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Autore: theGan    20/09/2016    2 recensioni
Quando Kojiro Hyuga aveva deciso di andare a trovare Genzo Wakabayashi in Germania, non aveva previsto Karl Heinz Schneider (GenzoxKarl)
Genere: Comico, Commedia, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Karl Heinz Schneider, Kojiro Hyuga/Mark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta
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Se aveste detto a Karl Heinz Schneider che un giorno lo strano ragazzo giapponese più bravo a fare a botte che a giocare a calcio sarebbe diventato parte fondamentale della sua felicità, probabilmente vi avrebbe creduto perché si sa: la vita è piena di misteri e possibilità.
Se però aveste aggiunto una descrizione dettagliata sui livelli di rincretinimento che l'amore sarebbe stato in grado di fargli raggiungere a quel punto, e solo a quel punto, vi avrebbe sbattuto la porta in faccia perché sarebbe stato comunque troppo signore per esprimere quello che realmente pensava di voi. Ma i fatti, ahimè, sono fatti e uno li può accettare o rimanerci strozzato. Che era un po' la sensazione che Karl Heinz Schneider stava provando in questo momento alla vista di Genzo Wakabayashi nudo. Ok, non nudo NUDO. Quasi. I boxer da che mondo è mondo non contano!
E tanti saluti al fatto di essere giapponese nel cuore e tutto quelle altre stronzate che sparava Wakabayashi o i giornalisti tedeschi. Avrebbe dovuto essere illegale per le persone alte un metro e novanta girare per casa senza maglietta.
“ .... e quindi gli ho detto di riprovare l'anno prossimo”
Ah cavolo stava parlando. Accidenti e ora lo fissava pure, Karl non aveva la più pallida idea di chi dovesse aspettare cosa ma anni da capitano di un gruppo di adolescenti pieni di ormoni prima e calciatori palestrati poi l'avevano preparato a affrontare questa e peggiori emergenze. Così rispose.
“Uh uh…”
Genzo continuava a fissarlo. Mannaggia.
“Sicuro che ti senti bene oggi?”
Maledizione voleva una risposta. Quindi, sì, si era perso un qualche tipo di discorso a cui era implicito Genzo volesse che prestasse attenzione. Karl lo guardò fisso negli occhi, di sicuro c’era un modo per uscirne senza fare la figura del pirla. La soluzione pareva a portata di mano, almeno fino a quando lo sguardo non gli andò a scivolare (per caso, è ovvio) sul torace di Wakabayashi dove i pettorali andavano su e giù al ritmo leggero del suo respiro. Ok, era quasi indecente. Karl contrasse gli occhi in una fessura sottile, ciao ciao concentrazione. Per sua fortuna Genzo lo interpretò come un momento di raccoglimento personale e fu il primo a sciogliere il ghiaccio.
“Forse sono stato un po’ brusco…”
Lo scampato pericolo e il conseguente sollievo uscirono dalle labbra di Karl con un “pf” sonoro che per sua sfortuna fu a sua volta equivocato in un moto di scherno.
“Perché, tu che avresti fatto?”
Sheisse!
“Probabilmente la stessa cosa..”
Lungo sospiro con espressione concentrata e assorta con aggiunta di sguardo che va a perdersi fuori dalla finestra verso l'infinito. A scuola era la sua mossa segreta antisgamo, brevettata e raffinata negli anni dall'uso con il mister della squadra pulcini dell'Amburgo. Imbattibile.
“Non hai sentito una mazza non è vero?!”
 Oh accidenti. La faccia di Genzo era una smorfia fatta di una risata trattenuta e sopracciglia sollevate. Adorabile.
“E' dalle medie che fai quella faccia lì quando non hai capito un cazzo”
 No, non adorabile. Scopabile. E date le ragioni di cui sopra: che l'amore rende ciechi, la libido poi non ne parliamo, Karl Heinz Schneider lo disse. A voce alta.
“Sei dannatamente scopabile”
E poi prese in prestito una delle più quotate strategie militari: dietro front e passo di corsa.
*
Kojiro Hyuga era soddisfatto di sé. Dopo un anno passato al Reggina, a scontrarsi sul campo con Shingo (e poi a seguirlo pedestremente per locali come suo personale guru della cucina italiana) e a lavorare sul suo problema di forma fisica, finalmente era pronto. Cioè era un vero juventino. Era cioè entrato, dopo un milione di problemi, esitazioni e dubbi nella crema del panorama calcistico europeo e era lì per restarci, tante grazie. La pausa invernale del campionato l’aveva trovato tra le montagne del Tirolo, che non erano “esattamente” vicinissime alla germanissima Monaco, ma Kojiro era bravo trovare scuse, specialmente con se stesso, e aveva deciso di coprire nel più breve tempo possibile quella “risibile” distanza.
Aveva un problema. Era un fatto. Aveva provato a ignorarlo, sperando che, in qualche modo, se ne andasse via da sé, ma era stato come cercare di non sentire quel sassolino che ti si infila nella scarpa: non fa proprio male, ma c’è. Rivolgersi a Tsubasa era fuori discussione. Quel ragazzo non aveva niente di umano. Cioè, un caro amico, certo, ma con la fastidiosa abitudine di vedere solo il lato migliore di ogni situazione, mentre il tarlo che gli aveva fatto cambiare due treni e un taxi, era proprio quella certa indulgenza al pessimismo estremo condivisa da circa il 90% delle persone sulla Terra (il restante 10% erano bambini, Tsubasa e gli scemi).
Wakabayashi non aveva parlato molto del suo cambio di residenza, ma quell’estate gli aveva spedito una cartolina col suo nuovo indirizzo (Kojiro era certo che simili missive fossero arrivate anche tra le mani di almeno Tsubasa, Morisaki, Taro e metà della nazionale giapponese). Non esattamente un invito a presentarsi a sorpresa davanti casa sua, ma vabbè. Kojiro lo aveva fatto abbastanza volte con Wakashimazu per non farsene più esattamente un problema.
La prima cosa (che era anche quella più evidente a dirla tutta) che saltò agli occhi di Kojiro, una volta arrivato, era che c'era un tedesco nudo in cortile. Ok, non nudo, NUDO. In mutande. Vabbè era lo stesso, nessuno, neanche un tedesco esce di casa in mutande a dicembre quando ci sono venti centimetri di neve per terra. Quello doveva essere un povero sfigato. Fiero della sua diagnosi, Kojiro inchiodò di colpo, sul volto un'espressione di puro orrore. Le ragioni erano due: la prima, il tedesco lo stava fissando, la seconda, era che (oh santa pupazzola con la maremma maiala) il tedesco era Karl Heinz Schneider.
*
Genzo si aggirava per casa come un orso in gabbia. Che diavolo era saltato in testa a Schneider di capottarsi fuori a quel modo, temeva forse che se lo mangiasse? Per una frase del genere, poi... Una cosa da niente, del tutto trascurabile. Wakabayashi si ricordava sparate decisamente peggiori uscite ai raduni della nazionale da gente irreprensibile e parzialmente sobria con l’unica colpa di aver dormito poco e male. Leggendarie erano le uscite di Tsubasa quando aveva uno o più bicchieri di sakè in corpo, lui e Misaki ne avevano fatto una raccolta personale in aggiornamento costante.
Ma Karl Heinz gestiva l’imbarazzo da schifo. Lo aveva imparato nel travagliato decorso di quell’amicizia decennale che l’aveva portato a raggiungere un’unica conclusione: Karl era un pirla. Tolta la maschera da capitano imperscrutabile e avuta indietro la propria famiglia, Schneider era rimasto soltanto Karl. Un tipo un po’ scostante, ma anche generoso e decisamente confusionario. Un tipo che non sa prendere un no come risposta e ti tartassa fino a quando non si fa come vuole lui e che però ti viene dietro fino in Cina per fare il tifo per te. E biondo. Quello rimaneva un dettaglio non secondario.
Ok, sì, Schneider era molto biondo e diversamente straordinario, ma a parte ciò, dove diavolo si era andato a cacciare? Era uscito dalla stanza sbattendo la porta. Il che di solito prevedeva a due minuti di distanza una disperata serie di botte sulla medesima (tum tum Wakabayashi tum tum) perché era rimasto chiuso fuori. Invece adesso era passato un quarto d’ora buono e di Schneider niente. Genzo aveva fatto in tempo a finire di vestirsi e elaborare una ventina di scenari apocalittici, 5 dei quali prevedevano la morte dolorosa e agonizzante del biondo. Una era il rapimento alieno. Mannaggia a lui.
Un rumore di voci lo colpì all'improvviso, le parole erano un ammasso incomprensibile di consonanti strascicate. Genzo di lingue ne sapeva tre, ma non era chissà che autorità in fatto di parlate straniere. Dall'alto della sua ignoranza avrebbe etichettato quella caciara come uno sconosciuto dialetto arabo e non ci avrebbe pensato più, se non che una di quelle voci era molto familiare. Estremamente familiare. Ok, era Karl. Il che aveva anche senso visto che il rumore proveniva dal cortile della palazzina. Che poi aveva pure nevicato quella notte ma si può sapere quanto uno poteva essere cretino a uscire in mutande? Va bene gli stereotipi sui biondi ma a tutto c'era un limite. Con passo marziale perfezionato da anni di tacchetti ai piedi e cretini di cui fare marmellata in campo, Genzo si diresse verso la camera dai più definita come "la landa di ogni orrore" perché Karl, aveva scoperto a sue speso dopo 6 mesi di coinquilinato, era schifosamente disordinato. O meglio: aveva un senso dell'ordine suo personale, probabilmente condiviso da una qualche intelligenza aliena. Genzo dribblò la pila di scatole del trasloco ancora intatta e il ventilatore a piantana (che accidenti ci faceva ancora fuori che avevano il riscaldamento a palla?) prelevò i primi indumenti capaci di sopravvivere alla prova naso e seguì le voci. Sì era Karl. Indubbiamente. Cosa stesse dicendo e con chi non era chiaro, ma tant'è. Sicuramente non un giornalista o un fan, a Karl veniva una voce di un tono più bassa,  professionale (e sexy) quando si trattava di loro. Forse la vicina.. quella col cocker pazzo che abbaiava a ogni ora del giorno e della notte. Effettivamente quella donna aveva una voce piuttosto mascolina e ciò spiegava anche quella certa familiarità che Genzo provava di istinto... Bhò ma in fondo che gli importava. Con piglio deciso spalancò la finestra e scaraventò i vestiti direttamente nel cortile. Che se li andasse a recuperare il pistola.
Kojiro sentì solo una voce, ebbe appena il tempo di pensare "Oh meno male Wakabay.." che gli piombò un paio di pantaloni in testa.
 
*
 
Kojiro Hyuga si sentiva protagonista di qualche assurdo scherzo cosmico. Poteva accettare di beccare il coinquilino del tuo “non-precisamente-amico” in mutande nella neve e andava bene pure parlarci per venti minuti buoni nella suddetta neve (anche perché si trattava sempre di Karl Heinz Schneider, migliore giocatore del campionato tedesco  per tre anni consecutivi… ci stava). Però beccarsi le cose in testa proprio no! Soprattutto perché tra una chiacchiera in inglese improbabile e l’altra, nella testa di Kojiro aveva iniziato a insinuarsi lo strisciante sospetto di essersi infilato nel bel mezzo di una lite di coppia, tipo quelle che capitavano tra Wakashimazu e il suo pettine.
Il buon senso suggeriva di tirarsi indietro, salutare, girare sui propri tacchi e tornare di filato da dove era venuto, dimenticando per sempre l’accaduto in un disperato tentativo di autoconservazione mentale. Però ormai si era messo in mezzo, anzi di testa, ragion per cui tirarsi indietro era, a questo punto, da vigliacchi. Nel frattempo Schneider aveva arpionato i pantaloni biascicando un “Shorry” che non si capiva fosse più per Wakabayashi, per i pantaloni non troppo puliti o per avergli staccato una ciocca di capelli nel tentativo di levarglieli di dosso.
“What the hell iz happenino”
Perchè se Kojiro era mai stato certo di qualche cosa, era che si meritava una spiegazione. Il volto di Schneider era contratto, quasi che così potesse strizzare meglio dal proprio cervello quelle poche parole di inglese in grado di riassumere al meglio le circostanze attuali.
“FUCK!”
Disse alla fine quasi urlando e quell’unica parola assumeva i contorni di un “Eureka”. Kojiro aggrottò entrambe le sopracciglia, lui non c’era arrivato. Shneider non tardò con i chiarimenti.
“Ich said Genzo wanna fuck”
Il volto di Kojiro perse ogni traccia rimasta di colore.
 
*
 
L'urlo albino proveniente dal piano inferiore portò Genzo a raggiungere due conclusioni: la prima, aveva beccato qualche disgraziato in testa, la seconda, sfortunatamente quel disgraziato non era Karl. Che poi chissà che male: un paio di pantaloni da neanche dieci metri di altezza... insomma, manco avevano una cintura o la cerniera, erano proprio dei normalissimi pantaloni da ginnastica, quante scene. Quindi meditando su chi potesse essere mai tanto scamorza da urlare come un gatto messo a mollo nell'acquaragia, Genzo, infine, riconobbe la voce. Kojiro Hyuga.
Che cazzo ci faceva Kojiro Hyuga in Germania? Nah non era possibile... Per puro scrupolo Genzo si affacciò alla finestra. Oh cazzo, sì. Ma che cazzo ci faceva Kojiro Hyuga in Germania?! E porca puttana gli aveva lanciato i pantaloni (quelli viola con il filo verde acido che aveva comprato Maria probabilmente per fargli dispetto) di Karl in testa. OK. Nessun problema. Ora erano amici, giusto? Giusto? E cos'erano mai dei capi disparati di abbigliamento lanciati in testa a un amico. Karl, dopotutto, con lui lo faceva sempre. Deliberato sul punto che la situazione era, in fin dei conti, perfettamente normale e che, anzi, trascendeva nel goliardico, Genzo mise fuori la testa per salutare. Lo investì la voce di Karl. CAZZO STAVA A DIRE STO PIRLA AL NEMICO?!
*
Kojiro stava sudando le proverbiali sette magliette nel vano tentativo di cavarsi da quell'impaccio in cui si era, più o meno volontariamente, ficcato. La sua giornata però subì un notevole miglioramento quando si accorse della faccia di Genzo alla finestra. E, badate, non lo stesso sollievo di quando i pantaloni gli erano piovuti in testa. No, adesso la faccia di Genzo esprimeva tutto un caleidoscopio di emozioni: rabbia (ok ma lui era sempre con il grugno incazzato manco gli avessero rubato la merenda), sconcerto (che però ci stava visto che c’era un tedesco seminudo nel suo cortile) e poi un'altra cosa indefinibile che Kojiro, dopo una breve esitazione, non ebbe altra scelta che catalogare come paura. Da che ricordasse, Kojiro non aveva mai visto Genzo spaventato. Nemmeno quando gli faceva le entrate a tacchetti tesi o lo mandava contro il palo di testa (ah bei tempi in cui il calcio era una cosa seria, senza un arbitro che fischiava ogni tre per due!). Eppure sì quella non poteva essere altro che paura. Ma di cosa esattamente?
Il pensiero non fece neanche in tempo a solidificarsi tra un neurone e l’altro, perché in quel momento Wakabayashi contrasse la mascella e proruppe nel più bel "KARL HEINZ SCHNEIDER!!!" della sua carriera. Roba da far venire i sorci verdi a mister Kira. A Kojiro si drizzarono tutti i peli del collo e, nonostante avesse abbastanza giudizio da realizzare di non essere lui l’oggetto di tanta ira, ebbe l’irrazionale impulso di mettersi al riparo. Fu quindi con una certa trepidazione mista a un sano terrore che si girò a guardare la reazione di Schneider.
Karl Heinz, le mani infilate nelle tasche della giacca caduta in venti centimetri di neve marrone, alzò la testa verso la finestra e con una noncuranza troppo fuori luogo si esibì nel più rilassato.
 "Ja?"
*
E lo guardava pure come se niente fosse ‘sto fesso. Ma che cazzo. La faccia di Karl non tradiva alcuna emozione. Il cervello di Genzo assestò un paio di calci al suo buonsenso, facendo evaporare parte di quella nebulosa furia cieca che gli si era accumulata tra un orecchio e l'altro (dicesi imbarazzo). Ok, era calmo. Perchè era così calmo? Karl lo guardava interrogativo, un sopracciglio inclinato. Ok, era calmo, perché Schneider era calmo. Ciò significava una sola cosa: forse aveva capito male lui. Anzi no, magari aveva capito pure bene, ma Karl, bravo calciatore e essere umano alquanto discreto, non sapeva spiccicare una parola in inglese manco sotto tortura, quindi forse, ma solo forse... E poi tra Schneider e le sue orecchie ci stavano un piano, una finestra e magari pure il vento. Karl continuava a fissarlo. No, no. Aveva capito male lui. Problema risolto. Perfetto. Alla sua giornata non serviva altro che un equivoco con Kojiro Hyuga per cominciare al meglio. Genzo esalò un lungo respiro, colorando l'aria attorno di un bianco appannato. "Fa freddo vieni dentro e scusati con Hyuga per averlo fatto aspettare".
Ovviamente riferito in tedesco, perché va bene l'educazione ma scusarli lui, personalmente, con Hyuga, ah no. Questo mai.
*
Karl scrollò le spalle e si voltò verso di lui, gli occhi chiusi in una fessura sottile che non lasciava trapelare alcun sentimento. Per un folle momento, Kojiro fu certo che Wakabayashi avesse comunicato al crucco una qualche frase in codice dal significato inequivocabile: non lasciare testimoni. Ma fu giusto un attimo, il tempo di ricordare che: 1) Genzo non avrebbe mai delegato a altri, ma sarebbe sceso lui stesso a terminare il lavoro, 2) quella era più o meno la solita faccia di Karl Heinz Schenider, specialmente se stava cercando di dire qualcosa in una lingua al di fuori del tedesco (e in questo aveva tutta la sua simpatia personale, perché era la stessa che faceva lui ogni volta che provava a spiccicare qualcosa in italiano). Kojiro sorrise, colto da uno strano sentimento di indulgenza e da quella solidarietà molto virile, virilissima che può provare solo un calciatore nei confronti di un altro.
Il tedesco sembrò sul punto di dire qualcosa, poi scosse la testa e se ne uscì con un generico “Up!” a cui accompagnò un gesto utile a indicare la casa dietro di loro. Non ci volle molto a Kojiro per intuire che , sì, finalmente: stava iniziando a intendersi con Schneider. Con un vigoroso cenno di assenso lo seguì verso il portone e poi su per le scale fino alla soglia di quello che doveva essere il loro appartamento. Quando entrarono (Karl sciabattando con noncuranza e Kojiro solo dopo essersi rigorosamente tolto le scarpe) la prima cosa che lo colpì fu l’odore avvolgente del thè provenire dalla cucina.
*
Schneider invece si inchiodò di botto in mezzo al corridoio con un senso orribile di disagio: come mai era tutto così pulito e ordinato? Perché c’era un odore così invitante dalla cucina (vabbè che il giorno prima aveva preparato dei biscotti, ma era naturale che il thè avesse un aroma così intenso?) Ma soprattutto, dove accidenti erano finite le sue dodici paia di scarpe spaiate? La conclusione poteva essere una sola: avevano sbagliato casa.  In quel momento la testa di Wakabayashi spuntò dalla porta della cucina.
“Ehilà Kojiro, cazzo ci fai in Germania?”
Il saluto ovviamente era in giapponese e a quello seguì uno scambio fitto fitto di battute, che forse erano più convenevoli che altro, di cui Karl non capì una cippa anche perché in quel momento il suo cervello era distratto da un pensiero decisamente più interessante. Come cazzo aveva fatto Wakabayashi a sistemare la casa in tre minuti?
Ma la mente vulcanica del Kaiser di Germania non poteva lasciarsi distrarre a lungo da una simile questione (del tutto risolvibile, tra l’altro, dall’assioma “perché Wakabayashi è Wakabayashi”) e ben presto una domanda molto più centrale prese a farsi spazio nella sua mente: perché accidenti si era preso la briga di farlo?
In quel preciso momento Kojiro scoppiò a ridere per qualche cosa detto da Genzo e subito si congelò, trafitto da parte a parte da uno sguardo di puro odio dall’unico, evidente, significato: “giù le mani dal mio orsetto”.
*
“Karl... le scarpe”
Genzo avrebbe tanto voluto dire le ciabatte, ma onestamente quelle "cose" a forma di coniglio e ora pure bagnate che stavano ai piedi dell'uomo che era stato definito il mese scorso "il calciatore più sexy di Germania" (alla facciaccia tua Shuster) gli davano una certa fitta al cuore. Specialmente quando allargavano sul pavimento chiazze d'acqua nera. Kojiro intanto lo guardava, anzi guardava Karl con una certa apprensione. Con un sospiro Genzo tornò dal suo ospite.
 “Ti recupero un paio di ciabatte”
*
Kojiro avrebbe tanto voluto dire “ti prego non lasciarmi solo con questo qui”. Poiché, tuttavia, aveva ancora il suo orgoglio e tutto il resto, si limitò a una espressione terrorizzata e a lasciarlo sottointeso.
*
Genzo si bloccò all’istante. Perché accidenti di un diavolo Hyuga aveva messo su quella faccia da pirla? Se avesse avuto una macchina fotografica e la voglia di dare fastidio c’era di che ricattarlo a vita. Ok, forse non c’era tanto da ridere, Hyuga sembrava… spaventato? In effetti sentiva anche lui una sorta di brivido, no meglio, una specie di onda di negatività ammorbare l’aria. Seguendola a ritroso trovò la faccia di Karl Heinz Schneider.
“Karl!”
Il tedesco ebbe un leggero sussulto, praticamente invisibile a un occhio meno allenato. Il sentimento di oppressione sparì di colpo. Chissà a cosa diavolo stava pensando.
“Karl…” ripetè Genzo, questa volta più dolcemente “Perché non stai fermo che ti vado a prendere un paio di ciabatte e intanto non cerchi di capire perché Hyuga è qui e quanto si trattiene?”.
Si era rivolto a lui in tedesco e infatti Kojiro si limitò a arricciare la punta del naso al suono del suo nome. Bene, ora Genzo poteva lasciare quei due pirla da soli per cinque minuti senza temere di trovarne uno morto al suo ritorno. Per sicurezza, però, si sbrigò a raggiungere la sfortunata cabina armadio dove tutto, nel tentativo di salvare le apparenze e la sua sanità mentale, era stato stipato a una velocità supersonica. Curioso, pensò intanto. Davvero curioso il legame che sembrava sussistere tra l’aura omicida di Karl e la presenza di un altro uomo in sala.
*
Lasciati soli i due migliori bomber del campionato europeo restarono a fissarsi le punte dei piedi senza riuscire a spiccicare parola. Alla fine, proprio quando l’inconfondibile sagoma di Wakabayashi appariva dal corridoio, Karl si voltò verso Kojiro e disse in un inglese, per una volta, quasi impeccabile.
“When you go away”
La cortesia, si sa, non è tipicamente tedesca.
*
Fortunatamente per Schneider nè Wakabayashi nè Hyuga erano quegli sfolgoranti esempi di educazione a loro volta. Così Kojiro si limitò a scrollare le spalle e a rispondere un secco:
“A cuppore of a days”
Che poteva dire "ho ammazzato io il cappone" o anche "a couple of days". Miracolosamente il messaggio passò. Forse merito di quel feeling misterioso che esiste tra persone il cui obbiettivo personale è o è stato tirare pallonate così assurde da costringere il portiere a scansarsi (invece che di fare come ogni altra persona ragionevole e mirare ai posti in cui il portiere al momento non è).
“Piglia”
Le ciabatte lanciate da Wakabayashi erano, per sua fortuna, prive di buffi animaletti pelosi, ma quando provò a indossarle, Kojiro le trovò due barche in cui navigare. Genzo intuì il problema e scrollò il capo.
“Sono mie... quelle che vanno bene a Karl non le vorresti...”
Kojiro gli credette sulla parola.
*
Non ci fu bisogno di tanti convenevoli per farli sedere attorno allo stretto tavolo della cucina per un the e biscotti. L’unico inconveniente a quell’idillico quadretto era che, ovviamente, Hyuga non sapeva che quella delicata pasticceria semibruciata era opera di Karl e Genzo non sembrava intenzionato a chiarire la cosa. O forse l’aveva fatto e in quel caso l’altro giapponese era pure un bell’esempio di cortesia nipponica a non fare complimenti prima di sbafarseli a quattro palmenti.
L’oggetto del personale disappunto di Schneider intanto era completamente preso a intrattenere Wakabayashi in una sorta di monologo sulla follia del calciomercato italiano. Discussione in cui Karl risultava evidentemente tagliato fuori dall’impossibilità del portiere di tradurre per lui ogni cosa. Ma in fondo non era importante, anzi era anche piacevole sentire Genzo parlare in giapponese. C’era una scioltezza, una musicalità che mancava totalmente rispetto al suo tedesco. Era una di quelle cose che ricordavano a Karl che anche dopo undici anni di residenza, per Wakabayashi casa era ancora un arcipelago di isole lungo la costa dell’Asia.
Genzo sorrideva storto, con quel ghigno che poteva solo dire che se n’era appena uscito con una frase o molto intelligente o molto bastarda e a Karl qualsiasi recriminazione sul cibo, sull’educazione o sugli amici giapponesi che si presentano a casa altrui senza invito, sparì di colpo dal cervello. Si allungò a prendere un biscotto… e la sua mano colpì l’aria. O meglio, colpì il piatto vuoto che ci stava sotto.
Rumorosamente.
Wakabayashi e Hyuga si voltarono verso di lui. Accidenti. Non era così che voleva finire al centro dell’attenzione. Manovra evasiva.
"He'z rrrgght"
Avere a che fare con giornalisti e un pubblico famelico di sapere la sua opinione su praticamente qualsiasi stronzata, aveva temprato Schneider portandolo a sviluppare una grande massima: se sei in dubbio su cosa dire, dai torto o ragione a qualcuno.
*
Gli occhi di Kojiro erano due piattini da thè, un po’ per l’insieme di consonanti sparate a caso, un po’ per il non sequitur. Chiaramente Karl Heinz Schneider era uno shock culturale a se stante. Genzo scoppiò a ridere.
"E' perchè gli abbiamo finito i biscotti"
Metti anche caso che Kojiro avesse deciso di imparare il tedesco, era certo che avrebbe comunque avuto bisogno di un traduttore per interagire con Schneider.
"Sorry?"
Non era certo del motivo per cui se la fosse presa tanto, ma un po’ di sana cautela non guastava. Schneider annuì, si alzò e, senza dire altro, sparì dalla cucina. Strano, non lo faceva così permalosetto.
"Non se l’è presa... è che a quest’ora va’ a farsi la doccia"
 Ah ecco. Sì ci voleva un traduttore.
"Potrebbe tirarsela di meno"
"Tu gli hai fottutto la colazione" touchè “E poi credo che si sentisse di troppo…”
Pigramente iniziò a diffondersi nella cucina il rumore dell'acqua infranta sulla ceramica. O le pareti erano di cartongesso o Schneider non aveva chiuso la porta. L'espressione scocciata, ma anche affezionata di Wakabayashi gli suggerì la seconda e gli confermò alcuni suoi sospetti. Ma tanto non erano affari suoi. Certo che però...
“Hyuga, basta con le stronzate. Perchè sei venuto qui?"
*
 
Voleva un favore, di questo Genzo era quasi completamente sicuro e doveva essere qualcosa di grosso. Altrimenti, scusa, cosa diavolo gliel’avrebbe fatto fare a Kojiro Hyuga (avete presente, no? Abbronzato, irascibile, violento quando incapace di esprimersi a parole e cioè praticamente sempre? Sì, lui). Dicevamo, cosa gliel’avrebbe fatto fare a Kojiro Hyuga di trascinarsi fin lì a uno sputo dalla Vigilia di Natale. D’accordo che Torino era praticamente dietro l’angolo se paragonata al Giappone, ma comunque ci stava un bel pezzo di strada.
“Hyuga, basta con le stronzate. Perchè sei venuto qui?"
Diretto, pam! Brutale come una delle sue rimesse.
“Ecco… sì, e che diavolo! Mi serve un favore”
Oh. E ti pareva. Un altro. Ma perché i casi umani dovevano sempre fare affidamento su di lui? Morisaki, da quando aveva scoperto Skype, lo teneva incollato per ore allo schermo per lamentarsi del proprio mister, per non parlare del resto del vecchio team Shutetsu. Bhè erano carini in fondo, e lui personalmente poteva aver innocentemente alimentato la cosa un paio di volte. Ok. Svariate volte. Poche palle: gli piaceva sentirsi indispensabile. Lo aiutava a prendere coscienza del fatto che in realtà non lo era per niente.
Autocommiserazioni varie a parte, Hyuga non era certo Izawa o Kisugi o Taki. Con lui poteva permettersi anche di fare un po’ lo stronzo. Incrociò le braccia sul petto e si preparò a sganciare una battuta mordace, poi Hyuga gli piantò negli occhi una faccia da tigre bastonata, che no… non poteva. Con un sospiro Genzo abbandonò ogni proposito di vendetta e si mise il cuore in pace: qualsiasi cosa Hyuga volesse da lui, e che cazzo, avrebbe fatto i salti mortali per dargliela.
“Ecco…” inciampò l’altro. “Non è che… ti posso, tipo, chiamare di tanto in tanto?” Una pausa. “Per parlare intendo!”
Oh. E questo che cazzo gli stava a significare?
“In che… senso?”
Hyuga si ingobbì ancora di più su se stesso, come se ogni parola fosse l’estrazione di un dente cariato. Ma che minchia stava succedendo? Aveva la mezza intenzione di tornare a letto e di archiviare quella giornata come un curioso delirio a occhi aperti.
“E’ che… ecco. Adesso c’è la Juventus, la serie A, la Champions… i giornalisti… insomma…”
I neuroni di Genzo cozzarono violentemente l’uno sull’altro e fu come se nel cervello si fosse accesa la proverbiale lampadina.
“Kojiro Hyuga mi stai chiedendo di essere il tuo senpai?!”
 
La faccia fatta da Hyuga era una di quelle cose che non avrebbero abbandonato Genzo molto presto.
 
 
 
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Brevissima nota dell’autrice
Questa storia nasce da un roleplay a più voci tra me e mia sorella. L’originale era un insieme piuttosto grezzo che ha subito da parte mia un lavoro di pesante editing (naturalmente pubblico col pieno consenso dell’altra persona). Spero di essere riuscita a armonizzare i numerosi “salti” presenti in originale.
La storia si ambienta nel periodo che intercorre tra il “Golden 23” e la one-shot dove vediamo Wakabayashi in compagnia di Schneider, entrambi con la maglietta del Bayern Monaco.
 

 
  
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