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Autore: Spiritromba    02/09/2016    2 recensioni
Ines, una fanciulla di soli sedici anni, fugge dalla locanda di suo padre per le molestie subite per anni dai suoi clienti. A trarla in salvo c'è Davar, una maga per la quale Ines, fin da subito, comincia a provare strani e quasi sconosciuti sentimenti, e che le proporrà di diventare sua assistente per apprendere l'arte della magia e aiutarla a combattere il Male allo stesso tempo.
Ma Ines non sa che lei stessa è una figlia del Male, la cui anima, ancor prima di nascere, è stata baciata da esso. Il suo unico scopo è servirlo, fino alla propria morte. E stando in mezzo alle maghe, cavalli di battaglia messi in campo dal Bene, potrebbe diventare molto, molto pericolosa.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yuri, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Prologo


Correva all'impazzata, senza curarsi di tutte le volte in cui cadeva a terra e il suo vestito si impigliava nei rovi dei cespugli di more. Correva, perché qualunque cosa ci fosse stata oltre quel posto sarebbe stata la salvezza. Correva, senza certezze, senza appigli, sperando solo di poter uscire definitivamente da quell'inferno che era la locanda di suo padre, una gabbia di boccali di birra di papavero appena fatta e di mani rozze e sudaticce che la toccavano ogni dove. Sentiva che se solo avesse provato a pensare a ciò che suo padre avrebbe potuto farle una volta che l'avrebbe trovata sarebbe crollata a terra scossa da gemiti di sconforto.
Era da quando era bruscamente finita la sua infanzia che avevano iniziato a farle quelle cose orribili: quando nessuno stava a guardare la buttavano senza troppi complimenti sul pavimento di legno umido, le strappavano di dosso i vestiti e poi violavano ancora il suo corpo ormai non più aspro e illibato come era stato negli unici anni felici della sua vita: quelli della sua infanzia. Ricordava quei tempi come giorni spensierati e illuminati dal sole che filtrava tra gli aghi di pino, anni di pura e grezza gioia infantile che era terminata come un sogno troppo bello  quando l'adolescenza aveva bussato alla sua porta. Da quel momento tutto era diventato buio, violento e monotono, un viavai di giorni che, ormai, non riusciva più a distinguere l'uno dall'altro. Tutti erano caratterizzati da quel costante mal di pancia che la perseguitava dopo le troppe molestie subite, a volte anche più di una al giorno. Tremava ogni qualvolta che un uomo osava toccarla, anche se gentilmente, e rabbrividiva ad ogni sorriso che le rivolgevano, spesso giallastro e "decorato" da almeno un paio di denti finti. Da quando una di quei denti l'aveva morsa a una spalla, non poteva sopportare neanche la loro vista. Da quando era diventata una donna vera non era mai più riuscita ad essere davvero felice.
Cercò inutilmente di districare un lembo del suo vestito nero dalla morsa delle spine di un cespuglio. "No, no...", mormorò, strattonandolo più forte che poteva. Se solo avesse avuto il coraggio di rubare un coltello dalla cucina, tutto quello non sarebbe successo. Se solo non fosse stata una codarda sarebbe già uscita da un bel pezzo dalla Cornacchia d'Argento.
Una voce ruvida e infuriata la chiamò da qualche metro di distanza, e subito dopo vide delle lanterne baluginare nel buio. Suo padre si era accorto della sua sparizione fin troppo presto. 
Finalmente trovò la forza necessaria a strappare la gonna del vestito impigliato, e arrancò ansimando sul sentiero coperto da un tappeto di aghi e foglie. 
"Ines! INES!", le voci si facevano ogni secondo più vicine, sarebbe restata sempre in balìa delle molestie di quegli uomini. 
Sentì un ringhio basso e carico di violenza repressa proprio dietro di lei, e subito dopo un enorme cane nero dalla mascella gocciolante di saliva le azzannò un braccio. Gridò, cercando di estrarlo dalla sua presa ferrea. Di colpo, senza che lei avesse fatto nulla per mandarlo via, il segugio venne sbalzato in aria e schiantato contro un tronco. Subito dopo la bestia emise un guaito e si accasciò a terra come morta.
Ringraziando mentalmente chiunque o qualunque cose l'avesse appena salvata, ricominciò a correre con il cuore in gola. Non si accorse, nel buio della sera, di un basso dirupo proprio sotto di lei, dove cadde rovinosamente. Un colpo alla caviglia e tutte le sue speranze si dispersero tra i rimorsi che prendevano rapidamente il possesso di tutti i suoi pensieri. 
Non aveva più possibilità di andarsene, ormai era evidente. La caviglia rotta le impediva di camminare, il braccio non voleva smettere di sanguinarle e il corpo era ricoperto di lividi. Il suo corpo era diventato una carcassa gonfia di dolore, una macchina non più utilizzabile che non voleva più essere presa a calci. 
Aveva sempre sognato di diventare una donna forte e determinata, fin da quando era piccola. Diventerò un cavaliere, soleva ripetere a sua madre prima di andare a dormire, così potrò difendere la gente dai signori cattivi. Peccato che la povera vittima era diventata lei, e non c'era nessun cavaliere disposto a portarla fuori da quell'incubo giornaliero. Se solo la lei di un tempo, così gaia, vispa e decisa avesse potuto vedere la lei di adesso, si sarebbe spaventata alla vista di quell'animale meschino e incapace di imporsi sugli altri nel quale si era evoluta. Era diventata una delusione, ecco cosa.
Tra poco tempo suo padre l'avrebbe ritrovata, e tutto sarebbe tornato alla normalità. Lei sarebbe tornata ad essere lo sfogo dei suoi clienti quando non serviva ai tavoli e nessuno avrebbe protestato per lei. Avrebbe denunciato le molestie subite a suo padre e lui non avrebbe mosso un dito. Gli avrebbe chiesto di andarsene e lui le avrebbe risposto con uno schiaffo in pieno viso. 
Una nebbiolina grigiastra comincio ad occupare, a poco a poco, la sua visuale,  che via via andava sfocandosi sempre di più. Poco prima di svenire vide una sagoma femminile venirle incontro lentamente, ma riusciva a malapena a distinguerne il viso. Ma, qualunque faccia avesse, sentiva che non era lì per farle del male: ai suoi occhi ormai velati dalla stanchezza appariva quasi come una figura sconosciuta e angelica.
"Aiutami...", mormorò, con le ultime forze che le restavano, residue da quella fuga. "Aiutami, ti prego..."

  
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