Lo Specchio delle Anime.
“Ettore, forse credevi, mentre toglievi le armi a Patroclo,
di farla franca, non avevi paura di me che ero lontano,
sciocco! Pur lontano da lui, guerriero molto più forte
in riserva alle navi ricurve restavo io,
che t’ho piegato i ginocchi: di te cani ed uccelli
faranno scempio, a lui sepoltura
daranno gli Achei”.1
[Achille – Iliade, Omero
(vv. 331-336)]
Atto
XVI – Parte IV
Aristos Achaion2.
«Mi dispiace, Maestro».
La voce dell’apprendista tremò, mentre si
inginocchiava davanti all’uomo incappucciato. Aveva temuto quel momento con
tutto il cuore, sapeva che prima o poi avrebbe dovuto fare i conti con i suoi
fallimenti.
Semplicemente,
avrebbe preferito rimandare.
«Mi avevi
giurato che sarebbe stato facile» la voce fredda dell’uomo fece tremare le
sue ossa. Lo vide spostarsi intorno alla scrivania e si sentì morire.
Era giunta la fine della sua misera vita?
«Ho fatto ciò che ho potuto, Maestro, ma la Granger-» tentò di giustificarsi, fermandosi sentendo il
colpo di tosse del suo capo. Aveva voglia di piangere, ma sarebbe stato poco
utile e poco dignitoso. «Credo abbia notato le mie tracce».
«Non abbiamo molto tempo, allora. Da quanto tempo
non ci sono notizie di quei due?» domandò ancora lui, schiarendosi la voce.
Sembrava molto più stanco di quanto non fosse mai stato. Forse era un buon
segno, magari aveva contratto una qualche malattia rara ed era sul punto di
morire e porre fine al suo terrore.
«Due settimane, Maestro» rispose, cercando di non
alzare lo sguardo su di lui. Se avesse compreso la speranza con cui aspettava
la sua prematura dipartita? Aveva paura delle conseguenze. «Non sappiamo dove
sono, ma dubito siano andati lontano… i nostri uomini di guardia allo Specchio
non hanno ricevuto notizie. Potrebbero semplicemente essersi persi».
Il Maestro fece un verso sprezzante, intrecciando
le mani davanti al viso. «Se credi che possano essersi persi, li sottovaluti
così tanto da non meritare di lavorare al mio servizio. Non sottovalutare mai un Malfoy, hanno più vite di un
gatto e sono più furbi delle volpi. Quanto alla Granger,
in guerra è stata la mente del Golden Trio. Quella ragazza ha più sale in zucca
di tutti i miei seguaci messi insieme» sbottò, tossendo ancora una volta. Era
pallido, per quanto possibile. «No, non penso si siano persi. Staranno
certamente tramando qualcosa. Fai aumentare la guardia allo Specchio e manda
qualcun altro a cercarli».
Con una certa agitazione, l’apprendista si guardò
intorno, come in cerca di aiuto. I Mangiamorte presenti – spaventosi nei loro
abiti scuri e nelle loro maschere d’argento – restarono immobili, senza
sembrare disposti a concedere neppure un piccolo aiuto. Li guardò con stizza,
per un momento, ma cercò presto di ricomporsi. Gli occhi del Maestro non si
erano spostati dal suo corpo, pronti a giudicare qualunque debolezza. «Subito,
Maestro. C’è altro che posso fare, per tranquillizzarla?».
L’uomo sembrò riflettere per qualche istante,
prima di sospirare. «No, va bene così. Sono assolutamente certo che non avremo
ulteriori problemi, il mio piano è troppo perfetto».
No, non è
vero.
Avrebbe voluto urlarglielo in faccia, ma non lo
fece. Sarebbe stato soltanto un rischio in più per David, non poteva
permetterlo. Che quell’uomo orribile si crogiolasse nel suo egocentrismo.
La speranza che la Granger
e Malfoy riuscissero nel loro intento fece sorridere l’Apprendista. Avrebbe
certamente trascorso il resto della vita ad Azkaban, se davvero li avessero
scoperti, ma l’avrebbe fatto volentieri.
Tutto, pur di far sì che quell’uomo avesse il
trattamento che meritava.
«Come desidera, Maestro» disse comunque, alzandosi
in piedi ed inchinandosi leggermente. «Riferirò gli ordini».
Lasciata quella stanza buia, tirò un sospiro di
sollievo.
Doveva
farlo per David. 3
***
Il ringhio del leone la fece trasalire, se riuscì
a trattenersi dall’urlare fu soltanto per orgoglio. Draco, diversamente da lei,
non sembrava turbato da ciò che avevano sentito, tutt’altro. Il suo sguardo, sentendo
quel suono, si era fatto ben più attento e – lei quasi non gli assestò un
cazzotto, quando capì – felice.
C’era la possibilità che un leone o una creatura peggiore li attendesse nel buio del corridoio
e lui aveva il coraggio di rallegrarsene.
Assurdo.
«Si può sapere cosa trovi così divertente?» gli
domandò, con un sibilo ansioso, aggrappandosi al suo braccio e guardandosi
intorno freneticamente. «E non provare a negare, Malfoy, lo vedo quel sorrisino
sulla tua stupida faccia. Quello era un ruggito»
gli fece notare, forse temendo che lui non avesse sentito bene.
Lui, incurante di essere sul punto di ricevere un
pugno in faccia, rise apertamente. «Mi sorprendi, mon Ange, tu non eri forse una figlia del leone? Voi Grifondoro siete
sempre così fieri del vostro simbolo… dovresti gioire all’idea di poterne
incontrare uno dal vivo» le fece notare, schivando per un pelo lo schiaffo di
lei. Rise più forse, dandole un buffetto gentile sul braccio. «Non prendertela,
davvero. Sono tranquillo solo perché so
che quello non è un vero ruggito da leone».
Accigliata, Hermione si voltò a guardarlo. «Come
fai a saperlo?» gli domandò, mentre le sue sopracciglia scure si arcuavano di
più. «Se stai per dirmi che da piccolo hai avuto un leone di compagnia, giuro
che mi metterò a gridare» lo ammonì, sentendo una certa angoscia crescerle nel
petto. Il fatto che evitò completamente la prima affermazione di lui avrebbe
dovuto far suonare un qualche campanello d’allarme, ma Hermione sperò di
passarla liscia.
La verità era che provava un terrore assoluto per i leoni. Fin da bambina, il
solo vederne uno su National Geographic la riempiva di così tanto terrore da
spingerla a nascondersi dietro il divano. Il giorno in cui aveva scoperto che
il simbolo di Grifondoro fosse proprio quell’animale,
sperò con tutta se stessa di essere smistata il più lontano possibile.
Naturalmente, la buona stella non l’aveva
ascoltata.
Col senno di poi, non avrebbe saputo dire se fosse
stato un bene oppure un male.
«Niente di tutto ciò, Malfidata-Granger» le disse, lanciandole
uno sguardo storto. «Ho passato due anni in Africa, per le mie ricerche. Il
ruggito dei leoni nella Savana è stato la mia sveglia per un bel po’ di tempo»
spiegò, ridacchiando quando lei impallidì e deglutì. «Vuoi dirmi che ti prede?
Hai affrontato un Ubir4 a
sangue freddo, un leone deve essere una passeggiata. Per Merlino, è stato una passeggiata per me» aggiunse, estremamente esasperato.
Punta sul vivo, Hermione strinse le labbra ed
arrossì di colpo. «Beh, Harry ha paura dei piccioni5, i leoni sono
giustificabili» si difese, prima di sgranare improvvisamente gli occhi. Aveva
appena detto qualcosa di orribile, il suo migliore amico non l’avrebbe mai
perdonata, se l’avesse saputo. «Ti prego, non dirgli che te l’ho detto».
Dal canto suo, Draco sembrava esser rimasto
bloccato alle prime parole di lei. «Piccioni?» ripeté, infatti, con le
sopracciglia sollevate. «Mi stai dicendo che Potter, il Bambino Sopravvissuto, ha paura dei piccioni? Il ragazzo che ha affrontato Tu-Sai-Chi e il suo dannato
serpente-».
«Beh, il serpente l’ha ucciso Neville, in realtà»
gli fece notare Hermione, accigliata. «Comunque sì. Sono fobie e tu non puoi
permetterti di prenderlo in giro, ok? Se mai dovesse svegliarsi, ovviamente»
pronunciare le ultime parole fu difficile, per lei, nonostante avesse iniziato
a venire a patti con la possibilità che avrebbe perso Harry per sempre. Era una
lezione che aveva dovuto imparare, quella di non riporre troppe speranze nelle
miracolose guarigioni.
Draco, probabilmente conscio delle sue emozioni
contrastanti, le passò un braccio intorno alle spalle e strinse leggermente.
«Non preoccuparti, non gli dirò nulla. Ho idea che io e Potter» pronunciò quel cognome con la stessa spocchia che usava da
ragazzino, tirando fuori anche la smorfia abbinata6, «dovremo
passare molto tempo insieme. Se voglio avere una pacifica vita coniugale, tanto
vale sotterrare da parte l’ascia di guerra».
Vita
coniugale. Quelle parole rimbombarono fra le pareti del cuore di Hermione
come un incantesimo in una stanza piena di specchi. Avrebbe voluto tirar fuori
una qualche risposta carica di sarcasmo, ma non ci riuscì. Quel maledetto luogo
ed il vincolo alla verità le impedivano di mentire, anche soltanto una bugia
per amor di ironia.
«Non ho ricevuto alcuna proposta e non ho
accettato nulla, parlare di vita coniugale mi sembra un po’ affrettato» gli
fece notare, allora, tossicchiando per schiarirsi un po’ la voce. Sentiva un
calore, nel petto, che per poco non la soffocò. «Oltretutto, non sappiamo
neppure se riusciremo ad uscire di qui sani e salvi» mormorò, scuotendo
leggermente il capo. «Soprattutto, non sappiamo se ne verremo fuori mentalmente sani» puntualizzò,
lanciandogli un’occhiata preoccupata.
«Ah, Mezzosangue, secondo me ti preoccupi troppo»
ribatté lui, tranquillo. Da quando avevano lasciato il Tribunale, sembrava
essersi convinto che il peggio fosse passato. Ma lei non concordava affatto: il
peggio doveva ancora arrivare. «Quando usciremo di qui, ricordami di portarti
in vacanza da qualche parte, così potrai rilassarti un po’. La futura madre dei
miei figli non può stressarsi in questo modo».
Nonostante desiderasse dire qualcosa di molto
cattivo su tutta la storia della futura
madre dei suoi figli, Hermione non riuscì a dire nulla. «Sei davvero
ottimista, lo sai?».
«Davvero
troppo ottimista» disse qualcun altro, lo scherno nella voce, proprio
dietro di loro. Quando si voltò, Hermione si convinse di aver appena incontrato
l’uomo più bello mai passato per la faccia della terra.
Alto, muscoloso quanto bastava, con lunghe gambe
snelle, favolosi capelli color dell’oro e profondi occhi azzurri. L’uomo – o Dàimon? – sorrise, poggiando una
spalla alla parete di marmo ed incrociando le braccia al petto, mettendo
involontariamente in evidenza i bicipiti ben definiti. Hermione si sentì quasi
mancare, osservandolo, e dovette far leva su tutta la sua forza di volontà per
non iniziare a sbavare come una sciocca.
Ulisse era bello, per carità, ma quell’uomo era
l’incarnazione di Eros molto più di quanto non lo fosse Malfoy. Oltretutto non
indossava la tunica greca ma degli abiti che sembravano appena usciti da una
casa di alta moda.
Alla strega tremarono le gambe.
«Ho idea di conoscere già la tua identità» si
lagnò proprio Draco, facendo una smorfia. «E dimmi, principe di Ftia, per quale motivo io non dovrei essere ottimista?»
chiese, inarcando le sopracciglia.
Principe
di Ftia, aveva detto.
Hermione fu sul punto di inspirare bruscamente,
quando comprese.
Achille.
«Perché non
è mai esistito un eroe che sia stato felice7» intervenne
un’altra voce, questa volta dalla loro destra, con un tono ironico e carico di
una tristezza profondissima e tanto, troppo dolore. Voltandosi, Hermione si
trovò davanti ad un uomo davvero enorme,
pieno di muscoli in luoghi in cui lei non credeva neppure ci fossero muscoli che, tuttavia, non sdiceva, apparendo
proporzionato nel su strano modo. Aveva lunghi capelli rossicci ed un gran bel
mento marcato. Era vestito alla greca ed aveva un mantello fatto di pelliccia
che – Hermione ne era abbastanza certa – doveva esser appartenuta ad un leone.
Il leone
Nemeo.
«Eracle» salutò Draco, piegando leggermente il
capo. «Non hai portato la clava? Sono abbastanza deluso, pensavo fosse la tua inseparabile
amica» aggiunse, divertito, senza farsi intimorire dall’occhiata cupa che
l’eroe gli dedicò.
«Se vuoi vado a prenderla, piccolo umano» gli
rispose allora quello, con una smorfia. Poi, seccato, alzò gli occhi su
Achille. «Questo qui ti somiglia. Tutti e due biondi, fastidiosi e
presuntuosi».
Achille, tranquillo, si strinse nelle spalle,
incantando Hermione con quel singolo movimento. «Allora potrebbero avere
qualche possibilità di sopravvivere» gli fece notare. «Un minimo di cervello,
in questa missione suicida, non può che aiutarli. Agitare la clava non basterà,
questa volta».
Il grugnito con cui Eracle gli rispose avrebbe
fatto sorridere Hermione, se non fosse stata terrorizzata da ciò che avrebbe
dovuto affrontare in breve tempo. I più grandi eroi della storia greca erano
lì, davanti a lei, e dovevano presentare loro delle prove che avrebbero potuto
distruggere il loro fragile equilibrio mentale.
«Un minimo
di cervello, disse l’uomo dal tallone fragile, andato in guerra con i sandali».
«Era la moda dell’epoca, per l’amor di Zeus,
perché devi sempre tirare fuori questa storia?».
Draco, decisamente non divertito da tutto quel
battibecco, si schiarì la voce ed attirò l’attenzione dei due. «Non vorrei
certo interrompervi, ma noi abbiamo più o meno ventiquattro ore per superare le
vostre prove ed impedire che il mondo ci collassi sotto ai piedi. Se per voi
non è un problema, gradirei conoscere il mio destino» disse, sarcastico,
incrociando le braccia al petto. Lanciò uno sguardo tagliente ad Hermione, come
a chiederle di mettere da parte gli ormoni e darsi una svegliata.
Dal canto suo, lei non poteva certo dargli torto.
Se davanti a loro ci fossero state due ragazze belle quanto quei due,
probabilmente avrebbe tenuto lo stesso atteggiamento del suo accompagnatore.
Quando era passata dal non riuscire ad avvicinare
un uomo a non riuscire a togliere gli
occhi di dosso ad un uomo?
Era tutta colpa di Malfoy, ne era più che certa.
Avrebbe dovuto aspettare qualche settimana prima di darle un metaforico calcio
nel sedere e mostrarle quanto amore potesse ancora ricevere, nonostante tutto.
«Il biondo ha ragione» convenne Eracle, con un
sospiro rassegnato, avvicinandosi ai due, la pelliccia di leone che ondeggiava
leggermente alle sue spalle. «Dovrete affrontare una prova, forse la peggiore
di tutte, e la affronterete entrambi. Una prova che neppure i migliori sono
riusciti a superare».
«Beh» Achille,
punto sul vivo, lanciò uno sguardo irritato all’altro uomo. «Se proprio
vogliamo essere pignoli, io la mia l’ho superata, alla fine, e sono stato anche
piuttosto-».
«Oh, sì, l’hai superata benissimo. Dimmi un po’, per quanto tempo hai trascinato il corpo
di Ettore come un sacco di patate?» sbottò Ercole, vagamente irritato da quella
interruzione. Sbuffando, si voltò verso Hermione e Draco, cercando di placare
la sua espressione bellicosa. Era spaventoso, nessuno avrebbe potuto negarlo,
ma era anche terribilmente triste e lei non riusciva a non provare pena per
lui. «Questa è una prova terribile e nessuno potrà mai farvi una colpa, se non
la superate. State mettendo in gioco qualcosa di ben più caro della vostra
vita, il fallimento sarà comunque causa di onore e gloria per voi».
«Nessuno sa che siamo qui» gli fece notare
Hermione, che trovava molto più semplice parlare con lui e non con Achille,
troppo bello per essere umano. «Nessuno scriverà canzoni sulle nostre gesta e
nessuno costruirà monumenti. Se falliremo, il mondo saprà che abbiamo fallito,
tutto qui» le parole lasciarono le sue labbra con ben più stizza di quanto lei
avrebbe desiderato, cosa che fece sorridere amaramente il biondo eroe.
«Se ce la farete, però, nessuno potrà sapere cosa
avete affrontato qui. Nessuno potrà sapere dell’Arazzo e di noi Dàimones. In
ogni caso, la gloria sarà difficile da ottenere» le fece notare proprio lui,
con un tono più adulto di quello usato fino a quell’istante. «Superare la prova
potrebbe farvi perdere ciò che avete di più prezioso al mondo e allora, posso
assicurartelo, la Gloria non avrà più alcuna importanza, per voi».
Sta
parlando di Patroclo, realizzò Hermione, sentendo una stretta al
cuore. Per vincere la guerra, Achille aveva dovuto perdere il grande amore
della sua vita, morendo a sua volta in poco tempo. Si voltò quindi verso Draco,
quasi a voler controllare che lui fosse ancora al suo fianco, che stesse ancora
bene. Incontrare i suoi occhi grigi la tranquillizzò solo in parte: l’immagine
della sua anima che gli veniva strappata a forza dal Dissennatore era ancora
marchiata a fuoco nella sua memoria.
Se
dovessi perderlo, dovrei salvare comunque il mondo e allora la Gloria non mi
servirebbe a nulla.
«Cosa dobbiamo fare?» chiese quindi Draco,
improvvisamente nervoso. Che avesse avuto lo stesso pensiero di Hermione? «Se
si tratta di una prova che entrambi avete fallito, comincio sinceramente a
preoccuparmi».
«Ciò che ci ha distrutti è stato il nostro difetto
mortale» iniziò Eracle, una strana tensione nella voce. «Il mio difetto è stato
la fiducia malriposta, il suo è stato l’orgoglio». I suoi occhi indugiarono su
Hermione e Draco per un tempo che parve interminabile, poi sorrise. «Quali sono
le vostre debolezze?».
«Una volta attraversata quella porta» continuò
Achille, indicando i grandi battenti che si stagliavano alle loro spalle,
«sarete voi due contro i vostri peggiori demoni. Ricordate che i difetti
mortali non possono essere vinti. Semplicemente, dovrete accettarli per come
sono ed imparare a conviverci, andare oltre.
Tutti ne abbiamo almeno uno ed è quello che, in uno scenario relativamente
apocalittico, conduce alla morte».
Hermione, sentendo un peso nello stomaco, annuì.
Era una storia che aveva già sentito. «Ercole, tu ti sei fidato nel lasciare
solo il centauro Nesso, che ha spinto tua moglie ad avvelenarti, mentre lui…» e
si voltò verso Achille, intento a fissare le porte precedentemente indicate.
«Mentre tu hai portato Patroclo in battaglia, troppo orgoglioso per dimenticare
lo sgarbo di Agamennone». Con un sorriso triste, allora, si voltò verso Malfoy.
«Il difetto di Harry, invece, è il voler fare tutto da solo. Se avesse parlato
con qualcuno dei suoi sintomi prima
di cadere in trance, avremmo potuto aiutarlo. Questa volta come tante altre»
convenne, con un sospiro. «Sei pronto, Draco?».
Lui, che non le aveva tolto un momento gli occhi
di dosso, si limitò ad annuire.
«Non abbiamo molta scelta, ormai».
***
Era stato Achille ad accompagnarli oltre la
soglia, il viso da divinità contratto in una smorfia preoccupata. Hermione,
naturalmente, non aveva fatto altro che lanciargli occhiate che andavano ben oltre
la curiosità, con grandissimo disappunto di Draco. Nonostante non potesse darle
torto – anche lui doveva ammettere che quel giovane uomo fosse assolutamente meraviglioso – non riusciva a far a meno
di essere geloso. Lui non aveva mai ricevuto tante attenzioni, da lei.
Non che
avessero avuto molte occasioni, da quando le cose si erano chiarite.
«Avete conosciuto Patroclo, immagino» mormorò
l’eroe, dopo qualche minuto di silenziosa camminava, lanciando ad entrambi uno
sguardo storto. Draco riconobbe lo scintillio in quegli occhi chiarissimi e,
per un istante, dimenticò qualunque astio. Nostalgia.
«Vi ha avvertiti di non prestarmi troppe attenzioni? Di solito è la prima cosa
che dice ai nostri visitatori».
Con sua stessa meraviglia, Malfoy si ritrovò a
sorridere. «Non ci ha detto nulla di te, in realtà. Stanotte farai bene a
tirargli le orecchie, dopo millenni potrebbe aver iniziato ad averne abbastanza
di te» gli disse, divertito, schivando per un pelo la gomitata che Hermione aveva
tentato di assestargli. Guardandola con esasperazione, si sorprese nel notare
quanto triste fosse il suo sguardo.
A chiarire i suoi dubbi fu lo stesso Achille.
«Noi non ci vediamo dalla venuta di Alessandro
Magno»8 disse infatti lui, con un tono così freddo da far venire i
brividi. Era figlio di una dea del mare,
secondo il mito. «Non credo ne abbia abbastanza, di me, ma piuttosto che
possa aver iniziato a dimenticarmi». La sofferenza, nella sua voce, era
affilata come un coltello. Hermione, al suo fianco, gli strinse il braccio in
una presa micidiale, come a volergliela far pagare per quel dolore evidente in
ogni movimento dell’eroe.
«Non potrebbe mai dimenticarsi di te» gli disse
infatti, la voce piena di dolcezza e compassione. «Siete innamorati, il vero
amore non è qualcosa che il tempo può lenire, non credi anche tu? Dopotutto, è
per amore che siete morti, entrambi».
«Io non sono morto per amore, mia cara». L’eroe le
sorrise, un po’ più rilassato, ma con le spalle ancora molto rigide. «Ho ucciso
Ettore per vendetta ed ho continuato a combattere perché, a quel punto, era
l’unico modo che avevo per farla finita» ammise, scuotendo leggermente il capo.
«Lui è sempre stato molto più coraggioso di me, lui è morto per amor mio e per evitare sofferenze continue ai
nostri uomini. Era Patroclo il vero Aristos Achaion, il migliore di tutti i greci».
«Ma tu eri il più forte» gli fece notare Draco,
cercando, forse, di essere incoraggiante. Non era mai stato il suo forte,
l’incoraggiamento. Molto più facile aggirare il problema e lasciare che qualcun
altro – la Granger, per esempio – se ne prendesse
cura. Lei, però, sembrava un po’ troppo presa dalle emozioni e non pareva
intenzionata a fare il suo lavoro.
«Era destino che succedesse».
«Ah, il destino» commentò Achille, con un sorriso
amaro. «Le profezie sono soltanto scherzi che le divinità giocano ai poveri
mortali. Hanno rovinato molte più vite di quante non ne abbiano salvate».
Hermione, concorde, annuì. «Oltretutto,
Divinazione è una branca della magia che io proprio-».
Draco.
Improvvisamente, Malfoy si fermò, le orecchie tese
a captare qualunque suono potesse provenire dalle sue spalle. Aveva sentito
piuttosto distintamente qualcuno chiamare il suo nome, ma, voltandosi, non
aveva scorto nessuno. Fece per tornare sui suoi passi, ma il richiamo tornò,
ben più chiaro di prima.
Draco,
cosa stai facendo?
Lui conosceva quella voce. La conosceva e l’idea
che la sua prova potesse riguardare quella persona anche solo lontanamente gli
fece venire i brividi dal terrore. La nausea, sempre presente quando quella questione veniva riportata alla
sua attenzione, ruggì improvvisamente dalla bocca del suo stomaco.
Sei
davvero un bambino cattivo!
Era lei, non c’erano dubbi al riguardo. Come
trascinato da una mano invisibile, insensibile ai richiami sempre più
preoccupati di Hermione, si ritrovò a seguire il suono lungo una cavità nella
parete che non era riuscito a notare prima. Il marmo bianco rifletteva la luce
della sua bacchetta creando degli strani giochi sul soffitto, quasi ci fosse
stata dell’acqua proprio sotto i suoi piedi.
Acque
gelide di un lago in inverno, si ritrovò a realizzare
sentendo l’orrore crescere in lui ad ogni battito cardiaco accelerato. Anche
l’aria iniziò a cambiare, il suo respiro si condensò ed un fastidioso profumo
di bosco invernale gli arrivò alle narici, mentre una luce grigiastra iniziava
a circondarlo.
Il sole
di una cupa mattinata d’inverno, quando la neve era ancora troppo fresca ed il
ghiaccio troppo tenero.
«Draco?».
Hermione ed Achille, alle sue spalle, avevano
assistito alla trasformazione di quel luogo. Da un cupo e buio corridoio, si
erano ritrovato a calpestare l’immacolato manto bianco che aveva ricoperto
Malfoy Manor nell’inverno del 1987. Le mura scure del
palazzo sembravano meno inquietanti di quanto non fossero mai state prima, gli
alberi spogli sembravano ricoperti di batuffoli di cotone e due bambini – un
maschietto ed una femminuccia – giocavano allegri vicino la riva del piccolo
lago ghiacciato.
«Non voglio rivederlo», fu tutto ciò che Draco si
sentì di dire, sentendo delle dita gelide arpionargli la gola per impedirgli di
parlare. Il suo primo istinto era stato quello di cercare una via di fuga, ma,
voltandosi, non ne aveva trovate. Non c’era modo di tornare nel corridoio buio.
Allora, ignorando completamente gli occhi scuri e preoccupati della donna che
amava, si voltò verso l’eroe. «Ti prego, non voglio rivederlo».
Achille, il viso fermo in un freddo disappunto, si
limitò a scuotere il capo. «Questa è l’unica via, Draco. Affronta il tuo più
grande difetto e allora sarai libero»
gli disse, indicando con un cenno la coppia di bambini. Poi, accennando un
lieve sorriso, indicò Hermione. «Non devi essere da solo, però. Non questa
volta».
Dal canto suo, la strega sembrava sul punto
d’avere una crisi d’ansia. Si stava torturando le mani, alternando lo sguardo
fra i bambini e Draco stesso, come in cerca di una qualche spiegazione.
Mi amerà,
dopo aver saputo?
Il rischio era immenso, ma le conseguenze della
sua codardia lo sarebbero state molto di più. Non poteva permettere che il
mondo finisse nuovamente fra le mani di Lord Voldemort – o dei suoi nuovi
accompagnatori – e che tutte le persone che amava tornassero a vivere nel
terrore che lui e tanti altri avevano
conosciuto.
Non ci sarebbero
più state altre Rosemary Crave.
Senza sembrare voler dire nulla, Draco fece cenno
ad Hermione di seguirlo, avviandosi verso il lago. Ogni passo gli sembrò
pesantissimo, insopportabile. Il gelo della neve lo stava torturando, ma non
poteva permettersi di fermarsi, altrimenti avrebbe perso tutto il suo coraggio.
«Chi sono quei bambini?» domandò quindi lei,
indicando la coppia. A quella distanza, si vedeva chiaramente che la
femminuccia dovesse essere un po’ più grande, anche se non di molto. Tre anni, per la precisione. «Il
maschietto… sei tu» continuò lei,
portandosi la mano alle labbra, una volta riconosciuta la sua versione più
giovane.
«Avevo sette anni» le disse, inumidendosi poi le
labbra. Non sentiva davvero freddo, ma era come se quei fiocchi di neve fossero
penetrati direttamente nelle sue ossa. «Questa era la prima nevicata dell’anno,
l’avevo aspettata con impazienza» le rispose, provando l’irrefrenabile
desiderio di avvicinarsi al piccolo se stesso e darsi un colpo dietro la nuca
un attimo prima di avere la geniale idea di provare qualcosa di nuovo.
«Eri molto carino, anche se, probabilmente,
spocchioso come sei ora» gli fece notare la Mezzosangue, forse tentando di mantenere
i toni leggeri, affiancandolo ed indicando la bambina. «Lei chi è? Ha qualcosa
di familiare».
«Si chiamava Vega» mormorò Draco, mentre le dita
gelide chiudevano di più la presa sulla sua gola. «Vega Lestrange9,
la figlia di mia zia Bellatrix». Il silenzio che
seguì alle sue parole l’avrebbe fatto sorridere, se non fosse stato sul punto
di piangere. «Avrebbe iniziato Hogwarts a settembre, non faceva altro che
parlarne. Nonostante il corredo genetico marcio, lei era solo una bambina,
Mezzosangue, non puoi portarle rancore per i gesti di sua madre» le fece
notare, sentendosi un po’ colpito. Sì, era figlia di Mangiamorte, ma dopotutto
lo era anche lui, lo era anche Merrick e lo era
Theodore Nott, che era diventato uno dei migliori
avvocati della Comunità Magica.
«Non le porto rancore, è innocente» fu la risposta
che ottenne da Hermione, più tranquilla di quanto avesse immaginato. «Ero solo
sorpresa che qualcuno così simile a Bellatrix potesse
sembrare innocuo» specificò,
scuotendo il capo. «Andromeda le somiglia molto, ma lei è un po’ inquietante» aggiunse, con un leggero sorriso, per poi
tornare a concentrarsi sui bambini. «Deduco che sia morta, non ho mai sentito
parlare di lei».
Sentendo un peso nello stomaco, Draco annuì. Il
suo doppione più giovane era appena saltato giù da un ramo ed era atterrato
sulla superficie ghiacciata del ghiaccio. Anche da quella distanza, gli sembrò
di sentire uno scricchiolio sinistro. Con orrore, vide Vega arrampicarsi a sua
volta, incurante della pericolosità delle sue azioni.
«Ero piccolo ed ero stupido, credevo che fosse un
gioco divertente» mormorò, senza riuscire a staccare gli occhi da quella scena.
«Vega era più grande di me, era venuta al Manor per
le vacanze di Natale e mia madre le aveva chiesto di controllarmi. “Non servono gli elfi, zia”, le aveva
detto, e mi aveva trascinato fuori» con mano tremante, indicò il ramo
dell’albero su cui la bambina era ormai salita, stranamente scricchiolante.
«Credevamo fosse divertente» ripeté, agonizzante. In quell’istante, il ramo si
spezzò e la bambina atterrò, con un tonfo, sulla superficie ghiacciata. «Il
ghiaccio era troppo sottile, per reggere tutto quel peso» continuò, proprio
mente una voragine si apriva sotto la rampolla di Bellatrix
e Rodolphus Lestrange,
priva di sensi.
«Per Merlino…» il sussurro di Hermione fu solo
benzina sul fuoco del rimorso che gli ardeva nel petto. Sentire improvvisamente
la sua mano nella sua, però, fu una piacevole sorpresa.
Lei
ancora non sapeva.
«Sono scappato» ammise alla fine, mentre la
bambina spariva sotto la coltre di ghiacci ed il suo piccolo doppione correva
via, come se avesse avuto il diavolo alle calcagna. «Sono corso in casa, c’era
soltanto mia nonna… non è arrivata in tempo. Quando è tornata in casa, con il
corpo di Vega fra le braccia… ricordo solo di esser stato schiaffeggiato e di
aver sentito, per la prima volta, la più grande fra le verità».
«Quale?».
«Sono indegno del mio nome, sono indegno del mio
sangue. Avrei potuto fare qualsiasi cosa, per aiutarla, ma ho preferito
scappare via, preoccupato che potessero darmi la colpa per il ramo spezzato. Non sono stato abbastanza bravo per aiutarla e mia cugina è morta». Il suo
doppione stava ancora correndo verso il Manor, ma di
Vega non c’era più traccia. Una strana consapevolezza aveva iniziato a
nascergli nel petto, una possibilità che non aveva tenuto da conto. «Ho giurato
a me stesso che avrei sempre fatto la cosa giusta¸
ma per tanto tempo ho visto il giusto nelle idee sbagliate» ammise, stringendo
la presa sulla bacchetta che Ollivander gli aveva
riparato. «Non sono stato abbastanza bravo neppure in quello. Non sono degno di nulla».
«Draco» la voce di Hermione era carica di urgenza,
la presa della sua mano era ferrea. Gli occhi scuri lo osservarono per un lungo
istante, prima di puntarsi verso il lago. «Tutti facciamo degli errori e da
questi impariamo. Eri un bambino, non avresti potuto fare altro. Eri un bambino
anche quando ti indicavano che strada seguire. Ma adesso sei un uomo» la determinatezza con cui pronunciò quelle parole gli
fece provare un brivido. «Adesso puoi
essere degno, se lo vuoi. Adesso puoi
essere abbastanza. Puoi essere il
migliore» continuò, indicando il lago. «Non è vero che non sei abbastanza
bravo, perché ora tu puoi salvarla».
Salvarla.
L’idea della Mezzosangue era così balzana da poter
effettivamente funzionare. Lui era
diventato forte. Lui sapeva di esser
responsabile per una vita umana, non per uno stupido ramo. Non avrebbe più dovuto vergognarsi di se stesso, se avesse rimediato ai
suoi errori.
Si rese conto di aver iniziato a correre verso il
lago solo quando le acque gelide gli accarezzarono le caviglie, ma non si
fermò. L’abbraccio dei ghiacci fu soltanto un incentivo nel nuotare più
velocemente, nel cercare meglio. Era stato un buon cercatore, anche se la vista
l’aveva abbandonato, e nessuno era bravo a scorgere dei piccoli bagliori meglio
di un cercatore.
Quando la sua mano si strinse sul piccolo braccio
di Vega, tutti gli anni di abusi, tutti gli anni di insulti da parte dei suoi
parenti e di se stesso scivolarono via, come l’acqua sul suo corpo una volta
riemerso. Scivolarono via, come la vergogna che lo aveva sempre seguito come
un’ombra.
Lui non era inutile,
non più.
Non era indegno del suo nome.
Il sorriso che Hermione gli dedicò, quando riuscì
a reinnervare la bambina, fu la conferma migliore che
avesse mai potuto avere.
Lui era
diventato migliore, lui meritava di esser felice, nonostante il suo passato
oscuro.
Mai come in quel momento desiderò di potersi
inginocchiare e chiederle di amarlo, sposarlo, renderlo padre e vivere il resto
della loro meravigliosa vita insieme.
Lui era
degno.
E non avrebbe permesso a nessuno Specchio di
portargli via ciò che aveva appena guadagnato.
»Marnie’s Corner
Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri
aggiornamenti!
Achille ed Ercole vecchia coppia di sposi
sono il pane della mia vita.
Immaginate il primo
come una versione più figa di Brad Pitt (molto più giovane, oltretutto)
e il secondo in una versione umana e grossa dell’Hercules Disney! Con un
bel mento marcato.
Per chi non l’avesse ancora saputo, ho pubblicato la one-shot
rossa relativa al capitolo 23 (Ragione e Sentimento): A thousand kisses – Lo Specchio delle Anime.
Punti importanti:
» 1 – Ovviamente, abbiamo una citazione dell’Iliade. Perché la morte di Ettore?
Ma, ovviamente, perché è il punto in cui Achille è stato il migliore, il punto
in cui avrebbe dovuto sentirsi carico
d’orgoglio, quando in realtà voleva soltanto vendicare l’amore perduto. Non c’è
orgoglio, in una cosa simile.
» 2 – Viene dall’Iliade, è la versione greca di “Il migliore dei
greci”. È il titolo riconosciuto ad Achille, ma, come dirà lui stesso verso la
fine del capitolo, Patroclo dovrebbe meritarlo.
» 3 – Sono stata brava, sono fiera di
me stessa, sono riuscita a mantenere le cose neutrali e non vi ho dato neppure
un indizio sull’identità di Apprendista e Maestro. Ahah.
E chi è questo David? Boh!
» 4 – Riferimento alla creatura incontrata durante il viaggio ad Istanbul,
nel capitolo 18.
» 5- Tecnicamente è uno spoiler per Cursed Child.
Chi volesse sapere altro su questa schifezza immonda considerata canon e sul mio punto di vista, può leggere “I choose you”, la mia one-shot su Scorpius e Albus. Oppure leggere solo il Marnie’s
corner, che credo spieghi bene tutto!
» 6 – La faccia è questa. Ho
cercato la gif in cui proprio c’era il sottotitolo
“Potter” ma non l’ho trovata! Insomma, la conosciamo tutti quella faccina schifata :’)
» 7 – Citazione più o meno precisa dal libro “La canzone di Achille”, che
io credo di aver già nominato in qualche nota e che ADORO. E no, non sto esagerando, io ho una vera venerazione per
quel libro. La frase simile è stata detta da Achille a Patroclo, prima di
promettergli di fare di tutto per diventare il primo eroe felice. Ovviamente,
non ce l’ha fatta.
» 8 – Questa devo spiegarla. Nel capitolo introduttivo dei Dàimones, si sono
visti sei troni diversi, con sei corone. Praticamente i sei Dàimones si
incontrano soltanto quando qualcuno supera le prove e solo per il tempo
necessario a quest’ultimo per fare la domanda all’Arazzo. Considerando che
Alessandro ha impedito che altri trovassero quella strada, Achille e Patroclo
non si incontrano da duemila anni. Ditemi se non è una cosa bruttissima e se
anche voi mi odiate quanto mi odio io. Dalla serie: mai una gioia.
» 9 – Sì, un altro OC. Dopo Cursed Child *ALLARME SPOILER*, quando è saltato fuori che
Voldemort ha avuto una figlia con Bellatrix (cosa
raccapricciante e totalmente insensata nella saga, rimando sempre alle note
dell’altra mia OS), io ho deciso che non mi andava bene e che se proprio doveva
avere figli, questi dovevano essere legittimi. La cuginetta, dopo
l’incarcerazione della mamma, ha vissuto con Nonna Black finché non è affogata,
quindi non ha fatto danni. Bellatrix, che già era
fuori di testa, è impazzita di più ed ha sempre finto che Vega non fosse mai
esistita.
» Draco, essenzialmente, ha affrontato il suo segreto più oscuro, quello di
cui neanche il dottor Crave sapeva niente, motivo per
cui non è mai riuscito ad aiutarlo davvero. Draco si è sempre sentito stupido,
inutile ed indegno (soprattutto indegno di Hermione), cosa che l’ha toccato
tantissimo a livelli profondi della sua anima. Adesso che questo segreto è
venuto a galla, che lei lo ha saputo
e lo ha accettato, anche lui può davvero sentirsi degno e non più un miracolato
ad ogni sguardo o attenzione della ragazza. È una psicologia alla Pavlov, lo
so, ma è solo un mattoncino del muro di problemi che Draco ha avuto, fin dall’infanzia.
Un simbolo, diciamo.
» Piccolo appunto: Eracle e non Ercole, perché? Eracle è la versione greca,
che è quella che prendo da riferimento. Lui tornerà meglio nel prossimo
capitolo, con un faccia a faccia con il caro
ricordo di Ronald. La prossima è Hermione, gente, il momento è arrivato.
Sono stata massacrata dallo studio, la settimana scorsa, ed ho davvero
temuto di non poter pubblicare in tempo. Fortunatamente, però, ce l’ho fatta!
Per altre
comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!
Grazie ancora a
chiunque leggerà,
-Marnie