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Autore: Jim2233    05/09/2016    0 recensioni
Distretto 12? Panem? Dimenticatevi tutto.
Siamo nel selvaggio West, dove vige la legge della Colt.
Fra banditi senza scrupoli, pellerossa e cacciatori di taglie in cerca di vendetta, preparatevi ad immergervi in questa avventura!
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Finnick Odair, Gale Hawthorne, Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Finnick e Gale aspettavano pazienti, senza fare il minimo rumore.

Sapevano bene di dover attendere il momento propizio per agire, ed erano pronti a sfruttare la minima occasione che si fosse presentata loro. Entrambi avevano lo sguardo fisso sul loro obiettivo: il carcere di Yuma. Le alte mura che circondavano l’edificio non lasciavano intravedere quasi nulla, se non le imponenti torri di guardia. Irrompere nel carcere e provocare un’evasione era un’impresa disperata, ma tirarsi indietro era l’ultimo dei loro pensieri.

Ad un tratto, qualcosa catturò la loro attenzione: il minaccioso cancello nero si stava aprendo. Qualche minuto dopo, ne uscì una diligenza circondata da cinque uomini a cavallo; il gruppo imboccò la pista per Yuma e si allontanò.

Finnick e Gale si guardarono.

“Hai visto?” chiese il primo.

“Certo” rispose l’altro. “Finalmente se ne sono andati.”

Finnick tornò con la mente a qualche ora prima, quando l’arrivo della carrozza e della sua scorta li aveva sorpresi e costretti a ritardare l’irruzione.

“E adesso qual è il momento migliore per attaccare?” chiese Finnick.

Gale ci pensò su, stuzzicandosi con le dita il sottile strato di barba incolta sul mento. “Credo subito dopo l’ora del pranzo” disse infine. “In genere tutti ne approfittano per riposarsi.”

L’altro annuì. “Sei ancora sicuro del tuo piano?”

“È l’unica possibilità che abbiamo” ribatté Gale.

Finnick non avrebbe saputo dire se l’ex-soldato stesse cercando di convincere lui o sé stesso.

“Piuttosto, dovremmo cominciare a prepararci” continuò Gale.

“Prepararci?” ripeté Finnick.

“Già… se fossi in te mi toglierei quel cinturone” suggerì l’altro, mentre tirava fuori da una bisaccia una giacca blu dall’aria familiare.

 

Qualche decina di minuti dopo, Finnick cominciava a sentirsi a disagio. L’assenza del cinturone con le pistole lo faceva sentire fragile e indifeso, e la corda che gli stringeva i polsi a mo’ di manette di certo non lo aiutava.

“Non avrai stretto troppo?” azzardò.

“Se la corda fosse più lenta, tutti si accorgerebbero della messinscena” rispose Gale, che era tornato a tutti gli effetti un capitano dell’esercito. “Così, invece, sarai un perfetto prigioniero.”

Il sole brillava alto nel cielo quando i due si misero in cammino verso il carcere.

“Alt!” disse perentoria la sentinella, non appena si furono avvicinati. “Identificatevi!”

“Sono Glenn Stark, capitano dell’unità 401” ribatté Gale senza esitare. “Ho un prigioniero con me.”

La sentinella li osservò per alcuni secondi, che a Finnick sembrarono ore. Il ragazzo si sentì sollevato quando capì che era stato dato l’ordine di aprire il cancello.

Gale lo spinse avanti e i due entrarono, Finnick a passi incerti e l’ex-soldato con un’andatura molto più sicura.

Non appena il cancello si fu richiuso alle loro spalle, si ritrovarono circondati e sotto tiro.

Senza scomporsi, Gale cominciò a parlare. “Quest’uomo è Finnick Odair. Coriolanus Snow lo cerca vivo, e io gliel’ho portato. Ma è un maledetto serpente a sonagli, e non mi sentirò tranquillo finché non l’avremo sbattuto in una cella.”

Le guardie si scambiarono sguardi incerti, ma alla fine quello che doveva essere il più esperto prese la parola. “D’accordo” disse. “Lo porteremo in cella, seguitemi. E voi, tornate sulla torre!” concluse, rivolgendosi agli altri.

I tre attraversarono il cortile e si diressero verso l’edificio principale, una tozza e minacciosa costruzione bianca.

Finnick trasse un sospiro di sollievo quando capì che ad accompagnarli sarebbe stata solo una delle guardie. Mentre incespicava in avanti, alle sue spalle udì i due parlare.

“Io sono Darius Payne” si presentò la guardia. “Come hai detto che ti chiami, ragazzo?”

“Glenn Stark” ripeté Gale. “Vengo da Fort Defiance.”

“È strano… mi sembra di aver già sentito questo nome” disse l’altro.

Finnick resistette all’impulso di voltarsi verso Gale. Perché aveva scelto quel nome?

“Sai, anche io ero nell’esercito, tempo fa” continuò la guardia.

“Probabilmente mi avrai sentito nominare lì, allora” tagliò corto Gale.

Troppo in fretta, pensò Finnick.

“Potrebbe darsi” rispose Darius, in un tono che al ragazzo sembrò tutt’altro che convinto. La guardia si rivolse ancora a Gale. “A quanto pare in questo periodo Coriolanus Snow cerca un sacco di gente” disse ammiccando.

“Cosa vuoi dire?”

“Voglio dire che ieri ha fatto portare qui un altro uomo” fece una pausa, poi si corresse. “Beh, più che un uomo, un ragazzo, direi. Lo ha fatto sbattere in cella e stamattina si è… soffermato ad interrogarlo.”

“Davvero?” chiese Gale, socchiudendo gli occhi.

“Già. Non so cosa abbia fatto quel ragazzino, ma direi che ora ne sta pagando le conseguenze.”

A quelle parole Finnick sentì montare la rabbia dentro di sé. Serrò bruscamente i pugni, ancora legati dietro la schiena.

“Cos’hai, biondino? Hai paura che mister Snow faccia visita anche a te?” lo schernì Payne. “Preparati, perché domani mattina sarà di nuovo qui. Scusatemi un minuto” disse poi, allontanandosi dai due.

“Io lo uccido” sussurrò Finnick, fremendo dalla rabbia.

“Stai calmo” disse piano Gale. “Lui è la nostra chiave per arrivare a Peeta.”

Darius Payne tornò qualche minuto dopo con un grosso mazzo di chiavi. I tre erano ormai giunti al grande portone del carcere, che emise un lungo gemito non appena venne aperto dalla guardia. Darius condusse Gale e Finnick lungo il grande corridoio in penombra. Le buie celle sembravano quasi tutte occupate, ma il silenzio era assoluto, fatta eccezione per i loro passi che riecheggiavano.

“Stai tranquillo, biondino, vedrai che ti troveremo una stanza confortevole” disse beffardo Payne. “Goditela, perché forse domani mister Snow ti sbatterà nella Cella Oscura assieme all’altro ragazzino.”

Finnick strinse i denti, ma non disse nulla e continuò a camminare. Cominciava a chiedersi quando avrebbero dato inizio al piano: il tempo cominciava a stringere.

“Ehi, Darius” disse Gale all’improvviso. “Cosa c’è lì dietro?”

Finnick si voltò: il suo amico stava indicando una porticina socchiusa sulla parete del corridoio.

“È solo un ripostiglio… Cosa pensi di fare con quella pistola?

“Ti auguro una buona permanenza nel ripostiglio” disse Gale. Poi, senza dargli il tempo di reagire, calò con forza il calcio della pistola sulla testa di Darius Payne. La violenta botta lo fece stramazzare a terra, privo di sensi.

“Bel colpo, amico!” si complimentò Finnick con un sorriso. “Ora però slegami. Cominciavo a pensare che ti fossi calato fin troppo nella parte del carceriere.”

“Dovevo aspettare il momento giusto” ribatté Gale. “In effetti sei stato davvero un ottimo prigioniero, ma adesso aiutami con questo tipo.” Si chinò e afferrò Darius Payne per le braccia. Finnick annuì e prese le gambe della guardia.

Insieme trascinarono l’uomo nel ripostiglio, che venne chiuso a chiave da Gale. “Così non disturberà nessuno, quando avrà ripreso coscienza” disse.

“Questo verme ci ha anche detto dove tengono Peeta” disse Finnick. “Ora dobbiamo scoprire dove si trova questa Cella Oscura. Pensi che dovremmo dividerci?”

Gale scosse la testa. “Non credo. Se incontrassimo qualche sorvegliante, in due potremmo metterlo al tappeto più facilmente.”

“Ehi, voi” una voce strascicata li fece trasalire entrambi. Finnick si voltò di scatto: a parlare era stato un uomo nella cella più  vicina. “Già, dico proprio a te, biondino” continuò, sogghignando. “Ho visto che avete steso quel bel tipo, e ho visto anche che avete un mazzo di chiavi dall’aria… invitante.” Il suo sguardo si posò sulla mano di Gale.

Finnick si avvicinò lentamente alle sbarre.

“Abbiamo bisogno di informazioni, amico.”

“Apri questa maledetta porta e ne riparliamo” disse l’uomo in tono minaccioso.

“A me sembra che siamo noi dalla parte giusta delle sbarre” ribatté Finnick senza esitare. “Quindi ti conviene aiutarci: dove si trova la Cella Oscura?”

L’uomo fece una smorfia. “È un gran brutto posto. Talmente brutto che non si trova nemmeno qui.”

“Cosa vuoi dire?” chiese bruscamente Gale.

“In fondo a questo corridoio c’è un’uscita. La Cella Oscura è lì vicino, ma è parecchio sorvegliata.”

“Non ci sarà nessuno quando ci andremo” disse Finnick.

“Cosa stai dicendo, biondino?” chiese l’uomo in tono aspro. “Le guardie si danno il cambio, è sempre sorvegliata!”

Quando rispose, il ragazzo aveva un sorrisetto sulle labbra.

“Non se farete abbastanza confusione.”

 

 

Una decina di minuti dopo, Finnick e Gale guidavano un gruppo di trenta persone, ormai libere dalle loro celle.

“Dovremmo vergognarci per quello che stiamo facendo” disse il primo. “Questi uomini sono criminali e assassini, e noi li stiamo rimettendo in libertà.

“Forse hai ragione” rispose l’altro. “Ma in mezzo a loro ci sono sicuramente dei nemici di Snow. E di certo sono innocenti.”

“Già” convenne Finnick, sospirando. Poi si rivolse agli evasi. “Va bene, ora statemi a sentire tutti quanti. L’ultima cosa che gli sbirri si aspettano è un’evasione di massa. Quindi quello che dovete fare è saltare fuori da questo maledetto posto come se foste dei diavoli appena usciti dall’Inferno. Siete dei pendagli da forca, quindi dovreste saperlo fare abbastanza bene.” Fece una pausa, temendo di avere esagerato, ma negli occhi degli evasi vide solo lampi di eccitazione.

Sono davvero dei pendagli da forca, pensò, prima di continuare a parlare. “Sono stato abbastanza chiaro? Dovrete mettere in corpo a quegli sbirri una paura tale che anziché provare a fermarvi, se ne andranno a cercare la latrina più vicina!”

“Sai parlare bene, biondino” disse uno degli evasi.

“Oh, è solo un piano di evasione” rispose Finnick con noncuranza. “E adesso, mostrate agli sbirri che i veri uomini siete voi, e non dei codardi in divisa. Avanti, diavoli, portate l’Inferno fuori da qui!”

Esaltati dal discorso, gli evasi corsero verso l’uscita proprio mentre una guardia entrava nel corridoio. Gli ormai ex-prigionieri si avventarono su di lui con una tale furia che Finnick dovette distogliere lo sguardo.

“Li hai caricati per bene” osservò Gale con una smorfia.

“Quel poveretto mi rimarrà sulla coscienza” ammise Finnick. “Ma tutto questo ci permetterà di liberare Peeta.”

“Già, dobbiamo muoverci” lo esortò l’altro.

I due attraversarono con cautela il corridoio. Non impiegarono molto per capire quale fosse la porta che dava sull’esterno, ma prima che potessero raggiungerla, una flebile voce familiare attirò l’attenzione di Finnick.

“Lupo… Vendicatore” lo chiamò la voce.

Il ragazzo, incredulo, si avvicinò alla cella dalla quale proveniva il richiamo.

“Thresh?” chiese, incerto. “Sei davvero tu?”

“Finnick, cosa succede?” chiese Gale, impaziente. “Non abbiamo molto tempo!”

“Non posso, Gale!” rispose il ragazzo.

“Peeta ha bisogno di noi!”.

“Non è l’unico” rispose Finnick. “Per favore, Gale, vai avanti. Ti raggiungo subito!” aggiunse, quasi in tono supplichevole. Con suo sollievo, l’ex-soldato acconsentì, non senza riserve, e continuò ad avanzare.

Con le grida degli evasi che si allontanavano sempre più, il ragazzo scrutò all’interno della cella. Lì, appoggiato alle sbarre, c’era un uomo dai tipici lineamenti dei Nativi. Sembrava malconcio ed era emaciato all’inverosimile.

“Thresh!” chiamò ancora.

“Sono io, Lupo Vendicatore” rispose a fatica l’indiano.

“Come sei finito qui?”

“Uomini bianchi… mi hanno fatto prigioniero molte lune fa.”

Finnick ebbe un brutto presentimento. “Erano uomini in divisa?” chiese ancora.

“No” rispose subito l’altro. “Non avevano la divisa.”

Il ragazzo capì che i propri timori erano fondati. Thresh era stato preso dagli stessi uomini di Snow, chissà quanto tempo prima. Perché Falco Nero non gliene aveva parlato? Thresh era il capo dei guerrieri Apache, e la sua scomparsa non era di certo passata inosservata. In ogni caso, doveva portarlo fuori da lì, e alla svelta: Gale poteva già essere in difficoltà.

Con movimenti frettolosi cercò la chiave giusta e, una volta trovata, la infilò nella serratura e girò.

“Ce la fai a camminare?” chiese a Thresh, che non sembrava per nulla sicuro sulle sue gambe.

“Ce la faccio” rispose lui, dimostrando che l’indole del guerriero Apache non lo aveva affatto abbandonato.

“Allora seguimi, svelto!” lo esortò Finnick.

Insieme si diressero verso la porta, che trovarono socchiusa. Gale doveva essere già uscito.

Una volta fuori, la prima cosa che i due udirono fu il rumore degli spari: lo scontro fra gli evasi e le guardie era cominciato.

Lo sguardo di Finnick guizzò in tutte le direzioni: il posto sembrava deserto, finché non riuscì a scorgere Gale che avanzava rasente alla parete dell’edificio. In breve tempo, i tre si trovarono davanti il loro obiettivo. L’ingresso della cella era più stretto rispetto alle altre e sulla pietra che sovrastava le sbarre era incisa un’inequivocabile scritta: «Cella Oscura».

“Sembra che il diversivo abbia funzionato” disse Gale, e senza indugiare scelse la chiave giusta ed entrò nella cella.

Quando ne uscì, Finnick dovette trattenere un gemito: l’ex-soldato sorreggeva Peeta. Il volto dello sceriffo era tumefatto e incrostato di sangue, ma a destare l’orrore del ragazzo fu il suo torso nudo, coperto di lividi  e di ustioni.

Le avrebbero curate in seguito, decise Finnick.

“Dobbiamo andarcene in fretta!” esclamò, rivolto agli altri.

Gale annuì e i quattro si misero in marcia aggirando l’edificio.

Una volta arrivati nei pressi del grande cancello, lo spettacolo che si parava davanti ai loro occhi era terrificante: gli evasi stavano disperatamente cercando di aprirsi un varco verso l’unica uscita possibile, mentre le guardie li respingevano con armi da fuoco; molti corpi giacevano inermi a terra.

Finnick si voltò verso Gale e scoprì che l’ex-soldato lo stava già guardando. I due si erano capiti all’istante: non avrebbero mai aperto il fuoco contro i difensori della prigione.

Alla fine, l’impeto degli evasi ebbe la meglio sulle pallottole delle guardie e i fuggitivi riuscirono ad aprire il cancello. Fu allora che Finnick, Gale, Peeta e Thresh colsero l’attimo e corsero verso l’uscita, unendosi al gruppo degli evasi. I quattro sentivano i proiettili fischiare attorno a loro, ma in qualche modo ne uscirono indenni; senza fermarsi si diressero verso la sommità della collina, dove avevano lasciato i cavalli.

Prima di continuare a scappare, Finnick lanciò un’ultima fugace occhiata alla sanguinosa battaglia e, osservando ancora il massacro che si stava compiendo, si chiese per l’ennesima volta se la sua missione valesse ancora qualcosa.

   
 
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