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Autore: effe_95    29/07/2016    3 recensioni
Questa è la storia di diciannove ragazzi, i ragazzi della 5 A.
Questa è la storia di diciannove ragazzi e del loro ultimo anno di liceo, del loro affacciarsi a quello che verrà dopo, alla vita. Questa è la storia di Ivan con i suoi tatuaggi , è la storia di Giasone con le sue stelle da contare, è la storia di Italia con se stessa da trovare. E' la storia di Catena e dei fantasmi da affrontare, è la storia di Oscar con mani invisibili da afferrare. E' la storia di Fiorenza e della sua verità, è la storia di Telemaco alla ricerca di un perché, è la storia di Igor e dei suoi silenzi, è la storia di Cristiano e della sua violenza. E' la storia di Zoe, la storia di Zosimo e della sua magia, è la storia di Enea e della sua Roma da costruire. E' la storia di Sonia con la sua indifferenza, è la storia di Romeo, che non ama Giulietta. E' la storia di Aleksej, che non è perfetto, la storia di Miki che non sa ancora vedere, è la storia di Gabriele, la storia di Lisandro, è la storia di Beatrice che deve ancora imparare a conoscersi.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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I ragazzi della 5 A
 

44. Precocemente, Forte e La vicina di Lisandro.  
 

Marzo

Giasone non aveva la minima idea di come fosse finito in quella situazione.
Come ogni volta che si trovava con Muriel, succedeva sempre qualcosa di cui non poteva o non riusciva ad avere il controllo, ed era una cosa che detestava.
Dovevano andare al cinema quella sera d’inizio Marzo, doveva essere una normale serata tra fidanzati e Giasone l’aveva in parte pianificata tutta nella sua mente.
Sarebbe andato a prendere Muriel sotto casa, avrebbero preso insieme la metropolitana e raggiunto il posto stabilito, avrebbero scelto insieme un bel film romantico da vedere e la serata sarebbe andata per il verso giusto.
Quando molte ore più tardi Giasone si ritrovò a ripensare a tutta la serata, si rese conto con il senno di poi che avrebbe dovuto essersi abituato da un pezzo al fatto che le cose con Muriel non andassero mai come le aveva programmate, che lei era sempre diversa.
Era andato tutto secondo i piani fino a quando non era arrivato sotto casa sua e l’aveva chiamata perché scendesse, al cellulare aveva risposto suo padre con voce allegra per informarlo del fatto che Muriel era ancora sotto la doccia.
Giasone aveva risposto che l’avrebbe aspettata giù e aveva chiuso la comunicazione ancora prima che l’uomo potesse ribattere altro, imbarazzato a morte.
Era seduto sul muretto da nemmeno due minuti, a rimuginare sul fatto che sarebbero arrivati tardi al cinema sicuramente, quando si era aperto il portone del palazzo e un uomo sulla quarantina si era affacciato con un sorriso allegro sulla faccia.
Giasone ci aveva messo un po’ per capire che stava fissando proprio lui, il primo pensiero che ebbe fu che si trattasse di un pazzo che volesse aggredirlo, poi l’uomo l’aveva chiamato per nome, gli aveva afferrato una mano con calore e aveva dichiarato di essere Nathan, il padre di Muriel.
Giasone era rimasto impalato per alcuni secondi prima di rendersi conto che quell’uomo era sceso giù per andare addirittura a prenderlo, che lo stava trascinando verso l’ascensore e che sembrava ancora un diciottenne con quei vestiti che indossava.
Giasone si era ritrovato a starsene seduto sul divano del salotto di Muriel, di fronte ad un tavolino ingombro di documenti, carte e candele sciolte, con Nathan che lo fissava allegramente, senza nemmeno sapere come fosse realmente successo.
Gli sembrava tutto un incubo.
E la sua serata aveva preso una piega completamente diversa da quella aspettata.
Nathan era una persona completamente diversa da quella che aveva immaginato, quando Muriel gli aveva parlato dei suoi genitori e gli aveva detto che suo padre era un ingegnere, Giasone aveva immaginato un uomo severo sempre in giacca e cravatta.
Nathan non era per niente così.
Aveva folti capelli scuri scombinati, ribelli e grigi in alcuni punti, la pelle era scura, gli occhi erano espressivi e verdi come quelli della figlia, indossava una maglietta grigia a mezze maniche nonostante fuori la neve non fosse ancora sciolta del tutto e il braccio destro era completamente ricoperto di tatuaggi, dalla mano fino alla base del collo.
Portava dei jeans stretti e stracciati che lo facevano sembrare ancora di più un ragazzino e aveva il sorriso facile, espansivo e solare come Muriel.
In effetti, le assomigliava tantissimo.
<< Finalmente ho il piacere di conoscerti! Sei il famoso coach, Giasone, quello che ha strigliato per bene mia figlia durante una partita giusto? >>
Giasone arrossì fino alla punta dei capelli quando Nathan gli rivolse quella domanda con un sorriso strepitoso sulle labbra, era seduto proprio di fronte a lui e lo scrutava attentamente con le mani grandi e callose intrecciate sulle gambe, sembrava piuttosto rilassato.
L’esatto contrario di Giasone, che non faceva altro che torcere le dita sudate.
Non era nella lista dei suoi desideri recenti conoscere i genitori di Muriel, in realtà Giasone aveva immaginato quel momento come qualcosa di piuttosto lontano nel tempo, non sapeva nemmeno se il giorno dopo avrebbe continuato a stare con lei, erano così giovani per pensare a certe cose.
<< Ehm io … ecco, era per la … insomma … >>.
Nathan scoppiò a ridere con vigore di fronte ai continui balbettii di Giasone e il biondo si ammutolì, incassando il colpo come se qualcuno l’avesse schiaffeggiato, doveva avere le guance in fiamme in quel momento.
<< Hai fatto benissimo! Quel giorno Muriel non faceva altro che combinare guai. Un bravo coach deve avere il polso fermo quando si tratta di prendere una decisione per il bene della squadra >> Nathan terminò la frase facendogli l’occhiolino, aveva qualche ruga attorno agli occhi e agli angoli della bocca, ma era difficile stabilire quanti anni avesse, sembrava quasi che fosse rimasto bloccato nel tempo a quando andava ancora all’università.
<< Sei il fidanzato di mia figlia? >>
Giasone rischiò di cadere dal divano quando arrivò quella domanda, non aveva saputo come replicare a quella precedente per cui era rimasto in silenzio a scorticarsi le mani, era stata assolutamente una pessima idea, guardò Nathan negli occhi e annuì leggermente.
Non si era mai sentito in imbarazzo come in quel momento, sembrava che la lingua fosse sparita da qualche parte lasciandolo senza la facoltà di parola.
<< S-stiamo insieme da qualche mese … da Dicembre! >>
Giasone avrebbe voluto mordersi la lingua per quella risposta, l’aveva buttata fuori senza criterio pur di far sentire la sua voce, pur di dare anche solo per un attimo l’idea di essere tranquillo, anche solo per apparenza, ma aveva come la sensazione di non esserci riuscito.
<< Muriel ti ha parlato di noi? Io sono un ingegnere! >> Commentò Nathan con aria allegra, poi lanciò un’occhiata al tavolino ingombro e sussultò come se si fosse accorto solo in quel momento del disordine che regnava sovrano nella stanza << A proposito, tutte queste carte non dovrebbero essere qui! Stiamo lavorando a un progetto davvero interessante ultimamente … ah, non ti ho offerto nulla, che maleducato! Vuoi una fetta di torta? Mia moglie è davvero … >> L’uomo aveva pronunciato quella raffica di parole mentre raccoglieva un foglio dietro l’altro, si alzava in piedi con le braccia stracolme di carta e interrompeva la frase a metà perché proprio in quel momento si era aperta la porta di casa.
Giasone sarebbe voluto sprofondare sotto terra, rivolse un’occhiata allucinata al padre di Muriel e si girò verso la porta di casa, sul cui uscio se ne stava una donna con lunghi capelli neri raccolti in uno chignon tenuto da una matita, caldi occhi marroni e il naso all’insù.
Aveva tra le mani delle buste della spesa, indossava un lungo cappotto nero aperto su un vestito color senape alla romana legato in vita da un cinturino di pelle marrone, delle calze color carne le fasciavano le gambe magre e ossute e i piedi calzavano un paio di scarpe di stoffa gialla con la zeppa di sughero << Oh, Teresa! Guarda un po’ chi è salito? >>.
Giasone saltò in piedi quando la donna avanzò nella stanza, aveva tolto il cappotto e lasciato le buste della spesa nel piccolo ingresso, non assomigliava a Muriel nemmeno un po’.
<< Il famoso Giasone? >>
L’esordio di Teresa fece sentire Giasone ancora di più in imbarazzo, sembrava che in quella famiglia avessero tutti sentito parlare di lui in qualche modo, non gli era difficile immaginare Muriel che parlava a tutta forza definendolo uno scimmione peloso, un coach dispotico e tutta una serie di altri epiteti che lo stesso Giasone stava scoprendo un po’ alla volta.
<< Si, sono io. Piacere di conoscerla >>
Teresa gli fece un bel sorriso e Giasone cercò di ricambiare il gesto senza sembrare troppo spaventoso, Ivan gli aveva sempre detto che non aveva la tendenza al sorriso, che le sue labbra tendevano naturalmente verso il basso, e quindi quelle poche volte che si accingeva a compiere quel gesto risultava essere piuttosto spaventoso.
Giasone aveva chiesto a Muriel se fosse vero.
Avrebbe voluto non averlo mai fatto.
<< Vuoi una fetta di torta? L’ho fatta io proprio stamattina >>
<< Stavo esattamente per proporgli la stessa cosa! >>
I due adulti si diressero verso la cucina prima ancora che Giasone avesse dato una risposta, certi che il ragazzo li avrebbe seguiti senza batter ciglio, entusiasta di gustare una bella fetta di torta al cioccolato.
In realtà Giasone aveva lo stomaco chiuso e un forte desiderio di vomitare.
Fu proprio in quel momento che Muriel si fece viva, corse come un razzo dalla porta della sua camera fino al salotto travolgendo completamente suo padre, che tuttavia non sembrò minimamente turbato dall’accaduto.
Indossava un jeans largo sulle cosce e stretto sui polpacci con un piccolo risvoltino alla base, la maglietta di una divisa da basket maschile della sua collezione, sotto quest’ultima portava un top nero che impediva a chiunque di vedere troppo lì dove la maglia larga svolazzava, e ai piedi indossava degli scarponi rossi piuttosto ingombranti.
I capelli sembravano essere ancora un po’ umidi, legati ai lati dalle solite forcine, non era truccata e alle orecchie portava gli orecchini gialli a coccinella.
Quando la vide Giasone provò un misto di emozioni, sollievo, gioia, affetto, irritazione e istinto omicida, erano più o meno quelli i sentimenti che Muriel suscitava in lui il più delle volte.
<< Ho fatto tardissimo vero? Ce la faremo? Siamo ancora in tempo o … ? >>
Giasone rivolse un’occhiata veloce all’orologio da polso, poi prese con delicatezza le mani di Muriel, che nel frattempo si era aggrappata alla sua maglietta con tale foga da scoprirgli tutta la spalla destra, e con una pazienza che non aveva, si sforzò di sorriderle.
Muriel aggrottò le sopracciglia a quella vista e aprì immediatamente la bocca, probabilmente per dire qualcosa di molto imbarazzante nonostante ci fossero i suoi genitori nella stanza, allora Giasone gettò immediatamente tutto fuori alzando il tono di voce.
<< Il film è iniziato esattamente da dieci minuti, ed è l’ultimo spettacolo del giorno >>.
Muriel sembrò prendere la notizia piuttosto male, si afflosciò tra le sue braccia e gli occhi le s’inumidirono, Giasone rimase spiazzato da quella reazione, senza nemmeno rendersene conto stava continuando a tenerle fermi i polsi nonostante le braccia della fidanzata pendessero nel vuoto senza forza.
<< Lo sapevo! Mi sono addormentata oggi pomeriggio e la sveglia non ha suonato! Si è rotta la maledetta, mi dispiace tantissimo io … >>.
<< Ehi, non fa nulla. Ci andremo un’altra volta >>
Giasone provò lo strano impulso di baciarla quando Muriel gli puntò addosso gli occhi imploranti e mortificati, ma si trattenne ricordando che i genitori della sua fidanzata erano lì nella stanza e li stavano osservando attentamente, ancora sulla soglia della cucina.
Giasone si limitò a lasciarle andare i polsi, infilare le mani in tasca e guardare altrove.
<< Perché non restate a cenare qui stasera? Ho noleggiato un film niente male >>
Giasone e Muriel ebbero due reazioni completamente diverse alle parole noncuranti di Nathan, il primo sbiancò completamente e sentì il terreno mancargli sotto i piedi come se fosse precipitato nell’incubo peggiore della sua vita, la seconda s’illuminò completamente, congiunse le mani e saltò addosso al padre stringendolo in un abbraccio esuberante.
<< Che bella idea papà! Allora Gias, che dici? >>
Giasone si girò a guardarla con un sorriso forzato sulle labbra, pregò tutti i santi che il suo viso fosse il meno leggibile possibile, che la sua espressione fosse impassibile.
<< Non vorrei disturbare, davvero … >>
<< Oh, non disturbi per niente! >> Teresa intervenne talmente velocemente che tutte le speranze di Giasone furono infrante senza perdono << Ordiniamo una bella pizza, ti va? >>
<< Certo … >> Giasone ebbe come l’impressione che vi fosse un pizzico d’isteria nel tono della sua voce, Muriel gli afferrò affettuosamente un braccio e lo tirò verso di se sorridente.
Quella serata era andata completamente per il verso opposto, Giasone si sentiva piuttosto esasperato e stanco, imbarazzato e insicuro, ancora non aveva capito bene quali fossero i suoi sentimenti per quella ragazzina chiacchierona e petulante, ma quando la vide sorridere in quel modo, raggiante e contenta, pensò che dopotutto non fosse così importante che quell’incontro fosse arrivato precocemente.
Era semplicemente andata in quel modo.
 
Oscar e Catena non si rivolgevano la parola da più di una settimana.
Era stato un processo graduale e orribilmente naturale, qualcosa che era nata spontaneamente da entrambi i lati, da quando Catena aveva telefonato a Oscar per comunicargli quello che era successo a Gabriele gli ultimi giorni di Febbraio.
L’aveva fatto con le migliori intenzioni, l’aveva fatto perché si era spaventata e perché era piuttosto sicura che spettasse proprio a lei comunicare al suo fidanzato cosa fosse successo, senza che Oscar venisse a saperlo da altre persone.
L’aveva fatto perché non ci vedeva niente di male.
Oscar però non aveva fatto altro che farsi sempre più taciturno durante la conversazione, talmente taciturno che alla fine aveva preso a rispondere per monosillabi.
Quando era terminata la telefonata, Catena aveva provato un fortissimo senso di disagio.
Non riusciva a capire perché Oscar l’avesse presa in quel modo, e quando poi se ne era improvvisamente resa conto, l’imbarazzo era stato talmente violento che il giorno seguente non gli aveva rivolto la parola.
E Oscar aveva fatto lo stesso.
L’aveva completamente ignorata.
A una settimana da quegli avvenimenti i sentimenti di Catena erano piuttosto confusi e mutati, provava un forte senso d’irritazione e confusione che aveva sostituito l’imbarazzo iniziale, avrebbe voluto dire tantissime cose che non facevano altro che morirle in gola.
Tutti quei pensieri non facevano altro che turbinarle nella mentre senza tregua, aveva come la spiacevole sensazione che se non avesse fatto qualcosa quella distanza, le parole non dette … tutto sarebbe diventato troppo per poterlo affrontare, per andare oltre.
Solo che non sapeva se sarebbe stata sufficientemente preparata per quella discussione.
Catena si era resa conto che erano arrivati al punto limite.
In quella disperata fuga cui Oscar l’aveva costretta, Catena aveva cercato di stare al suo passo e di rallentarlo con tutti i mezzi a sua disposizione, ma erano arrivati di fronte ad un burrone, un burrone profondo e nero di cui non si scorgeva alcun fondo.
Non potevano andare dall’altra parte del burrone.
Non potevano sanare quella spaccatura se Oscar non frenava la sua corsa.
Ci sarebbero finiti dentro senza nemmeno frenare, a capofitto, di getto.
Catena sospirò pesantemente e si strinse maggiormente la giacca al corpo, era vicina la primavera ormai, ma le strade della città erano ancora sporche di neve non sciolta in alcuni punti, tirava ancora un vento freddo e le giornate finivano ancora troppo presto.
Eppure le piaceva molto la vista del parco quel pomeriggio, non era solita fermarsi su una delle panchine della piazza, ma quel giorno ne sentiva una particolare necessità.
Era il crepuscolo, quel momento della sera in cui il cielo si tinge tutto di arancione dando l’impressione che il profilo della città fosse interamente circondato dalle fiamme, le luci della piazza erano già accese, anche se non era ancora del tutto buio e l’acqua della fontana scorreva serenamente dopo tanto tempo producendo un suono rassicurante.
Catena non rimase troppo sorpresa quando vide Oscar mettersi seduto sulla sua stessa panchina, sul lato estremo come se fossero due sconosciuti.
Non rimase sorpresa perché si era resa conto proprio in quel momento di essersi fermata in quel punto preciso perché era il posto preferito di Oscar, il posto dove sicuramente l’avrebbe trovato se avesse voluto parlare finalmente di nuovo con lui.
Era stata una reazione inconscia che non aveva saputo controllare.
Che entrambi non avevano saputo controllare.
La distanza che avevano messo l’uno dall’altra non aveva turbato nessuno dei due, sapevano entrambi che un qualsiasi coinvolgimento emotivo o fisico non avrebbe fatto altro che impedire ad entrambi di parlare finalmente a cuore aperto.
Di fare in modo che tutto quello che non andava da quando avevano cominciato a provare per il Tancredi e Clorinda venisse assolutamente fuori senza eccezione.
Senza alcun compromesso o titubanza.
<< Lo sai che il motivo del mio silenzio è la rabbia Catena, ma non riesco davvero a capire quale sia il tuo >>.
Catena aveva pensato che la voce di Oscar le sarebbe risultata sgradevolmente e spaventosamente diversa dopo tutto quel silenzio, invece provò un gran sollievo nel rendersi conto che non era affatto così, che si trattava sempre della voce della persona che amava.
Fu una certezza che le diede la forza necessaria per affrontare la situazione.
<< All’inizio credevo fosse per l’imbarazzo, poi mi sono resa conto che era solo confusione. Non riuscivo a parlare con te perché ero confusa, confusa da morire >>.
Entrambi avevano lo sguardo ostinatamente puntato sulla fontana mentre parlavano, c’erano dei bambini che giocavano chiassosamente poco distanti, sembravano appartenere come ad una dimensione parallela mentre loro due si comportavano come due estranei.
<< Non hai pensato che i tuoi fossero sensi di colpa? >>
<< Perché mai avrei dovuto avere i sensi di colpa? >>
Cadde ancora una volta il silenzio, risoluto, imperterrito.
<< Per essere salita in macchina con un altro uomo? Per essere stata talmente imprudente da lasciare che ti accompagnasse nonostante tu non sappia assolutamente nulla di lui! Avrebbe potuto metterti le mani addosso! Avrebbe potuto … >>
<< Stai parlando di Gabriele Rossi, Oscar?! >>
Quando entrambi smisero di gridare a voce alta, il silenzio li aggredì nuovamente, avevano fatto talmente tanto rumore che i bambini avevano smesso di schiamazzare e li fissavano atterriti, probabilmente indecisi se riprendere il gioco oppure no, se spostarsi altrove.
Valutando la possibilità che l’avrebbero rifatto ancora, che quei due estranei avrebbero potuto gridare nuovamente, infastidendoli di nuovo.
<< Non ho mai pensato di provare sensi di colpa perché non ho fatto nulla di male. Perché non c’è niente di sbagliato in quello che ho fatto io … Piuttosto ho provato imbarazzo, imbarazzo per averti ricordato qualcosa che non volevi >>.
<< Non è dell’imbarazzo che m’importa! Quello che m’importa è che se fossi stata ancora su quella macchina avresti fatto l’incidente anche tu. Quello che m’importa sapere è se ci hai pensato anche solo un minimo a come mi sono sentito quando mi hai detto quello che è successo! Quello che importava davvero era che tu prendessi in considerazione la possibilità che se ti fosse successo qualcosa io avrei potuto anche dare di matto! >>
Catena strinse convulsamente tra le mani la stoffa del giubbotto che le arrivava fino alle ginocchia, le nocche si sbiancarono e morse convulsamente il labbro inferiore.
Ci aveva pensato a tutte quelle cose, ci aveva pensato moltissimo.
<< E non ti sembra di star dando di matto anche adesso? >> Mormorò rivolgendo per la prima volta lo sguardo sul fidanzato, Oscar le sembrava stranamente estraneo in quel momento, mentre osservava il suo profilo spigoloso teso e contratto, sembrava il viso di un’altra persona che lei ancora non aveva conosciuto << Quando hai scelto di metterti con me … quando ci siamo messi insieme … hai detto che mi avevi scelta perché eri sicuro che io non ti avrei mai tradito. Cosa ti ha fatto pensare anche solo per un istante che io avessi potuto farlo davvero? >> Catena sospirò pesantemente, sciolse i pugni e appoggiò una mano a palmo aperto sulla panchina spostando tutto il peso del corpo su quest’ultima, annullando alcuni di quei centimetri che li avevano divisi << Io c’ho provato davvero con tutta me stessa. Ho provato a prendermi il tuo risentimento, il tuo peso, a far si che anche solo un po’, anche per poco, non pesasse sulle tue spalle! E l’ho fatto dal momento in cui ho accettato tutto quello che comportava amare te. Ma adesso mi sono resa conto … >> Catena chiuse gli occhi e respirò profondamente, lasciando che il vento fresco della sera le scostasse le ciocche di capelli neri dal viso << … mi sono resa conto che non posso farlo se tu non parli, se tu non ti liberi di quei fantasmi. Non lo posso proprio fare senza il tuo aiuto >>.
Oscar stava provando una forte sensazione di nausea in quel momento, mentre le parole di Catena scavano profondamente e senza alcun tipo di remore nel suo petto, era un senso di nausea che non sapeva nemmeno come spiegare.
Era un carico di sensazioni contrastanti che lo schiacciavano, lo opprimevano.
<< E quindi è game over? Ti arrendi così facilmente solamente perché io non parlo? >>
Oscar avrebbe voluto tirarsi uno schiaffo da solo dopo aver pronunciato quelle parole, reagiva sempre in quel modo quando non riusciva a dire ciò che realmente gli passava per la testa, quando non riusciva a trovare il modo per buttare tutto fuori.
<< Se metti questo muro tra di noi, Oscar … io non posso vederti, e non posso scavalcarlo. Sta diventando troppo alto, troppo spesso, troppo lungo. Non riuscirò più a raggiungerti da nessun lato >>.
<< Un muro? Che muro starei mettendo?! Sono stato sempre me stesso con te, sono stato me stesso ogni giorno, ogni istante, dal momento in cui ti ho vista, mi sono reso conto che ti avevo finalmente trovata, avevo trovato proprio quello che stavo cercando. Ero sicuro che tu non mi avresti mai, mai, mai, nemmeno una volta, deluso. E invece sei salita in macchina con quell’uomo! Maledizione, proprio con quell’uomo! Come ti è venuto in mente? Come ti è venuto in mente di tradire me con lui?! Sei una stupida! Una stupida e non ti perdonerò mai maledizione! >> Oscar non aveva mai gridato tanto come in quel momento, aveva il fiatone, lo sguardo perso nel vuoto, quando la voce gli si spezzò sull’ultima parola sgranò leggermente gli occhi e si portò le lunghe dita tremanti sulla bocca << Ah >>.
Il tempo sembrò congelarsi esattamente in quell’istante.
<< Con chi mi stai confondendo Oscar? >>
Oscar sollevò di scatto la testa e per la prima volta da quando erano seduti su quella panchina, per la prima volta da quelle due settimane di silenzio, si guardarono negli occhi.
Catena aveva un sorriso triste sulle labbra e gli occhi azzurri velati di lacrime, sembrava distante anni luce da lui in quel momento, in quel momento in cui Oscar non desiderava altro che sparire completamente dalla sua vista.
<< L’hai buttato fuori? Le hai detto tutto quello che pensavi? Sei libero adesso? >>
Ad Oscar sembrò che qualcuno gli avesse appena tirato un pugno nello stomaco strappandogli fuori tutto il respiro di colpo, come se il peso del cielo gli fosse stato sottratto all’improvviso dalle spalle restituendogli anni di vita.
Fu come se riuscisse a vedere finalmente Catena per la prima volta.
<< Ah, io … >>
<< Lo posso sopportare Oscar. Ti sto dicendo che lo posso sopportare, non l’hai ancora capito? L’ho sopportato da subito … perché ti amo >>.
Era semplice dunque, era sempre stato così semplice?
Oscar avrebbe voluto gridare a pieni polmoni, avrebbe voluto piangere, correre per tutto il parco squarciandosi i polmoni, avrebbe voluto prendere la mano di Catena e piangervi sopra come un bambino, gettarsi nella fontana e smettere di provare quella vergogna devastante.
Voleva fare tutto quelle cose, ma l’unica cosa a cui pensava era che finalmente stava respirando.
Dire quello che pensava, anche se non alla persona giusta, l’aveva fatto respirare.
Catena lo faceva sempre respirare.
<< Lo so, l’ho sempre sentito … tu, io ti ho sempre sentita, anche quando non parlavi. Ora mi domando Catena, ed io? Io cosa ti ho mai fatto sentire, sotto tutto questo schifo? Perché davvero non lo so come puoi amarmi dopo questo … >>.
Catena continuò a guardarlo con quel sorriso triste carico di amarezza.
<< Perché sei un uomo forte >>
Perché questa sera è venuto tutto fuori, perché andrai avanti.
<< No … quella forte sei tu. Sei tu la mia forza >>
Catena si era fermata ad un passo da quel burrone, aveva afferrato Oscar per la manica della maglietta prima che precipitasse del tutto, si era graffiata le braccia, aveva dovuto puntare i piedi per terra e sporcarsi tutte le gambe, aveva dovuto farsi male perché lui non cadesse.
E poi lo aveva afferrato per mano, perché avrebbe oltrepassato con lui il ponte che li avrebbe portati dall’altro lato, su una terra stabile.
Una terra dove Oscar avrebbe potuto riposare le sue gambe stanche.
 
<< Basta! Non ne posso davvero più! Non mi esce in nessun modo, l’ho fatta quattro volte! Mi arrendo, davvero! Non ho intenzione di rifare tutti i calcoli, mi verrà il vomito se vedrò ancora la calcolatrice! >> Enea non ne poteva davvero più, aveva perso la pazienza e gettato malamente la penna sul quaderno, ma l’aveva fatto talmente violentemente che quest’ultima era rimbalzata sulla pagina finendo direttamente nell’astuccio di Lisandro.
<< Di quale stai parlando? Il numero … ? >>
Lisandro replicò all’invettiva dell’amico senza scomporsi minimamente, era abituato a quel tipo di comportamento, Enea non aveva mai molta pazienza quando si parlava di compiti, soprattutto quelli di matematica, reagiva sempre in quel modo.
Perdeva la pazienza e gettava le cose per aria.
<< Sei impazzito per caso?! >>
Beatrice non vi era abituata però, e guardava il fidanzato come se fosse un matto pericoloso che correva per tutto l’appartamento brandendo un coltello insanguinato in mutande.
Avevano deciso di passare quel pomeriggio insieme a casa di Lisandro per studiare in vista del compito di matematica del giorno seguente, era andato tutto bene per i primi venticinque minuti di silenzio da quando si erano seduti attorno al tavolo con i libri davanti, avevano cominciato a fare gli esercizi in silenzio, seri e concentrati, poi Enea aveva cominciato a dare di matto.
<< Il numero 234 >> Replicò Enea ignorando completamente la fidanzata, che continuava a fissarlo con la bocca spalancata, lo sguardo scioccato e la penna sollevata a mezz’aria.
Lisandro trattenne una risata tossendo leggermente nel pugno della mano e afferrata la penna di Enea, gliela restituì facendola slittare attentamente sul tavolo tra i libri e gli astucci.
<< A me è uscita, copiala >>
Lisandro si affrettò ad allungare la brutta copia dei suoi esercizi all’amico con aria noncurante, Enea protese le lunghe dita per afferrarlo, ma prima che riuscisse a toccare il foglio se lo vide strappare da sotto il naso con violenza.
<< Non esiste! Copiando non imparerai proprio niente eh! >>
Enea alzò gli occhi al cielo quando la voce isterica e perentoria di Beatrice gli perforò i timpani, si girò a guardarla con un’espressione infastidita sul viso e incrociò le braccia al petto sbuffando piuttosto sonoramente.
<< Oh, davvero? Beh, non lo scopriremo mai se non proviamo. Dammi quel foglio! >>
Enea accompagnò il commento con un tono ironico piuttosto irritante e si protese in avanti per strappare il figlio dalle mani della fidanzata, che ostinatamente se lo portò dietro la schiena rischiando seriamente che venisse stracciato.
Lisandro impallidì alla vista del pericolo a cui erano sottoposti i suoi esercizi.
<< Per favore, quelli sono i miei compiti … >>.
La sua voce supplichevole fu bruscamente sovrastata da quella dei due litiganti, che avevano preso furiosamente a insultarsi, probabilmente giocando a chi dei due avrebbe perso prima la voce gridando fino allo stremo.
<< Ecco perché rimarrai per sempre un idiota! >>
<< Vorrei ricordarti che l’idiota ha preso nove all’ultimo compito d’inglese! >>
<< Ah! E questo ti rende un genio vero?! >>
<< Oh Beatrice, tu davvero non … >>
Dling dlong.
Enea e Beatrice smisero di bisticciare nell’instante esatto in cui suonò il campanello, voltarono lo sguardo in direzione di Lisandro, che aveva le guance arrossate e gli occhi lucidi dalla disperazione puntati inesorabilmente sul foglio stropicciato che Beatrice stava sventolando pericolosamente solamente un secondo prima.
Si alzò facendo strisciare convulsamente la sedia sul pavimento e Beatrice ne approfittò per riporre il foglio sul tavolo, foglio che sparì immediatamente nelle meni di Enea non appena la ragazza si distrasse per seguire con lo sguardo Lisandro che spariva verso l’ingresso.
Quando aprì la porta sospirando pesantemente, Lisandro non aveva proprio pensato che la giornata avrebbe potuto concludersi male.
Sulla soglia della porta c’era Sara.
La ragazza stringeva tra le mani due piatti di plastica sistemati uno sull’altro e lo guardava con un sorriso radioso e fastidioso sulle labbra, uno di quei sorrisi che non promettevano assolutamente niente di buono, era di quel genere che Lisandro aveva sempre associato a quando da bambino gli toccava indossare le scarpe troppo grandi di sua madre per fare la principessa.
<< Ciao! Ti ho portato un po’ di torta, mamma mi ha detto di dirti che è buonissima. Io ti dico che non è vero, quindi se vuoi buttarla fa pure. Ha messo troppa farina, quindi sembra già vecchia di giorni, e non la si può ingoiare senza rischiare di morire soffocati >>
Lisandro afferrò il piatto con una certa reticenza, fece per aprire la bocca e replicare qualcosa, ma Sara lo spostò leggermente di lato ed entrò in casa con una familiarità sorprendente per una persona che non lo faceva da parecchio tempo.
<< Oh, sei con qualcuno a casa vero? Ho sentito gridare >>
Sara guardò con fare curioso lungo il corridoio che portava nella cucina dove si trovavano Beatrice ed Enea, Lisandro seguì il suo sguardo e fu colto per la prima volta da una bruttissima sensazione alla bocca dello stomaco.
Sara e Beatrice si trovavano nella stessa casa.
<< S-si … stiamo studiando, quindi puoi passare più tardi. Grazie della torta! >>
Afferrò la ragazza per le spalle e la girò verso la porta, ma Sara spostò sgraziatamente le sue braccia e lo colpì con un pugno un po’ troppo energico sulla spalla.
<< Ehi, siamo diventati proprio spiritosi vero? Fammi conoscere i tuoi amici dai >>
E con immenso orrore di Lisandro si avviò a passo di marcia verso la cucina.
Quando vi mise piede dentro, sia Beatrice che Enea sollevarono distrattamente lo sguardo e fissarono la mora con curiosità, Lisandro arrivò di corsa proprio in quel momento, completamente inorridito da cosa sarebbe potuto succedere.
<< Oh Enea, da quanto tempo! >> Esclamò Sara facendo un sorriso ampio in direzione dell’interessato, inizialmente Enea contrasse le sopracciglia sorpreso, poi un barlume di comprensione gli attraversò il viso.
<< Sara? La vicina di Lisandro? Come sei cresciuta! >>
<< Ehm Sara davvero, non … >>
Il fiacco tentativo di Lisandro fu bruscamente spazzato via dalla ragazza, che esuberante si avvicinò al tavolo e fissò Beatrice con una malcelata curiosità dipinta sul viso.
<< Tu sei Beatrice vero? >>
<< Si … >> La voce di Beatrice era carica di reticenza e sorpresa.
<< Oh, Lisandro mi ha parlato tantissimo di te! Vero Lis? >>
E dallo sguardo che gli rivolse, con quel sorriso preoccupante che avrebbe spaventato chiunque, Lisandro si rese conto che quello sarebbe stato un pomeriggio lunghissimo.
E dallo sguardo di Enea, si rese conto che probabilmente non ne sarebbe uscito nemmeno vivo.



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Effe_95

Buonasera a tutti :)
Sono tornata, questa volta ho fatto molto prima del solito.
Spero che comunque non sia stato troppo tardi, non lo so, sono un po' strana con queste cose io.
Non ho la misura del tempo, vi chiedo scusa :P
Allora, questo capitolo è stato un po' faticoso da scrivere, soprattuto la parte di Catena ed Oscar.
Mi ha dato un po' di grattacapi, ma spero che alla fine sia quanto meno decente, non ne sarò mai davvero soddisfatta, ma meglio di così non sono proprio riuscita a scriverla.
Volevo che fosse un punto di svolta per entrambi, non necessariamente in meglio nè in peggio, ma giusto un passo avanti verso un cambiamento, soprattutto per Oscar.
Nel prossimo capitolo ritroveremo Lisandro alle prese con Sara, ne passerà di tutti i colori vi avviso ;) Fate una preghiera per Lisandro xD
Allora, ho deciso in queste note di rivelarvi qualche curiosità sulla storia, per esempio, quando scrivo le parti dedicate ad una determinata coppia, ascolto sempre una canzone differente. 
La musica mi è sempre di ispirazione, non necessariamente con le parole dei testi, che a volte non c'entrano niente nè con la scena in se, nè con la coppia, ma basta anche solo la melodia per ispirarmi. 
Per esempio, per scrivere la scena di Catena ed Oscar, ho ascoltato una canzone tedesca di Andreas Bourani che si chiama " Auf anderen Wegen" " Su strade diverse" ( studio tedesco all'università, quindi per me è normale ascoltare anche musica straniera).
Se siete curiose di qualche coppia in particolare, scrivetemelo nelle recensioni, vi risponderò nel prossimo capitolo :)
Grazie mille a tutti come sempre, ho letto le vostre bellissime recensioni e risponderò appena avrò un pò di tempo, e adesso vi lascio che ho parlato anche troppo.
Alla prossima. 
 
 
  
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