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Autore: dream_more_sleep_less    06/10/2016    2 recensioni
A diciotto anni non si sa mai esattamente cosa si voglia dalla vita, né chi si voglia diventare. Si passa il tempo a porsi domande accompagnate da porte in faccia, e rimaniamo indecisi fino all'ultimo. Leeroy invece è cresciuto con la convinzione di poter diventare esattamente ciò che vuole: un calciatore. Non ha mai voluto altro e non ha mai sognato altro. Gli studi non fanno per lui. La sua presunzione lo porta a distruggere i sogni della squadra del suo liceo proprio alla finale di campionato. Ha deluso soprattutto i compagni che stanno ormai per diplomarsi. Per loro non ci sarà un'altra possibilità, sono arrivati all'ultimo giro di giostra. Alla fine scenderanno da vincitori o da perdenti. Dipenderà tutto da Leeroy, che dovrà riuscire a mettere le redini al suo ego per andare d'accordo con il portiere. Secondo lui, Lance è la vera causa della loro sconfitta.Troppo calmo, troppo sicuro di sé. Ma il loro rapporto dovrà cambiare per permettere ad entrambi e al resto della squadra di guadagnarsi il titolo di campioni. { In corso }
Genere: Commedia, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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The last chance
XXVI


Ora che era libera di tornare a Liverpool, non sapeva se era la cosa giusta da fare. Nella clinica dove aveva portato sua madre c'era una strana quiete. Con il caffè in mano guardava fuori dalla finestra, soppesando le scelte prese fino a quel momento. Era riuscita in tutto ciò che si era prefissata, ma a che prezzo? Sospirò, prendendo un sorso di caffè. Il tempo in quei giorni era peggiorato e non le piaceva la pioggia. Il medico arrivò in quel momento.

"Signorina Stark, buonasera," disse l'uomo, aprendo la cartella con le scartoffie che la ragazza avrebbe dovuto compilare.

"Buonasera. Quindi è tutto pronto?"

"Mi deve ancora preparare questi fogli e poi sua madre sarà ufficialmente una nostra paziente."

Alexandra sorrise incerta, prendendo la cartella. "Riuscirete davvero a guarirla?"

"Sarò franco, noi possiamo rimetterla in sesto, ma quando poi avrà finito con noi dovrà essere lei a riuscire a non ricaderci."

"Capisco," rispose pensierosa. "Faccio subito le carte."

Mentre firmava, si chiese per l'ennesima volta se fosse la cosa giusta. Era stato quello il piano sin dal principio. Con sua nonna era già d'accordo: sua madre sarebbe andata a vivere da lei non appena avesse finito lì.

Di Lance invece non si preoccupava affatto. Lui aveva vissuto da solo fino a quel momento e, ora che aveva più libertà, era sicura che sarebbe stato anche più tranquillo.

Il fratello arrivò in quel momento. "Alex, hai fatto tutto?"

"Sto finendo di compilare ora i fogli, poi possiamo andare."

"Non vuoi passare a salutarla?" chiese lui, anche se sapeva già la risposta.

La ragazza sembrò pensarci un po' mentre si accingeva ad applicare l'ultima firma. Ormai era fatta. "Sta dormendo, non voglio disturbarla."

"Aspettami qua. Adam è fuori ad aspettarci."

Alex lo guardò scomparire per i corridoi, non sapendo come sentirsi.

La stanza era piccola, con un armadio bianco e un paio di sedie. I libri di lei su una scrivania troppo piccola anche per un bambino. Sua madre dormiva, avvolta dalle coperte che avevano portato da casa. Il dottore aveva detto che era meglio che avesse qualcosa che fosse suo per farla sentire più a suo agio. Si chiese se fosse vero. Era sicuro che lei non si sarebbe abituata a quel cambiamento. Avrebbe odiato entrambi. Era strano vederla così quieta, le uniche volte che l'aveva vista così era quando si ubriacava fino all'incoscienza.

Si chiese ancora una volta se sarebbe servito a qualcosa. Doveva ancora chiamare sua nonna, voleva sapere per quale motivo alla fine avesse deciso di riprendere sua figlia. Da quando era cominciato il declino erano cambiate tante cose. Non aveva più visto l'Irlanda. Gli mancava casa. Nonostante fosse nato a Brighton, considerava le isole Galway la culla della sua infanzia e della sua vecchiaia. Sapeva già che prima o poi si sarebbe ritirato da tutto e tutti per andare là da solo. 

Si avvicinò a guardarla. Gli mancavano i tempi in cui tuttoera normale. Prima che suo padre se ne andasse al diavolo. Leaccarezzò una guancia e se ne andò. La malinconia che gli nascevadentro era nociva per la sua età.

*

Mentre preparava le valigie per tornare a Liverpool l'indomani, continuava a chiedersi se avesse fatto la scelta giusta. Credeva di sentirsi sollevata, ma non era così. In cucina Lance e Adam fumavano con la televisione in sottofondo. Era tutto come sempre sarebbe dovuto essere; senza preoccupazioni. Quando ebbe finito tornò dagli altri, aveva paura che rimanendo da sola sarebbe uscita di testa. Non doveva pensare troppo, ma tornare all'università e preparare i suoi esami. Da quel momento avrebbe pensato solo al suo futuro e nient'altro.

"Ti ho detto che per questo anno abbiamo finito. I soldi per pagare fino al nuovo anno li abbiamo. Riprenderemo a febbraio, ora voglio avere un po' di pace, "disse Lance con tono stanco.

Adam sospirò. Dava ragione all'amico, ma aveva comunque bisogno di tenere la mente occupata. Probabilmente avrebbe già organizzato le cose per l'anno nuovo.

"D'accordo. A proposito di dicembre... Venite a casa nostra? Mia madre ha chiesto di voi," chiese con disinvoltura. Non che fosse una novità, anzi; era più una tradizione da un paio d'anni.

"Sai che portiamo noi il dolce," rispose Lance. Il dolce lo aveva sempre fatto lui, facendolo passare per quello della sorella. Alexandra odiava cucinare, o meglio, non ne era affatto capace. Tutti nella loro scuola si erano spesso chiesti come potesse essere così in forma nonostante mangiasse cibo spazzatura ad ogni ora del giorno.

"Non so se vengo quest'anno. Ho da preparare due esami per l'inizio di gennaio. Contavo di passare quella settimana a studiare."

"Ma non puoi non venire giù per Natale!" esclamò secco il fratello.

Alexandra alzò gli occhi al cielo, esasperata. Sapeva che avrebbe reagito così.

"Fare avanti e indietro con il treno è una rottura e ho esami da dare."

"Posso venire a prenderti io con la macchina se non vuoi venire in treno," suggerì Twain.

"Allora prendo il treno."

"Ma si può sapere qual è il tuo problema?" domandò Adam, alzando il tono della voce. "Volevo farti un favore, mica portarti a letto."

Lance cercò difar star zitto l'amico senza troppo successo, non sopportava vederli litigare, erano un caso umano.

"Dubito che avrai mai successo in quello," rispose secca lei. "Ma non preoccuparti, verrò da tua madre a Natale."

Il fratello si massaggiò le tempie, iniziando a perdere la pazienza. Decise allora di lasciarli da soli per andarsene in camera sua. Ne aveva avuto abbastanza.

"Non devi venire se non vuoi, puoi startene a Liverpool."

"Ma farò come mi pare? È tua madre ad avermi invitata, non tu."

Adam spense la sigaretta nel posacenere, sbuffando. "Sei insopportabile."

"Ah, io lo sarei?" domandò la ragazza, alzando la voce. "Ma se il tuo unico pensiero da quando sono qua è quello di portarmi a letto. Non hai provato per un solo momento a farmi delle domande su come sto," sbottò, sedendosi all'altro lato del tavolo.

"Ho provato tutto il tempo, ma se mi trovo un muro davanti, non posso fare molto."

Le sue parole furono seguite da un lungo silenzio. Entrambi lo usarono per calmarsi e cercare di ragionare. Ciò che c'era stato tra di loro non era morto. Era solo complicato, lo era diventato con tutti i problemi che si erano messi di mezzo. Alexandra lo aveva abbandonato per inseguire i suoi sogni, nonostante gli avesse detto che non lo avrebbe mai lasciato. Adam invece era peggiorato. Una volta le sue battute erano divertenti e la facevano gongolare, ora invece le trovava fuori luogo. Era ancora convinta che lui fosse l'unico. Lo era sempre stato. La vita le aveva remato contro fino a quel momento e lui aveva attraversato la tempesta con lei, senza guardarsi alle spalle. Si era buttato come solo un pazzo avrebbe potuto fare. Per questo lui era l'unico e lei, per quanto sapesse che le cose erano diventate complicate, con arroganza era convinta fino alla morte che fosse l'unica per lui. Forse non ora, ma poi avrebbero avuto una possibilità.

"Sappiamo entrambi come stanno le cose. I sentimenti non sono cambiati..." iniziò lei, ma venne subito interrotta da Adam.

"Sono le persone ad essere cambiate. Questo è normale, ma tu devi decidere. Io so cosa voglio,  e fino ad ora ho aspettato. Cosa vuoi sentirti dire? Che ti aspetterò all'infinito? Probabilmente sì, sono così idiota che non potrei smettere di pensare a te. Quindi prendi la tua decisione." Per una volta era riuscito a dire tutto ciò che veramente pensava e sapeva di essere un debole. Lo sarebbe sempre stato davanti a quegli occhi.

Alexandra lo guardò senza riuscire a non provare nulla.

"Non posso prometterti nulla, te l'ho sempre detto," rispose lei.

Adam si accese l'ennesima sigaretta, senza guardarla, e si diresse alla porta. Era stanco di parlare e non essere ascoltato. Rimase con lo sguardo fisso sulla porta e la mano bloccata sulla maniglia per qualche secondo. Gli occhi persi chissà dove, cercando le parole nel profondo di se stesso. "Ti amo," disse in un sospiro. E se ne andò.

Alex rimase a fissare il punto dove prima c'era Adam, mentre le lacrime iniziavano a macchiarle le guance. Era troppo tempo che non piangeva. Non era ancora il momento giusto.

*

La lettera con la multa arrivò quel mercoledì. Fu Jo a trovarla nella cassetta della posta al ritorno da scuola. Non poté fare a meno di ridere quando gliela porse. "Come si fa a prendere una multa simile? Che diavolo ci facevi là?"

"È troppo lunga da raccontare," concluse lui, non aveva voglia di parlarne. Soprattutto per tutto ciò che aveva comportato dopo. Ma si era reso conto che non era vero. Era arrivato a pensare che, se non fossero finiti a letto, sicuramente sarebbero finiti all'ospedale. Ora però si era complicato tutto. Sospirò, guardando la lettera. Jo era andata a fare i compiti. Non le avrebbe raccontato cosa era successo. Sapeva solo che Lance era rimasto a dormire lì quella notte perché la mattina lo aveva visto uscire di casa. Non si erano detti molto. Quella era la parte difficile, l'imbarazzo che ne era derivato. Doveva chiamarlo. Quel cretino non aveva un cellulare normale e continuava a chiedersi perché diavolo con tutti i soldi che aveva non si fosse ancora comprato un normale smartphone. Avrebbe potuto mandargli la foto su Whatsapp e sarebbe finita lì. Ma sapeva che non era un argomento da affrontare in quel modo. Non poteva fare l'immaturo. Tornò in camera sua e si mise alla finestra, componendo il numero.

"È successo qualcosa?" chiese la voce del portiere dall'altra parte, con tono allarmato.

"No, cioè, sì. È arrivata la multa di quella sera," disse Leeroy, non sapeva esattamente cosa dire.

"La pago io come ti avevo detto. Non preoccuparti."

"Non è quello." Calò un silenzio imbarazzante, interrotto solo dal loro respiro.

"Portala domani a scuola e ne parliamo," sì limitò a rispondere Lance.

"Va tutto bene?" domandò Roy, incerto. Non sapeva come comportarsi. Aveva l'impressione di star sbagliando qualcosa.

"Ora sì. Ci vediamo domani a scuola," disse solo prima di riattaccare. 

Leeroy rimase stranito per un momento. Era andato fino a casa sua per parlare del bacio e della questione di Miles e Abigail, ma dopo che avevano fatto sesso diceva solo 'ci vediamo a scuola'? Gli venne da ridere. Per il momento lasciò perdere e andò a fare i compiti. Si era ripromesso di continuare con i bei voti. La sua bocciatura alla scuola di Londra in un certo senso aveva un po' influenzato il suo rendimento. Sapeva di essere stato bocciato per il suo modo di fare, ma la verità era che si era rotto le scatole di stare in quella scuola privata per rampolli. Sua nonna aveva voluto fare un piacere a sua madre e mandarcelo, ma lui non voleva.Ma ciò che nonna diceva, era legge per la sua famiglia. Preferiva cento volte aver saltato l'anno piuttosto che rimanere in quel buco un momento di più. Sospirò. La cosa non lo preoccupava molto, ma sapeva che per quanto stronzo e svogliato fosse, i professori si erano creati un immagine di lui. A parte loro, nessuno gli faceva pesare la cosa. Non che gli importasse. Non voleva dimostrare niente a nessuno in quel momento della sua vita, solo non aver più problemi. 

Raggiunse Jo in cucina alla penisola e fecero i compiti insieme. Evitò camera sua tutto il giorno e vi tornò solo per dormire. Gli tornava tutto in mente solo stando davanti alla porta. Qualcosa era già cambiato, si chiese solo quali sarebbero state le conseguenze.

*

Alex sarebbe partita quel giorno stesso. Nel suo sguardo Lance aveva letto una certa delusione e sapeva benissimo chi ne fosse la causa. A prendere il treno non c'era quasi nessuno, era notte tarda e faceva freddo. Il vento tirava forte, scompigliando i capelli di entrambi. Si nascosero dietro una colonna per riuscire a fumare.

"Andrà bene," disse lei, fissando il vuoto e tremando. "Riuscirai in tutto, Lance. Lo vedo nel tuo futuro. Non chiedermi come, ma lo so."

Vederla così tremante lo fece ridere, ma decise comunque di abbracciarla. "Va meglio?"

"Grazie," disse lei con un tono assente.

"Non essere triste. Come hai detto tu, andrà tutto bene. E lui ti aspetterà,"sussurrò il più giovane nell'orecchio della sorella.

"Non sono triste per quello."

"Lo so, lo so," rispose Lance, cullandola. Quello era uno dei pochi momenti che avevano avuto da quando Alexandra era partita per Liverpool. Era difficile riacquistare la fiducia dell'altro dopo tutto ciò che c'era stato.

"A Natale ti regalo un cellulare, è inconcepibile che tu vada in giro con quel coso," scherzò lei ad un certo punto.

"È perfetto per il lavoro e evito lo spam."

"Quanto sei asociale."

"Disse Miss-Amo le persone."

Risero di nuovo insieme dopo tanto tempo.

Dopo poco arrivò il treno che la riportò fino a Liverpool. Si sarebbero rivisti presto.

*

Quando arrivò a casa, nel vialetto c'era l'auto di Twain, con lui seduto dentro a finestrini chiusi, stava fumando. Sentì il brusio della musica provenire dall'abitacolo e sapeva già che canzone fosse. Andò spedito all'auto, aprendo lo sportello dalla parte del passeggero, ed entrò.

I tried to find her

'Cause I can't resist her

I tried to find her

I never knew how much I missed her

Sorrow

"Per l'amor di Dio, stacca Bowie," commentò esasperato Lance, spegnendo la radio."Ora sì che sei ridicolo, manco ti piace."

"Non rompere, lasciami così."

Stark accese una sigaretta, strofinandosi le tempie.

"Senti, i tuoi problemi già li so, ora ti sorbisci i miei," disse secco il più giovane.

Adam non sembrava molto interessato, come suo solito, infatti l'amico alzò gli occhi al cielo. Non sopportava quando non l'ascoltava.

"Ho fatto sesso con Rogers." Forse chiamarlo per cognome gli avrebbe impedito di vedere quanto la cosa fosse seria.

Twain sembrava essere su un altro pianeta da quanto fosse preso da se stesso. Sua sorella aveva talmente una brutta influenza su quel povero ragazzo che se gli avesse detto di buttarsi da un monte, non solo lui avrebbe accettato di buon grado, si sarebbe pure fatto spingere da lei a occhi e orecchie bendate.

"Ti vuoi riprendere? Cazzo, sei un coglione. Ti dico che mi sono scopato Leeroy e non dici un cazzo. Bell'amico. Ti avessi detto qualcosa su mia sorella, avresti fatto di tutto," sbottò incazzato, uscendo dall'abitacolo.

Adam rimase per qualche secondo bloccato con una mano sul volante e l'altra con la sigaretta, seguendo con lo sguardo sgranato l'amico. Scese anche lui quando Lance aveva ormai raggiunto l'ingresso.

"Stai scherzando!?" riuscì solo a dire in mezzo alla strada.

*

A scuola era tutto normale. Si era calmato dopo la litigata di quella notte con Adam. 

Si sentiva un coglione. Non avrebbe dovuto farlo. Erano compagni di squadra e gli dava anche ripetizioni. Più o meno questo aveva raccontato a Twain, mentre le sue risposte erano state per lo più insulti nei confronti del terzino.

Era comunque stata una cosa da una notte e basta. Leeroy era la persona più asessuata che conoscesse, infatti non si era mai aspettato quella reazione da parte sua. Quel ragazzo però era impulsivo e sapeva che ciò era dovuto anche dalla loro amicizia-relazione. Mentre percorreva i corridoi per incontrarlo davanti al campetto durante la ricreazione, il suo cuore non riusciva a far meno di battere troppo e il cervello di lavorare. 

La verità però era che non si era pentito di nulla, era solo che non potevano. Così e basta. Non ci sarebbe stato altro.

Lo vide da lontano. Aveva solo una felpa addosso e la sciarpa che lo copriva fino al naso. Si chiese come potesse non avere freddo. Era strano per quelle cose. Non poté fare a meno di sorridere.

"Perché dobbiamo fare 'sta cosa della multa così clandestinamente?" domandò Leeroy annoiato.

"Perché non voglio far sapere a troppa gente che ho soldi per pagarla."

"Hai dormito male?" chiese Rogers bruscamente.

"Lascia perdere, fammi vedere."

Il terzino alzò gli occhi al cielo, esasperato. Già lui non era una persona mattiniera, ma Lance poteva prendersi un caffè. Gli diede il foglio, senza accorgersi dello sguardo del portiere che lo squadrava da capo a piedi, soffermandosi poi sulla sciarpa.

Stark si mise a leggere per conto suo e mentre gli occhi guardavano altro, la testa non riusciva che a pensare al ragazzo di fronte a lui. "Lo sai che ti dovrai togliere la sciarpa agli allenamenti, vero?"disse distrattamente.

"Ho lo scaldacollo," rispose a sua volta, un po' brusco, riprendendosi il foglio.

Leeroy per certe cose aveva come un sesto senso, si aspettava già le prossime parole di Lance. Non aspettava altro che desse voce ai suoi pensieri.

"E sai che siamo nella stessa squadra," disse Stark ad un certo punto, incerto. Intanto aveva tirato fuori i soldi dalla tasca.

"No, guarda, gioco a pallavolo con Abigail. Ma il discorso è chiaro." Prese i soldi e se ne tornò sui suoi passi.

"Coglione," riuscì solo a dire il portiere.

*

Si aspettava quelle parole e sapeva che aveva ragione. Ma nei suoi occhi non aveva letto alcun tipo di rimorso. Almeno di quello era sicuro. Avevano solo fatto sesso, cosa poteva esserci di più? "Fanculo,"disse a denti stretti. Stavano facendo una partitella giusto per finire l'allenamento e stranamente non aveva ancora toccato il pallone. Gli era passata la voglia di giocare. Voleva andarsene a casa, moriva anche di fame. Non riusciva a togliersi quelle immagini dalla testa, esattamente come con quel bacio. Solo che ora era diverso, non sapeva quale fosse il passo successivo, anche se Lance l'aveva fatto per entrambi. Per lui la scelta del portiere era stupida. Non sapeva se provava qualcosa o meno. Ma non pensava che avrebbe mai riprovato quelle sensazioni. La mattina dopo, quando si era svegliato solo nel letto, aveva pensato per un momento che si fosse trattato solo di un sogno, ma dopo aver constatato di essere nudo si era reso conto che era stato reale, e il panico gli aveva attanagliato le viscere per un momento. L'odore di terra e salmastro di Lance era rimasto tra le lenzuola e sulla sua pelle. E nonostante fosse andato via, non aveva potuto fare a meno di sorridere.

Ora non aveva idea di dove andare a sbattere la testa. Nei giorni seguenti si era chiesto come diavolo fosse potuta accadere una cosa del genere, era tutto così irreale per lui. Ogni volta che dava carta bianca all'istinto finiva così, e non aveva ancora imparato. Forse non voleva, in quel modo riusciva a vivere a pieno, nonostante tutte le conseguenze.

Stan annunciò la fine della giornata organizzata come preparazione alla partita di domenica, così Leeroy seguì gli altri negli spogliatoi.

"Venite a casa mia dopo?" chiese Daniele, aprendo la porta.

Roy ed Akel sbadigliarono. Il turco annuì, aveva voglia di divertirsi un po' anche se era stanco morto.

"Io passo, grazie, voglio andare a dormire, non riesco a tenere gli occhi aperti," biascicò il difensore. La sera precedente aveva passato il tempo a giocare alla X-box per evitare di rimuginare sull'accaduto. Non si era ancora spogliato per fare la doccia che Miles lo aveva raggiunto per parlargli, o meglio, per dargli ordini.

"Cosa c'è?"domandò Roy, sbadigliando ancora. Sperò che il ragazzo non volesse parlargli di Abigail, non era né il momento, né il luogo adatto.

"Stan ha chiesto se ti fermi più degli altri insieme a Lance. Non chiedere, sue idee del cazzo," rispose il ragazzo, brusco.

Leeroy rimase spiazzato: quando Miles parlava con le veci di capitano non era mai così. Non credeva che la colpa fosse ancora legata alla ragazza.

"Credo voglia vedere quanto siate amici ora," aggiunse acidamente.

"Ma ti è venuto il ciclo?" chiese a tono il terzino, per poi cercare lo sguardo del portiere.

Aveva fatto gli esami e si stava comportando bene, per quale motivo doveva mettersi a fare una cosa del genere? Non era il momento.

Miles lo fulminò con lo sguardo.

"Hai ragione, è un'idea del cazzo!" esclamò Leeroy.

"Muovi il culo e vai da lui, non abbiamo tutto il giorno."

Leeroy imprecò a bassa voce, per poi tirare un calcio alla panchina dove aveva appoggiato il borsone. Akel scosse la testa in disapprovazione. "Vai, dai. Non fare cazzate però," si raccomandò il turco. Lance uscì in quel momento dallo spogliatoio, guardando di sfuggita Rogers.

"È facile per te dirlo," sospirò abbattuto.

"Akel ha ragione, vai e cerca di non spaccare la faccia a nessuno, altrimenti ti scordi di giocare" aggiunse Daniele.

"Tanto non cambia niente."

Leeroy si diresse verso la porta dopo averli salutati. Quei due però non potevano capire il suo stato d'animo, non sapevano cosa fosse accaduto tra il difensore e il portiere qualche giorno prima. Il pensiero che sarebbero rimasti soli lo bloccò dall'aprire la porta dello spogliatoio. Non era più sicuro di voler andare. Quella però era l'occasione giusta per far vedere a Stan che le cose tra i due andavano bene, ma non voleva uscire. Forse avrebbe potuto far vedere a Lance che l'essere compagni di squadra non era un problema. 

Chi voleva prendere in giro? Era pessimo in quello. Stava vacillando. Pensò che doveva mandare al diavolo quella storia e concentrarsi solo sulla partita in arrivo e non al fatto che avessero fatto sesso. Non era ancora riuscito ad assimilare la cosa. Si inginocchiò per allacciarsi bene gli scarpini, cercò di temporeggiare. Doveva uscire con un'espressione normale, doveva far finta di nulla per il momento. Avrebbe chiesto spiegazioni a Stan di quella geniale trovata, poi alla fine avrebbe parlato a Lance e avrebbe detto la sua. Si tirò su, prendendo un bel respiro prima di aprire la porta e raggiungere l'allenatore e il portiere in mezzo al campo.

Quando arrivò da loro, notò subito che Lance aveva distolto lo sguardo da lui, rivolgendolo alla porta.

 

   
 
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