Katniss
uscì lentamente dallo spaccio. Si guardò
attorno, circospetta, squadrando la strada di fronte a lei,
finché non si
lasciò sfuggire un sospiro di frustrazione. Haymitch
l’aveva tormentata con le
sue raccomandazioni, ma così facendo le aveva messo una tale
ansia che non
osava fare due passi senza temere di non avere tutto sotto controllo.
Katniss
però si era accorta che c’era qualcosa di
strano in quella città. Non era mai stata in un posto grande
come Yuma, eppure non
riusciva a scrollarsi di dosso la fastidiosa sensazione di essere
sempre
osservata da qualcuno.
Tenendo
il pane appena comprato sotto il braccio,
cominciò a camminare. Era sicura che tutto quel guardarsi
attorno avrebbe
attirato ancora più attenzione.
Eppure,
all’improvviso lo vide di nuovo. Dall’altra
parte della strada c’era un uomo dalla pelle scura, il volto
parzialmente
nascosto da un cappello a larghe tese. Era seduto per terra come uno
dei tanti
medicanti di Yuma e Katniss non poteva vedere con chiarezza i suoi
occhi, ma in
qualche modo era sicura che la stesse osservando. Ed era altrettanto
sicura di
averlo già intravisto vicino alla stalla, qualche ora prima.
In effetti, c’era
un nero dallo sguardo sfuggente anche quando si era fermata a dare
un’occhiata
all’armeria.
Non
era un buon segno, decise Katniss.
Senza
quasi volerlo, accelerò impercettibilmente il
passo. Tutto quello che voleva era allontanarsi dallo strano
mendicante. Più ci
pensava, più le sembrava che avesse un’aria
familiare.
Smettila,
si impose. Qui non ti conosce nessuno.
Ma
quei pensieri non le impedirono di camminare
sempre più velocemente.
Non
voltarti, non voltarti, si
ripeté, sapendo che era la cosa
peggiore che potesse fare. Non riuscì a dominare
quell’impulso e, senza smettere
di camminare a passo spedito, si girò.
L’uomo
non c’era più.
Presa
dal panico, Katniss cominciò a correre: adesso
aveva la certezza che l’uomo la stava cercando. Doveva
assolutamente andarsene
dalla strada principale. Pochi passi più avanti
c’era un vicolo, alla sua
destra; vi si infilò senza pensarci troppo su.
La
stradina era stretta e maleodorante: il suo naso
si arricciò in una smorfia di disgusto.
Senza
nemmeno voltarsi, cercò di riprendere fiato
nella penombra. Nella testa aveva già una mezza idea di
raggiungere Haymitch,
quando all’improvviso una mano le chiuse la bocca,
stringendola in una morsa
d’acciaio.
Con
gli occhi sbarrati dalla paura, senza poter
chiamare aiuto, Katniss si divincolò disperata, inarcando la
schiena e
scalciando con rabbia. Fu tutto inutile contro i possenti muscoli dello
sconosciuto.
“Shh!”
fece lui. “Non vorrai mica attirare gli
uomini di Snow, vero?”
A
quella domanda Katniss rimase sbigottita.
“Ora
ti lascio” continuò l’uomo.
“Ma tu non devi
strillare. Non ti farò del male.” E detto questo,
lasciò andare la ragazza, che
si voltò di scatto.
Era
proprio lui, il falso mendicante dalla pelle
scura.
“Mi
riconosci, adesso?” chiese.
Katniss
lo osservò meglio e alla fine capì. In
effetti, il cappello e il vecchio poncho sgualcito celavano bene le sue
reali
fattezze.
“Io…
certo, adesso ti riconosco” balbettò lei.
“Eri
con Gale a Hangtown.”
L’uomo
dalla pelle d’ebano sorrise. “Mi chiamo
Boggs” si presentò, tendendo la mano.
“Katniss”
rispose lei, stringendola.
“Ti
chiedo scusa per averti spaventata” proseguì
lui. “Non ero sicuro che fossi davvero tu e non volevo
metterti in allarme
davanti a tutti. È un posto pericoloso, questo”
aggiunse.
A
quelle parole Katniss sentì il cuore gonfio di
preoccupazione per Peeta e i suoi amici: non aveva idea di come stesse
andando
la pericolosa missione.
“Già,
puoi dirlo forte” rispose, cercando di farsi
forza. “Come mai sei qui?” chiese poi, curiosa.
“Il
capitano Hawthorne ci aveva ordinato di
raggiungerlo a Yuma non appena avessimo finito di dare una mano nella
tua
città” spiegò Boggs.
“L’intera compagnia è accampata poco
fuori Yuma.”
La
sorpresa di Katniss si trasformò presto in
speranza: la ragazza realizzò che con la squadra di Gale
avrebbero avuto la
possibilità di affrontare Snow.
“In
ogni caso, ero venuto in città per cercare il
capitano” disse Boggs. “Dove posso
trovarlo?”
“Gale
non è qui” rispose la ragazza. “Abbiamo
avuto
qualche… problema.”
“Che
ne diresti di parlarne nel nostro
accampamento?” propose lui. Katniss si accorse che stava
cercando di mascherare
la preoccupazione. “Le nostre tende sono più
comode di questo vicolo
puzzolente” aggiunse.
“Volentieri!”
rispose lei sorridendo.
L’accampamento
della Squadra 451 era situato ai
margini del deserto di Yuma, lontano da occhi indiscreti. Katniss era
riuscita
a contare una dozzina di tende
piantate
nel terreno polveroso. C’erano sempre due sentinelle a fare
la guardia: Boggs
spiegò alla ragazza quanto fosse fondamentale avere sempre
qualcuno che
sorvegliasse l’accampamento. Dopodiché, la
condusse nella sua tenda. Lì,
Katniss raccontò la loro avventura, compresi la cattura di
Peeta e il tentativo
di salvarlo.
“Ho
un compagno da recuperare” disse poi,
riferendosi a Haymitch. “Ci eravamo messi d’accordo
per ritrovarci al
tramonto.”
“Nessun
problema” la rassicurò Boggs. “Ti
farò
scortare da quattro persone in gamba. E farete meglio a passare dal
vostro
accampamento: è più sicuro se vi trasferite da
noi.”
***
Finnick
si sentiva sprofondare nella polvere: aveva
le gambe talmente pesanti da poter solo trascinare i piedi. Sapeva che
Gale
provava le stesse sensazioni, lo capiva dagli occhi semichiusi del suo
amico.
Entrambi stringevano in mano le briglie dei due cavalli; sulla schiena
degli
animali si reggevano a malapena Peeta e Thresh, mai del tutto lucidi.
Il
viaggio di ritorno dal carcere di Yuma si era
rivelato una vera odissea. Il solo pensiero che spingeva i quattro ad
andare
avanti era la consapevolezza di aver quasi raggiunto
l’accampamento. Eppure,
una volta arrivati, Finnick reagì sgomento a quello che
vide: l’accampamento
era completamente desolato. Sapeva che Katniss e Haymitch sarebbero
dovuti
essere lì. Era successo loro qualcosa?
Sentì
le forze venirgli meno; lasciò andare la
briglia del cavallo e si lasciò cadere sulle ginocchia. Il
cinturone che
portava alla vita adesso sembrava pesare tonnellate… eppure
a cosa serviva un
revolver carico e una mano veloce come la sua?
Aveva
rischiato la vita per salvare un compagno e
adesso ne aveva persi due. Impolverato e impotente, Finnick
sfogò tutta la sua
frustrazione prendendo a pugni la rovente sabbia del deserto.
E
senza alcun preavviso, una voce femminile fece
trasalire tutto il gruppo: “Capitano!”
Finnick
si voltò di scatto: una donna a cavallo era
appena sbucata da dietro una grossa roccia. Aveva lunghi capelli
castani e con
assoluta naturalezza portava un fucile di notevoli dimensioni sulla
schiena. I
suoi limpidi occhi verdi stavano fissando Gale, che appariva abbastanza
sbalordito da non riuscire a spiccicare parola.
“Jackson…”
mormorò il ragazzo. “Cosa ci fai qui?”
“Eseguo
i tuoi ordini, capitano Hawthorne” rispose
la donna; un sorriso obliquo le attraversava il volto. “Sei
stato tu a dire
alla Compagnia 451 di raggiungerti in questo maledettissimo deserto, o
sbaglio?”
“Credo
di sì…” borbottò Gale tra
sé e sé. Si portò
una mano agli occhi e prese a stropicciarli nervosamente.
“Avete preso voi i
nostri amici?” chiese infine.
“Sono
sani e salvi nel nostro accampamento. Al
contrario di me… Boggs mi ha mollato qui a fare il palo,
finché non siete
arrivati voi e avete cominciato a fare a botte con il deserto. Eh
sì, dico a
te, biondino” aggiunse, inclinando il capo verso Finnick e
sorridendo beffarda.
Lui
d’istinto si guardò il dorso delle mani. Le
nocche erano terribilmente scorticate e il sangue colava copiosamente
dalle
ferite fresche.
“Avrai
bisogno di una bella fasciatura, lì” riprese
Jackson, ammiccando. “Forza, vi porto al nostro
accampamento.”
Diverse
ore più tardi, Finnick sedeva nella tenda
più grande del campo. Accanto a lui si era sistemato Gale;
di fronte aveva
Boggs e Jackson. La donna sembrava non separarsi mai dal suo fucile.
“Snow
controlla il carcere di Yuma” esordì Gale.
“Lo
sospettavamo, ma ora che ci sono entrato ne ho avuto la certezza.
Lì dentro ogni
guardia risponde ai suoi ordini” concluse, in tono grave.
“Come
avete fatto ad uscirne?” chiese Boggs,
stupito.
“Abbiamo
provocato… un’evasione di massa.” Adesso
la
voce di Gale si era fatta esitante. A Finnick non sfuggì lo
sguardo accigliato
di Jackson. “Era l’unico modo per venirne fuori
vivi” riprese Gale. “C’erano
innocenti, lì dentro. In cella solo per aver ostacolato i
crimini di Snow!”
“Non
ti preoccupare, capitano. Quella prigione era
solo un postaccio da ripulire” lo rassicurò Boggs.
Gale abbassò lo sguardo, ma
solo per un attimo.
“Come
stanno i due che abbiamo riportato indietro?”
chiese.
“Oh,
lo sceriffo si rimetterà presto” rispose
Jackson. “L’indiano, invece… per come
è conciato, sarebbe dovuto morire da
diverso tempo. Evidentemente ha la pelle più dura del
previsto. Ma si può
sapere chi è?”
Finnick
sapeva che l’amico non poteva rispondere.
“Lui
è Thresh, il capo dei guerrieri Apache” si
affrettò a spiegare. “ Ed è come un
fratello, per me.”
Gale
si voltò verso di lui. “E come è finito
nel carcere
di Yuma?” chiese, sbalordito.
“Non
lo so” Finnick scosse la testa. “Forse ce
l’hanno portato i Piedi Neri, forse gli uomini di Snow.
L’unica cosa che so è
che è stato torturato per chissà quanto tempo.
Era disperso da mesi… alla
riserva lo credevano morto.”
“Non
temere, sopravvivrà anche lui” disse Jackson.
Il
respiro di Finnick si era fatto pesante. “Vorrei
parlare con lui il prima possibile.”
Thresh
sonnecchiava in una brandina troppo piccola
per lui. Dall’altra parte della tenda medica c’era
Peeta, anche lui a riposo.
Non
appena Finnick mosse un passo verso Thresh, gli
occhi dell’indiano si aprirono e un pallido sorriso si fece
strada sul suo
volto.
“Lupo
Vendicatore…” esordì con voce roca.
“Sono
davvero ancora vivo?”
“Le
grandi praterie del cielo dovranno aspettare,
prima di poterti accogliere” sorrise Finnick. “Hai
ancora delle imprese da
compiere, Thresh.”
“Se
così vorrà il Grande Spirito.”
Finnick
chinò il capo, poi riprese: “Come eri finito
nel carcere di Yuma? Alla riserva tutti ti considerano morto. Io stesso
non
credevo ai miei occhi quando ti ho visto dentro quella buia
cella.”
Thresh
gli rivolse uno sguardo carico di sofferenza.
“Ero a caccia con tre guerrieri, ma degli uomini ci hanno
accerchiato. Hanno
abbattuto i miei tre fratelli e mi hanno legato.”
Finnick
poteva sentire l’altro digrignare i denti.
“E
poi, Thresh? Ti hanno portato a Yuma?”
“No,
Lupo Vendicatore. Mi hanno portato nell’Inferno
dei Piedi Neri” Thresh chiuse gli occhi. “Quei cani
mi torturavano… e l’uomo
bianco faceva le domande.”
“L’uomo
bianco?” ripeté incredulo Finnick.
Thresh
annuì. “Faceva domande sulla nostra riserva,
domande a cui era impossibile rispondere. Ma lui lo sapeva, Lupo
Vendicatore. A
lui piaceva farmi torturare. E i
Piedi Neri hanno distrutto il mio onore. Mi hanno impresso sul petto il
loro
sciacallo… adesso non sono più un guerriero
Apache.” Thresh tacque, lo sguardo
perso nel vuoto.
Finnick
rimase interdetto. Doveva fare qualcosa, e
alla svelta: conosceva Thresh abbastanza da sapere che per un vero
guerriero
Apache l’onore e l’appartenenza alla propria
tribù erano tutto. E i Piedi Neri
gli avevano sottratto entrambe le cose.
“Ehi”
lo chiamò, afferrandolo per una spalla. Thresh
parve riscuotersi dal torpore. “Tu non hai mai smesso di
essere un Apache. Sei
rimasto vivo, hai lottato. Alla riserva ci sono i tuoi guerrieri che ti
aspettano.”
Con
enorme sollievo, Finnick notò che il volto
pallido di Thresh stava recuperando un po’ di colore,
così continuò a parlare.
“E poi, stiamo per affrontare l’uomo che ti ha
fatto questo. Lo staneremo e
vendicheremo tutti i torti che ti ha fatto. È anche la mia vendetta, Thresh.”
Come
rianimato da quelle parole, l’indiano scostò
bruscamente la coperta che aveva addosso. Sul possente torso nudo,
Finnick
distinse chiaramente la sagoma di uno sciacallo impressa sulla pelle. I
contorni della figura erano di un tremendo rosso vivo.
“I
coltelli dei Piedi Neri sono affilati, fratello”
disse Thresh, che aveva perfettamente indovinato i suoi pensieri. Poi
si alzò
e, anche se un po’ incerto, rimase in piedi.
“Torno
alla riserva, Lupo Vendicatore.”
“Non
puoi!” protestò Finnick. “Sei ridotto
male, non
ce la puoi fare ad affrontare un viaggio così lungo da
solo!”
“Sono
ancora il capo dei guerrieri Apache. E loro mi
credono morto” spiegò, ripetendo le parole di
Finnick. “Devo tornare da loro.
Lo hai detto tu stesso.”
“Hai
bisogno di riposo.”
“Non
riposerò finché non avremo vendetta.”
Finnick
chinò il capo: sapeva che insistere non
sarebbe servito. “Fai attenzione. Non voglio perderti
un’altra volta.”
“Ce
la farò. E ti porterò dei guerrieri”
promise
l’altro, incamminandosi verso l’uscita della tenda.
“Thresh”
lo richiamò Finnick. Improvvisamente aveva
la gola secca. “Ecco… salutami Annie, se
puoi.” Deglutì.
“Contaci,
Lupo Vendicatore” rispose Thresh, stavolta
senza l’ombra di un sorriso. E uscì dalla tenda.