Capitolo 2 – Ancora tu!
Dopo
un breve saluto, quindi, chiusi il telefono e tornai in mensa.
La
giornata trascorse velocemente: stavo male al solo pensiero di parlare con
Charlie, quella sera, così nemmeno mi resi conto che il tempo passava.
Alle
quattro, quando finirono le lezioni, mi alzai di scatto e mi diressi verso la
porta, salutando con un cenno Alex, Alice e Jasper.
Mi
si parò davanti Mike. “Ciao.” Lo salutai con un sorriso.
“C-Ciao!”
Balbettò lui, passandosi una mano tra i capelli biondi. “Come…
com’è andato il primo giorno?”
“Tutto
bene. I compagni sono simpatici e i professori gentili. Anzi, dovrei andare a
consegnare il modulo firmato in segreteria, se vuoi scusarmi…”
“Ti
accompagno!” Esclamò Mike, allegro, così percorremmo il breve tratto all’aperto
che ci separava dall’edificio della segreteria.
Aveva
appena smesso di piovere e il cielo era plumbeo. L’erba del prato era fradicia
e c’era un forte odore di muschio bagnato, di foresta. Sebbene fosse ancora
pomeriggio, era già quasi buio, tanto il cielo era scuro e gonfio di pioggia.
Dopo
aver consegnato i moduli, Mike si strinse nelle spalle quand0 un soffio di
vento gelido lo colpì. “Freddino oggi.” Considerò. Io annuii, distratta.
Mike,
coraggiosamente, ci riprovò :“Ehm… che ne dici di
andare alla tavola calda in centro a prendere un caffè o una ciambella?”
“Grazie,
Mike, sei un tesoro. Però oggi proprio non posso, ho delle cose da sbrigare a
casa.” Dissi con voce dolce.
“Oh.
Ecco… cioè, sì! Ti capisco. Non preoccuparti, allora
andrò a fare la spesa per casa, o stasera i miei genitori mangeranno me per
cena. Speriamo solo che non ricominci a piovere.”
Mi
ricordai, in quel momento, che la macchina di Mike era dal meccanico e che lui,
quindi, era a piedi. Mi sentii terribilmente in colpa.
“Dai,
allora ti do un passaggio io. Charlie mi ha scritto che sarebbe tornato a casa
a piedi.” Gli proposi.
Lui
ne fu talmente felice che mi rallegrò molto, tanto che alla fine decisi di
accompagnarlo al supermercato dove lavoravo tre volte a settimana a fare la
spesa per la sua famiglia.
Girando
tra gli scaffali, pensai divertita a come era cambiato il modo di mangiare al
giorno d’oggi. Quando ero nata io, a metà del 1800, nemmeno esistevano i
supermercati: c’erano solo botteghe e bancarelle ai mercati.
Passai
una mezz’ora con Mike dopo averlo accompagnato a casa. Finsi di sorseggiare del
tè caldo per non insospettire del tutto sue madre e mi trattenni un po’ a
chiacchierare.
Quando
parcheggiai sotto casa, vidi che Charlie era già arrivato. Mi bloccai, nervosa:
no, non ero ancora pronta a intristire mio fratello, sebbene mi rendessi conto
che era una questione di vitale importanza, soprattutto per noi due e la
ragazza stessa. Dovevo dirglielo con le parole giuste, ma in quel momento avevo
in testa il vuoto.
Decisi
di fare una passeggiata nel bosco dietro casa, così per schiarirmi le idee.
Aprii il bagagliaio dell’auto e mi cambiai: aveva piovuto ancora, per cui misi
un trench lungo fino al ginocchio e stivali da pioggia.
Ero
sicura che Charlie mi avesse sentito ma, anche se fosse, non lo diede a vedere,
per cui sgattaiolai indisturbata tra gli alberi.
Cominciai
a correre e in breve tempo presi velocità. Corsi finchè
non mi si svuotò la mente, evitando con precisione gli alberi e addentrandomi
sempre di più nella selva.
Mi
bloccai quando raggiunsi una piccola radura erbosa, decorata da una miriade di
fiorellini gialli e profumati. Sorrisi: avevo sempre adorato i fiori, quando
ero ancora umana adoravo studiarli e coltivarli nella piccola serra nel
giardino di casa.
Nonostante
tutto, però, non uscii allo scoperto, ma mi limitai ad osservare le gocce di
pioggia che avevano ricominciato a cadere dal cielo mentre colpivano i sinuosi
fili d’erba lussureggianti.
Misi
le mani in tasca e mi strinsi nel trench, quando sentii un rumore. Flebile,
impercettibile, ma chiarissimo.
Mi
voltai di scatto, ma non c’era nessuno. Mi misi in posizione difensiva, mentre
annusavo l’aria: era impregnata da un odore buono, esotico, conosciuto ma non
del tutto familiare.
“So
che sei lì. Fatti vedere.” Intimai.
Un
pensiero mi attraversò il cervello come un lampo, mentre l’immagine di un volto
mi si stampava nella mente. Lui. Il vampiro che aveva rovinato per sempre la
mia vita di umana ricca e felice, trasformandomi in un…
in un essere maledetto che non invecchiava nei secoli, destinato a nutrirsi di
coloro che, una volta, erano suoi simili. Sempre in fuga, sempre in allerta per
non farsi scoprire. Impossibilitata a legare troppo con i “coetanei” umani
perché ogni volta che mi avvicinavo a loro avevo voglia di dissanguarli.
Mi
sentii avvampare e, anche se non potevo vedermi, sapevo che i miei occhi erano
diventati di un vibrante rosso acceso.
Digrignai
i denti, mostrando i canini appuntiti. Ero pronta a tutto, chiunque fosse. Mi
avvicinai, cauta, a un cespuglio a cui, da metri di distanza, avevo visto
muovere delle foglie. In modo impercettibile, ma si erano mosse.
Rapidissima,
in un secondo colpii i rami, rivelando la presenza di…
un leprotto.
Sconcertata,
indietreggiai. Mi guardai intorno: eppure… ero sicura
di…
“Cercavi
me?” Disse divertita una voce maschile. Mi voltai di scatto: era Alex Cullen, coi capelli biondi fradici di pioggia che gli
ricadevano sulla fronte. Mi sorrideva amichevole.
Mi
misi sulla difensiva automaticamente. Eppure… lui era
un vampiro come me. Oh, quanto avrei voluto avere un altro amico come me, che
potesse capire…
“Che
ci fai qui?” Abbaiai.
“Ero
venuto a salutarti, dopo la scuola. Non so, fare i compiti, vedere un film alla
televisione… però, poi, ti ho vista addentrarti nel
bosco e ti ho seguita.” Fece spallucce con aria noncurante, come se fosse una
cosa perfettamente normale.
“Oh,
così il tuo passatempo preferito dopo la scuola è pedinare le sconosciute fino
a casa?” Chiesi, ironica.
“Solo
quelle che mi sono simpatiche.” Rispose lui a tono, sempre con un mezzo
sorrisetto stampato in faccia.
Se
avessi avuto ancora il sangue a scorrermi nelle vene, probabilmente sarei
arrossita. Non avevo mai avuto tanta esperienza coi maschi e, col passare dei
secoli, men che meno.
Alex,
invece, sembrava perfettamente a suo agio e mi sorrideva dolcemente. Io, però,
col tempo ero diventata molto schiva e non mi feci incantare.
“Ok,
certo.” Dissi, ancora più ironica. Cominciai ad incamminarmi verso casa,
guardando Alex con la coda dell’occhio.
Lui
sospirò, gironzolò un po’, raccolse un fiorellino giallo e si incamminò nella
mia stessa direzione.
“Fammi
indovinare: devo rendermi antipatica per farti passare la voglia di seguirmi?”
“In
verità, Ray, ho posteggiato l’auto poco lontana dalla tua. Però, se ti irrito,
posso andar via.”
Con
mia grande sorpresa, pensai che non volevo che se ne andasse: per qualche
strano motivo, la sua presenza mi tranquillizzava.
“No,
va bene fare la strada assieme.” Gli dissi.
Ci
incamminammo fianco a fianco, in silenzio, mentre la pioggia picchiettava
dolcemente sulle foglie degli alberi. Né io né lui tirammo su i cappucci:
continuavamo a sbirciarci a vicenda con la coda dell’occhio e lì mi accorsi che
anche lui mi studiava esattamente come io studiavo lui.
“Come
mai proprio Forks?” Mi chiese con aria innocente dopo
un po’.
“Per
il clima. Molto piacevole.” Risposi, sarcastica.
“Sì,
davvero. Credo che la trasformazione in vampira ti abbia un po’ deviata
mentalmente, sai?”
Sorrisi.
Quando
arrivammo nuovamente di fronte a casa mia, gli domandai :“Ehm, so che può
sembrare una domanda strana ma, sai niente della ragazza con cui mio fratello
si è scontrato oggi?”
Alex
rise, e io lo trovai adorabile, anche se lo nascosi perfettamente :“Oh, certo,
come dimenticare l’incidente delle lasagne. Credo sia stata la scena più
divertente dell’anno. Non so molto di lei, so solo che è incredibilmente ricca
ed incredibilmente fredda. Un cliché, non è vero? Credo si chiami Madison Price.”
“Madison, eh?” Ripetei, annotandomi
mentalmente il nome.
“Sì.” Alex fece un sorriso sornione.
“Che c’è, Ray Burns, sei per caso gelosa?” Il suo
tono aveva un che di malizioso.
Se avessi avuto ancora del sangue a
scorrermi nelle vene, probabilmente sarei arrossita ma così non era, quindi
ricambiai il suo morbido sguardo dorato con i miei occhi di ghiaccio.
“Assolutamente no.” Risposi decisa,
anche se in realtà il sentimento che mi appesantiva il petto e mi faceva
bruciare si avvicinava molto alla gelosia: in tutti gli anni che avevamo
passato insieme, nessuno si era mai messo in mezzo a me e a Charlie.
Né io né lui ci eravamo mai
innamorati, da quando eravamo stati trasformati. Ero sicura che anche Charlie,
come me, avesse avuto modo di dimenticare il suo amore da umano, ma questo era
diverso. Occasioni ne avevamo avute entrambi, a centinaia. Semplicemente, non
era mai capitato.
Non invitai Alex a entrare, né lui
chiese di rimanere. Ci salutammo poco dopo, con la promessa di rivederci il
giorno dopo a scuola.
“E non dimenticare i compiti, Ray Burns.” Mi canzonò mentre si allontanava sotto la fitta
pioggerellina. “Sarai pure una vampira con centinaia di anni sulle spalle, ma
per gli sciocchi umani sei una comune adolescente in crisi ormonale.”
Alzai gli occhi al cielo ed entrai in
casa. Charlie era seduto al tavolo della cucina, la radio accesa in sottofondo
e un libro in mano; sembrava molto assorto.
Strano, Charlie non aveva mai amato
leggere: in famiglia eravamo io e Violet le
divoratrici di libri. Curiosa, diedi una sbirciata al libro e rimasi interdetta
quando mi accorsi che il libro era mio. Stava leggendo “Orgoglio e
Pregiudizio”.
Mio fratello alzò gli occhi, sognante.
“Beh, tutto è possibile, no?”
Decisi di lasciar perdere la
conversazione per quella sera, sarebbe stato inutile. Avrei cercato di scoprire
il più possibile su quella ragazza, e una volta raccolte abbastanza
informazioni, li avrei allontanati.
Costi quel che costi.
Nel dopocena, uscii silenziosamente
dalla finestra.
Charlie era di sotto, imbambolato
davanti a un film romantico, cosa che mi aveva fatto alzare gli occhi al cielo
dall’esasperazione: io ero la prima a credere nei colpi di fulmine (a me era
capitato con Anthony, il mio primo fidanzato), ma quando è troppo è troppo!
Fortunatamente, dopo aver detto a
Charlie il nome della ragazza, lui era stato talmente contento da aver provato
immediatamente a divinarla col suo potere. Aveva preso una mappa di Forks e una puntina da disegno e, in men
che non si dica, sapevamo dove viveva Madison.
Mi appuntai mentalmente l’indirizzo,
in una via piuttosto elegante dall’altra parte della cittadina: era lì che stavo
andando, di nascosto.
Sfruttando le ombre della notte e la
pioggia incessante che aveva formato piccoli rivoli d’acqua nelle strade, corsi
dall’altra parte della città come una piccola pantera. La città era molto buia
nonostante le luci giallastre dei lampioni e le poche macchine in strada
procedevano spedite, per cui nessuno notò la mia incredibile velocità.
Raggiunsi la via di Madison. “Non dev’essere troppo lontana…” Riflettei
con la mascella serrata, i capelli fradici di pioggia che continuavano a
sgocciolare sul mio viso e sul giubbotto di pelle nera che indossavo.
Raggiunsi con calma il numero 12: le
luci in salotto erano accese, così come quella della camera al primo piano, sull’estrema
destra.
Scivolai sulla parte laterale della
casa e mi arrampicai silenziosamente sul cornicione: avevo la sensazione di
sapere dove avrei trovato Madison.
Sbirciai con cautela dentro la camera:
sdraiata a pancia in giù sull’enorme letto dalla testata di legno bianco ornato
da lenzuola rosa e azzurro pastello, stava Madison, intenta a scrivere qualcosa
su un diario. Osservai prima lei, soffermandomi sul profilo del viso affilato e
con il naso a scivolo, sui lunghi capelli mossi e castano scuro che giacevano
abbandonati sul letto, probabilmente dopo essere stati scostati con fastidio,
alla curva della schiena. Era smilza, ma forte.
La maglietta bianca su cui Charlie
aveva erroneamente versato le lasagne era abbandonata sul pavimento, in un
angolo.
Le pareti della sua camera erano rosa
chiaro e tappezzate di poster riguardanti la danza, soprattutto classica, cosa
che stranamente apprezzai.
Rimasi ancora qualche secondo ad
osservarla, indecisa sul da farsi: Madison finì di scrivere la pagina e chiuse
il diario, che spinse sotto il materasso. Dopodichè
si girò supina e, dopo aver contemplato il soffitto per qualche secondo,
cominciò a piangere silenziosamente. Notai soltanto dopo che al suo fianco,
quello a me più nascosto, aveva una scatola aperta, da cui aveva estratto un
paio di punte di gesso dall’aria molto vissuta.
Mi sentii improvvisamente in colpa per
averla spiata, quindi mi ritrassi, scesi dal cornicione e tornai a casa, più
lentamente stavolta.
Riflettei: il mio potere non aveva mai
funzionato su Charlie, ne sulle mie sorelle. Avrei magari potuto usarlo su di
Madison?
Eppure… quella ragazza sembrava così triste. Chissà cosa le
era capitato.
La parte egoista di me mi puntellò con
un dito la coscienza: chi se ne importa,
hai già abbastanza grane al momento. Mi disse.
Ormai, però, non potevo negare a me
stessa di essere curiosa di saperne di più su quella ragazza.
Oh, quanto avrei voluto che la pioggia
incessante potesse lavare via anche i miei pensieri.