Arabella
Non ho
mai avuto un debole per Swansea. Per i miei modesti standard di vita ho sempre
sostenuto che fosse una città inutilmente grande e con un’offerta non poi così
diversa rispetto a Llansamlet, il
paese da cui provengo. Anche Llansamlet ha una biblioteca, un centro
commerciale, caffè e pub a sufficienza per non costringere nessuno a doversi
fare venti minuti di macchina per raggiungere il grande centro – Swansea – solo
per poter passare una serata fuori.
La mia
poca passione per questa città mi ha perfino portata a scegliere di farmi più
di un’ora di treno – solo di andata – per raggiungere la mia facoltà
universitaria. Ho scelto Cardiff, la capitale per cui ho sempre avuto un
debole, anziché la più vicina università di Swansea. Tuttavia, se un posto non
piace, non piace e per quanto mi stia sforzando in quest’ultimo periodo di
trovare almeno qualcosa di veramente bello a Swansea, non ci sono realmente riuscita.
Da
diversi mesi, ormai, raggiungo la città quasi ogni giorno. I motivi sono
diversi; primo fra tutti il fatto che hanno una libreria-caffetteria su tre
piani meravigliosamente fornita – oltre che esteticamente perfetta – in cui ho
trovato una notevole quantità di volumi utili per la tesi a cui ho da poco
iniziato a lavorare.
Il
secondo motivo della mia costante presenza a Swansea è Niamh, la mia amica
storica, che non solo studia, ma lavora anche in città. Come ogni gallese che
si rispetti, sia io che Niamh siamo appassionate di rugby ed entrambe – da un
paio di anni, più o meno – non ci perdiamo più un match della squadra locale, la
Swansea RFC. A differenza degli Ospreys, una delle quattro franchigie di
Galles, nel club della RFC nessun giocatore è di caratura nazionale. Alcuni di
questi riescono a entrare nelle file degli Ospreys – e quindi possono riuscire
a diventare dei nazionali – ma finché questo salto non avviene, i sogni di
gloria per loro sono piuttosto limitati. Tuttavia le partite di questo club,
militante nella Welsh Premier Division, sono sempre
piacevoli da guardare e il clima è gioviale e molto rilassato.
È il
terzo motivo, però, quello che davvero mi sprona da circa un mese a salire quasi
ogni giorno sul treno per Swansea e si chiama Peter Hall.
Peter è
un giocatore della Swansea RFC, uno di quelli che non avrei mai pensato di
arrivare a conoscere se non fosse stato per Niamh. Non perché sia un tipo
importante, altezzoso o altro, ma semplicemente perché io, al terzo tempo della
RFC, non ci avrei mai messo piede. Per quanto sia appassionata di rugby non lo
sono mai stata a tal punto da desiderare ardentemente di conoscere i giocatori,
di prenderci una birra insieme o di scambiare due parole sulla partita.
Considerando che sto seguendo un master in Scienze della Terra e che sono
terribilmente pigra, ho sempre pensato che il mio mondo e quello di uno
sportivo fossero troppo diversi. Niamh, però, in un modo o nell’altro, è
riuscita a conoscere una buona fetta della squadra e un giorno – tutt’ora non
ne capisco ancora il motivo – ha deciso di presentarmeli quasi tutti. Con Peter
e con il suo migliore amico – Thomas Allen –, però, ho stretto subito amicizia,
a tal punto di uscire addirittura con loro e con i loro amici di tanto in
tanto.
Non so
ancora esattamente come sia stato possibile, fatto sta che è successo: fra le
file dei miei amici – non così numerose, lo ammetto – ora annovero anche una
coppia di rugbisti.
Negli
ultimi giorni il mio rapporto con Pete e Tommy è cresciuto ancora, forse
proprio per via della mia, ormai perenne, presenza a Swansea. Ai due ragazzi
piace molto bazzicare per la città e si dà il caso che la bellissima
libreria-caffetteria in cui sono solita andare sia anche il loro caffè
preferito. Tutto ciò ha fatto sì che noi tre ci vedessimo quasi ogni giorni e
ha portato me – ed esclusivamente me – a cominciare a fantasticare su un
ipotetico futuro fra le braccia di Pete. Ho tentato di usare il mio innato
scetticismo per evitare che l’innegabile fascino del ragazzo mi conquistasse, ma
è stato pressappoco impossibile. Peter è terribilmente alla mano e dotato di
umorismo – come Tommy, del resto –, inoltre è sagace e parecchio intelligente.
A coronare il suo carattere decisamente interessante c’è un fisico statuario,
capelli castani perennemente e perfettamente spettinati, una mascella
accentuata, un sorriso impeccabile e un paio di occhi blu che scopro osservarmi
fin troppo spesso.
Una
studentessa sotto tesi non dovrebbe perdere tempo a immaginare un’improbabile
vita accanto a un ragazzo che sembra essere stato scolpito e poi farcito delle
caratteristiche migliori, invece è quello che sempre più spesso mi accade.
Anche ora.
Il muro
davanti a me torna a mostrarsi nuovamente per quello che è: un muro. Abbasso lo
sguardo sul tavolo, ingombro di dispense, dopodiché lo faccio scorrere lungo le
persone sedute intorno a me. Sono decisamente più concentrate di quanto lo sia
io; continuano a scrivere, studiare e leggere come se fosse vitale. Vorrei
riuscirci anche io. Tuttavia è più di due ore che sono seduta al mio posto
senza una sola pausa e, considerando che sto studiando da questa mattina, penso
che sia comprensibile che non ne abbia più voglia. Mi serve un caffè.
Raduno
le mie cose e le infilo nella borsa, cercando di fare meno rumore possibile. Scendo
al piano terra dove si trovano caffetteria e ingresso e, raggiunto il bancone,
ordino un americano.
Mentre
aspetto che mi venga servito controllo sulla chat del cellulare e non rimango
sorpresa nel vedere che ho un messaggio di Niamh. Come suo solito usa poche e
semplici parole “Sto arrivando. Se sei ancora lì, aspettami”.
Appena
il caffè mi arriva davanti fermo il barista, chiedendogli se gentilmente può
prepararmi un mocaccino, la bevanda preferita della mia amica. Come mi viene
servito anche questo afferro entrambe le tazze e mi avvio verso i tavolini
posti all’esterno della libreria prendendo posto sotto uno degli alti funghi
messi per riscaldare. È un inizio di maggio piuttosto fresco questo, anche se
caratterizzato da una strana assenza di precipitazioni. Mentre aspetto Niamh
sorseggio con tranquillità il mio caffè, stringendomi per bene nella giacca e
osservando il via vai delle persone lungo la strada. La via è quella centrale
della città, proprio nel suo cuore, ed è piuttosto trafficata a qualsiasi ora
del giorno.
A un
certo punto, fra la folla che passeggia, vedo arrivare Niamh. Tiene le braccia
incrociate all’altezza del petto, avvolgendosi ulteriormente nella sua giacca a
vento azzurra. I capelli, lisci e biondissimi, sono raccolti in una coda di
cavallo e appena mi vede si aggiusta gli occhiali sul naso, sorride e mi
raggiunge in gran fretta. Si siede salutandomi e come nota il mocaccino – che
fortunatamente non dovrebbe essersi raffreddato più di tanto – si passa leggermente
la lingua sulle labbra e afferra la tazza.
«Ne
avevo proprio bisogno, grazie» esclama, bevendo poi un generoso sorso della
bevanda. Continua a tenere entrambe le mani sulla tazza quando torna a
guardarmi. «Come stai?» chiede.
«Direi
bene, soprattutto ora che mi sto concedendo un caffè» rispondo, sollevando a
mezz’aria la tazza. «Com’è andata al lavoro?»
Si
stringe nelle spalle, facendo una smorfia. «Al solito. Sono stata resa
partecipe di un’altra storia dalla dubbia moralità» dice, mostrando due dita in
segno di vittoria.
Sorrido,
divertita. Niamh lavora come estetista, anche se al momento è ancora
un’apprendista, dato che sta terminando gli studi nel settore. Tuttavia, da
quello che mi racconta, pare che lo stereotipo della donna che rivela la
propria vita privata all’estetista o parrucchiere sia vera. Da quando lavora in
quello studio Niamh ha scoperto una quantità di cose impensabili su una parte
della popolazione di Swansea, senza porre più domande del necessario. Sono le
clienti a raccontarle tutto, a lei basta solo annuire e chiedere qualcosa di
tanto in tanto. Alle volte ci troviamo a parlarne anche fra di noi; lei mi
racconta di alcune di queste persone e io elaboro la storia immaginando come
andrà a finire. Di rado finiscono bene le mie previsioni e altrettanto di rado
sono azzeccate, stando a quello che poi mi riferisce la mia amica.
«Come
sta procedendo la tesi?»
Guardo
per un lungo momento Niamh, senza replicare, dopodiché sento le mie labbra
distendersi in un’esaustiva smorfia: «Non ne ho idea» sentenzio.
«In che
senso scusa?» domanda lei, guardandomi confusa.
«Nel
senso che, a parte stamattina, non sono andata avanti molto. Questo pomeriggio
ho scoperto che le pareti di questo posto sono davvero interessanti» concludo
indicando l’edificio con un cenno della testa.
«È una
cosa terribilmente da te.»
Non
replico, consapevole del fatto che la mia amica ha decisamente ragione. I
troppi libri e film con cui nutro la mia mente mi hanno resa un’ottima macchina
in grado di immaginare le cose più assurde anche davanti ai paesaggi meno
ispiratori – di cui le pareti ne sono portavoce. Sono abbastanza sicura che
Niamh abbia già capito per quale motivo non sia riuscita a studiare come avrei
voluto, anche se spero che non abbia intuito chi sono i protagonisti dell’ultimo
film mentale che mi sono concessa.
«Beh,
comunque» riprende a parlare, agitandosi sulla sedia e illuminandosi in volto.
«Domani la RFC gioca, vieni a vedere la partita, vero?»
La
fisso, sbattendo ripetutamente gli occhi. Mi ero dimenticata della partita di
rugby e devo ammettere di non morire dalla voglia di andarci. Questa settimana
sono venuta a Swansea ogni giorno, in pratica e domani avevo pensato di
rimanere a Llansamlet, nella speranza di riuscire a studiare.
Il mio
lungo silenzio fa sbuffare Niamh. «Hai intenzione di darmi buca, vero?»
domanda, leggermente stizzita.
La
bocca mi si contrae da sola e non faccio in tempo a replicare prima
dell’esplosione della mia amica: «Perché? Cos’hai di meglio da fare?»
«Dovrei
studiare e pensavo di farlo a casa anziché venire fin qui, almeno per una
volta.»
Mi
riparo dietro la tazza del caffè, bevendone un lungo sorso ormai freddo. Niamh
mi scruta a lungo, si aggiusta gli occhiali e dice: «Devi proprio?»
Inarco le
sopracciglia. Lei si corregge subito: «Non fraintendere. Voglio dire, hai
passato tutta la settimana a studiare e lo hai fatto per tutto il giorno.
Almeno domani un po’ di relax te lo meriti.»
Mi
secca ammettere che ha ragione. Avendo terminato le lezioni in università ho
davvero passato ogni ora possibile con gli occhi sui libri di testo, senza
concedermi poi così tanto svago.
«Beh,
non hai tutti i torti» rispondo, cautamente.
Niamh
si morde il labbro inferiore, eccitata. «Fantastico! Allora è deciso, domani
partita.»
Estrae
lo smartphone dalla borsa e comincia a cercare qualcosa. «Ryan mi ha anche
inviato la formazione.»
Ryan è
uno dei giocatori del Swansea RFC – uno dei piloni1, per la
precisione – nonché uno dei primi con cui Niamh ha fatto amicizia. È stato lui
a presentarle altri giocatori della squadra, inclusi Peter e Tommy.
Mi
allunga il telefono, uno screenshot della chat sullo
schermo. È la formazione della squadra di domani. Scorro i nomi partendo
dall’estremo2 e subito trovo quello di Thomas Allen, al numero 143
come sempre. Quasi subito trovo anche quello di Peter Hall, nel suo perfetto
ruolo di primo centro4. Domani giocheranno entrambi, il che
significa che li vedrò senz’altro al termine della partita. È strano che Pete
non mi abbia detto niente, di solito quando gioca me lo fa sapere. Con molta
probabilità avrà avuto di meglio da fare.
«Che te
ne pare?» domanda Niamh, riprendendosi il telefono appena glielo porgo.
«Direi
che è una buona formazione.»
«Sono
d’accordo. Prendiamo la mia macchina domani, ti va? Così possiamo rimanere
tranquillamente anche al terzo tempo. I ragazzi mi hanno chiesto se abbiamo
voglia di andare a mangiare qualcosa con loro.»
«Quali
ragazzi?» chiedo, incredula.
La mia
amica spalanca gli occhi, come se non capisse la mia reazione. Fa spallucce e
increspa leggermente le labbra prima di rispondere: «Ryan e gli altri. Domani
sera, dopo la partita, escono con amici e fidanzate e hanno invitato anche
noi.»
«Credo
ci saranno anche Tommy e Pete se può servire a tranquillizzarti» aggiunge,
probabilmente vedendo la mia faccia.
Non so
per quale motivo, ma l’idea di uscire con mezzo squadrone di rugby e tutta
un’altra serie di sconosciuti non è esattamente il mio tipo ideale di serata.
«Per
quale motivo fanno questa uscita?»
«C’è
bisogno di un motivo speciale? L’hanno organizzata e basta. Guarda che se non
vuoi non andiamo.»
«No,
no, andiamo pure. È solo che… boh, mi fa uno strano effetto» rispondo in modo
sbrigativo.
«Allargare
le proprie conoscenze non può che fare bene» replica lei.
La
guardo, scettica. «Sei tu quella che vuole allargare le proprie conoscenze in
questa città. La mia compagnia di amici a Cardiff è più che sufficiente.»
Niamh
si stringe nelle spalle e sorride, colpevole. Ha sempre desiderato conoscere
dei giocatori di rugby – e anche mettersi con uno di loro – perciò tutta questa
storia sta accadendo perché lei si è messa d’impegno per farla accadere. Tuttavia
è la mia migliore amica e io non posso fare a meno di appoggiarla. Se ci tiene
a una serata fuori con la Swansea RFC la accompagnerò.
«A che
ora domani?» chiedo infine, sbuffando leggermente.
Il
sorriso della mia amica si allarga ulteriormente: «Passo da te alle due,
giocano alle tre.»
Annuisco
e mi appresto a finire di bere il fondo del mio – ghiacciato – caffè. Non so
perché ma il sabato pomeriggio che si è appena delineato davanti a me mi fa uno
strano effetto. Da un lato l’idea di gustarmi una partita di rugby con una
birra in mano mi ispira molto, ma dall’altro il pensiero di partecipare al
terzo tempo e poi all’uscita con una parte della squadra mi innervosisce. Il
fatto che ci sia Peter può certo aiutare a convincermi ad accompagnare la mia
amica, tuttavia devo comunque ammettere a me stessa che il mio continuo
immaginare di avere una storia con lui non mi tranquillizza molto. Non ho idea
di cosa potrebbe succedere a stare tanto tempo accanto al ragazzo, soprattutto
perché è da un po’ che non trascorro insieme a lui più di una mezz’ora – più o
meno da quando ho capito che il fatto di continuare a pensarlo non era
correlabile solo alla simpatia che provo nei suoi confronti.
Non so
come affronterò domani e la cosa mi sta agitando già ora. Credo mi serva un
altro caffè.
Note:
1:
piloni. Il pilone (Prop, in lingua
inglese) è un ruolo del rugby. Nella formazione del rugby a 15 sono presenti
due piloni (pilone sinistro e pilone destro, rispettivamente con numero di
maglia 1 e 3) che, insieme al tallonatore, compongono la prima linea del
pacchetto di mischia. Il compito dei piloni è di sostenere il tallonatore
durante la mischia ordinata e di fornire un aiuto dinamico e funzionale ai
saltatori nell'azione di touche. Insieme alla seconda linea, i piloni devono
assicurare potenza nella spinta durante la mischia ordinata.
2:
estremo. L'estremo (ing. Fullback) è un
ruolo del rugby contrassegnato dal numero di maglia 15. Ha il compito di rimanere in posizione
arretrata per difendere gli attacchi che superano la prima linea di difesa.
Come ultimo giocatore di difesa, l'estremo, deve avere buone capacità di
placcaggio. Gli estremi devono anche prendere i palloni che vengono calciati e
che vengono denominati "up and under", "garryowen"
o "bombe". Una volta presi questi palloni, l'estremo può anche
calciare a sua volta, motivo per cui sono necessarie buone capacità di visione
del gioco e nei calci. Sempre più spesso gli estremi vengono chiamati in causa
in azioni di contrattacco che partono da dietro la linea di difesa. Per questo
devono anche possedere buone capacità di attacco, velocità ed esplosività nella
corsa in campo aperto.
3:
numero 14. Il numero 14 in una formazione di rugby a 15
corrisponde all’ala destra. Le ali (ing. Wing) sono responsabili delle
fasi finali delle azioni di gioco volte a segnare una meta. L'idea è che per
poter attaccare venga creato uno spazio dai giocatori di mischia e dai
giocatori tre quarti compresi tra la mischia e l'ala in modo che, una volta
ricevuto il pallone, questo giocatore possa avere un corridoio di corsa libero
per poter segnare una meta. Le ali sono spesso i giocatori più veloci della
squadra, ma devono anche essere in grado di fare un veloce cambio di passo e
poter così evitare gli avversari e segnare una meta.
4:
primo centro. (ing. Centre) In una
squadra di rugby a 15 si hanno due centri: primo centro (numero 12) e secondo
centro (numero 13). I centri devono avere buone capacità per tutti gli aspetti
del gioco: devono essere in grado di rompere la linea difensiva avversaria e di
poter fare dei buoni passaggi. Quando si passa all'azione di difesa, i centri
devono essere degli ottimi placcatori.
Ricompaio
dopo un po’ con un nuovo racconto.
Faccio
solo un paio di brevissime precisazioni. Anche qui c’entra il rugby, anche se
non tanto quanto nella mia altra storia di Cenerentola
non lucidava palloni da rugby. Questo per due motivi principalmente: il
primo perché l’ispirazione mi è venuta al termine di una partita di rugby a cui
ho assistito; secondo perché delle mille che ho iniziato questa storia è la
prima che sono riuscita a concludere.
La
seconda breve precisazione è legata al fatto che questo racconto vuole essere
qualcosa di semplice, una storia leggera di quelle che io amo leggere – e
soprattutto scrivere – ma che sempre più di rado riesco a trovare.
Spero
vi piaccia, lo spero davvero.
A
presto.
MadAka