Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Astarter    15/09/2016    3 recensioni
Aggiornamento 28/11/2019!
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Quando fosse iniziata veramente con Jon, non lo capì mai, Sansa.
Nel percepire la sua indole di giustizia, lei aveva preso a detestarlo profondamente, ma non perché fosse Jon, il fratellastro che aveva sempre guardato con sdegno. Né perché ora regnasse sul castello che le spettava per diritto e successione. Non era quella la ragione.
Sansa anche se era restia ad ammetterlo lo odiava per quell'ingenuità che lui, a differenza sua, non aveva perso.
Bran era tornato a Grande Inverno, rivelando chi fosse in realtà Jon e lì quel giorno, qualcosa dentro Sansa si era liberato.
E c'era un'idea che le ronzava in mente, qualcosa che pareva la soluzione giusta a tutti i suoi timori.
Ci aveva pensato per giorni, settimane a cosa dirgli sedendosi sotto la chioma del grande albero cuore dalle foglie perennemente rosse. E alla fine era rientrata nel Bastione e l'aveva affrontato.
"Ma che stai dicendo? Tu se mia... " aveva sbottato Jon inorridito, senza però continuare, perché lei non era affatto sua sorella.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jon Snow, Sansa Stark
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Perchè lei? 

 

 


Sin da quando era solo una ragazzina, Sansa Stark era sempre stata ingenua e sognatrice.
All’età di otto anni si era innamorata dei fiori. Ne raccoglieva un mazzetto ogni giorno e con l’aiuto di sua madre li usava per abbellire la propria camera e a volte per creare ghirlande e decorare i suoi capelli.
L’anno dopo memorizzò quasi tutti i nomi dei germogli che crescevano nei campi sconfinati attorno a Grande Inverno. Ogni volta che i suoi fratelli giocavano lei era intenta a svolgere quell’attività.
«Non ti allontanare troppo» le diceva Ned Stark.
Quando compì dieci anni imparò a cucire senza mai più smettere. Ogni giorno si allenava e apprendeva le buone maniere, speranzosa di divenire un giorno una regina.
Sansa ascoltava le storie cantate dai menestrelli con aria incantata, confabulando con la sua migliore amica su ogni possibile sguardo rivolto a lei dai nobili che venivano a banchettare nel suo castello.
A dodici anni, Sansa fantasticava così tanto da sentire le continue prese in giro di sua sorella Arya che ogni volta andava a parlare male di lei con quel Bastardo del suo fratellastro, colui che era il frutto del tradimento di suo padre nei riguardi di sua madre.
Jon Snow.
Quando le si avvicinava non gli rivolgeva nemmeno la parola guardandolo con astio, facendolo sentire sempre di troppo.
In realtà forse non si sopportavano a vicenda, d'altronde lei che era così legata a sua madre non si sarebbe mai degnata di considerarlo un vero fratello.
La sua indifferenza era tutto ciò che poteva ottenere da lei.
Non c'era nient'altro che potesse meritare un Bastardo.
Gli anni erano trascorsi e poi lui, per suo sommo sollievo era andato via da Grande Inverno, salutando tutti i fratellastri, tranne lei, che nemmeno lo degnava di parola.

Sansa era partita per Approdo del re poco tempo dopo colma di aspettative, felice di poter stare al caldo, di poter avere la vita che sempre aveva immaginato.
Ma lì in mezzo a quei nobili, non aveva trovato un posto dorato e scintillante, ma solo insulti, disonore e lacrime. Suo padre era morto davanti ai suoi occhi, sua madre era stata massacrata assieme a suo fratello.
Sansa era stata per lungo tempo prigioniera di coloro che avevano dato l'ordine di sterminare la sua famiglia, subendo per anni le angherie di quel re sadico e vigliacco di Joffrey.
Solo per sopravvivere era stata costretta a sposare il folletto Lannister.
Tyrion così si chiamava il suo sposo, non la trattava male, ma lei non ne poteva più di quel mondo di falsità e di quel dolore che gli attanagliava lo stomaco.
Piangeva ogni giorno, Sansa. Il sole della capitale non la scaldava, e lei sentiva freddo...
...Freddo dentro.
I suoi sogni erano stati infranti e la sua vita era divenuta qualcosa di orribile e avvilente.

Qualche anno dopo essere stata tratta in salvo da Lord Baelish, marito di sua zia, si era affidata a lui, che l'aveva baciata, lasciandola sconcertata.
Non era passato molto tempo, che Dito Corto l'aveva donata ai Bolton, ovvero gli usurpatori del suo castello, finendo poi per divenire la sposa di un mostro.
Ramsay aveva dilaniato la sua anima e tutto ciò che le restava. E quando dopo mesi di soprusi e violenze era scappata con colui che aveva tradito suo fratello Robb, aveva raggiunto il suo fratellastro.
Jon dopo averla presa sotto la sua protezione, averla aiutata a riprendere il castello di famiglia ed essere stato eletto re dalle casate del Nord le era sempre stato al fianco, celando dietro una maschera di malinconia, tutto ciò che fino ad allora era stata la sua vita.
Qualcosa di vischioso cesellato da una sincerità e un affetto nei suoi confronti quasi sorprendente.
Nei mesi passati al suo fianco, Sansa lo aveva esaminato a fondo, rendendosi conto di quanto lui fosse un concentrato di altruismo e benevolenza.
Era diventato un uomo adulto, che di bastardo non aveva nulla.
I suoi occhi scuri le trasmettevano un’amarezza che conosceva fin troppo bene.

Quando fosse iniziata veramente con Jon, non lo capì mai, Sansa.
Nel percepire la sua indole di giustizia, lei aveva preso a detestarlo profondamente, ma non perché fosse Jon, il fratellastro che aveva sempre guardato con sdegno. Né perché ora regnasse nel castello che le spettava per diritto e successione. Non era quella la ragione.
Sansa - anche se era restia ad ammetterlo - lo odiava per quell'ingenuità che lui, a differenza sua, non aveva perso.
Bran era tornato a Grande Inverno, rivelando chi fosse in realtà Jon e lì quel giorno, qualcosa dentro Sansa si era liberato.
E c'era un'idea che le ronzava in mente, qualcosa che pareva la soluzione giusta a tutti i suoi timori.
Ci aveva pensato per giorni, settimane a cosa dirgli, sedendosi sotto la chioma del grande albero cuore dalle foglie perennemente rosse. E alla fine era rientrata nel Bastione e l'aveva affrontato, ponendo le carte sul tavolo, certa di non poter essere contraddetta. Suo fratello Bran che era ormai dedito alla causa del corvo a tre occhi, non aveva alcuna intenzione di governare, ma lei si. E se era vero che lui appartenesse per metà ai Targaryen, allora doveva validare la sua scelta davanti alle casate. E l'unico modo che aveva per poterlo fare era quello di sposare una Stark, di sposare sua cugina, di sposare lei.

"Ma che stai dicendo? Tu se mia... " aveva sbottato Jon inorridito, senza però continuare, perché lei non era affatto sua sorella.
"Jon devi ascoltarmi, sai che ho ragione, è tempo che tu dica chi sei e che dimostri la tua fedeltà al Nord. Non puoi celare il tuo vero nome, perché ci servirà per chiedere aiuto a questa regina."
"Ti rendi conto di cosa mi stai chiedendo? Io non riesco nemmeno ad immaginare di metterti le mani addosso " aveva replicato in tono alto, portando subito entrambe le mani sul volto e sbuffando.
"Non preoccuparti, perché il nostro sarà solo un matrimonio politico. E inoltre sotto quell'aspetto tu mi sei indifferente almeno quanto io lo sono per te."


Sansa gli aveva detto una mezza verità, senza nemmeno accennare alle altre ragioni che l'avevano spinta a fargli quella proposta, ossia i raggiri di Dito Corto, che per il momento aveva messo a tacere e al bisogno di sentirsi al sicuro.
Voleva reinventarsi una vita, e per farlo, era necessario che nessuno leggesse in lei il tormento, che nessuno avvertisse l’accozzaglia dei troppi bisogno che le si era incollata addosso.
Soprattutto Jon.
Voleva essere forte, aveva bisogno d’apparire tale.
Era andata via con il naso all'aria, con la fierezza che aveva imparato a dimostrare.
E alla fine lui dopo aver ascoltato anche il parere dei suoi fidati consiglieri, e persino quello di Bran, le aveva dato retta.

Dopo che la cerimonia venne effettuata, Jon e Sansa, come prevedeva l'etichetta, si erano trovati costretti a dividere il grande letto nuziale.
I primi giorni erano stati dannatamente imbarazzanti per entrambi.
In quel periodo per Sansa il solo averlo nella stessa stanza, nello stesso letto le scatenava un flusso continuo e confusionario di sensazioni, che non facevano altro che spaventarla.
Svelta si cambiava dietro l'anta dell'armadio, tornando con indosso la camicia da notte e sibilando infine un flebile e cupo: “buonanotte.”
C'erano momenti in cui il giovane re del Nord al solo pensiero di aver sposato davvero Sansa portava le mani nei capelli neri, incredulo.
Non sapeva quasi nulla sulle donne. Non poteva prendere in considerazione il legame con Arya, che sino a qualche mese addietro pensava fosse la sua sorellina.
Né poteva basarsi sulla storia avuta con Ygritte. Era rimasto così tanto turbato dall'averla vista spegnersi tra le sue braccia, che il solo pensiero di averne un'altra lo rendeva inquieto. Difatti poco tempo dopo aveva anche rifiutato le attenzioni della donna rossa.
E mai fino a qualche mese prima aveva pensato addirittura di finire per sposarsi.
Jon aveva mille domande senza risposte che gli vorticavano in testa, e l'unica cosa che poteva fare era quella di vivere quel cambiamento, accettandolo.
Ogni notte, quando si stendeva sotto le coperte, il profumo dei lunghi capelli di Sansa lo investiva, il suo respiro quieto lo cullava, agevolandogli il sonno.
Era sempre lui ad addormentarsi per primo. Se ne accorse una volta in particolare, quando dopo essersi alzato a notte fonda per bere dell'acqua, si era infilato nuovamente tra le coltri del suo giaciglio.
Era successo tutto velocemente, Sansa aveva cominciato a singhiozzare nel sonno, e dopodiché, prima di decidere di fare qualcosa aveva avvertito un fruscio sulle pellicce che gli ammantavano le spalle e una mano farsi strada tra di esse.
Lei s'era svegliata e la prima cosa che aveva fatto era stata quella di cercare lui, forse per accertarsi che non l'avesse lasciata da sola, che fosse ancora lì con lei.
Jon aveva sollevato le palpebre colmo di tenerezza, quando aveva percepito le sue dita tremanti posarsi sui suoi fianchi con delicatezza.
In quell'attimo, testimone silenzioso di quel gesto, aveva pensato che chissà quante altre volte fosse accaduto quel medesimo evento.


Il sole era sorto da un'ora, quando Jon - ormai del tutto rivestito - legava i suoi capelli, sentendo gli sbuffi e le lamentele della moglie che da quasi dieci minuti se ne stava dietro il separé di legno intenta a indossare l'abito del mattino.
«Sansa, tutto bene lì dietro? » le domandò placido, vedendola uscire da dietro quel mobile.
«E' difficile annodare i lacci di quest'abito bene» rispose, comparendogli davanti rossa in viso dallo sforzo.
«Non chiami le tue ancelle per farti aiutare?» Sansa gli disse di non averne bisogno e di nuovo tornò dietro il separé.


A volte Jon - senza nemmeno accorgersene - si ritrovava ad analizzarla, scorgendo in Sansa sempre più dettagli a cui mai aveva prestato attenzione.
Era una donna intelligente, e lui che nella vita aveva sempre pensato a combattere, s'era ritrovato - seppur ancora pieno di resistenze - ad ascoltare i discorsi riguardanti gli intrighi di corte che lei faceva.
Ogni volta che la sua regina gli raccontava dei raggiri subiti e della crudeltà dei membri delle casate restava basito. Sansa che a differenza sua aveva viaggiato ne aveva viste di tutti i colori, ed era stata umiliata e tradita in ogni modo.
Reduce di quei vissuti, lei gli dava consigli su consigli, cercando con fervore di convincerlo delle sue idee.

«Jon, pensi che essere diventato re del Nord ti renda incolume da ogni minima rappresaglia pensata contro di te? Ti illudi, allora!» la ragazza posò le mani sul banco ricolmo di scartoffie da leggere e timbrare. «Tu non hai la benché minima idea dei rischi che corri ora.»
«Sansa» mormorò, sollevando gli occhi dalle carte. «Abbiamo cose più serie di cui occuparci in questo momento.»
«Questo lo credi tu!» esclamò accigliata, camminando per tutta la stanza che il re usava per sbrigare la burocrazia.
«E quali sarebbero questi rischi, regina?» bofonchiò esasperato, reclinando la testa indietro.
«Se tu non cominci a darmi retta, noi potremmo non arrivarci all'arrivo degli Estranei, perché saremmo già nella Cripta di famiglia» incupì il tono, aggirando il tavolo e fissandolo.

Non era facile per lui starla a sentire, non facevano altro che battibeccare di continuo, alzando alle volte i toni. Sansa aveva un'opinione su tutto ormai, e della ragazzina sognatrice che lui ricordava, era rimasta solo l'essenza.
Dal canto suo Sansa aspirava ad essere considerata alla pari e non inferiore perché donna. Combattere con Jon per essere udita, a fine giornata la faceva sentire stanca mentalmente.
La strada era tutta in salita, ma le basi forse c'erano, ed era molto meglio avere un uomo sincero e leale come Jon al fianco, piuttosto che un bieco calcolatore egoista.

«Sansa preparati stanno arrivando i Glover a chiedere udienza» le disse un pomeriggio, entrando nella stanza e vedendola distesa di spalle sul letto. Si chiese se per caso non l'avesse sentito, o se stesse leggendo qualcosa, prima di raggiungere il lato su cui s'era voltata.
Non era così, era sopita. I capelli sparsi sul cuscino e le sopracciglia aggrottate.
Sognava, faceva incubi probabilmente.
Ogni notte, prima di serrare le palpebre e dormire, lui aveva preso l'abitudine di chiederle dei suoi timori così da esserle d'aiuto.
Ma Sansa che nei suoi occhi vedeva solo pena, come risposta gli rivolgeva un saluto cortese, dicendogli che stava bene e dandogli le spalle.

Jon si sedette sul letto, notando solo in quel momento il fremito presente sulle spalle della ragazza. Qualcosa che non aveva nulla a che fare con la temperatura. Aveva i pugni chiusi e contraeva le palpebre sempre di più...
Lei stava di nuovo male e in quel mondo onirico era da sola.
Protese la mano sul suo volto e le carezzò i setosi capelli rossi. Non riusciva a farne a meno, non poteva nemmeno pensare di non stare lì a calmarla.

Fece scorrere gli occhi sulla figura della ragazza.
Era bella, ma era anche fragile, magra. Aveva perso quell'ingenuità che da piccola la caratterizzava, e nonostante tutto era sempre lei a salvarlo.
L'aveva fatto, quando era arrivata a Castello Nero, gettandosi tra le sue braccia e dandogli speranza e uno scopo. Aveva fatto la medesima cosa durante la battaglia contro Ramsay, quando s'era rifiutato di seguire i suoi pareri. Era venuta in suo aiuto sostenendo il suo sguardo incerto, quando l'avevano proclamato re del Nord, regalandogli un flebile sorriso d'approvazione.

Quando la sentì gemere e farfugliare frasi spezzate avvertì l'urgenza di farla uscire dal suo incubo. E chinandosi in avanti le si avvicinò, lasciando tra i loro volti solo la distanza di un soffio.
«Svegliati» le disse, come un ordine vicino all'orecchio, facendole spalancare le palpebre.
Solo mezz'ora prima, era tornata in camera, lasciandolo parlare con Ser Davos, nemmeno sapeva d'essere crollata nel sonno.
«Jon» mugugnò, aspettando che la vista le si schiarisse, prima di rilevare la sua vicinanza e sentirsi agitata.
Gli occhi quasi neri di lui la scrutarono a lungo, come a volerle leggere dentro, notando un particolare che lo lasciò sorpreso.
«Da quando arrossisci se mi avvicino?» le mormorò con voce morbida, scostandole una ciocca di capelli dallo zigomo.
Lei schiuse le labbra e si toccò il viso con una mano, accorgendosi solo in quel momento dell’abbondante flusso di sangue che le riscaldava le guance.
«Devo essere indisposta, ho dormito senza coperte e prima di tornare in camera, sono uscita fuori senza mantello» si giustificò, stornando lo sguardo da lui.

Schiacciato dalle sue nuove responsabilità di regnante, Jon cominciò ad assentarsi sempre più spesso da Grande Inverno.
Non aveva tempo da perdere, doveva organizzare il suo esercito e riunire più alleati possibili per l'incombente guerra.

Jon parlava con i capi delle casate, compiva continui sopralluoghi del territorio assieme a ser Davos e una scorta di cavalieri a seguito.

Con un svolazzo del suo pesante mantello, a notte inoltrata, il re del Nord varcò i cancelli del suo Castello e percorse gli androni che l'avrebbero condotto alla sua camera patronale.
Senza alcun interesse strusciò lo sguardo sugli arazzi e gli stendardi illuminati dalla tenue luce dei candelabri.

Una sensazione di vuoto di manifestò nel suo addome al solo pensiero di dover condividere la camera con lei...
Qualcosa di simile all'abbandono...

E come l'immagine di un sogno il viso arrossato di Sansa si manifestò sulla sua retina, lasciandolo spiazzato.
Riflettendoci, dal giorno in cui l'aveva destata dal sonno, qualcosa era mutato, poiché lei aveva cominciato a comportarsi in modo strano, aveva iniziato a recitare un ruolo che la parte più nascosta di lui aveva cominciato a detestare...
Perché sebbene cercasse di celarlo a se stesso, quello che Jon non aveva previsto era che una parte di Sansa viveva già dentro di lui. E da lei prendeva vigore e voglia d'andare avanti.
Loro si somigliavano, e in Sansa aveva cominciato a scorgere qualcosa che lui cercava di celare a tutti, anche a se stesso con il suo istinto di sacrificio.

Ma non fece nemmeno in tempo a indagare a fondo quelle considerazioni, che un rumore di passi lo ridestò.
In fondo al corridoio, come ad esser saltata fuori dalla sua testa c'era proprio lei...
Contrasse un sopracciglio basito di vederla lì al gelo, domandandosi perché non fosse in camera.
I grandi spazi di Grande Inverno avevano subito ogni sorta di danni dagli usurpatori Bolton, alcuni corridoi non venivano riscaldati adeguatamente come un tempo, e quindi non era davvero saggio trattenersi dov'era lei in quel momento.

«Jon» la voce le uscì flebile e spezzata nel vederlo lì davanti a lei.
«Cosa fai qui?» la fissò, scorgendo i suoi occhi appannati. «Ti senti bene?» si avvicinò calmo, posandole la mano sullo zigomo che subito si colorò.
«Sto...Sto bene» evitò di incrociare ancora gli occhi di Jon che vedeva sfocato, non doveva crollare definitivamente. «Non preoccuparti» si diresse nella loro camera, prima che lui potesse ribattere.
A Jon, Sansa sembrava una lupa infreddolita sotto una bufera di neve, una bestiola bisognosa di cure. Ma ogni volta che lui provava a tenderle la mano per aiutarla, scappava.

Sansa si era sentita mancare, quando aveva visto Tormund tornare prima di lui, temendo che gli fosse accaduto qualcosa. Tuttavia, quando Jon s'era soffermato a guardarla, non ce l'aveva fatta nemmeno a dire una parola, sgomenta di mostrarsi troppo fragile ai suoi occhi.
Sapeva di aver fatto bene a proporre quelle nozze, perché in quel modo era riuscita a salvaguardarlo da eventuali ritorsioni, facendo la stessa cosa con se stessa, ma le cose erano cambiate per lei.
Jon e Bran erano gli unici familiari che le fossero rimasti. Ma per Jon, Sansa non provava un sentimento fraterno. Da qualche tempo una fiammella vibrante aveva cominciato a crescere nel suo animo. E il solo meditare di renderla visibile ai suoi occhi la inquietava. Aveva paura di un rifiuto, non voleva essere un peso, ne comportarsi da donna in cerca di conforto. Ormai ci aveva rinunciato ai suoi sogni. Gli accordi poi erano stati chiari tra loro.
Era stata lei a decidere di assumere quel ruolo, era diventata regina, ma non pensava di non riuscire più a gestire la cosa, non credeva che quella decisione l'avrebbe condotta a provare un simile strazio.
Esasperato, Jon inspirò con forza e la seguì nella camera patronale, non sapendo più cosa fare con lei.
Avrebbero dovuto affrontare forse la più grande guerra della storia, e Sansa con i suoi atteggiamenti enigmatici, non gli rendeva certo le cose facili.
Di sicuro s'era preoccupata, forse timorosa di non vederlo tornare, ma perché perseverare con quei comportamenti? Perché non dirlo?
Quando entrò anche lui in camera la vide infilarsi sotto le coperte.
Jon dopo essersi cambiato, soffiò sulle candele e si distese al suo fianco.
I raggi lunari che filtravano dalle grate della stanza, rivelarono qualche minuto dopo le spalle della giovane alla sua vista. Senza ulteriori indugi, Jon protese il braccio sotto le coperte così da avvicinarla, abbracciarla per darle conforto.
Azione che venne smorzata sul nascere da Sansa che ignara dei suoi pensieri, con voce incolore lo salutò mettendosi a distanza e assumendo una posizione fetale, come a volersi chiudere in se stessa, barricandosi ancora di più.

Jon prese un lungo respiro, cercando di domare le sue turbe interiori. Non sapeva più cosa fare, e più il tempo passava, più sentiva il buio che lei covava dentro. Faceva male, non riusciva a sopportarlo. Ma soprattutto non riusciva a sopportare quel rammarico che gli saliva addosso nel constare quanto Sansa si forzasse di fingere ancora, allontanandolo ogni giorno di più, togliendogli l'occasione di aiutarla.
L'aveva sposata, l'aveva accontenta e da quel giorno era cambiato tutto.
Avrebbe dovuto passare la vita a quel modo? Sarebbe stata un incubo.


Per diversi giorni Jon lasciò la questione in sospeso, non capendo quale fosse la cosa giusta da fare, almeno fino a che non ne ebbe abbastanza...
...Una notte in particolare, mentre a grandi falcate raggiungeva il piano che l'avrebbe condotto alla camera padronale, percepì come già diversi giorni prima era avvenuto una fragranza alla vaniglia nell'aria, che pareva fargli strada.
Sansa si annunciava prima con il suo odore, che con la sua presenza.
Si fermò, osservando i suoi movimenti.
Lei era di spalle, il suo vestito ardesia strusciava sul pavimento. Sospirava, si toccava i capelli racchiusi in una treccia, guardava attraverso l'intreccio delle grate della finestra ad arco.
A quel punto Jon, esausto di frenare ancora la sua frustrazione le si avvicinò e la prese per i fianchi, inchiodandola alla parete grigia.
Voleva che gli parlasse davvero e non per cortesia, voleva delle risposte e questa volta, non aveva alcuna intenzione di darle scappatoie.

«A che gioco stai giocando, Sansa?» la fissò, perforandola con i suoi occhi scuri.
«Di cosa parli?» ribatté, sentendosi agitata per quella vicinanza eccessiva.
«Perché sei di nuovo fuori dalla nostra camera a quest'ora? Dici che ti sono indifferente, ma ogni notte attendi che torni, per poi rivolgermi a stento la parola» le sfiorò le spalle, avvertendo il suo tremito.
«Lasciami andare.»
«Prima devi rispondermi» asserì risoluto.
«Altrimenti cosa mi succederà? Hai per caso intenzione di farmi del male anche tu?» domandò indurendo il tono.
Era sicura che dopo quella parola, lui sarebbe stato preda dei suoi soliti sensi di colpa, ma così non avvenne. Jon ormai sapeva come comportarsi, cosa la spaventasse e di lui, anche se non l’avrebbe mai ammesso, si fidava. Di lui non aveva paura.
«Sai che non lo farei mai» prese un lungo respiro, socchiudendo le palpebre. «Dimmi, ho per caso fatto qualcosa di sbagliato?»
Sansa prese un po’ di tempo per vagliare la situazione. Il suo cuore le diceva di lasciarsi andare e prendere le attenzioni che lui le stava dando, bisognoso di percepire il suo affetto, ma la sua testa le imponeva di assumere la sua solita postura rigida e fingere una pacatezza invernale, ponendo ancora le distanze, tutelandosi. Decise di seguire la testa, impaurita di dimostrare la sua fragilità.
«No, non hai fatto niente» niente, si ripeté, mordendosi il labbro inferiore.
«Cos'è che ti tormenta, Sansa? Sei stata tu a proporre questo matrimonio... » mormorò.
Era così vicino che Sansa avrebbe potuto contare tutte le ciglia lunghe e scure che gli orlavano le palpebre. Così vicino che avrebbe potuto descrivere, con estrema precisione, ogni sfumatura di quegli occhi carichi di un passato che l’avrebbe sempre seguito, qualcosa di cui lei nemmeno faceva parte.
«Il nostro matrimonio era qualcosa che andava fatto per il Nord» rispose, tornando ad indossare la sua maschera di gelo.
«E niente altro?» la fissò negli occhi, facendole aumentare i battiti cardiaci in una maniera tale da non poter sopportare.
Strinse le spalle al muro, sentendosi braccata più da quella domanda, che dalla sua posizione.
«No, niente altro» soffiò quasi con disperazione.
«Bugiarda» la giudicò, guardandola sollevare le palpebre.
«Non so nemmeno a cosa tu ti riferisca» il fantasma di un sorriso comparve sul viso di Jon a quelle parole.
Sansa intanto si divincolò superandolo.
Lui assottigliò le palpebre e d'istinto le agguantò il braccio, attirandola a sé e facendo cozzare le sue mani sul suo torace.
«Jon?» alzò il volto per protestare, deglutendo a vuoto nel scorgere qualcosa di diverso nello sguardo del ragazzo. Un baluginio che la fece sentire in imbarazzo. Tanto che come sempre più spesso accadeva distolse gli occhi da quelli di lui. Era troppo.
Jon le sollevò il viso fissandola negli occhi, facendo saltare il cuore nel petto della ragazza.
C'era qualcosa che lo costringeva a tenerla vicina, come un bisogno di stomaco. Il corpo traditore gli imponeva di agire.
Sansa si ritrovò a boccheggiare, quando lo vide protendersi verso di lei e sfiorarle le labbra con le sue, indagandole sempre di più la bocca, i denti, penetrando più intimamente di quanto avrebbe mai immaginato.
Quell'odore muschiato le inebriava i sensi, quelle ciocche di capelli ondulate e scure come inchiostro le facevano solletico sul collo.
S'era ritrovata semplicemente a rispondere al suo bacio con un trasporto straziante, con un bisogno opprimente, sentendosi semplicemente conquistata da lui. Le unghie affilate piantate nelle sue spalle.
Nessuno l'aveva mai baciata a quel modo.
Jon fece scorrere le mani sulla sua schiena.
Parevano sbranarsi e farsi a pezzi a vicenda.
Come se si fosse scottato, il re del Nord si staccò dalla regina, restando a pochi centimetri dal suo volto, così da vedere la sua espressione e voltarle successivamente le spalle, entrando nella loro camera.
Sansa si sfiorò le labbra con le dita, mentre lo guardava sparire dalla sua vista.
E in quell'attimo, lei poté solo ipotizzare come doveva essere apparsa agli occhi di Jon, quando s'era fermato per guardarla: accaldata, confusa, desiderosa, vinta...


 
   
 
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