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Autore: simocarre83    03/10/2016    3 recensioni
Può una telefonata cambiare la vita di una persona? Dipende dalla telefonata. Il problema è che spesso non sappiamo quale sarà quella telefonata. Potessimo saperlo, la registreremmo per ricordarcela, o non risponderemmo neanche. Ma non lo sappiamo. E quando ce ne accorgiamo è troppo tardi e possiamo solo sperare che la vita cambi. In meglio.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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9 – BASILICATA IS ON MY MIND
Finché mantenevo la mente occupata nelle attività scolastiche, non pensavo ad altre cose. Bastava concentrarmi sullo studio e sui problemi che avevo a Milano per non pensare a Policoro e non permettere ai pensieri di accavallarsi in una girandola pericolosa di fantasie e domande. Perciò, sin dall’inizio della scuola sapevo che la prima vera grande prova l’avrei dovuta affrontare a Natale.
Già qualche domenica in cui non avevo niente da fare mi era costata tanti sforzi e tanta fatica per tenere sotto controllo i pensieri. Mi accorgevo che, soprattutto se restavo a letto un po’ di più la mattina, o facevo fatica ad addormentarmi la sera, con la mente viaggiavo immediatamente a mille kilometri di distanza. A quello che era successo. A quello che mi avevano fatto e a quello che era diventata la mia vita, un esilio forzato al di fuori del mio pensiero felice: Policoro.
Così cercavo di tenere sempre la mente occupata su argomenti diversi. E quando ero mentalmente troppo stanco per farlo, mi dedicavo all’attività fisica. Fu in quel periodo che maturai una vera passione per il nuoto. Evitavo di sentire qualsivoglia notizia sulla Basilicata o sulla stessa Policoro. Anche la lettura diventava pericolosa. Fu sempre un quel periodo che incominciai ad apprezzare i saggi scientifici, soprattutto di carattere matematico. D’altra parte erano quanto di più lontano da un libro di avventura potessi leggere, e decisamente impedivano alla mia fantasia di viaggiare.
Vi lascio solo immaginare la tortura che dovetti subire quando mi offrii di aiutare mio fratello a fare un compito di letteratura e scoprii che il compito verteva su “I ragazzi della via Paal”. Fu uno dei pomeriggi peggiori della mia vita. Era quasi la metà di dicembre e in poche ore avevo cancellato 4 mesi sforzi mirati a non pensare a nulla che potesse anche solo lontanamente assomigliare alla mia esperienza. Alle sei di sera finimmo il compito e da quell’ora non tornai a casa dalla piscina neanche per mangiare.
Poi arrivò il momento peggiore: era una delle mattine più fredde di quell’anno. Alle otto meno un quarto mio padre mi lasciò all’ingresso della scuola e si diresse velocemente al lavoro.
Per quanto fossi in uno stato di ansia da prestazione scolastica per quello che mi aspettava, quella era una giornata che poteva considerarsi “bella”. Le prime due ore ero impegnato nell’ultimo tema dell’anno. La successiva avevo un’interrogazione di elettrotecnica, ma ero assolutamente preparato, quindi accettai con gusto la sfida per vedere se riuscivo a superare l’otto all’orale che avevo preso due mesi prima. Poi tre ore di laboratorio. Ma essendo l’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze di Natale, sicuramente non avremmo fatto nulla.
Le prime tre ore passarono tranquillamente. Poi, nelle ore di laboratorio mi rilassai, forte del mio otto e mezzo in elettrotecnica.
Avendo ricevuto il permesso dal professore di passare un po’ di tempo in internet, mi collegai alla mia casella di posta elettronica. La aprii e in effetti c’era un messaggio. Lo lessi e mi sentii mancare, tanto che dovetti chiedere al professore il permesso di uscire un attimo. Una volta fuori dall’edificio scolastico cercai di fare il punto della situazione.
Intanto nel laboratorio tutti si chiedevano che cosa avesse di così particolare quel messaggio. Io, infatti, non avevo semplicemente chiesto con riservatezza al professore di uscire: mi ero alzato, avevo di corsa attraversato tutto il laboratorio per arrivare al banco del professore, mi ero quasi ammazzato inciampando in un paio di sedie e, affannosamente, avevo chiesto ad alta voce al professore di uscire.
Non riuscivano a capire il motivo di tutta quell’agitazione. In fondo erano solo quattro righe. Poi c’era un logo, una figurina, ma a nessuno sembrava che ci fosse qualcosa di particolare dietro tutto questo. Anche quello che c’era scritto non era niente di particolare:
“caro Simone. Siamo veramente felici di risentirti. Non credo che tu ci conosca. Ma noi si. Non ci dimenticheremo mai di te. Sei troppo importante per noi. Guai a te se provi a scendere a Policoro a Natale, caro Simone”
Poi ad Alessandro venne in mente che cosa avrebbe potuto essere e decise di assicurarsene. Stava suonando l’intervallo, quindi uscì anche lui dall’aula e mi raggiunse fuori dall’edificio scolastico, mentre io, con addosso solo una felpa, mi stavo “rinfrescando” le idee.
“Non dirmi che sono loro” chiese Alessandro, accendendosi una sigaretta e porgendomela.
“Che fai?! Quante volte te lo devo dire che non fumo?” risposi con veemenza. Alessandro fece un tiro e si sedette al mio fianco. Solo allora continuai.
“Si! Ne sono sicuro”
“Come fai?” mi chiese.
“Il logo. Non è un logo, come qualcuno ha pensato che fosse. È una firma. Tre bambini stilizzati sono la firma della banda dei Tre Fratelli. E poi la stessa frase, ad inizio e fine della perentoria comunicazione. Sono sicuramente loro. Come hanno potuto sapere il mio indirizzo di posta elettronica?”
“Ma soprattutto, cosa vorranno ancora da te? Non sei stato tu a dirmi che anche se te ne eri andato, Michele e gli altri non hanno più disturbato i tuoi amici? Perché adesso che stanno incominciando queste vacanze loro vogliono tenerti lontano da Policoro?”
“Non lo so. Forse vogliono assicurarsi che non faccia il furbo. Anche se c’è, in effetti, qualcosa che non mi convince. Non riesco però a capire ancora bene qual è il particolare che non quadra”
“Forse rivedendo il messaggio potrai fare più mente locale della situazione” mi consigliò Alessandro. Facendomi capire di essermi spiegato bene.
“Non sto parlando del messaggio! In generale. C’è qualcosa che mi sfugge, qualcosa che so di non aver considerato” risposi.
“Si ma qui non ti rinfreschi la mente, te la congeli. Che ne dici se rientriamo?” chiese, gettando nel cestino il mozzicone appena spento della sigaretta.
Ritornai in fretta nel laboratorio e al mio computer. E osservai di nuovo tutto il messaggio. Ma niente.
Come spesso accade, fu una frase detta accidentalmente a illuminarmi. Ad un certo punto un mio compagno, completamente disinteressato a tutto quel discorso, disse una frase che non avrebbe avuto alcun significato per me, in qualunque altra situazione, ma che in quel caso mi aprì letteralmente gli occhi. Disse, ad alta voce, la frase di un comico cabarettista abbastanza famoso in quegli anni: “Le so tutte!”.
Niente di strano, eppure quelle tre parole rimbombarono nella mia mente ed aprirono uno spiraglio in tutto quel casino. Solo che non volli dare a vedere nulla. Cancellai il messaggio ed arrivai fino alla fine della giornata scolastica. Le vacanze erano iniziate e non le avevo mai aspettate così ansiosamente. Appena arrivai a casa, decisi che era arrivato il momento per sapere qualcosa di più su ciò che era successo quel giorno. Decisi di telefonare a Giuseppe.
“Pronto”
“Ciao sono Simone da Milano”
“Simone! Ciao! Come stai? Spero bene. Com’è il tempo lì? Come mai te ne sei andato così in fretta, e senza lasciarti salutare?”
Era la madre di Giuseppe. Lui aveva preferito non dirle niente e probabilmente aveva fatto bene.
“Buongiorno signora, sto bene, grazie. Per il resto è una storia lunga. Per favore, può passarmi Giuseppe? Gli devo dire una cosa”
“Subito” fu la risposta della donna. E, dopo pochi secondi, si sentì la voce di Giuseppe al telefono.
“Che cosa vuoi?”
“Dalla risposta deduco che anche a te è arrivata la comunicazione dei Tre Fratelli! Come va?”
“Si mi è arrivata. Anche a Francesco e Emanuele è arrivata. Me l’hanno appena detto. Ma tu avevi intenzione di scendere a Natale?”
“No! E a questo punto speriamo di rivederci alla fine dell’anno scolastico. Senti, che tu sappia, Emanuele ha avuto qualche rapporto con i Tre Fratelli in passato?”
“No! Lo saprei altrimenti! Anzi lo sapremmo tutti, ma perché me lo chiedi?”
“Perché ho come l’impressione che sappia troppo. Da come ci ha parlato delle cose successe in passato con i Tre Fratelli”
“Si, Simone, ma quelle sono cose che sanno tutti. Voci più o meno tendenziose relative al passato. Alcune vere e proprie balle!”
Mentre da lontano si sentiva la madre di Giuseppe che lo sgridava per i modi e le parole, feci a Giuseppe un’altra domanda.
“Giuseppe, ma se tu sapessi qualcosa me lo diresti, vero?”. Avevo bisogno di sapere che potevo, nonostante tutto, contare ancora su di loro. E Giuseppe rispose nel modo giusto.
“Guarda che chiunque può impedirci di giocare a nascondino o uscire insieme la sera, ma l’amicizia tra noi quattro rimane e rimarrà sempre la stessa”.
“Grazie! Ci sentiamo!”
“Di niente! Ciao!”
E quella telefonata finì. Quelle erano proprio le cose che avevo bisogno di sentire. E quella fu una giornata decisamente particolare. Iniziai a pensare di poter ritornare a Policoro tranquillamente l’estate successiva.
Ma soprattutto iniziai a pensare ad una cosa legata a Policoro. La proposi a Maria e lei ne fu entusiasta. E quelle vacanze passarono a Milano. Giocai con il computer, guardai la televisione e soprattutto ne approfittai per studiare, dal momento che quei pensieri mi avevano portato via un sacco di tempo utile.
Uscii anche. Andai a Milano con Maria e mi gustai fino in fondo la nevicata che coinvolse tutta la regione per ben due giorni. Non mi ricordavo di avere mai visto così tanta neve a Milano. Ebbi anche il piacere di parlarne con Giuseppe che sentii spesso, ma al quale non rivelai la sorpresa che gli avrei fatto in estate. Che avrei fatto a tutti loro. Poi finì l’inverno e passò la primavera.
Il tempo passava velocemente e così in poco più che qualche istante nella mia mente, mi ritrovai all’inizio di Giugno. Come gli altri anni, sempre, ogni volta mi capitava in quel periodo di soffrire di una vera e propria crisi di astinenza verso Policoro. Anche in quell’occasione presto avrei potuto riprendere la vita normale delle vacanze scendendo. Almeno, questo era quello che speravo vivamente. In più non ricevetti più alcun messaggio dai Tre Fratelli. Questo mi consolò, perché mi sentii autorizzato a scendere nuovamente a Policoro.
Stranamente, però non avevo più sentito neanche Giuseppe. Almeno dalla fine di Aprile. Però non me ne preoccupai più di tanto. La vera fonte di gioia fu la notizia che mio padre mi diede il giorno stesso della fine della scuola. Visti i miei buoni voti, e riconfermandomi la sua fiducia, dal momento che i miei nonni erano già scesi un mese prima ma poi dovevano risalire per gestire delle visite specialistiche, dal giorno stesso del mio arrivo a Policoro, avrei avuto nuovamente l’occasione di rimanere da solo in casa, fino all’arrivo dei miei genitori ad agosto.
Sarei partito Lunedì 16 Giugno, e rimasto a Policoro, da solo, almeno per un mese e mezzo. Almeno, così aveva pensato mio padre. In realtà avevo ben altre intenzioni, ma era troppo presto per renderle pubbliche. Fui, ovviamente, felicissimo per quella notizia.
Policoro, incredibilmente, era ritornato ad essere il mio pensiero felice. Anche se con tutto il macello successo l’anno prima qualche piccola disillusione mi aveva colto. Adesso sapevo che non tutti i ragazzi come me sono bravi ragazzi. Anche a Policoro. Ma non me ne preoccupai più di tanto.
Il giorno stesso della partenza, quando ero già sul treno, mandai un messaggio a Giuseppe. “SONO SUL TRENO PER POLICORO”. E anche quel messaggio, come tutti gli altri, non ricevette una risposta. Ma ero felice lo stesso.

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Eccomi di nuovo!! :) Grazie ancora a tutti voi per sostenere questo racconto e soprattutto per recensirlo. Un'opinione è sempre importante: stimola le facoltà di ragionare, ci fa prendere delle decisioni importanti, ci suggerisce addirittura di cambiare qualcosa, rende migliori e dona anche quel pizzico di sicurezza in più, quando necessaria. GRAZIE!!
  
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