche settimane frignando. Se avesse chiamato suo nonno e si fosse fatto venire a prendere, avrebbe ritrovato la stessa identica situazione insopportabile a casa. Voleva allontanarsene il più possibile. Si diresse con decisione verso il motel in cui alloggiava. Almeno quella notte avrebbe dormito in un posto caldo, visto che aveva già pagato. Il mattino dopo avrebbe pensato al da farsi.
Mentre camminava, rimuginando su Magnolia, intravide con la coda dell’occhio un foglio appeso alla vetrina di un locale. “Cercasi barista, se interessati presentare il curriculum tra le 10 e le 13”. Fissò l’annuncio non riuscendo a credere alla sua fortuna. Decise di tornare l’indomani, anche se non aveva nessuna referenza da poter portare, doveva provare ad ottenere il lavoro. Con una piccola speranza tornò all’hotel e si addormentò in pochi minuti, sfinito.  
Si svegliò quando la luce di mezzogiorno raggiunse il letto e gli riscaldò il viso. Si alzò di scatto e guardò la sveglia sul comodino, maledicendosi per non aver pensato di mettere l’allarme. Corse in bagno, si sciacquò velocemente il viso e cercò rendersi il più presentabile possibile non avendo un cambio di vestiti.
Scese le scale due gradini per volta e posò la chiave della stanza sul bancone della reception senza dire una parola. «Arrivederci» sentì dire da qualcuno dietro di lui. Non si voltò per rispondere e cominciò a camminare a passo svelto verso il locale della sera prima. Arrivò dopo qualche minuto e vide con soddisfazione che non sembrava esserci nessuno all’interno, a parte un uomo di mezza età seduto su uno sgabello e intento a sfogliare dei plichi. Inspirò, drizzò le spalle ed entrò. «Buongiorno» esordì, restando sulla soglia e aspettando che si voltasse.
«Buongiorno» rispose l’uomo «Sei qui per il colloquio?».
«Sì, sono Laxus» gli disse, mentre gli porgeva la mano. Lo guardò meglio e cominciò a dubitare della sua decisione: aveva dei lunghi capelli rossi e indossava un completo gessato bianco. Quando si alzò per stringergli la mano, fece uno strano movimento con le gambe, quasi si stesse mettendo in posa. Notò che era più basso di quanto gli fosse sembrato, gli arrivava a malapena alla vita.
«Io sono Ichiya» si presentò «E questo è il Blue Pegasus, il più famoso locale della città» concluse con fare teatrale, indicando l’enorme sala.
Laxus lo guardò stranito, con la fronte corrugata. «È ancora disponibile il posto da barista?» si informò, cercando di trattenersi dal ridere. Ogni volta che concludeva una frase, cambiava posa incrociando le braccia o facendo strani gesti con le dita.
«Sì, nessuno era abbastanza bello per il nostro locale» commentò, indicandogli uno sgabello. Laxus si sedette dopo un momento di indecisione: le sue parole gli fecero dubitare ancora di più che fosse stata una buona idea presentarsi per quel posto di lavoro, ma non aveva altre possibilità. «Hai il curriculum?» gli chiese, accomodandosi di fianco a lui ed esaminandolo con gli occhi.
«No, ma posso mostrarle qualcosa. Mi dica un cocktail qualsiasi e glielo preparo». Doveva ottenere il lavoro, era determinato a fare qualsiasi cosa.
«Saresti disposto a lavorare senza maglietta?» gli domandò socchiudendo appena gli occhi e continuando a scrutarlo.
«Cosa? No!» quasi gridò Laxus.
«Capisco. Sei assunto» decretò Ichiya, mentre gli porgeva la mano con un sorriso.
Laxus sbatté le palpebre più volte, incredulo. «Quando vuole che cominci?» riuscì a chiedere, appena si fu ripreso.
«Stasera, se per te va bene. E dammi del tu, siamo una famiglia qui».
«Quant’è la paga?». Distratto dai movimenti dell’uomo, aveva accettato prima ancora di chiedere gli orari e lo stipendio.
«Giusto, giusto. Sono 900 euro al mese, più le mance che riuscirai a guadagnare. 6 giorni su 7, dalle 19 alle 2. Il lunedì siamo chiusi» e con un altro gesto teatrale delle mani gli sorrise. «Accetti?».
Lo osservò con un sopracciglio alzato, ma alla fine lo salutò con una stretta di mano e disse «Ci vediamo stasera».
 
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Posò le chiavi sul mobile all’ingresso, si tolse la giacca e accese la luce.
«Li mettiamo in cucina?» gli chiese Ever, entrando dietro di lui.
«Sì, prendete pure quello che volete» le disse mentre si spostava per far passare Freed e Bickslow. Le braccia di Mira lo avvolsero da dietro e sentì un suo bacio sfiorargli la schiena. Si voltò e le sorrise. «Vado a fare una doccia» le disse sorridendole e accarezzandola.
«Va bene, prepariamo noi». Si alzò in punta di piedi e lo baciò di nuovo, per poi raggiungere Ever in cucina.
Laxus andò verso camera sua, sentendo ad ogni passo la stanchezza appesantirgli le palpebre. Erano le 6 di mattina, erano rimasti in ospedale tutta la notte e il giorno dopo suo nonno avrebbe dovuto sottoporsi ad un’operazione al cuore. I dottori avevano detto che era fuori pericolo, ma visto il precedente ricovero ritenevano opportuno mettergli un bypass. Gli avevano concesso di vederlo solo per qualche minuto, perché aveva bisogno di riposare molto, ed era così debole e pallido che Laxus aveva intimamente ringraziato di poter subito uscire senza dare spiegazioni. Quando era tornato in sala d’attesa, Gildarts gli aveva dato una pacca sulla spalla e gli aveva detto di tornare a casa a riposarsi. Non aveva opposto resistenza. Aveva resistito a sufficienza, doveva assolutamente dormire.
Su richiesta di Bickslow si erano fermati a prendere qualcosa da mangiare nell’unico bar che avevano trovato già aperto. Il proprietario stava bloccando le serrande quando erano entrati, ripulendolo di tutte le brioches e i biscotti che aveva appena finito di sistemare.
«Attento» sentì Lisanna rimproverare qualcuno.
«Passami il latte»
«Prima apparecchia, non vorrai mica mangiare tutto tu vero?»
«Questo l’ho preso per me!». La protesta di Bickslow lo fece sorridere. Si buttò sul letto e chiuse gli occhi per qualche minuto.
«Laxus?».
«Sì?».
«Vuoi mangiare qualcosa o preferisci dormire?». Si alzò e mise a fuoco il volto di Mira, che lo stava guardando con dolcezza.
«No, no. Ho fame, arrivo». Sbadigliò, mentre si metteva in piedi a fatica. Le prese la mano e uscì dalla stanza, camminando verso la cucina. «Grazie per essere venuta in ospedale » le disse, rendendosi conto solo in quel momento dello sforzo che doveva aver fatto.
«Ti ho accompagnato anche alla visita, ricordi?» gli rispose sorridendo.
Laxus si fermò a guardarla. «È vero… non ho nemmeno…».
«Ho mancato di starti vicino una volta, non capiterà mai più» lo interruppe Mira, sfiorandogli le labbra e accarezzandogli la mano. Le sorrise e la baciò, prima di abbracciarla e sussurrarle «Grazie».  
Si allontanò dopo qualche minuto, quando dietro la testa di Mira intravide una luce accesa in camera di suo nonno. Entrò per spegnerla, avvicinandosi al letto per cliccare l’interruttore della lampada, ma notò il cellulare sul letto e il led che lampeggiava ad intermittenza. Lo prese in mano e lo sbloccò per vedere chi lo avesse chiamato. Un messaggio non letto. Esitò prima di aprirlo, poi schiacciò sullo schermo e lo lesse. “Devi avvertire i Servizi o lo faranno fuori”. Scorse la conversazione e lesse anche l’sms precedente “Ce l’hanno loro”. Fissò le parole per qualche minuto prima di realizzare di chi stessero parlando. Guardò il nome del mittente senza riconoscerlo.
«Tutto a posto?» gli chiese Mira, posandogli una mano sulla schiena.
«Non lo so…» rispose in un sussurro. Senza pensarci, cliccò sul numero e sullo schermo comparve “Gajeel” a grandi lettere. 





 
   
 
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