Film > Captain America
Segui la storia  |       
Autore: clepp    05/08/2016    3 recensioni
Si alzò da terra: guardò prima il profondo taglio sul braccio e in seguito i tre uomini che si stavano dirigendo verso l’uscita.
Bucky aveva gli occhi puntati su di lei. Non era in grado di capire se l’espressione sul suo viso fosse di dispiacere per averle fatto male o per non avergliene fatto di più.
[BUCKY/NUOVO PERSONAGGIO] [POST Captain America: Civil War]
Genere: Azione, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Nuovo personaggio, Steve Rogers, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Image and video hosting by TinyPic


(8)



Se Kamila non avesse ricevuto un addestramento da super soldato, a quest’ora sarebbe svenuta dalla fatica. Non avevano fatto altro che correre e correre per ore infinite con lo scopo di allontanarsi il più possibile dal rifugio sotto attacco e avvicinarsi alla città più vicina. Le era risultato difficile stare al passo con Bucky che non sembrava essere mai stanco o non aver mai bisogno di fermarsi a prendere aria. Avevano fatto solo una pausa di cinque minuti, durante i quali James era rimasto allerta e pronto a ripartire se ci fossero state delle complicazioni.
Il sole era calato da parecchie ore quando Bucky si fermò di colpo per guardarsi attorno. Kamila non si rese conto di quell’improvvisa decisione fino a quando non gli finì addosso, sbattendo la faccia contro la sua schiena.
«Ci fermeremo qui per la notte.» disse lui, pratico, ignorando il fatto che lei gli fosse appena caduta addosso.
Kamila non l’aveva mai visto così serio e deciso come in quel momento. Aveva capito che quella era ormai la sua missione e la indole da Soldato d’Inverno era tornata a galla.
«Grazie a Dio.» mormorò Kamila senza più fiato in corpo. Si appoggiò al tronco di un albero e inalò quanta più aria possibile. Le facevano male i muscoli delle gambe e la testa cominciò a girarle vorticosamente: l’adrenalina che l’aveva spinta a correre come mai in vita sua stava scomparendo piano piano.
«Vado a prendere della legna per il fuoco che terremo acceso giusto il tempo di riscaldarci. Tu riposati.» ordinò Bucky, lanciandole un’occhiata veloce prima di scomparire nel buio della foresta.
Kamila non aveva la forza di aprire bocca, sia per la stanchezza, sia per la preoccupazione. Ora che era ferma e aveva la possibilità di pensare, il panico cominciò a stringerle le viscere e mille dubbi presero a vorticarle nella testa.
Era stata la decisione giusta quella di abbandonare sua sorella e scappare con un uomo affetto da squilibrio mentale?
Come stava Tanka? Era spaventata? La odiava per averla lasciata da sola ad affrontare una prova del genere?
Kamila appoggiò i gomiti sulle ginocchia e si prese la testa fra le mani. Le lacrime cominciarono a premere sui suoi occhi chiusi, desiderose di uscire e bagnarle le guance rosse.
«Cosa ho fatto...» sussurrò tra sé e sé mentre lentamente faceva scivolare la schiena contro il tronco così da sedersi a terra.
Intorno a lei c’erano solo buio e silenzio, due cose di cui lei non aveva bisogno in quel momento. Le servivano rumore, distrazioni, qualsiasi cosa per non pensare a ciò che aveva fatto. Al viso di sua sorella.
Cominciò a dubitare anche della decisione che aveva preso qualche anno prima di entrare a far parte di quella squadra e di portarsi dietro anche Tanka. Non era mai stata in pericolo come in quel momento, e Kamila non era con lei. Era colpa sua. Se le fosse successo qualcosa, Kamila non se lo sarebbe mai perdonato.
Sentiva il panico, la tensione e il senso di colpa affiorare dentro di lei e agguantare ogni singola cellula del suo corpo. Le si annebbiò la mente e, incapace di controllare i suoi impulsi, le mani cominciarono ad assumere un colorito sempre più pallido, fino a diventare completamente bianche.
Un alone di un azzurro limpido prese a volteggiare attorno alle sue dita ma prima che questo potesse allargarsi ancora di più e congelare qualsiasi cosa attorno a lei, qualcosa di caldo bloccò le sue mani.
«Kamila...» la voce di Bucky era un sussurro lontano e distante che lei riuscì a sentire sopra i mille pensieri che vorticavano nella sua testa.
«Respira...»
Kamila cercò di inalare ancora più aria nei polmoni. Aprì gli occhi e scorse quelli di James davanti a lei. Con quel buio non riusciva a vedere nulla, ma percepiva la sua figura china e vicina a lei, le dita della mano umana strette sulle sue.
«Scusami...» mormorò Kamila cercando di riprendere il controllo del suo corpo. Le mani riacquistarono lentamente colore e la tensione stretta attorno ai suoi muscoli scemò quasi del tutto.
«Non riesco a controllare i miei poteri quando sono nel panico.» spiegò, stringendo le dita di James ancora agganciate alle sue.
«Cerca di non esserlo allora,» replicò lui abbozzando un debole sorriso che sapeva nessuno avrebbe visto.
Si alzò da terra e raggruppò in un mucchietto i rami che era riuscito a trovare. In pochi secondi la luce di un piccolo fuocherello illuminò i volti di entrambi e Kamila si sentì meglio. D’un tratto, la stanchezza le assalì qualsiasi parte del corpo: desiderava dormire e mettere un freno ai suoi pensieri.
«Dovremmo mangiare qualcosa.» disse Bucky, indaffarato a sistemare tutt’attorno.
«Non ho fame.» rispose lei, la voce era un debole sussurro.
James si voltò verso di lei, nascondendo la preoccupazione attraverso un’espressione apatica.
«Dobbiamo mangiare, altrimenti domani non riusciremo a raggiungere la città.» la sua voce doveva risultare dura e decisa, ma James si rese conto che vedendo Kamila in quello stato non era in grado di trattarla come se fosse un qualsiasi altro soldato.
«Ce la farò. Ho bisogno solo di dormire.» replicò senza alcuna particolare inclinazione. Raggruppò un piccolo mucchio di foglie umide, si stese sul terriccio e appoggiò la testa sul cuscino di fortuna, pregando che il sonno la portasse via da quel posto e dal caos nella sua testa.
James si sedette a qualche metro di distanza da lei senza distogliere lo sguardo dal suo corpo raggomitolato in se stesso. Si sentiva in colpa. Per tutto.
Era colpa sua se quelli dell’HYDRA avevano attaccato il rifugio. Il loro obiettivo era lui e adesso avevano tutti fuorché l’uomo che volevano. Aveva messo in pericolo Steve, Sam e la sorella di Kamila.
Eppure, si sentiva sollevato ad avere lei lì, a pochi passi di distanza. Il solo pensiero di averla in una loro cella lo rendeva stranamente nervoso.
Il sonno prese il sopravvento anche per lui. Nonostante la sua natura da super soldato, quell’evasione lo aveva stancato fisicamente e mentalmente. Con calma appoggiò la testa contro il tronco e chiuse gli occhi.
I suoi sensi da soldato d’inverno tuttavia rimasero perfettamente svegli.
 
*
 
Kamila aveva raccolto i lunghi capelli biondi in una crocchia disordinata che aveva cercato di nascondere sotto un cappello di paglia dalla grande visiera. Fortunatamente, nella capitale del Wakanda quel tipo di indumento andava molto di moda tra la popolazione femminile, perciò Kamila riuscì a mimetizzarsi bene tra la folla. Il problema era Bucky. Il suo fisico massiccio, i suoi lunghi capelli e il suo braccio di metallo erano particolarmente difficili da nascondere in mezzo alla gente.
«Prova questi.» Kamila gli porse un paio di occhiali da sole dalla forma arrotondata, una maglietta rossa a maniche lunghe, un paio di pantaloni neri e delle scarpe da ginnastica comuni. Non potevano di certo andare in giro con la loro divisa monocolore e i loro scarponi pesanti ancora sporchi dopo la notte passata a dormire sul terriccio. Anche Kamila si era dovuta cambiare: aveva indossato un vestito leggero dai motivi floreali e un paio di scarpe da ginnastiche bianche.
Non appena erano riusciti a raggiungere la capitale alle prime luci dell’alba, James l’aveva guidata fino ad un centro commerciale dove avevano preso qualcosa da mangiare, si erano rintanati in bagno a rinfrescarsi e ora erano intenti a scegliere qualcosa con cui vestirsi per passare inosservati.
«Vado a cambiarmi. Stai attenta e se ti sembra di vedere qualcosa di strano non esitare a chiamarmi.» la avvertì James e senza esitare si avviò verso i camerini.
Kamila si guardò attorno alla ricerca di qualcosa da fare mentre aspettava che James si cambiasse. Il centro commerciale era ancora quasi del tutto vuoto. I due avevano dormito solo qualche ora e si erano svegliati nel cuore della notte per riprendere il loro cammino. Kamila vide che erano solo le otto del mattino. Avrebbe voluto essere in un letto comodo, con un buon libro e sua sorella accanto. Invece si trovava a scappare come criminale dal governo delle Nazioni Unite senza possibilità di sapere come stesse in quel momento Tanka.
Nessuna delle due si meritava niente di ciò che stava succedendo.  Kamila era sicura di aver già sofferto abbastanza durante i suoi 22 anni, ma la vita non sembrava essere d’accordo con lei.
Mentre camminava fra la fila di vestiti, Kamila scorse uno specchio appeso al muro che la specchiava interamente. Con quel vestito corto riusciva a intravedere i lividi, i tagli e le cicatrici di tutti i combattimenti che aveva dovuto affrontare nel corso degli anni. Erano così tanti che non era neanche in grado di ricordarseli tutti. Notò dei tagli freschi che si era procurata durante la notte, a causa della moltitudine di rami che sbucavano ovunque nella fitta foresta.
Rimase interdetta a fissare il suo viso, stravolto dalla stanchezza e dalla preoccupazione. Nella sua vita aveva sempre cercato di usare quanto meno trucco possibile, ma in quel momento desiderava avere un fondotinta o qualsiasi cosa che potesse coprirle quelle occhiaie profonde.
Mentre era impegnata con i suoi mille pensieri si accorse solo in ultimo della figura imponente di un uomo a pochi passi dietro di lei. 
Non fece in tempo a voltarsi e a capire cosa stesse succedendo che questo le afferrò con forza le braccia, bloccandole qualsiasi tentativo di movimento. Presa alla sprovvista, Kamila urlò con tutto il fiato che aveva in corpo. Urlò il nome di James prima che l’uomo le tappasse la bocca con una mano ricoperta da un guanto nero. Kamila cercò di divincolarsi con quanta forza le fosse possibile o perlomeno tentò di creare del ghiaccio dalle sue mani, ma era troppo stanca per riuscire a concentrarsi abbastanza.
«L’abbiamo presa.» disse l’uomo, probabilmente a qualcuno al di là del suo auricolare.
Kamila rimase senza fiato. L’uomo non aveva parlato in inglese, eppure lei lo aveva capito. Non parlava il russo da parecchi anni, ma era ancora perfettamente in grado di comprenderlo. Perché diamine una guardia del governo delle Nazioni Unite doveva parlare in russo, e non in inglese?
Non ebbe il tempo di pensare ad una risposta che l’uomo cominciò a trascinarla verso l’uscita del negozio, davanti agli sguardi attoniti delle commesse. Kamila prese a muovere convulsamente mani e piedi, in un disperato tentativo di liberarsi da quella morsa letale. L’uomo era troppo forte.
D’un tratto, proprio mentre stava per svenire per lo sforzo e per la mancanza d’aria, la presa si allentò velocemente e lei ricadde a terra con un tonfo sordo. Inalò quanta più aria possibile prima di voltarsi e alzarsi in piedi, in una posizione di attacco. Bucky era comparso dal nulla con addosso i vestiti che lei gli aveva dato pochi minuti prima. Aveva afferrato l’uomo dal collo e lo stava strangolando con forza, con occhi pieni di furia omicida.
«Bucky dobbiamo andarcene.» urlò Kamila, guardandosi attorno allarmata. «Ce ne sono altri, dobbiamo andare via!»
James non riusciva a sentirla. Il desiderio di uccidere quell’uomo era troppo forte, il delicato suono delle ossa che si spezzavano sotto le sue mani era troppo eccitante per potersi fermare.
«Bucky!» Kamila lanciò una lastra di ghiaccio contro l’uomo, immobilizzando i suoi piedi al pavimento e un’altra contro James con l’intento di allontanarlo dal corpo ormai esanime dell’uomo. Lui scosse la testa e ci mise qualche secondo prima di riprendersi.
«Andiamo.» James la afferrò per un braccio e la trascinò lungo i corridoi del centro commerciale, veloce come il vento. Nella foga Kamila perse il cappello e l’elastico che le legava i capelli si sciolse completamente, facendole scivolare la folta chioma lungo la schiena.
«Avranno circondato il centro commerciale.» esclamò Kamila senza fiato. «Non possiamo uscire senza essere braccati.»
James rimase in silenzio ma continuò ad avanzare alla ricerca di una via d’uscita. Scansò una coppia di anziani senza farci troppo caso e voltò l’angolo, diretto verso chissà dove.
«James fermati, dobbiamo capire cosa fare!» Kamila cercò di fermare la sua corsa, ma la presa di Bucky era ferrea e le toglieva qualsiasi possibilità di movimento.
«Ci sono delle tubature che collegano l’intera città. L’ho letto in un libro. Se siamo fortunati non verranno a cercarci là sotto.» disse sbrigativo, continuando a correre. Kamila si guardò attorno e vide gli sguardi di tutti i presenti puntati su di loro: il loro andamento e il loro aspetto fisico erano certamente inusuali in quel posto così tranquillo. Kamila desiderò avere delle forbici per tagliarsi quei capelli e risultare quantomeno una ragazza comune.
«Come fai ad essere sicuro che anche qui ci siano queste tubature?» domandò Kamila mentre entrambi si fiondavano giù per le scale mobile e lungo il corridoio che collegava l’atrio principale ai servizi.
«Non lo sono.» rispose lui schiettamente e Kamila si rese conto che non era più il caso di parlare. Aveva capito che in quelle situazioni quella fioca luce umana nell’anima di James si spegneva completamente lasciando spazio all’impetuoso fuoco del Soldato d’Inverno.
«Entra.» James aprì con una spallata la porta di quella che doveva essere una stanza addetta al personale. Kamila entrò e aspettò la mossa successiva.
Bucky la seguì e si richiuse la porta alle spalle.
«Congela la serratura.» le ordinò facendo qualche passo indietro per sicurezza.
Kamila lo guardò ironica e si voltò verso la porta. Concentrò le sue restanti forze per creare una spessa barriera di ghiaccio lungo tutta la superficie in legno. Una volta finito, James le afferrò di nuovo la mano e prese a correre a perdifiato lungo uno stretto corridoio. Questo divenne sempre più buio ed angusto, quasi come se volesse tenerli lontani da chissà che cosa.
James le strinse ancor di più il polso e quel gesto le diede sicurezza: nonostante lui fosse in modalità missione, Kamila si sentiva sollevata a sapere che c’era ancora qualcosa di Bucky in lui.
«James dove stiamo andando?» sussurrò strizzando gli occhi nel disperato tentativo di scrutare qualcosa nel buio. Bucky si fermò di colpo e allungò un piede in avanti per tastare la superficie.
«C’è una scala. Tieniti a me.» esordì lui, avanzando con più calma.
Kamila lo seguì rimanendo ad un passo di distanza dal suo corpo: nonostante la sua presenza le infondesse una certa sicurezza, non aveva intenzione di fare la figura della povera donzella impaurita.
Scesero per una lunga rampa di scale illuminata soltanto da uno sprazzo di luce proveniente dal fondo.
Kamila sentiva l’adrenalina scorrerle nelle vene e ne sarebbe stata anche entusiasta se soltanto si fosse trovata in un contesto differente. Per esempio, non in quello dove dovevano fuggire dalle persone che avevano preso sua sorella minore.
Una volta raggiunto lo scantinato, Bucky riuscì a trovare l’interruttore di una luce al neon che illuminò una piccola stanzetta arredata con dei semplici scaffali, qualche scatolone e un grosso tombino posto in mezzo alla stanza.
«Perciò le tubature sarebbero le fogne.» commentò Kamila trattenendo a malapena una nota di disgusto nella voce. James si chinò sul tombino e tolse il coperchio.
«Se avessi usato quel termine, non saresti voluta venire.» replicò lui pratico, mentre ispezionava con una rapida occhiata ciò che li aspettava una volta scesi.
«Mi credi così schizzinosa?» gli chiese lei, alzando un sopracciglio.
«Non credo sia il momento adatto.»
James spense di nuovo la luce e si avvicinò a tentoni verso il tombino aperto.
«Scendo prima io per controllare il perimetro. Seguimi appena ti chiamo.» le ordinò, allungando le gambe nel buco e lasciandosi cadere all’interno. Il tonfo fu attutito dall’acqua sporca e maleodorante.
Kamila non era mai stata schizzinosa, ma doveva ammettere che camminare per chissà quanto tempo dentro ad uno spazio così angusto, buio, puzzolente e persino bagnato non era la sua definizione di passatempo preferito.
Dovette aspettare cinque minuti buoni prima che Bucky la chiamasse. Kamila si sedette sul bordo del buco e chiuse gli occhi prima di lasciarsi andare.
Aveva previsto di atterrare in una pozza d’acqua sporca e poltigliosa ma l’impatto fu completamente diverso. Quando aprì gli occhi rimase sorpresa nel constatare che James era riuscito a prenderla al volo prima che finisse con il sedere nell’acqua. Il suo braccio di metallo la teneva sotto la schiena e quello umano invece era a contatto con la pelle delle sue gambe.
Si guardarono per qualche istante prima che Bucky facesse qualche passo e la poggiasse sullo stretto pavimento in cemento che costeggiava il flusso delle fogne.
«Grazie James.» mormorò abbozzando un sorriso e sistemandosi alla bell’e meglio il vestito.
Bucky annuì col capo e tornò ad osservare il luogo intorno a sè.
«Dobbiamo seguire la direzione dell’acqua, così riusciremo a raggiungere il porto senza alcun problema.» senza aspettare risposta, prese a camminare nella direzione dell’acqua.
Kamila lo seguì cercando di rimanere il più attaccata al muro possibile. Se c’era una cosa che più detestava al mondo era una concentrazione così elevata e rapida di acqua: adorava il ghiaccio, ma non andava molto d’accordo con il suo stato liquido.
 
*
 
Kamila uscì dal vicolo in cui si era per un momento rintanata con un viso pallido e le labbra screpolate. Non osava immaginare come fosse ridotta la sua faccia, per non parlare dei suoi vestiti e del suo odore. Avevano camminato nelle fogne per un tempo quasi interminabile e non appena erano usciti, Kamila era corsa in una stradina chiusa e aveva rimesso l’intera colazione. Non sopportava la puzza di quel posto e il movimento incessante dell’acqua le aveva fatto salire un forte senso di nausea.
James le andò incontro con le braccia conserte ed un’espressione indecifrabile dipinta sul viso.
«Stai meglio?» le chiese subito, senza neanche darle qualche secondo di respiro. Lei annuì semplicemente e senza dire una parola, lo sorpassò e continuò a camminare verso il porto, a qualche metro di distanza.
Bucky rispettò il suo silenzio e la seguì a passo svelto. «Dobbiamo raggiungere una di quelle navi.» disse, indicando una grossa imbarcazione mercantile. Kamila si sentì mancare la terra sotto i piedi. Il solo pensiero di dover affrontare un viaggio su una nave del genere, nel bel mezzo del mare, con tutta quell’acqua, quelle onde, e quel movimento incessante la spaventava a morte. Ma Kamila Metanova era un’agente dello SHIELD e in quanto tale non aveva il permesso di potersi lamentare.
«E dove andremo?» gli chiese mentre cercava di accantonare per un momento il pensiero di ciò che stava per affrontare. James si piegò dietro ad un bancale su cui erano posti due grandi scatoloni e lei fece lo stesso. Il porto era semideserto, fatta eccezione per qualche pescatore intento a sistemare le proprie reti da pesca.
«Dobbiamo raggiungere la meta più vicina. Dobbiamo sbarazzarci di quelli dell’H... dei tizi che ci stanno inseguendo il prima possibile e rimanere troppo tempo chiusi in una nave non è esattamente la scelta migliore.» spiegò lui, pratico mentre perlustrava minuziosamente ogni tipo di imbarcazione.
«Dobbiamo andare in Francia.» replicò Kamila. «Ho una casa a Parigi. Un piccolo appartamento di cui nessuno conosce l’esistenza, nemmeno lo SHIELD.»
Bucky annuì e represse l’impulso di chiederle per quale motivo avesse una casa a Parigi. Da quando l’aveva conosciuta, sentiva il bisogno di sapere qualsiasi cosa riguardo la sua vita, il suo passato e tutto ciò che l’aveva portata a far parte dello SHIELD. Voleva conoscere ogni suo aspetto e ogni suo particolare, ma il suo animo non glielo permetteva.
«Rimarremo lì qualche giorno, giusto il tempo di organizzare un piano d’attacco.» disse James, guardandosi attorno con aria circospetta.
«Per quanto dovrò stare lontana da mia sorella?» domandò Kamila sentendo lo stomaco di nuovo sottosopra. Bucky sentì una punta di amarezza nella sua voce e automaticamente portò l’attenzione sul suo viso stravolto.
«Il tempo necessario, Kamila.» rispose, guardandola dritta negli occhi con decisione. «Ma ti prometto che la riprenderemo, fosse l’ultima cosa che faccio.»
Kamila sentì di nuovo le lacrime spingere per uscire. In quei due giorni non riusciva a tenere a bada le sue emozioni né tantomeno ci provava. Voleva buttare fuori tutta la frustrazione e la tensione che aveva accumulato durante gli anni e dopo quello che era successo, non era per niente in grado di tenersi tutto dentro.
«Kamila...» sussurrò James, notando i suoi occhi lucidi, ma prima che avesse tempo di aggiungere altro, Kamila si sporse verso di lui e allacciò le sue braccia attorno al suo collo, lasciando che il peso dell’intera situazione crollasse assieme a lei.
Bucky rimase immobile, incapace di proferire un suono o di fare qualsiasi movimento. Non aveva idea di come comportarsi o di cosa fare per consolarla.
Alzò il braccio umano e lo posò semplicemente sulla sua schiena e quello a Kamila bastò. Perché lei sapeva che non avrebbe ottenuto più di quello e le andava bene, le andava bene perché in quel momento voleva soltanto sapere che lui per lei c’era, che non era sola.
Bucky avrebbe voluto dirglielo, ma non lo fece. Avrebbe voluto dire tante cose, ma lasciò che il silenzio vagasse tra di loro e rispondesse a tutte le loro domande.
 
 




Ciao bellissimi!
Vi starete chiedendo per quale motivo io sia su efp il venerdì sera, e posso assicurarvi che me lo sto chiedendo anche io. Purtroppo domani mattina lavoro, perciò dopo aver postato questo capitolo me ne andrò dritta nel mio lettino.
Allora, che dire? Prima di tutto ringrazio come sempre tutti voi, cari lettori, che mi seguite in ogni mio aggiornamento. Ringrazio di cuore chi ha aggiunto la storia fra le preferite-ricordate-seguite e anche le bellissime persone che ad ogni capitolo lasciano una recensione (vi prometto che risponderò alle ultime domani pomeriggio)! Vi giuro che non mi aspettavo di ricevere così tanto feedback, ed è una cosa che mi fa immensamente piacere.
Comunque, passiamo al capitolo. Allora, in questo aggiornamento abbiamo una Kamila un po' diversa dal solito, meno arrogante e schietta e più triste e fragile. La ragione credo sia abbastanza evidente. Credo di aver spiegato molto bene il legame che unisce le due sorelle nei capitoli precedenti, perciò capirete anche voi che per Kamila è davvero uno strazio abbandonare in questo modo la sorella.
E James? Bhe, il nostro caro vecchio James è un bugiardo insomma. Ha deciso bene di non dire a Kamila che le persone che hanno rapito sua sorella non sono agenti del governo, bensì dell'HYDRA. Come la prenderà Kamila quando verrà a saperlo? 
Devo ammettere che questo capitolo non mi piace per niente, me lo immaginavo completamente diverso ma anche provando a cambiarlo non rimango comunque soddisfatta, perciò l'unica è pubblicarlo così com'è e sperare ache almeno a voi possa piacere.
Dal prossimo inizierà il viaggio dei nostri due protagonisti, fra alti e bassi e fra bugie e verità! Spero di riuscire ad aggiornare in maniera costante e puntuale, ce la metterà tutta!
Ancora un grazie di cuore a tutti voi,
un bacio,
clepp
 
 



Image and video hosting by TinyPic
 
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Captain America / Vai alla pagina dell'autore: clepp