Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: dream_more_sleep_less    30/09/2016    1 recensioni
A diciotto anni non si sa mai esattamente cosa si voglia dalla vita, né chi si voglia diventare. Si passa il tempo a porsi domande accompagnate da porte in faccia, e rimaniamo indecisi fino all'ultimo. Leeroy invece è cresciuto con la convinzione di poter diventare esattamente ciò che vuole: un calciatore. Non ha mai voluto altro e non ha mai sognato altro. Gli studi non fanno per lui. La sua presunzione lo porta a distruggere i sogni della squadra del suo liceo proprio alla finale di campionato. Ha deluso soprattutto i compagni che stanno ormai per diplomarsi. Per loro non ci sarà un'altra possibilità, sono arrivati all'ultimo giro di giostra. Alla fine scenderanno da vincitori o da perdenti. Dipenderà tutto da Leeroy, che dovrà riuscire a mettere le redini al suo ego per andare d'accordo con il portiere. Secondo lui, Lance è la vera causa della loro sconfitta.Troppo calmo, troppo sicuro di sé. Ma il loro rapporto dovrà cambiare per permettere ad entrambi e al resto della squadra di guadagnarsi il titolo di campioni. { In corso }
Genere: Commedia, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

The last chance

XXV
 


Jack guardò perplesso le tre tazze di cappuccino che Lance aveva poggiato sul bancone. Aggrottò le sopracciglia prima di aprir bocca. "Che è 'sta roba?"

Il giovane lo guardò senza capire. "Cosa?"

Il  titolare prese le tazze senza rispondere, sparendo nella folla dellasala. Quella mattina il locale era pieno più del solito, in quanto l'altro cafè al di là della strada aveva pensato bene di fare una settimana di vacanza, così si erano ritrovati a servire il doppio dei clienti di sempre. Jack tornò poco dopo, appoggiando il vassoio sul bancone.

"Si può sapere che hai? Sembravano bolle di sapone più che schiuma," disse, riferendosi ai cappuccini.

Lance sembrava non ascoltarlo mentre montava il latte per fare una cioccolata calda. Non riusciva a smettere di pensare a cosa fosse successo quella sera al pub. Gli sembrava di essersi immaginato tutto. Doveva aveva avuto la testa? Eppure per un momento, quando si erano guardati negli occhi, era stato sicuro che anche l'altro volesse la stessa cosa. Si era immaginato tutto? Non le labbra di Lee. Ne aveva ancora il sapore sulle sue e si era scoperto ad inumidirsele solo per ritrovare quel gusto, quella sensazione.

"Idiota," disse tra sé e sé, mentre il latte bollente usciva dal bricco d'acciaio, bagnando la macchina del caffè ed ustionandogli le dita.

"Lance, basta. Esci, faccio io le bevande. Fumati una sigaretta, per l'amor di Dio."

"Non serve."

"Vai sul retro, subito."

Appena arrivò l'ora di calma piatta al locale, Jack pensò bene di scambiare quattro chiacchiere con il suo cameriere. Non voleva sbatterlo fuori, ma voleva sapere se la sua "luna storta" era temporanea o meno. Aveva la testa sempre tra le nuvole.

"Questa scena mi sembra di averla già vista," disse il ragazzo.

"E la rivedrai ancora se continua così," rispose a tono il titolare. Non lo avrebbe sgridato, non era da lui. "La situazione è peggiorata?" domandò serio.

Lance rimase per un momento interdetto. "N-no," balbettò per un momento. "Un po' è migliorata da quando mia sorella è tornata,anche se non sono rose e fiori."

"Allora qual è il problema?" domandò ancora l'uomo, accendendosi la sigaretta e porgendone una al portiere.

"È tutto a posto, credo. Cioè, no" prese un respiro profondo. "Credo di aver fatto una puttanata e non riesco a ragionare a mente lucida."

L'uomo lo guardò preoccupato. "Che tipo di puttanata?"

Lance quasi non credette alle parole che gli uscirono dalla bocca. "Ho baciato il mio compagno di squadra. Questo tipo di puttanata! E lui non sa che sono gay e so che lui non lo è, e non so perché cazzo si sia lasciato baciare. E probabilmente dovrò mollare la squadra e mandare in culo il West Ham. "

Jack lo ascoltò senza scomporsi, continuando a fumare placidamente come se niente fosse, mentre il ragazzo vomitava frasi sconnesse in preda all'ansia.

"E questa la chiami puttanata? Una puttanata è quando ti scopi il contabile dell'azienda per far quadrare i conti. Questa è una ragazzata," disse l'uomo guardandolo fisso negli occhi con un'ombra strana celata al di là di essi. "Lui ci è stato?"

Lance lo guardò perplesso. "Sì, o almeno credo."

"Non esiste 'almeno credo'. Sì o no."

Il ragazzo si strofinò la testa esasperato, cercando di scacciare quel ricordo dalla testa. Non voleva pensarci, voleva andare a rinchiudersi nella cantina del locale e non uscire più fino alla fine dei suoi giorni.

"Sì," disse sospirando, come a liberarsi di un peso enorme, ma nonostante tutto il dubbio era ancora annidato nel profondo della sua coscienza.Sarebbe voluto tornare indietro solo per evitare di farlo e prendersi a pugni con le sue mani.

"Forse non è stata una puttanata," disse Jack dandogli una pacca sulla spalla. "Se non mi ritorni funzionante come prima dovrò chiudere bottega o cercarmi un altro aiutante."

"So già che che cercheresti un altro aiutante," rispose Lance ridendo."Comunque, ti sei davvero fatto il contabile della ditta di famiglia?" domandò quasi sconvolto.

"Ecco, questa poi magari te la racconto un'altra volta."

All'ora di chiusura, un Reginald Miles con la luna storta e lo sguardo basso marciò dentro il locale, salutando con un cenno della mano Jack e andandosi a sedere al tavolo vicino al bancone. Lance lo guardò stranito, non capendo il motivo della sua presenza lì. Non si erano ancora chiariti, dopo la partita non si erano neanche risentiti. Che il capitano avesse deciso di fare la prima mossa?

Jack finì di sparecchiare l'ultimo tavolo per poter pulire le ultime cose. Non aveva voglia di intrattenersi più del dovuto, né tanto meno di stare a sentire i problemi dell'amico del suo cameriere. Anche se probabilmente sapeva già che il portiere gli avrebbe raccontato tutto.

"Hai le chiavi?" domandò al ragazzo mentre apriva la lavastoviglie permettere dentro i bicchieri.

"Certo."

"Allora ci si vede lunedì dopo scuola. Ho da finire delle scartoffie per il locale, chiudi tutto e ricordati di scrivere sulle lavagne i dolci del giorno di domani," disse spiccio il titolare, andando nel retro a prendere la giacca. Si accese una sigaretta con calma e prima di andare prese l'incasso del giorno.

"Fate i bravi. Miles, passa ogni tanto con la tua ragazza. La vedo sempre con le amiche qua ma mai con te. Hai paura di farti vedere in luoghi pubblici con lei?" domandò l'uomo, ridendo. Gli piaceva stuzzicarlo.

In tutta risposta il ragazzo rabbrividì. "Non ho tempo, ho da fare da babysitter ai miei fratelli."

"E non hai tempo per la ragazza? Voi ragazzi d'oggi non capite le priorità."

"Dai, lascialo stare," intervenne Lance. Il ragazzo sperava di riuscire a finire prima delle dieci, non aveva voglia di andare troppo tardi a casa, aveva bisogno di dormire.

"Tu non aprire bocca, che è meglio."

"Simpatico."

"Ci vediamo, fate i bravi."

Lance seguì con lo sguardo la figura di Jack uscire dal locale, e quando fu sicuro che fosse andato si rivolse all'amico. "Tutto bene?"

"Dammi una birra."

Stark si sfece la crocchia per poter lasciare i capelli sciolti e con un movimento della mano si lisciò le ciocche che gli coprivano il viso all'indietro. "È così grave?" domandò prendendo una sigaretta dal cassetto vicino alla cassa. Prima parlava, prima sarebbe potuto andare a casa. Quando Miles era così pensieroso non era mai una buona cosa. Andò al tavolo portando il posacenere e due birre e appoggiò tutto davanti all'amico.

"Parla,"disse, sedendosi.

"Sono un coglione."

"Questo si sapeva, ma continua pure," scherzò Stark, aprendo le due bottiglie con l'accendino.

Miles si strofinò la faccia stancamente, afferrando poi una bottiglia. "Ho fatto la testa di cazzo con Abigail e di solito non mi comporto così."

Lance assottigliò lo sguardo gelidamente e l'amico subito se ne accorse.

"So anche che non sarei dovuto andare da lei per sapere cosa stesse succedendo e ti chiedo scusa," fece una breve pausa. "È solo che sei sparito per giorni e non sapevo cosa pensare, neppure Leeroy sapeva nulla."

Il portiere sospirò riconoscendo le sue colpe, Miles però non avrebbe capito, in un certo senso si vergognava delle sue azioni e di ciò che era obbligato a fare. Voleva tenerlo fuori e basta.

"Mia madre si è sentita male ed è ancora in ospedale, per questo mia sorella è tornata e non ci sono stato in questi giorni." Solo in quel momento si rese conto di quanto fosse stato stupido. Perché doveva tenersi anche quello dentro e cercare di soffocare i sentimenti negativi per poi farli esplodere in una valanga, quando almeno per quello, avrebbe potuto trovare conforto in Miles?

Vide per un momento gli occhi dell'amico rattristarsi. "È grave?"disse solamente.

"In realtà no, il problema è che se si riduce un'altra volta in questo stato il fegato non reggerà. Ora vogliono che la mandiamo in un istituto dove dovrebbe venire aiutata."

Reginald annuì solamente. "Non avreste dovuto pensarci già da tempo?". Sapeva di aver posto una domanda stupida.

"Sai benissimo che non avevo ancora diciotto anni e mia sorella non voleva lasciarmi in una casa affidamento o da sconosciuti."

"Quindi tutto quello che hai - che avete fatto fino ad ora, era per poterla mandare in un istituto una volta che anche tu fossi stato maggiorenne?" domandò incredulo.

"Piano di mia sorella," rispose Lance prima di bere dal collo della bottiglia tutto d'un fiato. "Con Abigail puoi rimediare comunque,"aggiunse subito dopo.

Miles ridacchiò tra sé e sé. "A questo punto non lo so," disse sfilando una sigaretta dal pacchetto dell'amico che aveva poggiato sul tavolo.

Lance inarcò un sopracciglio contrariato. "Ma se siete cotti l'uno dell'altra da tempi immemori."

"Tu dimentichi la cotta storica di Abigail," rispose, ridendo accendendosi la sigaretta. "E tutto ciò mi fa sentire un cretino."

Stark rimase per un momento interdetto e l'immagine della sera al pub gli tornò vivida come se avesse un video registrato davanti ai suoi occhi. Lui che poggiava le labbra su quelle dell'altro, i loro respiri e lo sguardo plumbeo di Lee.

"Cosa c'entra Rogers?" domandò con un filo di voce.

"Oggi li ho visti al bar vicino alla scuola. Di solito non escono mai insieme, e lei gli era saltata al collo come se fosse l'amore della sua vita, riempiendolo di baci."

Fu Lance a ridere in quel momento.

"Cazzo ridi?"

"Ma con lui lei è sempre così."

"Non è vero."

"Scommetti?"

*
 

Il messaggio che le aveva mandato quella mattina stessa lo aveva riscritto almeno dieci volte. Non era sicuro di cosa doverci scrivere, perché non l'aveva mai invitata da sola a bere un caffè e non voleva che sembrasse strano. Si chiese se Abigail sapesse già di cosa volesse parlargli, si rispose subito che doveva essere così.Era una ragazza e probabilmente aveva già capito tutto anche per la chiacchierata della volta precedente. Il messaggio in risposta arrivò dopo un'ora. Si sarebbero incontrati il pomeriggio sul tardi e lei moriva dalla voglia di sapere cosa fosse successo.

Uscì di casa, salutando Jo. La cugina sarebbe rimasta in casa tutto il giorno a studiare per la verifica che avrebbe avuto in settimana e più tardi sarebbe dovuta andare a lavorare.

"Non serve che mi porti al locale, passa a prendermi Rebecca."

"Va bene, quando hai finito chiamami, ti passo a prendere io."

"No, tranquillo, mi riporta lei."
 

Si incontrarono direttamente nel bar. Abigail era seduta ad uno dei tavolini vicini alla finestra con una grossa sciarpa nera a coprirla fin sopra al naso. Non sembrava stesse proprio bene. Davanti a lei,una cioccolata calda fumante.

"Scusa se non mi avvicino, ma ho un mal di testa atroce." Il suono della sua voce risultava attutito dal tessuto.

"Magari dovresti toglierti tutta quella roba che hai addosso, quando poi esci ti prende qualcosa," disse il ragazzo, prendendo posto davanti a lei. Ordinò una cola e un panino, stava morendo di fame nonostante avesse pranzato per due praticamente.

"Di cosa volevi parlarmi?" domandò la ragazza con fare furbo, allentandosi le spire della sciarpa e togliendosi la giacca.

"Non fare quella faccia, credo tu lo sappia già."

Lei ridacchiò. "Non negherò il suo interesse nei tuoi confronti e neppure il tuo nei suoi."

"Come fai a dirlo?" domandò lui accigliato.

"Sei qua a parlare con me," rispose Abigail girando il cucchiaio nella tazza.

Leeroy sospirò, facendosi scappare un mezzo sorriso.

Quando l'ordinazione del ragazzo arrivò, mangiò e parlarono d'altro. La giovane Twain gli raccontò di cosa fosse successo con Miles e Rogers cercò di spezzare qualche freccia a favore del capitano.

"Lo sai che con tutto quello che è successo è uscito un po' di testa. È cretino, perché è cretino, ma vacci a parlare," disse il ragazzo finendo di bere la Coca Cola.

Abigail guardò distrattamente l'orario. Era già tardi per lei; doveva andare a lavoro. Quella sera anche lei avrebbe aiutato alla pizzeria dei Balboa. Ci sarebbero stati due compleanni di persone anziane e avrebbero avuto molto da fare. In realtà non ne aveva molta voglia, ma la mancia era l'unica cosa a muoverla.

La cameriera portò il conto e Leeroy pagò tutto senza battere ciglio, lasciando perdere le lamentele della ragazza.

"Se vuoi offrirmi da bere, facciamo il prossimo fine settimana," disse lui, non ammettendo repliche, mentre uscivano dal locale.

Abigail alzò gli occhi al cielo "Va bene, va bene!"

Per un momento il silenzio cadde tra di loro mentre si incamminavano alle rispettive auto.

"Promettimi che se non va, non farai stronzate," disse lei, ad un tratto seria.

"Perché pensi questo?"

"Perché sei un cretino e quando dai di matto fai stronzate."

Leeroy la guardò negli occhi forse con lo sguardo più serio che lei gli avesse mai visto fare.

"Stai sicura che se è con lui, di stronzate ne farò a prescindere."

Abigail rimase per un momento spiazzata da quella risposta, ma subito dopo rise. Gli saltò addosso, abbracciandolo e dandogli un bacio sulla guancia sinistra.

"Devo considerarlo il bacio di Giuda?" chiese lui, assottigliando lo sguardo.

La giovane Twain ghignò in risposta, baciandogli anche l'altra guancia.

*
 

Quando rincasò, Jo era già sparita. Avere di nuovo un po' di tempo con se stesso non era una brutta cosa. Con la cugina in quella grande casa si sentiva meno solo, e in un certo senso più al sicuro. Avrebbe dovuto chiamare Amanda in settimana, o meglio, aveva voglia di sentirla; sua madre iniziava a far sentire la sua mancanza. Non ci volle pensare. Di solito non beveva alcol a casa da solo, ma aveva voglia di una birra e di un bel film. Si levò le scarpe, lanciandole in un angolo della sala, e si buttò poi sul divano dopo aver preso la bottiglia dal frigo, iniziando il suo zapping disperato. Voleva tenere la mente impegnata in realtà. Anche se con Abigail si era dimostrato sicuro di sé, non lo era. Provò a chiudere gli occhi per cercare di dormire un po', ma tutto gli tornava in mente in maniera troppo vivida. Per un momento si crogiolò in quella sensazione. Si sentiva euforico e pieno di dubbi. I ricordi e le sensazioni che lo incitavano a fare qualsiasi cosa pur di rivivere quel momento. E dall'altra parte la ragione che gli diceva: vai a letto che è meglio. Avrebbe urlato volentieri, tutta quella tensione non gli piaceva se non era sul campo da calcio. Spense la tv, bevve la birra e se ne andò in camera. Si sentiva un cretino. Quando fu a letto, il cellulare ricevette un sms che lo lasciò perplesso e subito dopo indignato.

Ma sei cretino?, digitò sulla tastiera in risposta. Bloccò lo schermo e lo buttò in fondo al letto.

*

Lance in un certo senso si senti rincuorato a far leggere la risposta a Miles. Il portiere forse sapeva cosa il terzino volesse veramente e in quel caso non la più giovane dei Twain.

"Contento?"chiese Stark.

Miles lo guardò storto. "Gli hai veramente scritto?"

"No guarda, ti lasciavo qua a struggerti come una ragazzina di tredici anni," rispose secco. Guardò l'orologio e decise che ormai era ora di andare. Voleva andare a dormire, era stanco morto e quella giornata sembrava non finire mai.

Reginald si massaggiò le tempie, anche lui esausto. Tra Abigail, Leeroy e Stan, il suo cervello stava facendo gli straordinari per tenere il ritmo. Di Stan non gli avrebbe ancora parlato, avrebbe dovuto farlo lui. Nel caso poi in cui l'allenatore non avesse voluto, allora ci avrebbe pensato di persona.

"Lasciamo perdere, sono stato un coglione e domani vado a scusarmi con lei.Basta, chiuso il discorso," annunciò alla fine, alzandosi. Anche lui voleva andare a quel punto.

Lance rispose brevemente al messaggio del terzino. Riguardava Reginald, non me.

La risposta arrivò in tempo record. Poteva chiedere direttamente lui. Ovvio che non riguardava te.

Il portiere inarcò un sopracciglio contrariato, fissando lo schermo.

"Vogliamo andare?" brontolò Miles, sbadigliando.

Stark non lo ascoltò nemmeno e digitò sul telefonino. Io e te parliamo, ora. Sto arrivando.

"Come scusa?"

"Andiamo?"

"Puoi portarmi a casa di Rogers?"

*
 

Leeroy guardò il messaggio per parecchi minuti, come se non riuscisse a capirne il senso. Si chiese per quale motivo Lance sarebbe dovuto venire lì. Di cosa avrebbero dovuto parlare in fondo? Di quello avrebbero potuto parlare anche un altro giorno. Non aveva nulla da dire. Le cose stavano prendendo una brutta piega. La tempesta stava arrivando e probabilmente nessuno dei due ne sarebbe uscito vivo. Miles poi era un'idiota. Si chiese se tutto ciò era dovuto alle seghe mentali del capitano. Probabilmente lo era. Chiuse gli occhi e si abbandonò sul letto, cercando di capire cosa fare. Il suo istinto lo sapeva già però.

*

Arrivarono a casa Rogers dopo una ventina di minuti. Miles continuava a non capire le motivazioni dell'amico, né cosa lo spingesse. Che fosse venuto a sapere delle menzogne di Stan? Non era possibile, altrimenti gliene avrebbe parlato. Si senti un codardo. Avrebbe dovuto parlargliene lui in prima persona, ma sapeva che non era giusto. Doveva essere l'allenatore a prendersi le sue responsabilità.

Lance scese dall'auto senza dire nulla e si accese una sigaretta. Sapeva di essere partito senza riflettere e per un secondo le sue ragioni gli sembrarono stupide. Non che rimandare avesse molto senso, prima risolveva la cosa, meglio era.

"Non ho ancora capito cosa tu voglia fare qua," ammise Miles, tirando giù il finestrino dell'auto per potersi far sentire.

"Poi ti spiego, è una questione tra me e lui. Devo risolverla il prima possibile."

"Potresti almeno mettermi al corrente? Mi sento un idiota a non capire," sospirò il capitano. In realtà non si aspettava una vera spiegazione. Ma dopo quello che si erano detti, doveva fargli almeno quel favore. Lance però era difficile.

"Ti spiego poi con calma, ok?" disse, gettando via la sigaretta."Fidati di me."

Reginald alzò gli occhi al cielo. "D'accordo. Ci vediamo a scuola allora?"

"Sì, non preoccuparti, non la salterò più."

Nel momento in cui l'auto scomparì dietro la curva della collina indirezione opposta, Lance tirò un sospiro di sollievo. Non avrebbe nemmeno saputo come spiegargli tutto e nemmeno se davvero glielo voleva spiegare. Accese un'altra sigaretta, aveva preso un pacchetto nuovo prima di partire. Temporeggiare era il suo forte.

*
 

Stava suonando ormai da dieci minuti buoni e sembrava che in casa non ci fosse nessuno, nonostante le luci della sala accese.

"Se quel cretino finge di non esserci, lo ammazzo," borbottò tra sé e sé. Non era possibile che si comportasse così. Decise di aspettare ancora cinque minuti. Provò a chiamarlo, ma anche sul cellulare non rispondeva. Stava perdendo la pazienza. Notò solo allora che la finestra era di nuovo aperta. "Hai fatto 30, facciamo 31."

Quando fu dentro, vide i vestiti buttati a casaccio del padrone di casa sul divano.

"Rogers?".Provò a chiamarlo, ma nessuno rispose. Si chiese se non fosse o a dormire o sotto la doccia a quel punto, perché le prove che lui fosse in casa c'erano. Lo avrebbe preso volentieri a pugni.

"Fanculo." Si diresse su per le scale fino alla camera del ragazzo, e bussò più volte. "Testa di cazzo, sono venti minuti che suono."

Nel momento in cui aprì la porta, il padrone di casa si era svegliato e messo a sedere imprecando. "Come cazzo sei entrato?"

"Dalla finestra, coglione."

"Potevi chiamare."

"L'ho fatto, ma dormivi."

"Continuo a non capire che cazzo vuoi," disse francamente Leeroy. "Se è per Abigail, te l'ho detto, dovevi fare una registrazione perché lei per me è come una sorella. Dannazione te e Miles, vi fate di quelle seghe mentali allucinanti," disse tirandosi in piedi, mentre si sistemava i capelli, ancora rincoglionito dal sonno.

"Lo so. Ma Miles questo non lo capisce."

"Allora avresti dovuto mandare lui," rispose secco il ragazzo. Leeroy non capiva perché il portiere non andava dritto al punto della situazione, senza girarci intorno. Si stava innervosendo. Si alzò dal letto. "Mi vuoi dire cosa vuoi?"

"Credo tu lo sappia."

Leeroy alzò gli occhi al cielo, esasperato. "Parla come una persona normale. Non mi piace doverci arrivare alle cose. Preferisco i discorsi chiari," disse, facendo un passo dopo l'altro finché non gli fu davanti. Non voleva metterlo a disagio. ma vedere come avrebbe reagito.

La vicinanza di Leeroy lo fece tremare per un momento. "Non fare cose di cui potresti pentirti," disse con un filo di voce, cercando di non muovere un muscolo. Già solo respirare gli sembrava uno sforzo tremendo. Gli veniva quasi da ridere, non avrebbe mai pensato di ritrovarsi così disperato dal desiderio e al tempo stesso così sicuro di non fare nulla per paura di poter ferire un'altra persona. Leeroy fissò gli occhi oscurati dalla poca luce della stanza in quelli insicuri di Lance.

Il portiere non sapeva come comportarsi. Di solito non era così, non lo era mai stato. Così insicuro e così incline a potersi pentire subito delle sue azioni.

"Non è questo il caso," rispose Leeroy ad un soffio dalle sue labbra. Era come fare un salto nel vuoto. Tutta la tensione che vi era prima di buttarsi dal cornicione si era sciolta al contatto di quelle labbra, tranquillizzandolo. L'odore salmastro mischiato alla terra del portiere lo fece sentire sereno come se ogni problema prima di quel momento non fosse mai esistito. Fu la calma di pochi secondi, prima della tempesta che poi lo fece rinvenire e allontanare. Cercò il suo sguardo, mosso dalla curiosità, per scoprire la sua reazione. Lui aveva fatto abbastanza e sapeva quello che doveva sapere, tutto il resto stava a Lance.

Quando sentì le mani di Lance sui suoi fianchi che lo spingevano verso di lui, capì che in fin dei conti aveva una buona influenza sull'altro. Le loro bocche si incontrarono ancora e subito Leeroy andò a circondare il collo dell'altro, infilandogli le mani tra i capelli. Forse se ne sarebbe davvero pentito, non pensava mai prima di agire e forse era per quello che dopo tanto si erano ritrovati lì. Indietreggiò fino a sfiorare con i polpacci la sponda del letto.

"Sei un coglione," disse Lance senza fiato, facendo una breve pausa per ritrovare il respiro.

Leeroy se lo trascinò sul letto in tutta risposta. "Dimmi qualcosa che non si sapeva già."

Stark smise di pensare e agì solamente. Forse i rimpianti sarebbero venuti alla fine. Non riusciva a togliere le mani dai fianchi e dalla vita del terzino. Troppe volte si era soffermato a guardarli comparire da sotto la maglietta durante le partite. Non riuscì a fare a meno di stringerli prepotentemente, come per constatare che fossero veri. Quella sarebbe stata una bella morte. "Cazzo."

"Sta' zitto," disse, tappandogli la bocca con la sua.

La maglietta di Leeroy volò subito giù dal letto insieme a quella di Lance. Fu Rogers a slacciare i jeans dell'altro per primo, cercando di avvicinarlo il più possibile a sé, come se avesse per la prima volta bisogno di calore.

Nessuno dei due in quel momento riusciva a provare altro se non gioia ed euforia. Era come a dire prendi tutto, per stanotte è uguale, puoi avere le mie gambe, le mie mani e tutta la mia giovinezza. Il resto non conta. Il resto era fuori da quella camera. Era come essere di nuovo sopra il campo da calcio.

Quando furono finalmente nudi e le gambe di Leeroy avvinghiate ai fianchi dell'altro, con le mani di Lance che lo toccavano, il terzino lo baciò ancora. Più a lungo come a soppesare il momento. Ora o mai più, era il messaggio.

Mentre si lasciava prendere e il dolore aumentava, non riusciva a trovare nulla di sbagliato.

"Cazzo, fai piano," si strozzò quasi.

Lance in risposta continuò a baciargli il collo e le labbra. La sua mano destra era sempre più possessiva sul fianco del ragazzo sotto di lui, ad ogni affondo, come a non volerlo lasciare scappare.

"Lee..." gli disse senza fiato all'orecchio, continuando a provocare piacere ad entrambi.

Il terzino non potè fare altro che avvicinare di più Lance a sé e baciarlo ancora e ancora, continuando ad aggrapparsi alla sua schiena. Averlo lì era tutto ciò che importava. Sentire quello che sentiva era l'ultima delle cose che si sarebbe mai aspettato. 




 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: dream_more_sleep_less