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Autore: MadAka    30/09/2016    1 recensioni
Da una parte c’è Arabella, studentessa prossima alla laurea, scettica e ironica, che vive perennemente una lotta interiore fra il suo innato realismo e una fantasia fin troppo nutrita.
Dall’altra parte c’è Peter, giocatore di rugby, sagace, razionale e intelligente.
In mezzo Thomas, anche lui giocatore di rugby, armato di buonumore e buone intenzioni.
Intorno a loro Swansea, Llansamlet, un unico stadio, il solito caffè e svariati pub.
Una breve, brevissima storia sui due lati opposti e su chi, nel mezzo, tenta di saldare tutto insieme.
Genere: Sentimentale, Slice of life, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Arabella

 

 

Non ho mai avuto un debole per Swansea. Per i miei modesti standard di vita ho sempre sostenuto che fosse una città inutilmente grande e con un’offerta non poi così diversa rispetto a Llansamlet, il paese da cui provengo. Anche Llansamlet ha una biblioteca, un centro commerciale, caffè e pub a sufficienza per non costringere nessuno a doversi fare venti minuti di macchina per raggiungere il grande centro – Swansea – solo per poter passare una serata fuori.

La mia poca passione per questa città mi ha perfino portata a scegliere di farmi più di un’ora di treno – solo di andata – per raggiungere la mia facoltà universitaria. Ho scelto Cardiff, la capitale per cui ho sempre avuto un debole, anziché la più vicina università di Swansea. Tuttavia, se un posto non piace, non piace e per quanto mi stia sforzando in quest’ultimo periodo di trovare almeno qualcosa di veramente bello a Swansea, non ci sono realmente riuscita.

Da diversi mesi, ormai, raggiungo la città quasi ogni giorno. I motivi sono diversi; primo fra tutti il fatto che hanno una libreria-caffetteria su tre piani meravigliosamente fornita – oltre che esteticamente perfetta – in cui ho trovato una notevole quantità di volumi utili per la tesi a cui ho da poco iniziato a lavorare.

Il secondo motivo della mia costante presenza a Swansea è Niamh, la mia amica storica, che non solo studia, ma lavora anche in città. Come ogni gallese che si rispetti, sia io che Niamh siamo appassionate di rugby ed entrambe – da un paio di anni, più o meno – non ci perdiamo più un match della squadra locale, la Swansea RFC. A differenza degli Ospreys, una delle quattro franchigie di Galles, nel club della RFC nessun giocatore è di caratura nazionale. Alcuni di questi riescono a entrare nelle file degli Ospreys – e quindi possono riuscire a diventare dei nazionali – ma finché questo salto non avviene, i sogni di gloria per loro sono piuttosto limitati. Tuttavia le partite di questo club, militante nella Welsh Premier Division, sono sempre piacevoli da guardare e il clima è gioviale e molto rilassato.

È il terzo motivo, però, quello che davvero mi sprona da circa un mese a salire quasi ogni giorno sul treno per Swansea e si chiama Peter Hall.

Peter è un giocatore della Swansea RFC, uno di quelli che non avrei mai pensato di arrivare a conoscere se non fosse stato per Niamh. Non perché sia un tipo importante, altezzoso o altro, ma semplicemente perché io, al terzo tempo della RFC, non ci avrei mai messo piede. Per quanto sia appassionata di rugby non lo sono mai stata a tal punto da desiderare ardentemente di conoscere i giocatori, di prenderci una birra insieme o di scambiare due parole sulla partita. Considerando che sto seguendo un master in Scienze della Terra e che sono terribilmente pigra, ho sempre pensato che il mio mondo e quello di uno sportivo fossero troppo diversi. Niamh, però, in un modo o nell’altro, è riuscita a conoscere una buona fetta della squadra e un giorno – tutt’ora non ne capisco ancora il motivo – ha deciso di presentarmeli quasi tutti. Con Peter e con il suo migliore amico – Thomas Allen –, però, ho stretto subito amicizia, a tal punto di uscire addirittura con loro e con i loro amici di tanto in tanto.

Non so ancora esattamente come sia stato possibile, fatto sta che è successo: fra le file dei miei amici – non così numerose, lo ammetto – ora annovero anche una coppia di rugbisti.

Negli ultimi giorni il mio rapporto con Pete e Tommy è cresciuto ancora, forse proprio per via della mia, ormai perenne, presenza a Swansea. Ai due ragazzi piace molto bazzicare per la città e si dà il caso che la bellissima libreria-caffetteria in cui sono solita andare sia anche il loro caffè preferito. Tutto ciò ha fatto sì che noi tre ci vedessimo quasi ogni giorni e ha portato me – ed esclusivamente me – a cominciare a fantasticare su un ipotetico futuro fra le braccia di Pete. Ho tentato di usare il mio innato scetticismo per evitare che l’innegabile fascino del ragazzo mi conquistasse, ma è stato pressappoco impossibile. Peter è terribilmente alla mano e dotato di umorismo – come Tommy, del resto –, inoltre è sagace e parecchio intelligente. A coronare il suo carattere decisamente interessante c’è un fisico statuario, capelli castani perennemente e perfettamente spettinati, una mascella accentuata, un sorriso impeccabile e un paio di occhi blu che scopro osservarmi fin troppo spesso.

Una studentessa sotto tesi non dovrebbe perdere tempo a immaginare un’improbabile vita accanto a un ragazzo che sembra essere stato scolpito e poi farcito delle caratteristiche migliori, invece è quello che sempre più spesso mi accade. Anche ora.

Il muro davanti a me torna a mostrarsi nuovamente per quello che è: un muro. Abbasso lo sguardo sul tavolo, ingombro di dispense, dopodiché lo faccio scorrere lungo le persone sedute intorno a me. Sono decisamente più concentrate di quanto lo sia io; continuano a scrivere, studiare e leggere come se fosse vitale. Vorrei riuscirci anche io. Tuttavia è più di due ore che sono seduta al mio posto senza una sola pausa e, considerando che sto studiando da questa mattina, penso che sia comprensibile che non ne abbia più voglia. Mi serve un caffè.

Raduno le mie cose e le infilo nella borsa, cercando di fare meno rumore possibile. Scendo al piano terra dove si trovano caffetteria e ingresso e, raggiunto il bancone, ordino un americano.

Mentre aspetto che mi venga servito controllo sulla chat del cellulare e non rimango sorpresa nel vedere che ho un messaggio di Niamh. Come suo solito usa poche e semplici parole “Sto arrivando. Se sei ancora lì, aspettami”.

Appena il caffè mi arriva davanti fermo il barista, chiedendogli se gentilmente può prepararmi un mocaccino, la bevanda preferita della mia amica. Come mi viene servito anche questo afferro entrambe le tazze e mi avvio verso i tavolini posti all’esterno della libreria prendendo posto sotto uno degli alti funghi messi per riscaldare. È un inizio di maggio piuttosto fresco questo, anche se caratterizzato da una strana assenza di precipitazioni. Mentre aspetto Niamh sorseggio con tranquillità il mio caffè, stringendomi per bene nella giacca e osservando il via vai delle persone lungo la strada. La via è quella centrale della città, proprio nel suo cuore, ed è piuttosto trafficata a qualsiasi ora del giorno.

A un certo punto, fra la folla che passeggia, vedo arrivare Niamh. Tiene le braccia incrociate all’altezza del petto, avvolgendosi ulteriormente nella sua giacca a vento azzurra. I capelli, lisci e biondissimi, sono raccolti in una coda di cavallo e appena mi vede si aggiusta gli occhiali sul naso, sorride e mi raggiunge in gran fretta. Si siede salutandomi e come nota il mocaccino – che fortunatamente non dovrebbe essersi raffreddato più di tanto – si passa leggermente la lingua sulle labbra e afferra la tazza.

«Ne avevo proprio bisogno, grazie» esclama, bevendo poi un generoso sorso della bevanda. Continua a tenere entrambe le mani sulla tazza quando torna a guardarmi. «Come stai?» chiede.

«Direi bene, soprattutto ora che mi sto concedendo un caffè» rispondo, sollevando a mezz’aria la tazza. «Com’è andata al lavoro?»

Si stringe nelle spalle, facendo una smorfia. «Al solito. Sono stata resa partecipe di un’altra storia dalla dubbia moralità» dice, mostrando due dita in segno di vittoria.

Sorrido, divertita. Niamh lavora come estetista, anche se al momento è ancora un’apprendista, dato che sta terminando gli studi nel settore. Tuttavia, da quello che mi racconta, pare che lo stereotipo della donna che rivela la propria vita privata all’estetista o parrucchiere sia vera. Da quando lavora in quello studio Niamh ha scoperto una quantità di cose impensabili su una parte della popolazione di Swansea, senza porre più domande del necessario. Sono le clienti a raccontarle tutto, a lei basta solo annuire e chiedere qualcosa di tanto in tanto. Alle volte ci troviamo a parlarne anche fra di noi; lei mi racconta di alcune di queste persone e io elaboro la storia immaginando come andrà a finire. Di rado finiscono bene le mie previsioni e altrettanto di rado sono azzeccate, stando a quello che poi mi riferisce la mia amica.

«Come sta procedendo la tesi?»

Guardo per un lungo momento Niamh, senza replicare, dopodiché sento le mie labbra distendersi in un’esaustiva smorfia: «Non ne ho idea» sentenzio.

«In che senso scusa?» domanda lei, guardandomi confusa.

«Nel senso che, a parte stamattina, non sono andata avanti molto. Questo pomeriggio ho scoperto che le pareti di questo posto sono davvero interessanti» concludo indicando l’edificio con un cenno della testa.

«È una cosa terribilmente da te.»

Non replico, consapevole del fatto che la mia amica ha decisamente ragione. I troppi libri e film con cui nutro la mia mente mi hanno resa un’ottima macchina in grado di immaginare le cose più assurde anche davanti ai paesaggi meno ispiratori – di cui le pareti ne sono portavoce. Sono abbastanza sicura che Niamh abbia già capito per quale motivo non sia riuscita a studiare come avrei voluto, anche se spero che non abbia intuito chi sono i protagonisti dell’ultimo film mentale che mi sono concessa.

«Beh, comunque» riprende a parlare, agitandosi sulla sedia e illuminandosi in volto. «Domani la RFC gioca, vieni a vedere la partita, vero?»

La fisso, sbattendo ripetutamente gli occhi. Mi ero dimenticata della partita di rugby e devo ammettere di non morire dalla voglia di andarci. Questa settimana sono venuta a Swansea ogni giorno, in pratica e domani avevo pensato di rimanere a Llansamlet, nella speranza di riuscire a studiare.

Il mio lungo silenzio fa sbuffare Niamh. «Hai intenzione di darmi buca, vero?» domanda, leggermente stizzita.

La bocca mi si contrae da sola e non faccio in tempo a replicare prima dell’esplosione della mia amica: «Perché? Cos’hai di meglio da fare?»

«Dovrei studiare e pensavo di farlo a casa anziché venire fin qui, almeno per una volta.»

Mi riparo dietro la tazza del caffè, bevendone un lungo sorso ormai freddo. Niamh mi scruta a lungo, si aggiusta gli occhiali e dice: «Devi proprio?»

Inarco le sopracciglia. Lei si corregge subito: «Non fraintendere. Voglio dire, hai passato tutta la settimana a studiare e lo hai fatto per tutto il giorno. Almeno domani un po’ di relax te lo meriti.»

Mi secca ammettere che ha ragione. Avendo terminato le lezioni in università ho davvero passato ogni ora possibile con gli occhi sui libri di testo, senza concedermi poi così tanto svago.

«Beh, non hai tutti i torti» rispondo, cautamente.

Niamh si morde il labbro inferiore, eccitata. «Fantastico! Allora è deciso, domani partita.»

Estrae lo smartphone dalla borsa e comincia a cercare qualcosa. «Ryan mi ha anche inviato la formazione.»

Ryan è uno dei giocatori del Swansea RFC – uno dei piloni1, per la precisione – nonché uno dei primi con cui Niamh ha fatto amicizia. È stato lui a presentarle altri giocatori della squadra, inclusi Peter e Tommy.

Mi allunga il telefono, uno screenshot della chat sullo schermo. È la formazione della squadra di domani. Scorro i nomi partendo dall’estremo2 e subito trovo quello di Thomas Allen, al numero 143 come sempre. Quasi subito trovo anche quello di Peter Hall, nel suo perfetto ruolo di primo centro4. Domani giocheranno entrambi, il che significa che li vedrò senz’altro al termine della partita. È strano che Pete non mi abbia detto niente, di solito quando gioca me lo fa sapere. Con molta probabilità avrà avuto di meglio da fare.

«Che te ne pare?» domanda Niamh, riprendendosi il telefono appena glielo porgo.

«Direi che è una buona formazione.»

«Sono d’accordo. Prendiamo la mia macchina domani, ti va? Così possiamo rimanere tranquillamente anche al terzo tempo. I ragazzi mi hanno chiesto se abbiamo voglia di andare a mangiare qualcosa con loro.»

«Quali ragazzi?» chiedo, incredula.

La mia amica spalanca gli occhi, come se non capisse la mia reazione. Fa spallucce e increspa leggermente le labbra prima di rispondere: «Ryan e gli altri. Domani sera, dopo la partita, escono con amici e fidanzate e hanno invitato anche noi.»

«Credo ci saranno anche Tommy e Pete se può servire a tranquillizzarti» aggiunge, probabilmente vedendo la mia faccia.

Non so per quale motivo, ma l’idea di uscire con mezzo squadrone di rugby e tutta un’altra serie di sconosciuti non è esattamente il mio tipo ideale di serata.

«Per quale motivo fanno questa uscita?»

«C’è bisogno di un motivo speciale? L’hanno organizzata e basta. Guarda che se non vuoi non andiamo.»

«No, no, andiamo pure. È solo che… boh, mi fa uno strano effetto» rispondo in modo sbrigativo.

«Allargare le proprie conoscenze non può che fare bene» replica lei.

La guardo, scettica. «Sei tu quella che vuole allargare le proprie conoscenze in questa città. La mia compagnia di amici a Cardiff è più che sufficiente.»

Niamh si stringe nelle spalle e sorride, colpevole. Ha sempre desiderato conoscere dei giocatori di rugby – e anche mettersi con uno di loro – perciò tutta questa storia sta accadendo perché lei si è messa d’impegno per farla accadere. Tuttavia è la mia migliore amica e io non posso fare a meno di appoggiarla. Se ci tiene a una serata fuori con la Swansea RFC la accompagnerò.

«A che ora domani?» chiedo infine, sbuffando leggermente.

Il sorriso della mia amica si allarga ulteriormente: «Passo da te alle due, giocano alle tre.»

Annuisco e mi appresto a finire di bere il fondo del mio – ghiacciato – caffè. Non so perché ma il sabato pomeriggio che si è appena delineato davanti a me mi fa uno strano effetto. Da un lato l’idea di gustarmi una partita di rugby con una birra in mano mi ispira molto, ma dall’altro il pensiero di partecipare al terzo tempo e poi all’uscita con una parte della squadra mi innervosisce. Il fatto che ci sia Peter può certo aiutare a convincermi ad accompagnare la mia amica, tuttavia devo comunque ammettere a me stessa che il mio continuo immaginare di avere una storia con lui non mi tranquillizza molto. Non ho idea di cosa potrebbe succedere a stare tanto tempo accanto al ragazzo, soprattutto perché è da un po’ che non trascorro insieme a lui più di una mezz’ora – più o meno da quando ho capito che il fatto di continuare a pensarlo non era correlabile solo alla simpatia che provo nei suoi confronti.

Non so come affronterò domani e la cosa mi sta agitando già ora. Credo mi serva un altro caffè.

 

 

 

 

 

 

Note:

1: piloni. Il pilone (Prop, in lingua inglese) è un ruolo del rugby. Nella formazione del rugby a 15 sono presenti due piloni (pilone sinistro e pilone destro, rispettivamente con numero di maglia 1 e 3) che, insieme al tallonatore, compongono la prima linea del pacchetto di mischia. Il compito dei piloni è di sostenere il tallonatore durante la mischia ordinata e di fornire un aiuto dinamico e funzionale ai saltatori nell'azione di touche. Insieme alla seconda linea, i piloni devono assicurare potenza nella spinta durante la mischia ordinata.

2: estremo. L'estremo (ing. Fullback) è un ruolo del rugby contrassegnato dal numero di maglia 15. Ha il compito di rimanere in posizione arretrata per difendere gli attacchi che superano la prima linea di difesa. Come ultimo giocatore di difesa, l'estremo, deve avere buone capacità di placcaggio. Gli estremi devono anche prendere i palloni che vengono calciati e che vengono denominati "up and under", "garryowen" o "bombe". Una volta presi questi palloni, l'estremo può anche calciare a sua volta, motivo per cui sono necessarie buone capacità di visione del gioco e nei calci. Sempre più spesso gli estremi vengono chiamati in causa in azioni di contrattacco che partono da dietro la linea di difesa. Per questo devono anche possedere buone capacità di attacco, velocità ed esplosività nella corsa in campo aperto.

3: numero 14. Il numero 14 in una formazione di rugby a 15 corrisponde all’ala destra. Le ali (ing. Wing) sono responsabili delle fasi finali delle azioni di gioco volte a segnare una meta. L'idea è che per poter attaccare venga creato uno spazio dai giocatori di mischia e dai giocatori tre quarti compresi tra la mischia e l'ala in modo che, una volta ricevuto il pallone, questo giocatore possa avere un corridoio di corsa libero per poter segnare una meta. Le ali sono spesso i giocatori più veloci della squadra, ma devono anche essere in grado di fare un veloce cambio di passo e poter così evitare gli avversari e segnare una meta.

4: primo centro. (ing. Centre) In una squadra di rugby a 15 si hanno due centri: primo centro (numero 12) e secondo centro (numero 13). I centri devono avere buone capacità per tutti gli aspetti del gioco: devono essere in grado di rompere la linea difensiva avversaria e di poter fare dei buoni passaggi. Quando si passa all'azione di difesa, i centri devono essere degli ottimi placcatori.

 

 

 

 

Ricompaio dopo un po’ con un nuovo racconto.

Faccio solo un paio di brevissime precisazioni. Anche qui c’entra il rugby, anche se non tanto quanto nella mia altra storia di Cenerentola non lucidava palloni da rugby. Questo per due motivi principalmente: il primo perché l’ispirazione mi è venuta al termine di una partita di rugby a cui ho assistito; secondo perché delle mille che ho iniziato questa storia è la prima che sono riuscita a concludere.

La seconda breve precisazione è legata al fatto che questo racconto vuole essere qualcosa di semplice, una storia leggera di quelle che io amo leggere – e soprattutto scrivere – ma che sempre più di rado riesco a trovare.

Spero vi piaccia, lo spero davvero.

 

A presto.

MadAka

  
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