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Autore: Eibhlin Rei    13/09/2016    2 recensioni
La C.A.T.T.I.V.O. non si è limitata a seguire gli esprimenti dei gruppi A e B, ma ne ha anche condotto un altro, parallelo ai primi due. Stavolta però, le Variabili sono diverse e si tratta di un unico soggetto.
Lei deve solo osservare...
"Nonostante la sua giovane età credeva di aver smesso di avere paura, ma in quel momento la barriera che si era costruita intorno si incrinò e la realtà le arrivò addosso come una valanga: non provò più solo dolore per tutto ciò che stava abbandonando, ma anche un terrore cieco. Le avevano soltanto detto che avrebbe avuto un ruolo chiave nella cura dell’Eruzione e che avrebbe salvato la razza umana. Ma a quale prezzo? Cosa sarebbe successo a lei?"
Spoiler fino a "La rivelazione" e riferimenti a "La Mutazione".
Genere: Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Minho, Newt, Nuovo personaggio, Teresa, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Sono una brutta persona, lo so. Quest’assenza è stata a dir poco imperdonabile, e menomale che avevo detto che avrei cercato di non sparire più…
È partito tutto da un casino: il computer è praticamente morto, ho perso la storia (sono stata un genio del male a non averla salvata su qualche altra piattaforma) e ci sono rimasta talmente male da non riuscire più a rimetterci mano. Quindi tutto questo progetto è caduto in standby, con me che dicevo, “Sì, no, poi la continuo”. Andava a finire che mi mettevo al computer e non mi riusciva scrivere niente.
Diciamo che si è trattato di un blocco dello scrittore, ma mi sembra che sia durato un’eternità… in sostanza, quando mi è ritornata la voglia di scrivere, è subentrata la vergogna: “Ma non ti senti una cretina a pubblicare dopo tutto questo tempo?”, mi dicevo, e quello non mi ha aiutato a ricominciare. Mi vergognavo talmente tanto da non osare nemmeno rispondere alle recensioni.
Poi alla fine, qualche settimana fa, mi sono messa davanti ad un bivio: “Allora, questa storia o la porti avanti o la molli definitivamente”. Ho deciso di ritentare e di portarla avanti.
Ho ributtato giù lo scheletro della trama ed ho riscritto il capitolo che avevo perso.
In pratica, tutto questo sproloquio è il mio “Scusatemi, mi dispiace tantissimo per essere sparita”. Non me la cavo in queste cose, lo so…
Comunque, se non seguirete più questa storia (sì, mi rendo conto di quanto sia sciocco scriverlo, visto che non lo leggerete) vi comprendo benissimo, vi chiedo ancora scusa e vi ringrazio di averla seguita. Se invece ci siete ancora, ringrazio infinitamente e chiedo scusa anche a voi e spero che questo capitolo non vi deluda.
 
 
Capitolo 18
 
Dei forti colpi alla porta la fecero sussultare, svegliandola bruscamente.
Confusa e spaesata, Erin si tirò su col busto, mettendosi a sedere. Tastò la parete al buio, cercando l’orologio. Aveva preso l’abitudine di impostare la sveglia alle sei e mezza del mattino. In realtà poi finiva per svegliarsi sempre un paio di minuti prima, ma era disposta a sopportarlo pur di evitare di ritrovarsi di nuovo l’Uomo Ratto davanti alla porta di camera sua. Stavolta però non doveva averla sentita.
«Johanna Reid! Apri immediatamente!» La fastidiosa voce nasale di Janson le diede la sensazione di stare avendo uno spiacevole deja-vu.
«Un attimo…», mormorò con la voce impastata dal sonno.
L’orologio si illuminò, segnando le 05:37. Erin sbatté più volte gli occhi, convinta di aver visto male. Accese la luce e guardò nuovamente le cifre. Nessun errore, erano le 05:37.
Ma a che ora si alzano questi tizi? Che razza di problemi hanno?
«Johanna!!!», ripeté inviperito l’Uomo Ratto. Ma che diamine poteva volere a quell’ora?!
Con un sospiro di rassegnazione, scostò le coperte e andò ad aprire la porta, camminando in punta di piedi sul pavimento freddo come il ghiaccio.
L’Uomo Ratto non lasciò nemmeno che si spostasse per farlo passare ed entrò come una furia, rischiando quasi di travolgerla e costringendola ad appoggiarsi alla porta per non cadere. «Dov’è?!», tuonò, fermandosi al centro della stanza. «Dove diavolo è?!»
Erin lo guardò perplessa, ma dopo pochi istanti intuì che cosa lo avesse fatto arrabbiare in quel modo.
O meglio, chi.
Perché il responsabile poteva essere solo lui.
«Intende Minho?», gli chiese con cautela.
Quando si trattava del ragazzo asiatico, Janson sembrava perdere la testa. In generale, era sempre piuttosto incline ad infastidirsi o arrabbiarsi anche per delle sciocchezze… e questo l’aveva reso il bersaglio preferito di Minho.
Forte del suo status di “Soggetto particolarmente promettente” e di conseguenza ancor più intoccabile di tutti gli altri, ogni giorno il ragazzo si inventava qualcosa di nuovo per far infuriare l’Uomo Ratto.
Purtroppo, da subito dopo colazione fino all’orario di cena, lei era sempre rinchiusa nella Sala d’Osservazione e doveva quindi aspettare che arrivasse la sera per ascoltare i dettagliati resoconti di quella mente malefica ed assistere alle grottesche parodie delle reazioni della sua “vittima”.
Janson si voltò a guardarla, furente. La sua faccia era paonazza e le vene del collo gli pulsavano talmente tanto da spingerla a chiedersi come mai non fossero ancora scoppiate.
Direi che come conferma potrebbe bastare questo…
«Sì, Minho! Minho! Minho! Il maledetto Soggetto A7! Quel piccolo bastardo del tuo amichetto! Il Leader, o in qualsiasi altro modo tu preferisca chiamarlo!», strillò spazientito.
Erin cercò di rimanere impassibile, ma una parte di lei avrebbe voluto chiuderlo in quella stanza ed allontanarsi il più possibile. Aveva assistito a talmente tante delle sue sfuriate che ormai avrebbe dovuto essersi abituata, eppure non poteva fare a meno di aver paura delle sue urla, dell’ira che balenava nei suoi occhi… e del pensiero che potesse finire per metterle le mani attorno al collo da un momento all’altro.
«Ora se la starà sicuramente ridendo come un pazzo, quello schifosissimo pidocchio, ma ti assicuro che per stasera avrà finito di ridere!»
«Che cos’è successo?»
Quella semplice domanda sembrò far infuriare ancora di più Janson. Con uno scatto repentino la afferrò per un braccio, strattonandola con forza. «Che cos’è successo?! Che cos’è successo?! Proprio tu vieni a chiedermelo?!»
Erin deglutì, tentando di ignorare il dolore al braccio e di prepararsi psicologicamente ad un possibile assalto. Ormai sembrava inevitabile.
Essendo l’unica a far parte del Progetto d’Osservazione, anche lei era stata etichettata come “Soggetto particolarmente promettente”, ma le mancava qualcosa. E quel qualcosa era il principale motivo per cui l’Uomo Ratto non aveva mai osato alzare neanche un dito sul suo amico.
Minho era un ragazzo dal fisico asciutto ed atletico, grazie all’intenso allenamento a cui si sottoponeva tutti i giorni. Non era particolarmente grosso, ma non avrebbe avuto problemi a far mangiare la polvere a Janson.
Lei, invece era un altro paio di maniche.
Era esile, la natura non le aveva concesso una grande altezza e il passare quasi tutto il giorno seduta a fissare degli schermi non aveva di certo contribuito a renderla più forte e robusta.
Per non far atrofizzare i suoi muscoli – e anche per non impazzire a causa di tutta quella staticità forzata – faceva almeno un’ora e mezza di ginnastica ogni sera, ma non si allenava certo a combattere e quindi non era pronta per un eventuale scontro.
 Che cosa avrebbe dovuto fare? Cercare di liberarsi dalla sua presa e scappare via? E se non ce l’avesse fatta?
Detestava sentirsi così dannatamente vulnerabile, indifesa ed impotente e rimpianse amaramente di non aver mai chiesto a Minho di insegnarle qualche colpo o mossa che anche una “scricciolina come lei” potesse usare.
L’Uomo Ratto la strattonò ancora. «Proprio tu vieni a chiedermelo?!», ripeté, indignato. «Credi di poterla passare liscia così?»
«Signor Janson, se glielo chiedo è perché non ho idea di che cosa sia successo!», ribatté lei, cercando di mantenere la calma.
L’Uomo Ratto la guardò sprezzante. «E pensi che io ti creda? Dimmi subito dov’è!»
«Non lo so!»
«Non mentire!»
Le ci volle qualche secondo per assimilare quell’accusa, da quanto era assurda… ma non appena l’ebbe fatto, il sangue le andò alla testa e una scarica di adrenalina la attraversò da capo a piedi, facendola sentire come se fosse stata colpita da un fulmine.
Quelle due semplici parole avevano fatto scattare qualcosa in lei e in un attimo la rabbia e l’indignazione rimpiazzarono la paura. Si ritrovò a pensare che se l’uomo avesse cercato di aggredirla, lei avrebbe trovato il modo di farglielo rimpiangere. Magari, anzi quasi sicuramente, si sarebbe ritrovata piena di lividi o con qualche slogatura, ma se fosse riuscita a fargli anche soltanto un occhio nero li avrebbe accettati di buon grado.
Al diavolo il fisico minuto e la scarsa preparazione fisica, anche uno scricciolo, se voleva, era capace far male. Specialmente uno accusato di essere un bugiardo da chi respirava menzogne e si cibava di ipocrisia.
«Non sto mentendo!», gridò con tutto il fiato che aveva in gola. Divincolò con forza il braccio, riuscendo a liberarlo dalla stretta di Janson, e fece un ampio gesto per indicare la stanza. «Minho qui non c’è! Non c’è e lo sa perché? Perché non sono nemmeno le sei del mattino e una persona normale a quest’ora è nel suo letto che dorme beata e tranquilla!»
«Non era nella sua camera!», esclamò l’Uomo Ratto, con una punta di stupore per quella reazione inaspettata.
Erin non gli lasciò il tempo di aggiungere altro. «Oh! E allora sarebbe qui da me, vero? Beh, certo, ha ragione: se non volessi farmi trovare anch’io andrei dritta da uno dei miei migliori amici! È davvero un piano a prova di bomba, a nessuno come prima cosa verrebbe mai in mente di cercarmi lì!» Si interruppe un attimo per riprendere fiato.
Adesso, lo stupore dell’Uomo Ratto era decisamente aumentato.
Ma Erin non aveva ancora finito. Anzi, aveva appena cominciato.
«Bene, allora! Lo cerchi! Lo cerchi pure! Mi raccomando, guardi ovunque e faccia molta attenzione, come avrà sicuramente notato, ci sono così tanti posti in cui potersi nascondere! Se me lo permette vorrei darle un consiglio: si risparmi di guardare sotto il letto, visto che li ci sono le fate e folletti che sono venuti qui con me dall’Irlanda! Sa, purtroppo Minho non va molto d’accordo con loro. Ogni volta che si incontrano finiscono per litigare! Magari si trova in bagno! La mattina usa sempre le docce degli altri per lavarsi, pur di non sprecare troppo la sua! O forse potrebbe essersi nascosto dentro l’armadietto! Un ragazzo alto quanto lui e con un fisico come il suo non avrebbe di certo problemi a entrare in uno spazio in cui a malapena potrei entrare io!»
Si batté teatralmente una mano sulla fronte, come se all’improvviso avesse ricordato una cosa importantissima. «Oh, ma che stupida! Come diamine ho fatto a dimenticarlo?! Quando ci vuole entrare si trasforma sempre in un indumento, così per ambientarsi meglio! Ma certo, ma certo! È lì dentro!»
Si fermò di nuovo e in un attimo raggiunse l’armadietto. «Prego, venga pure a tirarlo fuori! Non mi guardi così! Lascio a lei l’onore, non vorrei mai toglierle questa soddisfazione! Tenga d’occhio i vestitini da bambina color glicine con il colletto ricamato, gli piace da morire assumere quella forma! Solo che lui ama le rose e quindi ci sono quelle ricamate sul colletto, non le violette! Lo so cosa sta pensando: è un abbinamento terribile, sono d’accordo con lei, ma avanti, le ho pure dato un indizio per smascherarlo, perché non viene qui?! Che cosa sta aspettando?! La conosce la differenza tra rose e violette, no?!»
Finalmente calò il silenzio, questa volta definitivamente.
Erin si accorse di avere il respiro affannato, il viso che le bruciava come se qualcuno l’avesse appena presa a schiaffi e le mani che le prudevano dalla voglia che aveva di sbatterle su quella faccia da roditore che Janson si ritrovava.
Sollevò con fierezza il mento, lanciando al suo interlocutore uno sguardo pieno di sfida.
E ora sentiamo che cos’hai da dire, forza!
Quest’ultimo era immobile come una statua di sale, totalmente sconvolto e frastornato da quel fiume di parole e dall’aggressività con la quale erano state pronunciate. Sembrava che non avesse la minima idea di come ribattere.
Piano piano, mentre il suo respiro tornava regolare, tutta la rabbia che l’aveva infiammata iniziò a scemare, lasciando di nuovo il posto al buon senso. E quando anche l’ultimo guizzo di quel fuoco fu definitivamente coperto dalla cenere della ragione e dell’autocontrollo, Erin riuscì di nuovo a pensare con lucidità… ma non poi era così sicura che la cosa le piacesse.
In un attimo, la consapevolezza di ciò che era appena successo la travolse come una vera e propria valanga. Avrebbe voluto prendersi a schiaffi. Non era stata capace di contenersi e aveva perso il controllo… no, dire che aveva “perso il controllo” sarebbe stato riduttivo.
Era esplosa.
Era letteralmente esplosa. E tutto per un’accusa. Una stupidissima accusa fatta dallo stupidissimo Uomo Ratto…
… lo stesso Uomo Ratto che – forse in maniera neanche troppo metaforica – teneva in mano la sua vita e a cui sarebbe bastato un attimo per stringere il pugno e… sgretolarla.
Un lungo brivido le corse lungo la schiena, facendola sentire minuscola e impotente. Adesso, l’idea che l’essere un Soggetto unico potesse salvarle la vita, oltre a evitarle eventuali pestaggi o punizioni fisiche, le sembrava più assurda che mai.
Passarono dei lunghi, lunghissimi istanti silenziosi. Infine, Erin notò con sgomento una strana e inquietante luce negli occhi dell’Uomo Ratto e, nonostante la paura crescente, cercò di fare mente locale e di prepararsi a fuggire dalle sue grinfie.
Janson aprì la bocca, prendendo fiato e preparandosi a scattare per sfogare su di lei la sua rabbia… e si immobilizzò subito dopo, come se fosse stato congelato sul posto. Passarono alcuni istanti e non si mosse neanche di un millimetro poi, sotto lo sguardo stupefatto di Erin, inspirò profondamente e si ricompose.
«Sembra che non sia qui», disse semplicemente. «So che non è tua abitudine ritardare, ma ti chiedo comunque di arrivare in orario.»
Erin lo osservò guardinga: le sembrava di stare avendo a che fare con Dr. Jekill e Mr. Hyde. Dopo quel repentino cambio d’umore sarebbe potuta arrivare un’altra esplosione.
«Sarò puntuale.»
Con la sveglia anticipata di quasi un’ora, vorrei vedere come potrei fare altrimenti…
L’Uomo Ratto annuì. «Perfetto.»
Erin non si mosse, mentre la sua mente ripercorreva ciò che era appena successo, come per convincersi che fosse vero.
«Un momento!», esclamò.
Janson si voltò a guardarla, sollevando un sopracciglio. Forse aveva parlato con un po’ troppo vigore, ma un particolare dettaglio di quei ricordi aveva avuto su di lei l’effetto di una secchiata d’acqua gelida.
«Cosa c’è?»
«State cercando Minho?»
La risposta fu uno sbuffo infastidito. «Mi sembra di avertelo già detto, Johanna.»
Erin ignorò quel tono così accomodante e cordiale e continuò a fissarlo, come a volergli far capire che quella risposta non le bastava.
L’Uomo Ratto sbuffò ancora, si girò completamente verso di lei e incrociò le braccia. Fece ognuno di questi gesti con tutta la calma possibile, irritando non poco la ragazza, che però si costrinse a rimanere immobile e a mantenere un’espressione neutrale. Dopo un sospiro, seguito da un’altra lunga ed estenuante pausa, quasi si divertisse a tenerla sulle spine, finalmente Janson le rispose. «Comunque sì, stiamo cercando Minho…» Si interruppe di nuovo, senza toglierle gli occhi di dosso nemmeno un istante. Quando parlò, non cercò nemmeno di nascondere il suo tono e la scintilla di soddisfazione che brillava nei suoi occhi. «Oggi è il suo grande giorno.»
Erin rimase impietrita, mentre un lungo brivido gelido le correva lungo la schiena.
Minho sarebbe stato mandato nel Labirinto. Un altro suo amico le sarebbe stato strappato e anche stavolta non ci sarebbe stata la minima garanzia di rivederlo vivo.
E non ebbe alcun bisogno di porgli la seconda domanda che le frullava nella mente: Janson era andato a cercarlo così presto semplicemente perché non vedeva l’ora di toglierselo di mezzo.
«Hai altro da chiedermi?», proseguì l’Uomo Ratto, palesemente compiaciuto del suo silenzio.
Sì, l’Inferno non ti manca nemmeno un po’?
«No», rispose, stringendo i pugni.
«Allora a dopo. Non fare tardi.», squittì l’altro e se ne andò chiudendosi la porta alle spalle.
Nella stanza ritornò il silenzio.
Erin si sedette stancamente sul letto, sentendosi come se tutte le forze le fossero improvvisamente venute a mancare. Ad ogni “grande giorno” il ricordo della separazione da Liam – che già non l’abbandonava nemmeno per un istante – si faceva più doloroso. La sofferenza “vecchia”, ma sempre costante, andava ad aggiungersi a quella nuova, facendole desiderare di essere lei a dover essere mandata nel Labirinto, così almeno il Filtro le avrebbe fatto dimenticare tutto.
Dio mio, la sofferenza d’amore mi sta rendendo patetica…
«Wow, Han, devo ricordarmi di non farti mai arrabbiare!»
Quella frase le fece fare un salto talmente grande che per poco non si ritrovò stomaco e cuore in gola. Recuperata in un attimo tutta l’energia, balzò in piedi, guardinga.
Ebbe bisogno di qualche istante per rendersi conto che quella voce la conosceva e che non c’era alcun bisogno di avere paura. E che veniva da dentro l’armadietto.
«… Minho…?»
«Proprio io: in stoffa e colletto con violette. Ci ho azzeccato stavolta?» Senza lasciarle il tempo di rispondere, l’anta dell’armadietto si aprì. Minho era in una posizione indescrivibile: talmente assurda che sembrava volesse fare concorrenza ad un contorsionista.
Erin sgranò gli occhi, completamente senza parole. Ma come diamine aveva fatto ad entrarci?!
Il ragazzo cominciò a muoversi per uscire, facendo traballare il suo nascondiglio. «Cavolo, non credevo ci potesse essere nulla di peggio che piegarsi come uno stendino per entrare qua dentro… non avevo ancora fatto i conti con l’uscire…» Finalmente riuscì a mettere fuori un braccio, poi una gamba e, piano piano, uscì fuori, facendosi scrocchiare tutte le ossa.
Erin sospirò e si rimise a sedere sul letto, lasciandosi sfuggire una risatina. Ormai si era abituata a quel genere di stranezze da parte di Minho. «Vediamo… da che domanda dovrei iniziare?»
Il ragazzo si massaggiò il collo. «Chiedermi come mai Dio ha dato solo a me un aspetto così meraviglioso anche se appena uscito da una piegatura da asse da stiro potrebbe essere un buon punto di partenza.»
«Un dono che ha pensato benissimo di abbinare alla tua modestia.»
«Ecco, chiedergli perché mi ha sommerso di qualità rendendomi motivo d’invidia per l’umanità intera mi sembra un ottimo modo di proseguire.»
La ragazza alzò gli occhi al soffitto. «Certo, come hanno fatto a non venire in mente a me?»
Minho si fece scrocchiare il collo. «Comunque sei stata davvero tosta», disse il ragazzo, con un misto di ammirazione e di divertimento negli occhi. «Sul serio, un altro po’ e l’Uomo Ratto te lo saresti mangiato! Brava, vedo che stai imparando.»
Erin ridacchiò nuovamente, sistemandosi a gambe incrociate, e chinò la testa, accompagnando il movimento con un gesto esagerato della mano, come in un cerimonioso inchino. «Grazie, ma in gran parte è anche merito suo: quell’uomo ha un talento naturale nel tirare fuori il peggio di me.»
Il giovane annuì con aria grave, incrociando le braccia. «Mi pesa, ma questo devo riconoscerglielo anch’io.»
Lei lo fissò sollevando un sopracciglio, divertita da quella finta concentrazione. «E dimmi un po’: Marthe dov’è?»
L’espressione di Minho a quella sua domanda sembrava suggerire che gli fosse appena caduto un macigno di ferro dritto in testa.
Erin gli sorrise, come a volergli dire “Sì, lo so benissimo che è qui”.
Invece di rispondere, il ragazzo si rivolse alla diretta interessata. «Marthe, vieni fuori: Sherlock Holmes, qui, ha già capito tutto.»
Subito dopo la porta del bagno si aprì, e ne uscì una ragazza con lunghi riccioli castani. Il suo volto era il ritratto dell’insoddisfazione. «Te l’avevo detto che se ne sarebbe accorta», rimproverò Minho, parlando con uno spiccato accento francese e piantandogli addosso i suoi grandi occhi verde bosco.
Il ragazzo si mordicchiò l’interno della guancia, evidentemente messo in imbarazzo dall’essere ripreso davanti a qualcuno. O dall’essere ripreso in generale.
«Dovevamo farci vedere allo stesso momento, non prima uno e poi l’altra. Persino un idiota ci arrivereb–» Subito, Marthe interruppe il suo rimbrotto e si voltò di scatto verso Erin. «… con questo non volevo assolutamente darti dell’idiota, Jeanne…»
«Ne t’en fais pas, Marthe, il n’y a pas de problème1», le rispose lei con un sorriso.
«Brava, il tuo accento sta migliorando», constatò l’altra con aria compiaciuta. Subito dopo lanciò un’occhiata a Minho, sospirando. «Passe comme lui… il est un désastre.2»
«Sì, certo, continuate pure a complottare in francese… e io me ne vado da Romy e mi metto a parlare in tedesco con lei», borbottò Minho, facendo il finto offeso.
Marthe lo fulminò con un’occhiata. «Oh, tu no che non ci vai da Romy… e poi di cosa ci vuoi parlare con lei se non spiccichi una parola di tedesco nemmeno a strappartela con le pinze? Se avessi voluto fare una cosa intelligente avresti fatto come Jeanne, che ha cercato di farsi insegnare più lingue possibili fin da subito… infatti lei il tedesco lo parla.»
Minho le fece la linguaccia. «Prima o poi la smetterai di avere sempre ragione», borbottò.
La francese sollevò le spalle e gli strizzò l’occhio, concludendo quel finto battibecco. «Non credo che vedremo mai quel giorno…»
«Scusatemi», si intromise Erin, divertita. «Se posso intromettermi tra moglie e marito, potreste dirmi che ci fate in camera mia a quest’ora?»
I loro volti si scurirono all’improvviso. I due ragazzi si lanciarono un’occhiata, come per consultarsi silenziosamente su chi dovesse risponderle. Alla fine fu Marthe a prendere la parola. «Volevamo salutarti, era chiaro come il sole che l’Uomo Ratto sarebbe venuto a prenderci prima degli altri», disse, con tono incredibilmente serio.
Fu come se le corde che sostenevano il sorriso di Erin si fossero recise all’improvviso. Non cercò nemmeno di nasconderlo.
«Te ne vai anche tu, Marthe…»
Non l’aveva chiesto, infatti nessuno dei due le rispose.
Altri due che se ne vanno…
Per diversi minuti regnò il silenzio. Erin non riusciva nemmeno a guardare in faccia i suoi amici. Aveva apprezzato il pensiero del volerla salutare, ma al tempo stesso desiderava che non l’avessero fatto: gli addii stavano diventando troppi e sempre più difficili.
Alla fine fu Minho a rompere il silenzio. «Andiamo ragazze, c’è un’atmosfera peggiore di quella che segue le battute di Thomas! Vedete di levarvi questi musi lunghi!»
Erin si voltò a guardarlo.
«Eddai, Han! Non guardarmi come se stessi assistendo al mio funerale, non è carino», riprese, facendo il finto offeso.
Marthe lo fulminò con un’occhiata. «Ottima scelta di parole, complimenti…»
Lei rimase in silenzio. Non riusciva a spiccicare mezza parola. Si era trincerata di nuovo dietro il suo silenzio.
«Jeanne, ci vorrà pochissimo… non faremo neanche in tempo a mancarti, giuro!», disse Marthe, posandole le mani sulle spalle e cercando di incoraggiarla.
Per un attimo, Erin la odiò. Questa è una stronzata e tu lo sai meglio di me.
Marthe capì che non era il caso di insistere e si scambiò un’occhiata con Minho. «Noi… noi andiamo.»
Lei non riuscì a far altro che annuire.
Si avviarono entrambi verso la porta e solo quando il ragazzo fece per aprirla Erin sembrò ritrovare la parola. «Fate attenzione.» Si lasciò sfuggire un piccolo sorriso quando i due si voltarono a guardarla. «L’ultima cosa che vorrei sentire è Janson che squittisce “Lo sapevo!”.»
«E tu vedi di mettere su un po’ di forme, così farai contento Newt quando tornerà», ribatté Minho, strizzandole l’occhio.
Marthe gli lanciò un’occhiataccia, sbuffando, poi andò ad abbracciarla. «Vuoi che lo uccida, Jeanne?», finse di sussurrarle all’orecchio per farsi sentire anche da lui. «Sono capace di farlo senza lasciare prove.»
«C’est un petit peu excessif, ma chérie3», cinguettò lui.
Lei e Marthe ridacchiarono, separandosi.
«Ci vediamo.»
La ragazza le sorrise e raggiunse Minho. «E comunque il tuo accento rimane pessimo.»
«Mai una soddisfazione», ribatté lui con fare melodrammatico, fingendosi ferito. Poi si rivolse a lei: «Fatti valere, Han, mi raccomando.»
Erin annuì e sollevò fieramente la testa. «Contaci.»
Minho premette il pannello sulla parete e, pochi istanti dopo, lui e Marthe se n’erano andati.
Di nuovo da sola.
Sospirò, sedendosi sul letto e abbracciandosi le ginocchia. Vi posò sopra la fronte e chiuse gli occhi. Si sentiva spossata.
 
Il trillo della sveglia la strappò bruscamente dal sonno in cui era caduta. Si rese conto di essere ancora in posizione fetale: doveva essere caduta su un fianco dopo essersi assopita. Si tirò su, leggermente intontita, e si stiracchiò.
Vide che l’armadietto era stato lasciato aperto e sbuffò. Si alzò per andare a richiuderlo, ma ad un tratto si fermò, convinta di aver calpestato qualcosa. Non vide nulla e si inginocchiò per guardare meglio. Era sicura di non esserselo immaginato.
E aveva ragione: a terra, a stento distinguibile dal resto del pavimento, c’era un minuscolo rettangolo bianco, più o meno della stessa dimensione dell’unghia del suo pollice. Corrugò le sopracciglia e lo prese delicatamente tra le dita per osservarlo meglio. Era sottilissimo.
Aveva tutta l’aria di essere una schedina di memoria. Questo dettaglio le snebbiò la mente, facendole dimenticare la stanchezza. Doveva essere caduto all’Uomo Ratto durante la sua sfuriata.
Lo rigirò più volte tra le dita e si scoprì a sorridere tra sé e sé: non sapeva ancora cosa ne avrebbe fatto, ma il Soggetto A0 non sarebbe rimasto nella sua camera quella notte.
 
 
Note:
 
1 – Non preoccuparti, Marthe, non c’è problema.
2 – Non come lui… è un disastro.
3 – È un pochino esagerato, mia cara.

Il mio francese è un po
 (un po tanto) arrugginito, scusatemi...
 
 
 
   
 
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