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Autore: effe_95    28/08/2016    5 recensioni
Questa è la storia di diciannove ragazzi, i ragazzi della 5 A.
Questa è la storia di diciannove ragazzi e del loro ultimo anno di liceo, del loro affacciarsi a quello che verrà dopo, alla vita. Questa è la storia di Ivan con i suoi tatuaggi , è la storia di Giasone con le sue stelle da contare, è la storia di Italia con se stessa da trovare. E' la storia di Catena e dei fantasmi da affrontare, è la storia di Oscar con mani invisibili da afferrare. E' la storia di Fiorenza e della sua verità, è la storia di Telemaco alla ricerca di un perché, è la storia di Igor e dei suoi silenzi, è la storia di Cristiano e della sua violenza. E' la storia di Zoe, la storia di Zosimo e della sua magia, è la storia di Enea e della sua Roma da costruire. E' la storia di Sonia con la sua indifferenza, è la storia di Romeo, che non ama Giulietta. E' la storia di Aleksej, che non è perfetto, la storia di Miki che non sa ancora vedere, è la storia di Gabriele, la storia di Lisandro, è la storia di Beatrice che deve ancora imparare a conoscersi.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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I ragazzi della 5 A
 
45. Sconosciuta, Gesso e Guerriero.

Marzo

<< Oh, Lisandro mi ha parlato tantissimo di te! Vero Lis? >>.
Enea non era mai stato molto bravo a leggere le persone.
Eppure in quel momento era piuttosto sicuro che chiunque avrebbe potuto interpretare lo sguardo malizioso di Sara e quello pieno di disagio di Lisandro.
Enea non aveva mai visto il suo migliore amico sudare come in quel momento.
Aveva le mani strette convulsamente e bianche sulle nocche, sulla tempia destra una vena pulsava incessantemente e il viso lentigginoso era arrossato sulle gote.
Enea contrasse leggermente le sopracciglia e spostó lo sguardo sulla fidanzata, che osservava la scena con una strana espressione di confusione sul viso, forse mista anche all’imbarazzo di trovarsi al centro dell’attenzione.
<< Ma davvero? E sentiamo, cosa ti ha raccontato? In cosa consiste questo “tantissimo? >>
Enea aveva reagito quasi senza rendersene conto, il tono aspro e l’ironia malcelata nella voce non era proprio riuscito a controllarli, provò un misto di disagio quando Lisandro sollevò lo sguardo su di lui e arrossì ancora di più, mortificato e in preda al panico.
<< E-Enea stai fraintendendo! >> Intervenne bruscamente il ragazzo gettandosi in avanti sul tavolo, come se in quel modo avrebbe potuto impedire la conversazione << Sara esagera sempre quando si tratta di queste cose! Le ho semplicemente raccontato della mia nuova amicizia con Beatrice >> Lisandro era consapevole in quel momento di avere la voce alterata, di essere rosso in viso e di avere tutta l’aria di una persona che stava nascondendo qualcosa, l’aria di una persona colta con le mani nel sacco, ma non poteva proprio evitarlo in quel momento, non riusciva a controllarsi << Che poi te ne ho parlato solo una volta! >> Sbottò ad un certo punto in direzione di Sara, che nel frattempo si era messa comodamente seduta su una delle quattro sedie attorno al tavolo e lo guardava sorridente con le fossette ben visibili.
<< Beh, quella volta me ne hai parlato “tantissimo”, per non parlare di come pia… >>
<< Ohi, Sara! >>
Enea, Sara e Beatrice sobbalzarono contemporaneamente quando Lisandro alzò la voce battendo una mano a palmo aperto sul tavolo, aveva il fiatone ed era rossissimo in volto.
Seguirono alcuni istanti di silenzio in cui Enea si rese conto che Lisandro non alzava mai la voce, lo faceva solamente quando non riusciva più a controllare la situazione o quando era talmente carico di sentimenti da non poterli più contenere in alcun modo.
Qualsiasi cosa sapesse Sara, qualsiasi cosa Lisandro stesse cercando di nascondere in quel momento, Enea non si era mai sentito così a disagio nei confronti del suo migliore amico.
Gli sembrava uno sconosciuto in quel momento.
Da quando avevano smesso di parlare? Da quanto tempo Lisandro non era più sincero con lui? Da quando Enea aveva smesso di guardarlo negli occhi e di ascoltarlo?
<< Stavamo studiando un attimo fa, quindi se sei venuta qui per dare fastidio, conosci da sola la strada per la porta >>.
La voce di Lisandro era bassa e secca mentre pronunciava quelle parole, l’espressione di Sara cambiò in un istante, il sorriso accennato che aveva sostenuto fino ad un attimo prima era scomparso alla velocità della luce sostituito da un’espressione seria ed indecifrabile.
La mora non staccava gli occhi da quelli di Lisandro che sembrava ricambiare quello sguardo a stento, ed Enea ebbe come la brutta sensazione che i due stessero avendo una conversazione silenziosa che lui non avrebbe potuto mai capire.
O che non avrebbe mai dovuto capire. 
<< Ragazzi … davvero, non mi sembra il caso di farne un problema >>
La voce pacata di Beatrice sembrò risvegliare gli altri da un torpore sinistro, si girarono a guardarla come se fosse uscita magicamente da un cappello, come se nei pochi minuti di silenzio si fossero immediatamente dimenticati di lei.
Beatrice lo trovò piuttosto ironico considerato che era lei il motivo di quella discussione.
<< Insomma, non credo sia un problema che Sara resti a farci compagnia. Gli amici di Lisandro sono anche miei amici per quanto di riguarda … giusto Enea? >>
Enea rischiò seriamente di imprecare ad alta voce quando Beatrice gli assestò una gomitata nel fianco destro, si portò una mano dove aveva ricevuto la botta e le lanciò un’occhiataccia che Beatrice ricambiò all’istante, spalancando gli occhi e serrando le labbra.
<< No Beatrice, lascia stare! >>
L’intervento di Sara fu talmente inaspettato che i due fidanzati smisero immediatamente di bisticciare e si voltarono a guardarla con sorpresa, anche Lisandro sobbalzò leggermente e sollevò lo sguardo per osservare la sua vicina di casa che si tirava in piedi facendo strisciare con malagrazia la sedia sul pavimento. Era stato così preoccupato di quello che avrebbe potuto combinare con Beatrice che non si era nemmeno dato la briga di osservarla, così spalancò leggermente gli occhi quando si rese conto che Sara stava indossando, sotto la gonna di jeans, un paio di calze a lui davvero familiari.
Le calze che le aveva regalato all’ultimo compleanno festeggiato insieme.
Il ricordo ritornò a fargli visita senza che Lisandro l’avesse davvero richiesto, ma l’immagine di quel momento era ancora nitida nella sua memoria, lui e Sara seduti sul tappeto della sua cameretta ancora vestiti da principe e principessa, le scarpe con il tacco troppo grandi sistemate accanto a lui in maniera ordinata, la scodella utilizzata come elmo abbandonata sul soffice tessuto e Sara che stringeva tra le mani quelle calze verdi dell’ape Maia come se fossero la cosa più preziosa del mondo.
Lisandro fu colpito come da uno schiaffo per quel ricordo, come se a schiaffeggiarlo fosse stata la stessa Sara, come se lei gli avesse gridato addosso con violenza, come se fosse stata lei personalmente a risvegliare quella sensazione che Lisandro aveva dimenticato.
La sensazione che tutto sommato con Sara aveva solo bei ricordi.  
Anche se lei era prepotente, espansiva al limite dell’accettabile, chiassosa e chiacchierona.
E aveva conservato quelle calze per tutto quel tempo.
Lisandro provò un forte senso di disagio quando si rese conto di quanto per Sara fosse stata importante la loro amicizia, un’amicizia che l’aveva portata a conservare un paio di calze per più di sette anni, quella stessa amicizia che per Lisandro aveva perso valore nell’istante esatto in cui Sara aveva pian piano preso ad allontanarsi dalla sua quotidianità.
<< E’ chiaro che per Lisandro sono solamente un fastidio. Troppe verità scomode, vero? Dirò a mamma che la torta ti è piaciuta, quindi se dovessi incontrarla per le scale confermalo a tua volta. Non dovrebbe risultarti difficile mentire no? >> 
Lisandro era piuttosto sicuro di non avere mai ricevuto uno sguardo così carico di disgusto da parte di Sara, né di averla mai vista arrabbiata con lui in quella maniera.
Il disagio era talmente forte che non riuscì nemmeno a reggere più a lungo il suo sguardo, l’ultimo sprazzo che ebbe di lei prima che lasciasse la stanza fu il verde forte delle calze ancora stampato nel reticolo degli occhi, vivido come su una tela.
Fu a quel punto che si accorse dello sguardo di Beatrice ed Enea, due sguardi talmente diversi che Lisandro aveva il capogiro solamente a sentirseli addosso.
Ma in quel momento era in grado di sorreggere solamente quello di Beatrice, così decise di concentrarsi su di lei e di evitare che quello di Enea finisse di gettarlo in ginocchio senza pietà. Lisandro provava pietà per se stesso.
Non riusciva più a guardare il suo migliore amico negli occhi.
<< Ho esagerato, vero? >> Domandò fissando Beatrice.
<< Abbiamo esagerato un po’ tutti mi sa >>
Lisandro non ci pensò nemmeno un secondo, si alzò di colpo dalla sedia e raggiunse l’ingresso di casa come un fulmine, giusto in tempo per vedere Sara aprire la porta di casa con estrema violenza e con l’aria di una persona molto contrariata.
<< Credi davvero di avere il diritto di essere arrabbiata?! >> Lisandro le sbottò contro senza riuscire a controllarsi in alcun modo << Dopo essere arrivata qui con l’intenzione di raccontare ad Enea e Beatrice proprio quello che ti avevo pregato di non dire mai?! >>
Sara si girò a guardarlo come se Lisandro non l’avesse affatto aggredita, come se fosse stata pronta a parare il colpo da sempre, lasciò andare il pomello della porta, incrociò le braccia al petto e gli replicò contro immediatamente, senza freno.
<< Oh andiamo Lisandro! Siamo arrivati al punto tale che mi credi capace di una cosa del genere? Ma forse dopotutto è davvero così … Ti sei dimenticato di me così facilmente che è come se non mi avessi mai conosciuta. E come puoi fidarti di una sconosciuta? >> Sara sospirò teatralmente e mise su un sorriso forzato e amaro, scosse leggermente la testa facendo rimbalzare le ciocche asimmetriche dei capelli e alzò gli occhi al cielo << Credevo che le cose fossero cambiate quella sera, quando mi hai confessato … >>
<< Non sai quanto me ne sono pentito! Mi sono pentito da morire di avertene parlato quella sera! E’ stata la confessione di uno stupido e l’errore più grande della mia vita! >>
Lisandro aveva il fiatone dopo aver gettato fuori quella verità che si portava dentro da troppo tempo, una verità che aveva tirato fuori senza pensare nemmeno una volta che Sara avrebbe potuto restare ferita o amareggiata nel sentirla venir fuori.
<< Ma poi perché sei rientrata nella mia vita? Chi te l’ha chiesto di … >>
<< Non volevo rientrare affatto nella tua vita idiota! >>
Sara alzò talmente tanto la voce che Lisandro si ammutolì di botto e la fissò con gli occhi stralunati e sorpresi, era la prima volta che Sara strillava in quel modo così femminile.
<< Volevo lasciarti a piangere sulle scale da solo quella sera! Perché avrei dovuto preoccuparmi di te, che mi avevi dimenticata senza rimorsi? Ma poi ti ho guardato negli occhi maledizione! E quegli occhi erano gli stessi del bambino con cui giocavo tutti i giorni … Non potevo immaginare che quel bambino fosse cambiato così tanto. Ho cercato in tutti i modi di restare me stessa con te, la me stessa di quegli anni … >> Sara si lasciò scappare un sorriso di schermo e rivolse ad un Lisandro paralizzato un gesto di noncuranza << Ma tu non sei per niente in bambino di allora … Credevo che avessi ancora quel coraggio, il coraggio di ammettere i tuoi sentimenti a qualunque costo … volevo aiutarti solamente a ricordare quella parte di te … che sciocca >>.
Sara sospirò ancora una volta e si avviò con passo stanco verso il pianerottolo.
<< Ohi Sara! Ma cosa vuoi da me? Sono innamorato di Beatrice, va bene? Sei contenta che io l’abbia detto ad alta voce? >>
Lisandro era rabbioso nella voce, era nervoso, aveva i pugni stretti e la faccia in fiamme, aspettò con trepidazione che Sara si girasse senza sapere nemmeno per quale motivo, ma quando lei lo fece l’espressione che assunse non fu quella che si aspettava.
Sara sbiancò letteralmente guardando un punto fisso dietro le spalle di Lisandro.
Il ragazzo si girò di scatto con il cuore in gola e trovò Enea appoggiato allo stipite della porta con le braccia incrociate al petto, la testa appoggiata al legno freddo e un sorriso di tristezza sulle labbra, Lisandro sentì come un risucchio nel petto a quella vista.
<< Avrei davvero voluto che tu me lo dicessi >>
Il tono mesto della voce di Enea fu peggio di un pugno nello stomaco.
 
Gabriele non era proprio riuscito ad abituarsi.
Era già da alcune settimane che prendeva i mezzi di trasporto per tornare a casa, ma proprio non riusciva a farci l’abitudine. Gli mancava lo spazio confortevole della sua vettura, gli mancava poter regolare l’aria calda come gli pareva, oppure gettare la cartella sul sedile posteriore, gli mancavano tutti quei piccoli gesti che non aveva mai considerato molto.
Ma più di tutto a mancargli erano i ricordi che aveva lasciato intrappolati tra le portiere dell’auto, tutti i suoi ricordi più belli con Katerina.
Sospirò profondamente, sollevò lo sguardo sulla strada e si strinse maggiormente il braccio ferito ed ingessato al petto, provava ancora una strana sensazione quando guardava il gesso un tempo bianco tutto imbrattato di scritte dai molteplici colori.
Quando era tornato a scuola qualche giorno dopo l’operazione, Zoe e Fiorenza lo avevano aggredito sulla soglia della classe e gli avevano imbrattato il gesso di fiorellini e cuoricini, Gabriele l’aveva trovato piuttosto irritante all’inizio, poi ci aveva rimuginato sopra durante l’ora di educazione fisica, mentre soffriva in silenzio seduto su una panchina, e alla fine si era fatto firmare il braccio da tutti i suoi compagni di classe senza nemmeno rendersene conto.
Sonia gli aveva disegnato vicino al polso una faccia da diavoletto con le corna, Cristiano si era limitato a scrivergli un “IDIOTA” a lettere cubitali occupando tutto lo spazio del gomito.
Zosimo aveva tracciato un piccolo poema che Gabriele non aveva potuto leggere perché l’amico aveva utilizzato una matita chiarissima che si era subito cancellata lasciando leggibile solamente un residuo di parola: “ … gnato”.
Gabriele aveva rischiato seriamente di impazzire quando aveva chiesto di firmare a Beatrice ed Enea, i due non avevano fatto altro che scrivere i loro nomi per poi cancellarseli a vicenda come dei bambini, il risultato era stato una sfilza di “Enea” e “Beatrice” cancellati e riscritti fino a quando i due non avevano trovato un compromesso tracciando i loro nomi uno accanto all’altro con un’elegante “&” nel centro. L’idea era stata di Miki, che si era limitata a scrivere “Fight” firmando sia per lei che per Aleksej.
Gabriele si ritrovò a sorridere quando ripercorrendo le numerose scritte, seduto alla fermata dell’autobus, intercettò le firme di Giasone, Ivan ed Oscar.
I tre non avevano fatto altro che bisticciare su cosa scrivere, fino a quando Italia non aveva perso la pazienza, aveva afferrato un evidenziatore rosa shocking e aveva scritto: “ Siamo tre idioti senza cervello. Rimettiti presto!” firmando “ I tre idioti senza cervello – Ivan, Giasone ed Oscar “. Per lei, Catena e Romeo era stata molto più raffinata, si era impegnata al punto tale da aver creato una vera e propria opera d’arte multicolore, a Gabriele dispiaceva pensare che una volta tolto il gesso quel bellissimo intreccio di colori creato da Italia sarebbe andato perso e distrutto.
Gli era stato più difficile ottenere la firma di Igor, che non faceva altro che lamentarsi di quanto fosse pericoloso che qualcuno gli toccasse il braccio in quelle condizioni.
Fortunatamente Telemaco lo aveva zittito prima che Gabriele potesse perdere la pazienza e colpirlo con il presunto braccio pericolante, alla fine ne era uscita una firma titubante tutta storta e tremolante. L’unica persona che non gli aveva creato alcun tipo di disagio era stato Lisandro, a Gabriele era bastato avvicinarsi al suo banco durante la ricreazione.
Scosse leggermente la testa e smise di osservare il gesso quando si accorse che il suo pullman stava per arrivare, la fermata era piuttosto affollata e lo aspettava una mezz’ora di strazio nella calca dell’ora di punta, in un caldo soffocante schiacciato tra un palo e un finestrino sporco, terrorizzato dall’idea che qualcuno potesse urtarlo o schiacciargli il braccio.
Il solo pensiero non fece altro che accrescere la nostalgia per la sua vecchia auto.
L’avevano portata a riparare, ma non avrebbe potuto riaverla prima di un mese, sempre se fosse riuscito a convincere sua madre a ridargli la patente, misteriosamente scomparsa dal portafoglio. Si alzò svogliatamente e si lasciò trascinare dalla calca fin sul mezzo di trasporto, già pieno ancora prima che si aprissero le porte.
Come aveva sospettato, si ritrovò schiacciato tra un uomo robusto e corpulento che puzzava terribilmente di sudore rancido e una ragazzina bassina dalla chioma bionda.
Non se ne accorse immediatamente, probabilmente fu prima di tutto l’odore a risvegliare in lui la memoria, quell’inconfondibile odore di cocco che lei si portava sempre dietro.
Gabriele non si accorse di essere schiacciato contro Katerina fino a quando lei non si girò e i loro occhi si incrociarono inevitabilmente.
Fu probabilmente una delle situazioni più imbarazzanti della sua vita, Gabriele non seppe mai spiegarsi perché provò cosi tanto disagio in quel momento, perché averla vicina in quel modo inequivocabilmente intimo gli provocasse tanta angoscia.
Non si era sentito in imbarazzo in quel modo nemmeno quando era stato la prima volta con una ragazza, una delle sue ex di cui non ricordava nemmeno il nome.
Sentiva tutto il peso di Katerina come una presenza viva e pulsante, a dividerli c’era solo una misera cartella di stoffa riempita da qualche libro spigoloso che non faceva altro che aumentare il disagio che entrambi stavano provando.
Erano talmente vicini che avrebbero potuto baciarsi, che sarebbe bastato allungare una mano per sfiorarsi il viso, per accarezzarsi o semplicemente sfiorarsi.
Ma nessuno dei due mosse un singolo dito.
<< Gabriele?! Cosa ci fai qui? Credevo che prendessi il pullman verde … non è più vicino a casa tua? >> Gabriele trovò piuttosto triste che Katerina esordisse con quella domanda, non si vedevano da quel giorno all’ospedale, non parlavano da allora e ogni volta che lui aveva chiamato o le aveva mandato un messaggio non aveva mai ottenuto risposta.
Gabriele era arrivato a pensare che dopotutto se l’era proprio meritato.
Aveva meritato quel trattamento, eppure soffrì terribilmente quando comprese le parole implicite in quella domanda: “ Cosa ci fai qui? Non avevo nessuna intenzione di vederti”.
<< Già … >> Replicò, e quando si rese conto dell’amarezza nella sua voce cercò di apparire più allegro e spensierato << Di solito prendo quello, ma passa solamente alle tre. So che è pericoloso per il braccio, ma preferisco stare un po’ nella calca e tornare a casa prima piuttosto che aspettare un’ora e mezza alla fermata >>.
Katerina trovò strano il tono di voce di Gabriele, lo trovò strano perché era spaventosamente formale, come se stesse parlando con una conoscente e non sapesse come fare conversazione senza cadere in silenzi imbarazzanti.
E poi si vergognò di se stessa, perché dopotutto era stata lei a cominciare in quel modo, rivolgendogli una domanda che non avrebbe dovuto rivolgergli con quel tono sorpreso.
Katerina si vergognava troppo per ammettere che all’uscita della scuola, da quando aveva saputo che Gabriele prendeva il pullman, aveva cambiato fermata dell’autobus nella speranza che non succedesse proprio quello che era successo quel giorno.
Anche se dallo sguardo triste e mal celato di Gabriele si rese conto che era troppo intelligente perché non se fosse accorto.
Gabriele lo aveva capito benissimo, e doveva esserci rimasto male.
<< E senti, come … >>
Gabriele cominciò a pronunciare quelle parole quando il silenzio aveva cominciato a farsi troppo lungo, ma non riuscì mai a completare la frase perché il pullman frenò bruscamente facendolo finire di botto contro il signore corpulento e sudato.
Non avrebbe emesso nemmeno un lamento se non fosse stato per il braccio, andato a schiacciarsi senza alcun tipo di rimedio contro il palo di sostenimento arrugginito.
<< Ahia! >> Gabriele si morse violentemente il labbro inferiore e strinse maggiormente il braccio dolorante al petto, i tredici punti di sutura gli facevano ancora terribilmente male.  
Lanciò un’occhiataccia al tizio che lo aveva spintonato contro il palo, ma non ebbe modo di verificare se il messaggio di minaccia implicito fosse arrivato a destinazione, perché scostò immediatamente lo sguardo quando sentì le mani di Katerina poggiarsi una delicatamente sul gesso, l’altra sulla spalla.
Era da tantissimo tempo che non lo toccava con quella disinvoltura, e a Gabriele non importò che lo avesse fatto perché stava cadendo o perché non sapeva dove altro aggrapparsi, gli importò che lei l’avesse toccato, che avesse potuto sentirla ancora addosso.
Katerina sembrò accorgersi solamente in quel momento di quanto fosse schiacciata addosso a Gabriele, arrossì violentemente e lasciò andare di botto la maglietta del ragazzo, che rimase leggermente stropicciata nel punto in cui l’aveva stretta con violenza per non cadere in avanti. Nell’abbassare lo sguardo imbarazzato, soffermò la sua attenzione sul braccio ingessato e per la prima volta sembrò rendersi conto di quanto fosse colorato, sembrava tutto pieno di tatuaggi, dimenticando l’imbarazzo sollevò la testa di scatto e ricambiò lo sguardo curioso di Gabriele.
<< Non avevo notato che te lo eri fatto firmare! >>
Esclamò la bionda avvicinando maggiormente il viso al gesso, operazione che non le costò molta fatica considerato che il braccio di Gabriele le arrivava all’incirca all’altezza del seno.
Gabriele ne approfittò per osservarla mentre lei non poteva guardarlo, i capelli biondi erano stati tagliati recentemente dietro la nuca, erano ancora più corti e dorati, rischiarati dal sole che penetrava dai finestrini del mezzo di trasporto.
Sulle labbra aveva un rossetto rosso come il fuoco che a scuola non avrebbe dovuto portare, mentre i vestiti da maschiaccio che indossava facevano esattamente da contrappeso.
Nel complesso dava l’idea di un maschiaccio piuttosto attraente.
Mentre si lasciava esaminare scrupolosamente il braccio, Gabriele sollevò leggermente gli angola della bocca in un sorriso accennato e triste, domandandosi perché tra tutte le fidanzate che aveva avuto dovesse essere proprio Katerina la donna della sua vita.
Perché non gli era capitato di innamorarsi di nessun’altra.
Dopotutto era stato qualcosa di assolutamente irrazionale, qualcosa che non sapeva nemmeno spiegarsi come fosse successo, un giorno si era svegliato e aveva sentito le farfalle nello stomaco, aveva provato gelosia, desiderio di possesso.
Tutte cose che gli erano state estranee nelle relazioni precedenti.
Si era domandato spesso perché fosse rimasto attratto proprio da quella ragazzina un po’ maschiaccia che aveva visto nascere, anche se non lo ricordava, e con cui era cresciuto per tutta la vita. Si domandava perché il destino l’avesse messa così vicina al cuore.
<< Ehi! Questa non te la perdono proprio! C’è la firma di Jurij qui sopra, e non la mia?! >>
Gabriele sobbalzò terribilmente allo strillo di Katerina, era talmente soprapensiero che per alcuni istanti la guardò come se fosse un alieno sceso sulla terra, poi ritornò lentamente al presente e scrutò i suoi occhi grigi che lo fissavano minacciosi con ilarità.
<< Beh, firma adesso no? >>
Tutta la rabbia di Katerina sparì in un lampo di fronte la remissività di Gabriele.
<< Oh, ma non ho una penna! E con questo casino non riesco nemmeno a muovere le braccia come vorrei! >> Commentò immediatamente di rimando cercando di imporre un tono di autorità e indifferenza nella voce, Gabriele soffocò a stento una risata quando la vide sforzarsi di mantenere un’espressione minacciosa che mutò immediatamente, sostituita da una di illuminazione << Ah, ho trovato come firmare! >>
E pronunciate quelle parole abbassò la testa e baciò il gesso.
Quando rialzò leggermente il capo per osservare lo stampo lasciato dal rossetto, Gabriele ne approfittò per passarle il braccio buono introno alla spalla e seppellire la faccia nell’incavo del suo collo sottile che profumava di bagnoschiuma al cocco.
Katerina rimase pietrificata sul posto, con le labbra ancora schiuse su una parola che non era riuscita a pronunciare e le mani strette attorno al gesso, bloccate contro il petto massiccio e ampio di Gabriele.
<< Gabriele, non è … >>
<< Lo dico domani. Domani lo dico a tutto il mondo. Lo dico a mio padre, lo dico a mia madre, vado da tuo padre e mi metto in ginocchio per supplicarlo. Rinnego la mia amicizia con Jurij e Aleksej. Faccio qualsiasi cosa per farmi perdonare. Farò qualsiasi cosa per te >>
La voce di Gabriele era bassa e roca mentre parlava, e Katerina capì perché l’avesse abbracciata in quel modo bizzarro, perché in quel modo poteva sentirlo solo lei.
<< Non avrò più paura di quello che dirà la gente, non avrò più paura di questi cinque anni che ci separano. Mi preoccuperò solamente di vivere il resto della vita con te e di morire prima di te. >> La stretta attorno alle spalle si fece più salda mentre parlava, e sebbene Katerina provasse l’irrefrenabile desiderio di stringerlo, rimase ferma con le mani bloccate.
<< E soprattutto, mi preoccuperò di non farti mai più del male. E se dovesse succedere lasciami. Lasciami ogni volta che vuoi, rimproverami e poi torna da me dopo qualche giorno. Quando non ce la farò più a vivere senza di te >> Katerina avrebbe voluto impedire a quella stupida lacrima che le era sfuggita dall’angolo dell’occhio destro di cadere e macchiare la maglietta di Gabriele, ma proprio non ci riuscì. Avrebbe voluto allontanare gli sguardi curiosi da loro, ma non poteva farlo << E poi, sopra ogni altra cosa, prendi la mia codardia, la mia testardaggine e rendili forza. Sii la mia forza ogni istante, quando resterò solo e nessuno mi rivolgerà più la parola sii la mia forza, va bene? >>
Era stato il discorso più lungo che Katerina gli avesse mai sentito pronunciare, ma quando lui smise di parlare la sola cosa che le venne in mente fu di scoppiare a ridere.
<< Ma nessuno smetterà di rivolgerti la parola Gabriele >>
Pronunciò quelle parole tra le risa, mentre Gabriele scioglieva l’abbraccio mostrando un viso arrossato dall’imbarazzo e gli occhi determinati di un adulto.
Katerina aveva sempre pensato che amare Gabriele l’avesse portata a maturare in fretta, a mostrarsi sempre più grande di quanto non fosse in realtà, ma non lo aveva mai trovato un male. Dopotutto Gabriele non aveva fatto altro che migliorarla e valorizzarla.
Lo guardò negli occhi carichi di aspettativa e sospirò.
<< Questa volta Gabriele … questa volta è davvero l’ultima possibilità che ti do >>
Gabriele spalancò gli occhi senza riuscire a trattenersi a quelle parole, Katerina lo guardava negli occhi, lo toccava e lui non aveva la minima paura di essere visto.
Voleva solamente che lei non lasciasse mai più la sua mano.
<< E Carlo? >> Non riuscì a trattenersi dal porle quella domanda.
<< Ci siamo lasciati qualche giorno fa. Le cose tra noi non funzionavano, sai? >>
Gabriele non replicò nulla a quelle parole, si limitò ad accarezzarle la fronte con la mano buona, scostandole il ciuffo biondissimo dagli occhi senza trucco.
<< E comunque non mi importa più sai? Non mi importa se non vuoi dirlo che stiamo insieme. Non ho bisogno di altre prove. Prenditi tutto il tempo che ti serve, ok? >>
Gabriele sospirò teatralmente nel sentire quelle parole e alzò gli occhi al cielo.
<< Non essere troppo indulgente con me Katerina! Sii più severa! >>
Poi le sorrise mettendo in mostra le fossette, le sorrise come non le aveva mai sorriso da quando stavano insieme e appoggiò la fronte sulla sua << Grazie >>.
<< Ad una condizione però! >>
Le parole di Katerina lo lasciarono basito per alcuni istanti, fino a quando la ragazza non gli afferrò con difficoltà il braccio sano e lo sollevò, incastrando un dito sotto il braccialetto dorato che Gabriele non aveva mai smesso di indossare nemmeno per un giorno.
<< Rivoglio indietro questo … perché vale molto >>
Gabriele sussultò sentendo quelle parole, e ne ricordò altre opposte, pronunciate il giorno in cui si erano detti addio in quel sudicio bagno.
“Tanto non vale niente, no?!”
<< Moltissimo >> E la baciò.
 
Il 21 Marzo sarebbe dovuta arrivare la Primavera.
Mancava solamente una settimana per quel giorno, la neve ormai era completamente sciolta, l’aria fresca stava lentamente mutando nel tepore di un caldo mite.
Eppure Enea sentiva terribilmente freddo mentre se ne stava seduto sul muretto del cortile posteriore della scuola, quello che affacciava sul parcheggio ancora mezzo vuoto.
Erano le otto del mattino, solitamente non arrivava a scuola tanto presto perché preferiva prendersela più comoda, ma quel giorno non aveva esitato a sbrigarsi.
Lisandro aveva finalmente risposto al suo messaggio.
Enea glielo aveva mandato la sera stessa dell’incidente con Sara, una volta tornato a casa.
Non avevano potuto parlare quel giorno perché Beatrice li aveva raggiunti immediatamente, ma Enea non aveva perso tempo una volta chiuso nelle quattro pareti della sua camera.
Dobbiamo parlare. Ti aspetto domani mattina alle 8:00 fuori scuola al solito muretto”.
Il giorno dopo Lisandro non si era presentato all’appuntamento.
Enea lo aveva aspettato fino allo scattare della campanella come aveva aspettato una risposta la sera precedente, una risposta che non era arrivata come il suo proprietario.
“ Lisandro, sappi che ti aspetterò anche domani mattina e quella dopo ancora!”
Enea aveva ritentato immediatamente, preda della delusione e della rabbia, ma Lisandro non aveva risposto e non si era presentato a scuola nemmeno il giorno successivo e quello dopo ancora. Non aveva dato segno di essere vivo fino alla sera precedente.
“ Domani ci sarò”
Enea era talmente agitato che si era presentato fuori scuola alle sette spaccate.
Non era riuscito a dormire per buona parte della notte, irrequieto, era saltato in moto che erano solo le sei e mezza, con il cielo ancora grigio e la luna alta appena sbiadita dal sole nascente. Il cortile era deserto quando era arrivato, freddo e umido, si era stretto maggiormente nel giubbotto di pelle, aveva avvolto meglio la sciarpa attorno al collo e si era piazzato sul muretto, aspettando lì per tutto il tempo rimanente.
Era stato più calmo di quanto si sarebbe aspettato, solitamente non era un tipo paziente, non sapeva starsene fermo allo stesso posto per più di dieci minuti, quando era bambino i suoi genitori avevano addirittura sospettato che soffrisse di iperattività eccessiva.
Invece i pensieri erano stati talmente tanti che lo avevano tenuto inchiodato lì, fermo.
In principio Enea aveva pensato che Lisandro non sarebbe venuto, poi aveva immaginato che quei giorni di assenza da scuola li avesse fatti solo per scappare da lui e se ne era pentito.
Quando alla fine Lisandro si era presentato, alle otto precise, lo aveva trovato imbacuccato in un giubbotto pesante, stretto in una sciarpa, con il naso rosso di chi aveva il raffreddore.
Lisandro si era messo seduto accanto a lui, ad un metro esatto di distanza, silenziosamente.
Enea aveva immaginato mille modi per iniziare quel discorso, aveva ripetuto mille volte nella testa il discorso che si era preparato, ma le parole erano sfumate via inesorabilmente, come se la memoria avesse voluto tirargli un brutto scherzo.
E così era rimasto zitto ed in silenzio, lasciando che un freddo artificiale, un freddo nascente dal suo cuore, lo paralizzasse.
Non gli era mai successo di sentirsi in quel modo, di non trovare le parole, di non sapere cosa dire né come comportarsi con il suo migliore amico.
Si erano così allontanati negli ultimi tempi che Enea si domandò se avesse ancora il diritto di chiamarlo in quel modo.
<< “ Avrei davvero voluto che me lo dicessi”, hai detto così quel giorno vero? >> Enea trasalì quando Lisandro aprì improvvisamente bocca, il ragazzo aveva la voce leggermente nasale a causa del raffreddore, se si fossero trovati in un’altra circostanza Enea avrebbe riso della cosa. Lisandro si sarebbe arrabbiato terribilmente, avrebbero bisticciato un po’ e poi alla fine sarebbero tornati in classe spintonandosi e ridendo << Ma sinceramente, Enea, cosa credi che sarebbe successo? Cosa credi che sarebbe cambiato? >>.
Enea rimase in silenzio per un po’ dopo quella domanda, avevano entrambi lo sguardo puntato sull’asfalto del cortile ancora umido per l’ultima neve sciolta, macchiato di foglie secche schiacciate dalle macchine e di impronte di pneumatico.
<< Non lo so >> Alla fine fu quella la verità a cui Enea arrivò, fece spallucce e sorrise leggermente, gesto che attirò l’attenzione di Lisandro << Non lo so cos’avrei fatto. Il fatto è che amo Beatrice anche io, che lei è la cosa più bella che ho. Quindi probabilmente non avrei rinunciato a lei nemmeno in quel caso … ma tu avresti sofferto di meno? >>
Enea vide Lisandro sgranare leggermente gli occhi, stringere con forza la stoffa dei jeans tra le mani e mettere ancora più in rilievo le vene verdastri sul dorso pallido e teso delle mani.
<< Avremmo combattuto ad armi pari? Avresti perso con dignità? Avrei perso io con dignità? Ti saresti sentito meno solo, meno patetico? Mi sarei comportato da amico migliore? >> Lisandro continuava a fissarlo con quegli occhi grandi da bambino, Enea si lasciò scappare uno sbuffo molto simile ad una risata smorzata, triste, e riportò l’attenzione sull’asfalto, sul parcheggio che andava riempiendosi lentamente << Che dici Lis, qualcosa sarebbe cambiato? >> Lisandro non replicò nulla, poco dopo la sorpresa dal suo viso andò scemando lentamente, velocemente sostituita da un’espressione di tristezza, di rimpianto, di rammarico << Sai perché avrei voluto che tu me lo dicessi? Perché in questo modo mi avresti fatto capire che pessimo amico sono stato >> Quando Lisandro si girò a guardarlo, Enea aveva messo su un sorriso talmente carico di scuse e rimpianto da lasciarlo completamente senza fiato, tramortito << Mi avresti fatto capire che avrei dovuto prestare più attenzione >> Enea sospirò e strinse forte i pugni << Che avrei dovuto chiederti scusa più spesso >>.
<< Tu sei un guerriero Enea >> La risposta di Lisandro arrivò immediata, velata << Tu sei fatto così, no? Stringi forte la spada e ti butti nella mischia a capofitto, vivi con impeto. E non avevi mai amato come stai facendo adesso. Beatrice è la tua Roma. E tu l’hai costruita prima di me >> Rabbrividirono entrambi quando una folata di vento passò sollevando le foglie morte dal selciato, ululando come una bestia in catene, ma Lisandro continuò a parlare nonostante tutto << Ho capito di amare Beatrice troppo tardi. Non ci sarebbe stata alcuna partita alla pari, voi due eravate già irrimediabilmente caduti uno nella rete dell’altro. Sai Enea, Sara ha ragione quando dice che sono un codardo >> Enea sobbalzò quando Lisandro gli diede una pacca sulla spalla costringendolo a guardarlo negli occhi lucidi di febbre << Io non sono un guerriero … io sono solo io. Sono come quelle rovine di Troia che ti sei lasciato alle spalle. O forse … che ho voluto ti lasciassi alle spalle >>
Non appena Lisandro smise di parlare, dopo alcuni istanti di silenzio assoluto, silenzio nel quale il cuore di Enea scoppiò nella cassa toracica senza rimedio, senza controllo, suonò la campanella di inizio lezione.
Lisandro saltò giù dal muretto, gli disse qualcosa che Enea non sentì.
Alla fine, il guerriero non era affatto lui.
Lisandro aveva torto marcio.

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Effe_95

Buonasera a tutti :)
Oggi pomeriggio sono finalmente tornata dopo due settimane di vacanze in un posto dove non avevo internet. Avrei voluto postare questo capitolo prima di partire, ma come avrete potuto notare è piuttosto pesante e per questo ci ho messo più tempo, vi chiedo perdono.
Comunque per farmi perdonare ( ma per qualcuno potrebbe essere una maledizione xD) il capitolo è un po' più lungo del solito.
Ho finalmente affrontato due degli argomenti, diciamo, rimasti in sospeso.
Per quanto riguarda la prima e la seconda parte lascio commentare a voi, la terza è stata davvero dura da scrivere, sebbene mi sia uscita quasi tutta di getto. 
So che magari le parole finali di Lisandro sono piuttosto "enigmatiche", ma non voglio dire nulla al riguardo. Mi piacerebbe sapere cosa vi hanno trasmesso, cosa hanno comunicato a voi :)
Grazie mille come sempre per il supporto continuo, per la pazienza che avete nel seguirmi nonostante i capitoli siano così tanti, ripeto che senza di voi farei ben poco :)
Alla prossima spero.  
 
 
 
 
  
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