Abbandoni i tuoi respiri spezzati nei miei palmi freddi, con le lacrime ruvide di chi ha dimenticato perché vive.
Mi guardi con i tuoi occhi bui, e mi domandi se l'amore nasce con le margherite, e perché, alla nostra margherita, ho strappato tutti i petali.
Ed io non so dire altro, se non che è stato uno sbaglio, e che li ho gettati in terra, morbidi, i nostri petali, e calpestati con gli anfibi, per errore.
Ma tu ribatti che saresti stato il mio fiore preferito, se non ti avessi sbranato anche lo stelo.
Saresti stato tutti i miei tramonti e tutta la mia pioggia, e il mio Cristo personale.
Io gratto via dal muro la vernice rossa.
E sono il tuo palo di tortura, e i tuoi chiodi nelle mani, e le spine nella carne, e il sangue caldo e buono che ti cola tra i capelli.
Io sono il tuo Dio.
Tu sei mio.
Come le Barbie senza testa e nude, come i gattini assassinati nella vasca.
E massacrato, e maciullato, e dilaniato, ti sacrificherai per il mio divertimento.
Ti darai fuoco al viso con il cherosene, i fiammiferi accesi nella bocca.
Ti immolerai sul mio altare, e ti assaggerò la gola, e con il tuo cuore infranto tesserò la mia pelle bianca e le mie dita.
E vivrai per me. E morirai per me.
Ma io no.
Io no.
Io appassirò. E null'altro.