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Autore: _unknown_    05/09/2016    2 recensioni
una raccolta sulla coppia StingxMinerva realizzata a partire dai prompt della Stinerva week 2016 indetta su Tumblr:
Day 1 Reunion
Day 2 gift
Day 3 nightmare
Day 4 light
Day 5 movie night
Day 6 AU
Day 7 promise
saranno missing moment e what if e spazierò fra più generi
spero che il risultato vi piaccia
realizzata grazie alla collaborazione di _cercasinome_ (ho un debito di ispirazione nei suoi confronti)
buona lettura!
Genere: Angst, Fluff, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Minerva, Sting Eucliffe
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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  4. LIGHT

Si malediceva ogni secondo più.
Ogni passo mosso verso la propria meta significava un insulto verso sé stessa e la propria stupidità.
Perché diamine aveva accettato?!
Sarebbe potuta rimanere benissimo alla gilda da sola. Senza quei ragazzini infernali avrebbe potuto studiare nuove magie in tutta tranquillità. E invece si ritrovava a seguire quella mandria di bambini scalmanati che avevano deciso di provare un nuovo gioco che aveva tutta l’aria di essere stupido. Pericoloso e stupido.
Non sapeva neanche come fosse accaduto.
Stava litigando con uno dei suoi grossi libroni, quando voltando appena lo sguardo si era accorta di essere circondata da una schiera di bambini intenti ad osservarla attentamente.
Aveva appena schiuso le labbra per chiedere almeno delle doverose spiegazioni, quando una testolina bionda aveva preso la parola timidamente
“Principessina Minerva… le va di fare un gioco con noi?” il tono speranzoso con cui si era posto le fece imporporare le guance pallide. Mai nessuno era stato così gentile verso di lei, neanche suo padre. Era rimasta immobile con la bocca lievemente dischiusa per lo stupore a guardare uno per volta quei bambini che pendevano dalle sue labbra attendendo una sua risposta. Conosceva i loro nomi e poco più, ma sembrava che sperassero così tanto che lei si unisse a loro. Minerva, dal canto suo, era rimasta immobile e perfettamente in silenzio. Non sapeva davvero cosa rispondere, era la prima volta che qualcuno le faceva una richiesta del genere: i bambini di Sabertooth erano soliti divertirsi spesso nei modi più disparati, ma non l’avevano mai invitata prima; del resto, suo padre non glielo avrebbe mai concesso.
Aveva abbassato lo sguardo profondamente a disagio, incollandolo su una pagina ingiallita del suo libro, determinata a non muoverlo da lì fino a che non se ne fossero andati. Ma non appena le parve di udire un suono simile ad uno sbuffo sconsolato, qualcosa scattò dietro di lei, facendola balzare in piedi in un millisecondo.
“Aspettate! Vengo con voi!” aveva detto  in un tono gioioso a quella schiera di bimbi che già si era avviata verso la porta. La accolsero tra loro a braccia aperte e Minerva si era sentita davvero felice, come mai prima; talmente tanto presa da quell’entusiasmo da non accorgersi dell’esagerato sorriso che aveva messo su quel ragazzino dai capelli biondi.
 
Aveva accettato di prendere parte a quel nuovo gioco, cercando di non pensare alla punizione che le avrebbe dato il padre se solo l’avesse scoperta. Aveva veramente una gran voglia di divertirsi e ridere come tutti gli altri, lontana almeno per un giorno da quei tomi grossi e polverosi ricchi di strane formule e parole arcaiche. Voleva soltanto svagarsi un po’ e quella le era parsa un’ occasione posta su un piatto d’ argento…
ma non ci volle molto tempo per farla ricredere.
Le era bastato chiedere a quella bambina con i capelli bianchi e il sorriso gentile di che gioco si trattasse per divenire in un instante bianca come un lenzuolo.
Trascorrere una notte intera in una casa abbandonata lì  vicino. 
 Davvero...cosa passava loro per la testa?!
Non giravano belle voci su quell’abitazione, già il solo passarci davanti le aveva sempre messo i brividi, ma… non poteva certo rifiutarsi. Che figuraccia avrebbe fatto!
Per questo stava seguendo quell’ allegra combriccola capitanata dalla testa bionda e senza rotelle che trascinava gioiosamente con sé sotto spalla un altro bambino dai capelli neri, Rogue le pareva si chiamasse.
Bastarono solo pochi minuti di cammino e si ritrovarono di fronte alla loro meta. La casa era vecchia e diroccata; metteva i brividi al solo guardarla.
“Bene, ragazzi siamo arrivati!” esclamo  fieramente Sting, arrestandosi di colpo davanti al vialetto d’accesso dell’ abitazione.
“Ognuno di voi prenderà  una torcia e tutti insieme entreremo li dentro. Chi resterà più  tempo vincerà, tutto chiaro?”
i bambini annuirono tutti in coro e, prese le torce, corsero tutti a perdifiato per entrare in quella casa.
L’ ultima ad arrivare fu Minerva, per nulla intenzionata ad arrendersi, ma tremante come una foglia. Non appena varcata la soglia, deglutì  più volte a vuoto, prima di imporsi di farsi coraggio. Lei era Minerva Orland, un giorno sarebbe diventata una maga potentissima, non doveva avere paura di una casa abbandonata o di quattro dicerie. Si convinse: niente sarebbe andato storto.
Non passò  molto tempo, che fu costretta a ricredersi.
Era corsa su per le scale accedendo al piano superiore.
Nel buio più totale di quelle stanze e di quei corridoi, non si vedeva nulla se non la fioca luce della sua torcia; era quasi totalmente avvolta dall’ oscurità, riusciva a stento a vedere a pochi centimetri davanti a sé e sentiva provenire da ogni parte schiamazzi e risate: si chiese come facessero a divertirsi tanto in un postaccio del genere.
Dal canto suo, Minerva non vedeva l’ora che il giorno arrivasse. Non aveva assolutamente intenzione di  vincere, ma non aveva neanche voglia di far la figura della fifona: le bastava soltanto aspettare che qualcuno si ritirasse, poi sarebbe uscita da quella vecchia topaia.
Provò a cercare un angolino tranquillo in cui appostarsi, ma i risultati furono scadenti: giusto solo qualche parete o porta in faccia, che contribuì a destabilizzarla ancora di più.
 Non c’era verso: ovunque si voltasse, trovava buio. Le sembrava di brancolare nel nulla e lo squittio che sembrava provenire da pochi centimetri davanti a sé, unito a sinistri scricchiolii che le giungevano da ogni parte, certamente non era d’aiuto.
E la flebile luce bianca della torcia non bastò, affinché lei vedesse quell’ ostacolo davanti a se – probabilmente il dosso di un tappeto – ed evitasse così di inciamparci sopra.
Cadde rovinosamente a terra, urtando il viso con il pavimento marmoreo e impolverato. La torcia le sfuggì dalle mani, spegnendosi  una volta raggiunto  il pavimento.
Minerva si ritrovò così immersa nel buio più totale. Sollevò a fatica il volto da terra sentendolo terribilmente indolenzito e macchiato di un liquido denso e caldo, per poi tastare a gattoni dappertutto e cercare disperatamente la sua torcia, trattenendo con tutte le sue forze le lacrime che già pungevano i suoi occhi.
Ringraziò tutti i Kami esistenti quando la trovò, ma quel debole sorriso trionfante si spense una frazione di secondo più tardi.
La torcia non s’accendeva più.
“No…ti prego ti prego ti prego” disse liberando il primo singhiozzo.  Provò a far funzionare quel maledettissimo arnese, ma senza risultati. Era completamente andata. Non c’era  più niente da fare.
E a Minerva non era rimasto altro che rannicchiarsi su sé stessa seppellendo il viso tra le ginocchia sbucciate.
Iniziò a piangere disperata. Odiava il buio. Le faceva così paura.
Tutto il suo coraggio, tutta la sua forza si dissolvevano nelle tenebre. Diventava così fragile quando tutto si tingeva di nero.
Il buio la feriva, la rendeva impotente.
Il buio era dolore.
Il buio era disperazione.
Il buio erano le urla di suo padre quando picchiava la sua mamma nel cuore della notte. Il buio erano i singhiozzi, i rantoli e i lamenti dell’ unica persona al mondo che le aveva dimostrato il suo amore.
Il buio era il suo nascondersi sotto al letto, in camera sua. Era schiaffarsi in faccia il cuscino fino a mozzarsi il fiato pur di non sentire quelle urla, quelle botte, fingendo che tutto andasse bene e sperando al tempo stesso che il sole si muovesse a sorgere di nuovo nel cielo.
 
Avrebbe dato qualsiasi cosa per non essere in quella situazione.
Davanti ai suoi occhi le erano già tornate in mente tutte le scene che con tanto sforzo aveva cancellato dalla sua mente.  Una dietro l’altra, come un film dell’orrore che lei non avrebbe voluto vedere per niente al mondo. Non potè impedirsi di urlare con quanto più fiato avesse nei polmoni.  Si sentiva divorare dall’oscurità. Non aveva idea di dove fosse, di chi avesse vicino, di cosa le sarebbe potuto succedere da un momento all’altro. Anche i suoni le giungevano ovattati, messi in secondo piano dai suoi singhiozzi disperati, anche con la luce non avrebbe visto nulla: il suo sguardo era appannato dalle lacrime che come un fiume in piena scorrevano lungo le guance .
Tutto ciò che voleva era uscire da quel luogo infernale prima di subito, ma non sapeva come fare. Era immobilizzata dalla paura. Non le rimaneva altro che continuare a piangere, a torturarsi i capelli, a soffrire.
Ed era così immersa nelle sue lacrime e nella sua disperazione da non accorgersi neanche del bagliore di luce che, senza far rumore, si era avvicinato accanto a lei.
“Principessina Minerva!”
Quella voce l’aveva fatta sobbalzare, ridestandola dall’abisso di disperazione nel quale stava precipitando.
Liberò il viso dalle ginocchia e lo alzò davanti a sé, scorgendo così la figura di un bambino che stringeva con sicurezza un fascio di luce bianca nella mano destra. Riusciva a notare di lui i capelli biondi e un sorriso fiero smorzato appena da due guance lievemente imporporate.
“S-Sting…” disse a voce roca, deturpata dalle urla e dalle lacrime.
Si accorse in un secondo momento dello sguardo preoccupato del bambino. Doveva decisamente essere riotta a uno straccio: della Minerva forte e altezzosa in quel momento c’era ben poco.
“Va tutto bene?” chiese a un tratto una terza voce, più in là rispetto a loro. La bambina aguzzò la vista e identificò nella figura del suo interlocutore quella di Rogue. Era la prima volta che sentiva la sua voce e quella domanda le scaldò appena il cuore.
Tuttavia non se la sentì  di rispondergli. Abbassò ancora lo sguardo. Non avrebbe mai avuto il coraggio di ammettere la verità e non avrebbe neanche saputo mentire in quello stato. Aveva deciso per questo di chiudersi nel silenzio.
Sting si voltò verso l’amico, sorridendogli appena.
“Rogue, va pure avanti… resto io qui con lei” e il bambino ricambiò il sorriso annuendo deciso.
Pochi secondi dopo era già sparito nell’ombra
Il bambino le tese una mano per aiutarla a rialzarsi e Minerva la accolse esitante, tirandosi su e pregando tutti i Kami che Sting non notasse il suo imbarazzo. Voleva sotterrarsi per la vergogna.
“Venga con me, principessina, la porto in un posto tranquillo” e detto ciò afferrò la sua mano portandola con sé lontano da lì verso una di quelle stanze che solo in quel momento riusciva a vedere.
Entrarono in una camera piccola e spoglia arredata con un solo letto a due piazze al centro di essa.
Sting la aiutò a salirci sopra, facendo lo stesso poco dopo. Si sedette davanti a lei, così da illuminare entrambi con la sua luce.
“Va meglio, principessina?” le chiese in un sorriso. Lei distolse lo sguardo, fissandolo in un punto indefinito davanti a sé e sperò con tutto il suo cuore che nonostante la luce bianca, lui non notasse le sue guance tintesi senza remore di un vivo colore scarlatto. Fece un cenno con il capo – non una vera e propria risposta comunque.
“Puoi… puoi  chiamarmi solo Minerva… se vuoi” sussurrò facendo sgranare gli occhi blu del bambino; probabilmente riteneva quel permesso uno dei privilegi più grandi che potesse ottenere.
“Perché non torni dal tuo amico? Lui…è da solo adesso”
Appena udì quella frase Sting non potè impedirsi di ridacchiare.
“Chi? Rogue?!” iniziò sorridente “Naah…lui è il Drago d’Ombra. Questo posto è praticamente il suo Habitat naturale” Minerva gli sorrise di rimando, per la prima volta serena da quando aveva preso parte a quella pazzia. Il Drago Bianco si avvicinò ancora un po’ a lei, così da illuminarla meglio.
Fissò gli occhi nei suoi, diventando serio tutto d’un tratto.
“S-sai Minerva… è normale avere paura di qualcosa” fu poco più di un mormorio, sufficiente però a far sbiancare d’un tratto la bimba. L’aveva scoperta. Che figuraccia!
Provò a ribattere
“Oh…Io…” non fece in tempo a finire la frase, perché in meno di un secondo si ritrovo intrappolata tra le esili braccia di quello strano – davvero strano – bambino .
“C-che stai…”
“Weisslogia mi abbracciava sempre quando  ero triste”  la interruppe di nuovo mentre si stringeva contro di lei. Minerva rimase spiazzata e indecisa sul da farsi. Non le sembrava molto educato scacciarlo via dopo tutto quello che aveva fatto per lei. E poi…non aveva poi così tanta voglia di staccarsi da lui: profumava di fresco e di pulito e si stava al caldo lì tra le sue braccia.
Timidamente iniziò a ricambiare la stretta. Era da troppo tempo che non riceveva un abbraccio. Aveva dimenticato quanto riuscissero a farla stare bene.
Rimasero seduti su quel vecchio materasso ad abbracciarsi per chissà quanto altro tempo ancora. Poi semplicemente, vinti entrambi dalla stanchezza, si sdraiarono comodamente cadendo nelle braccia di Morfeo, l’uno accanto all’altra.
 
Era già mattina inoltrata quando Minerva si svegliò. Accanto a lei Sting dormiva profondamente con un sorriso sulle labbra: si rese conto solo in un secondo momento di stargli tenendo la mano.
Imbarazzata la ritirò a sé, richiamando poi il bambino per risvegliarlo.
“Hmpf…Buongiorno” bofonchiò lui con la voce impastata dal sonno. Si sfregò gli occhi ancora lucidi per poi rivolgerle un sorriso e chiederle se le andasse di tornare alla Gilda.
Minerva annuì energicamente, non vedeva l’ora di tornare a casa.
Uscirono dall’abitazione correndo e in pochi minuti furono di nuovo sul vialetto d’accesso a Sabertooth.
Vennero accolti con applausi e acclamazioni da tutti gli altri bambini, già lì da tempo.
Avevano vinto la sfida
Sting prese a darsi delle arie da duro, pavoneggiandosi per il suo coraggio e per la sua temerarietà, mentre Minerva aveva abbassato lo sguardo con una timidezza che nessuno mai  le avrebbe attribuito.
Finiti i festeggiamenti, tutti i bambini si apprestarono a rientrare alla gilda, senza preoccuparsi neanche troppo della ramanzina che Jiemma avrebbe fatto loro.
Minerva mosse i primi passi verso quella che era casa sua, ma si arrestò di colpo voltandosi verso il compagno di quella bizzarra – e certamente da non rifare – avventura.
Grazie” disse in un sorriso sincero. Se non fosse arrivato lui… non osava immaginare quello che sarebbe accaduto.
Sting arrossì con il suo piccolo cuore che aveva preso a galoppargli nel petto, come un cavallo impazzito.
Sorrise.
Aveva appena trovato un motivo in più per amare la sua magia della luce.
   
 
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