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Autore: Occhi di nebbia    26/08/2016    0 recensioni
Emanuel sapeva riconoscere quando c'era una tempesta in arrivo, dentro e fuori la sua anima
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
- Questa storia fa parte della serie 'Una manciata di felicità'
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Emanuel ormai sapeva riconoscere una tempesta in arrivo.
Un attimo prima il cielo era azzurro e il sole splendeva illuminando il giardino di un giallo acceso. Poi il vento si alzava e iniziava a soffiare verso una sola direzione, sempre più forte. A quel punto l’uomo usciva sempre, per godersi l’inizio di tutto.
Amava sedersi sul dondolo dietro la casa a vedere il sole che pian piano veniva ingoiato dalle nuvole nere come la pece. E i tuoni si facevano sempre più vicini, sempre più forti.
Anche quel giorno, con i capelli scompigliati dal vento, uscì per godersi l’inizio della tempesta. C’era ancora un pallido sole che sopravviveva all’avvento dei cumuli, ma Emanuel sapeva che sarebbe durato molto poco.
Tutto volava nella stessa direzione; le foglie secche del castagno gli si impigliarono tra i capelli e l’aria fredda si infilò nelle corte maniche della sua maglietta.
Che pace, lì fuori. Aveva ancora qualche minuto di tempo prima che il temporale iniziasse e poi sarebbe dovuto entrare nella sua casa, per non infradiciarsi.
La porta della casetta dei giochi di Gretel continuava a sbattere. Se l’era dimenticata aperta prima di andare a scuola e non c’era stata nessuna Martha ad accorgersene.
Non più.
A volte capitava che la tempesta sfiorasse il cielo sopra alla campagna dove abitava l’uomo e che la pioggia non facesse in tempo a cadere. Probabilmente la fortuna di ritrovarsi tutto fradicio all’improvviso sarebbe toccato al bosco poco più in là.
Ma non era questa la volta. Si preannunciava una tempesta con i fiocchi.
Emanuel era immobile, seduto e guardava davanti a sé. Il sole era ormai quasi scomparso e il freddo si faceva sentire. Avrebbe dovuto alzarsi a prendere un maglione ma non ne aveva voglia. Aveva paura che, interrompendo quella magica pace, il peso della vita gli sarebbe di nuovo piombato sulle spalle, facendolo sprofondare. La morsa alla pancia scompariva man mano che la vita continuava, ma la paura era sempre lì in agguato.
Che si decida a piovere, a scoppiare! Esclamò l’uomo con rabbia. Voleva vedere lo sfacelo. Voleva sentire la pioggia picchiettare sui suoi capelli e poi sulle sue spalle perché lo facesse fuggire al riparo prima di bagnarsi completamente.
Voleva che la rabbia che aveva dentro esplodesse grazie alla tempesta al di fuori di lui.
Ma non è così che funziona.
Non è così che si guarisce.
Avrebbe aspettato, testardo com’era, che la tempesta facesse il suo corso sopra alla sua testa, incurante dei piani che aveva per il pomeriggio. L’orto meritava di essere riassettato in modo che traesse il più possibile giovamento dall’acqua in arrivo. La rete che proteggeva le coltivazioni dalla grandine andava sistemata, perché le piante non soffrissero in caso la tempesta si fosse fatta violenta­­.
Gretel era a casa della maestra e, quel pomeriggio, Emanuel avrebbe avuto un po’ di tempo per sé. Tempo per cercarsi un lavoro, per esempio. Ma non l’avrebbe fatto. Sarebbe rimasto lì fuori a godersi la genesi della tempesta, nella speranza che quella che imperversava dentro la sua anima trovasse il coraggio di uscire fuori, unendosi alla sorella.
Aveva la pelle d’oca ormai, e decise che sarebbe entrato in casa. Si guardò intorno ma non era convinto.
I tuoni sembravano dirgli, rimani qui o ti perderai l’inizio. Non vorrai andartene proprio sul più bello no?
Il sole era scomparso ed Emanuel corse dentro a prendere un maglione.
Che fastidio gli dava la sua casa. Entrando sentì un senso di calore, sicurezza e normalità che lo fece rabbrividire. Era noioso stare all’interno quando l’avventura era fuori. Avrebbe potuto entrare ed aprire la finestra, così da far entrare un po’ di tempesta in casa sua, perché la smuovesse dalla sua calma piatta e dal suo odore di chiuso.
Ma casa sua non era noiosa, e l’uomo lo sapeva bene. Era solo impregnata di Marta. Ogni pezzo di arredamento, ogni tenda, ogni fodera ed ogni accessorio lo avevano scelto insieme. E ora tutto sapeva della donna che aveva imparato ad amare, come si impara l’alfabeto: all’inizio con fatica ma poi travolti dalla miriade di parole possibili con quel poco che si era imparato.
Uscì, questa volta, dalla porta sul retro infilandosi una felpa della sua vecchia università e con in mano uno Yogurt. Per fortuna che era uscito a fare la spesa, quella mattina, o non avrebbe saputo cosa preparare alla sua bambina una volta tornata a casa.
Era l’ultimo giorno di scuola, oggi, questo lo sapeva. E la maestra di Gretel, Rebecca, aveva deciso di portare i bambini di terza a fare una gita. Emanuel sperava che riuscissero a tornare in tempo prima di bagnarsi.
In quasi un anno, l’uomo aveva fatto moltissimi passi avanti. Ora sapeva cucinare le cose basilari, fare il bucato e aveva persino imparato a fare il padre. Certo, questa non è il genere di cose che si impara all’istante, ma ci vuole una vita intera per capire come fare, e a volte non lo si capisce mai.
Però Emanuel sapeva di non aver fatto troppa attenzione a lezione negli scorsi sette anni e ora gli toccava imparare tutto di fretta.
Sentì il rumore di un’auto che entrava nella strada sterrata e si alzò di botto. Gretel era a casa e la pioggia, ancora, non si era fatta sentire. Appena la vide uscire dalla macchina, le corse in contro e la acchiappò al volo. “Papà, papà, guarda il mio cerchietto nuovo! Non è un amore?”
Il padre la allontanò da sé giusto quel poco che gli serviva per ammirare il nuovo lavoretto della bambina e indossò l’espressione più seria del suo repertorio “Che opera d’arte. Ma chi l’avrà mai fatto?”
“L’ho fatto io, papà, l’ho fatto io! Rebecca ci ha portato a raccogliere i fiori e poi noi ci abbiamo fatto quello che volevamo. Io li ho appiccicati tutti su questo cerchietto.” spiegò la bambina.
Emanuel si voltò verso l’auto appena in tempo per vedere la maestra scendere per avvicinarsi.
Le andò incontro, sempre con Gretel in braccio: “Grazie per averla riaccompagnata.” disse con un po’ di imbarazzo. Si vergognava a mostrare al mondo quanto fosse penoso come padre, un padre che avrebbe fatto tornare a casa la figlia di nove anni a piedi da scuola piuttosto che cercare un lavoro per comprarsi una macchina. Che gli andava incontro senza neppure prendere un ombrello mentre pioveva a dirotto, piuttosto che alzarsi dal divano in anticipo in modo da poterla aspettare all’ingresso della scuola per fare la strada insieme.
“Si figuri. Per me non è un problema, abito poco più in là.”
L’aveva incontrata altre volte, durante questo difficile anno in cui la vita aveva deciso che dovesse fare il padre a tempo pieno e quella maestra gli piaceva molto.
Le stavano davvero a cuore i bambini.
Fece scendere Gretel che corse in macchina a recuperare la sua cartella e mentre la bambina abbracciava la sua maestra Emanuel guardava quella ragazza con lo sguardo perso. Aveva i capelli rossi rossi e mille lentiggini che sembravano essere state gettate sul suo volto pallido da una mano disordinata.
Era molto bella, pensò. Si morse la lingua e si maledisse. Che clichè scontato, un uomo single e per di più vedovo che si innamora della maestra elementare di sua figlia.
Non sarebbe dovuto succedere. Per quanto bella fosse Rebecca, nei suoi vestiti a fiori e nella sua aria da maestra elementare.
“Gretel, in casa, svelta che sta per piovere!” disse alla bambina che, ubbidiente, si fiondò verso la porta sul retro con la cartella sulle spalle.
Emanuel, intanto, continuò a guardare la macchina scomparire verso la strada principale con la mano a mezz’aria, in quello che era stato un saluto cordiale.
Alzò lo sguardo sul cielo grigio. La tempesta sembrava voler passare senza fare danni, questa volta.
Si incamminò verso l’ingresso senza voltarsi. Ora la sua anima era leggera, abbastanza da potersi godere quella piccola manciata di felicità che gli rimaneva, insieme alla sua Gretel.



 
   
 
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