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Autore: dream_more_sleep_less    08/10/2016    1 recensioni
A diciotto anni non si sa mai esattamente cosa si voglia dalla vita, né chi si voglia diventare. Si passa il tempo a porsi domande accompagnate da porte in faccia, e rimaniamo indecisi fino all'ultimo. Leeroy invece è cresciuto con la convinzione di poter diventare esattamente ciò che vuole: un calciatore. Non ha mai voluto altro e non ha mai sognato altro. Gli studi non fanno per lui. La sua presunzione lo porta a distruggere i sogni della squadra del suo liceo proprio alla finale di campionato. Ha deluso soprattutto i compagni che stanno ormai per diplomarsi. Per loro non ci sarà un'altra possibilità, sono arrivati all'ultimo giro di giostra. Alla fine scenderanno da vincitori o da perdenti. Dipenderà tutto da Leeroy, che dovrà riuscire a mettere le redini al suo ego per andare d'accordo con il portiere. Secondo lui, Lance è la vera causa della loro sconfitta.Troppo calmo, troppo sicuro di sé. Ma il loro rapporto dovrà cambiare per permettere ad entrambi e al resto della squadra di guadagnarsi il titolo di campioni. { In corso }
Genere: Commedia, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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The last chance
XXVI


 

“Allora, la cosa è semplice, Roy! Starete qua per un'altra mezz'ora a fare qualche passaggio e dei tiri in porta per vedere se riuscite a non urlarvi contro. Ho già visto che le cose vanno meglio tra voi insieme agli altri, ma ora voglio vedervi fuori dal contesto della squadra." disse Stan.

Leeroy pensò che l'uomo non si era mai sbagliato così tanto. Annuì e seguì Lance verso la porta. Stan aveva già preso un pallone e si era messo di fronte al terzino. "Devi impedirmi di fare goal,” annunciò Stan.

Le cose andarono bene durante quella mezz'ora; i due non si insultarono una sola volta, anzi, si rivolsero a malapena una parola. Leeroy pensò che quella sceneggiata non fosse servita a nulla perché non c'era affiatamento tra i due, facevano solo ciò che dovevano fare passivamente. Sperò con tutto il cuore che a Stan potesse adare bene anche in quel modo. Alla fine del tempo stabilito, l' allenatore diede a Lance la copia delle chiavi degli spogliatoi di Miles, dicendogli di riportargliela il giorno dopo.

"Per ora quello che ho visto mi va bene. La disciplina prima di tutto. Spero che venga anche un po' di affiatamento tra voi due, sembravate due automi che seguivano ordini e basta. Ma come ho già detto, per ora mi accontento," disse Stan.

I due ragazzi si sentirono sollevati. In un certo senso avevano avuto la paura che Stan chiedesse loro se qualcosa tra loro non andasse.

"Ora scusatemi, ma devo andare, altrimenti faccio tardi, mi sono fermato anche più del dovuto. Prima raccogliete tutti i palloni e l'altra roba, poi potete andare via," aggiunse per poi dirigersi con la sua roba verso il parcheggio. Leeroy sospirò sollevato, ma poi l'uomo si girò. "E vi prego, non fatemi rimangiare ciò che ho detto.” Dopo di che si dileguò, lasciando gli altri due soli.

Lance era già sparito in direzione degli attrezzi dell'allenamento da mettere nello spogliatoio, lasciando l'altro in mezzo al campo. Lo seguì con lo sguardo senza dire una parola, pensando a come intavolare il discorso; ci stava impiegando troppo tempo e non aveva idea di cosa dire, se non si fosse sbrigato l'altro sarebbe andato via, perdendo così la sua occasione.

Lance era di schiena, piegato a raccogliere da terra gli ostacoli per i salti, quando si sentì chiamare. Leeroy lo vide voltarsi e incontrò subito il suo sguardo. Per un attimo vacillò. I ricordi di quella notte gli tornarono alla mente, investendolo e stordendolo.

"Dobbiamo parlare," disse dopo essersi ripreso. Vide che l'altro lo stava studiando, ma ciò che disse lo spiazzò.

"Di cosa?"

Il difensore strabuzzò gli occhi. "Come di cosa? Della tua decisione,” rispose con tono già alterato dalla rabbia. Lance si girò, tornando a prendere gli ostacoli. "Non posso nemmeno fare come mi pare?"

Il terzino non riuscì a credere a quelle parole e la rabbia lo assalì. Afferrò l'altro per un braccio, costringendolo a voltarsi e portandolo a pochi centimentri dal suo viso. "Tu non hai fatto come ti pare, se non ti avessi baciato io non sarebbe successo niente!" gli urlò in faccia. Il portiere si divincolò dalla presa dell'altro. "Forse sarebbe stato meglio. Dannazione Leeroy! Siamo nella stessa squadra e abbiamo gli stessi amici. Non possiamo."

"Allora perché diavolo mi hai assecondato? Se pensavi già tutto questo, perché cazzo mi hai baciato al pub?” urlò ancora il difensore. Era davvero convinto che avrebbe dimenticato tutto dal giorno alla notte? Che fosse stato solo questione di un momento di debolezza? Si passò nervosamente una mano sulla faccia, respirando profondamente; non doveva cedere alla violenza, altrimenti addio alla partita.

"Faccio le scelte che ritengo più giuste per me,” lo liquidò Lance provando ad andarsene, ma l'altro lo bloccò. "Infatti vedo le tue scelte. Sei la persona più infelice della scuola e non è per i soldi, ma per scelte come questa."

Il portiere a quel punto gli si avvicinò pericolosamente, per poi sibilargli a un soffio dal viso: "Non parlare di cose di cui non sai nulla. Torna alla tua casetta sulla collina dove tutto è perfetto e restaci.”

Leeroy sentì la rabbia montargli addosso ancora più prepotentemente. Non sapeva se fosse peggio andarsene come diceva o prenderlo a pugni soddisfando il suo bisogno di fargli male, ma venendo poi buttato fuori dalla squadra. "Non vado da nessuna parte,” rispose digrignando i denti per la rabbia. Doveva riuscire per la prima volta nella sua vita a non mettere le mani addosso ad una persona mentre ci litigava. Si ricordò che sua madre gli diceva di fare lunghi e profondi respiri per cercare di calmare la rabbia, così fece. "Dimmi perché cazzo l'hai fatto?" sibilò.

Lance lo afferrò per la maglia, strattonandolo. Leeroy cercò di respirare a pieni polmoni per calmare le sue emozioni negative, ma tutto ciò sentì fu l'odore del compagno di squadra che gli andò alla testa.

"Stammi a sentire, testa di cazzo. Credi che perché abbiamo scopato io ti debba qualcosa?”

Nel suo sguardo Roy vide una rabbia cieca.

A quel punto però il difensore non poteva più tollerare l'altro, così si liberò e afferrò a sua volta il portiere per la maglia, sollevando il braccio, pronto per colpirlo. Lo guardò negli occhi per un lungo attimo, vedeva la sua rabbia combaciare perfettamente con quella dell'altro; se lo avesse colpito non sarebbe finita solo con qualche ematoma o abrasione. Lasciò la presa, prendendo un altro respiro profondo. "Non ho intenzione di mandare al diavolo la mia presenza alla partita per uno stronzo come te, quindi vaffanculo,” disse, mollandolo lì e dirigendosi verso gli spogliatoi. Non aveva intenzione di sprecare altro tempo con Stark.

Un sorrisetto sarcastico gli si dipinse sul viso, pensando che tutti erano convinti che la persona immatura fosse lui. Se avessero visto il portiere in quel momento si sarebbero ricreduti.

Lance non potè fare altro che infuriarsi di più. "Cosa c'è, il figlio di papà ha paura di sporcarsi le mani?"

Leeroy si girò, cercando di mantenere la calma. "Non ne vale la pena,” ribatté con tono fermo il difensore, ormai saturo delle cazzate dell'altro.

Non guardò nemmeno il portiere prima di entrare nello spogliatoio, sbattendo la porta. Si spogliò velocemente e si infilò sotto la doccia. Imprecò sottovoce prima di prendere a pugni il muro ricoperto in mattonelle color crema. Lance non aveva capito un cazzo, era tutta colpa sua se il loro rapporto era andato a puttane tornando da punto a capo, forse era addirittura peggiorato. Avrebbe dovuto smettere di seguire il suo istinto. non portava a nulla di buono, ma non poteva farne a meno. Era ciò che lo faceva sentire vivo. Chiuse gli occhi sotto il getto caldo, cercando di non sentire altro se non il rumore dell'acqua venir risucchiata nello scarico. Aveva bisogno di dormire.

 

Lance rimase impietrito dopo quello che era successo. Si rese conto solo allora di quante stronzate avesse detto. L'irritazione e la rabbia per quella conversazione, però, non erano ancora diminuite, anzi, dopo l'ultima frase del difensore erano balzate alle stelle.

Era troppo tempo che non sentiva più così tante sensazioni tutte in così poco tempo. Non era più abituato e non sapeva come comportarsi, riusciva solo a far uscire il peggio.

Afferrò gli attrezzi da terra e raggiunse a grandi falcate lo spogliatoio. Una volta dentro gettò tutto a terra e sbattè la porta. "Ti rendi conto di essere un coglione?" domandò sarcasticamente.

Leeroy non si aspettava che quella discussione avesse un seguito, per lui era finita lì. Se avessero continuato uno dei due sarebbe esploso e non voleva finire nei casini.

"Questa cazzo di conversazione è finita," disse tranquillamente da sotto la doccia, continuando a lavarsi.

Lance diede un calcio alla panchina degli spogliatoi per sfogare la sua rabbia repressa, ma non bastò, così si tolse gli scarpini ed uno a uno li lanciò contro il muro. "Non è finita un cazzo!" disse ringhiando, per poi aprire il box doccia e tirare un pugno sullo zigomo sinistro di Leeroy, il quale colto alla sprovvista andò a sbattere contro le mattonelle, cadendo poi a terra.

La prima cosa che il portiere vide fu il sangue che colava dal sopracciglio destro del difensore. A quel punto iniziò ad imprecare. Non si rese nemmeno conto di essere fradicio. Si sentì disorientato per un momento, come se vedesse quella scena come spettatore. Incredulo per ciò che aveva fatto. Di solito era sempre il terzino ad arrivare alle mani per primo. Lui non era così, non lo avrebbe mai fatto.

Leeroy era rimasto stordito dopo essersi accartocciato a terra per l'urto. Inconsciamente si tamponò con la mano il punto in cui aveva sbattuto . Aveva la vista un po' offuscata, ma vide il sangue sulle dita. Sorrise senza accorgersene, sentendo le imprecazioni dell'altro. "Cazzo, cazzo, cazzo!" gridava rabbiosamente il portiere, mentre apriva la scatola del pronto soccorso per cercare ghiaccio e bende.

Tornò alla doccia dove trovò Leeroy ancora a terra che si teneva la testa con gli occhi chiusi. Doveva aver preso una bella botta, pensò amaramente. Lo afferrò per il braccio libero e lo tirò in piedi, sostenendolo per il breve tragitto fino alla panchina, facendolo sedere.

Il terzino sentiva la testa pulsare e lo zigomo bruciare, Lance doveva averlo conciato proprio bene. Sentì la mano del portiere spostare la sua dal taglio per cercare di pulire il sangue con il cotone. Lance si inginocchiò tra le gambe di Leeroy per essere più comodo e poterlo medicare. Buttò il cotone da una parte e lo sostituì con delle garze alla meno peggio, dopo di che posò il ghiaccio delicatamente sullo zigomo. Il sangue però continuava ad uscire. Sentì un gemito di dolore scappare dalla bocca di Leeroy, che glielo fece ricordare madido di sudore sotto di sé, mentre lo stringeva in un modo che non sapeva descrivere. I loro occhi si incontrarono per un momento, quelli di Lance colpevoli come quelli di un bambino che aveva rubato caramelle e deve chiedere scusa ma non vuole. Lo sguardo del terzino, invece, sembrava quasi assente, sicuramente, pensò Lance, perché ancora stordito dal colpo. Roy socchiuse gli occhi, cercando di non pensare al dolore, ma non ci riusciva, così si scoprì a spiare l'espressione preoccupata dell'altro. Quando Lance sentì la coscia di Leeroy sfiorargli il fianco realizzò che il difensore era nudo e che lo era stato per tutto il tempo. Cercò di sopprimere l'istinto che lo aveva spinto verso di lui anche la volta precedente e lo aiutò ad alzarsi.

"Ti porto in ospedale, ti servono dei punti. Riesci a vestirti da solo?"

"Se non mi avessi preso a pugni, sicuramente, ma penso di riuscirci comunque," rispose freddamente a causa del tono dell'altro. Si asciugò frettolosamente, e non senza qualche problema tecnico riuscì ad infilarsi boxer e pantaloni della tuta; per la maglietta fu costretto a farsi aiutare dall'altro. Si sentì trattato come un moccioso, l'aria di superiorità dell'altro lo stava mandando in bestia nuovamente, sentì come tutto il rancore che provava nei suoi confronti si fosse risvegliato dopo mesi.

"Dammi le chiavi della macchina, guido io,” ordinò il portiere con un tono che non ammetteva repliche, infilandosi le scarpe da ginnastica.

"Col cavolo, la macchina è mia."

Lance lo guardò storto, per poi replicare: "Non sono io quello che ha preso una botta in testa, muovi il culo, non ho intenzione di portarti in braccio." Poi afferrò i loro borsoni e si diresse al parcheggio, lasciando l'altro dietro ad imprecare.

 

Una volta in macchina, un silenzio imbarazzante li avvolse. Leeroy prese a mordicchiarsi nervosamente l'interno della guancia e ogni tanto dava un' occhiata al guidatore. Non poteva fare a meno di pensare alla situazione del cazzo in cui si era andato a cacciare, sicuramente Lance sarebbe andato a dire Stan della loro zuffa e non avrebbe potuto più giocare. Imprecò a bassa voce.

"Questo silenzio è insopportabile, metti un po' di musica. Devo avvertire Jo che ritarderò," sospirò Lee con un tono stanco.

"Non le dici cosa è successo?" chiese perplesso mentre cambiava la marcia e aumentava di velocità.

"No, altrimenti si preoccuperebbe inutilmente, sto bene, mi hai fatto di peggio."

Il dolore alla testa non accennava a diminuire, così chiuse gli occhi, cercando di rilassarsi un momento.

"Non dormire."

 

Dopo poco arrivarono all'ospedale, dove furono costretti ad aspettare quasi un'ora per via di due emergenze.

"Dannazione, perché ci vuole così tanto per mettere due cazzo di punti?" iniziò a lamentarsi Roy, dondolandosi sulla sedia a causa del nervosismo.

"Datti una calmata, tra poco tocca a te."

"Questo è tutta colpa tua, stronzo, e grazie a te ora non potrò nemmeno giocare alla partita. Fanculo"

Lance stava per rispondere, ma venne interrotto dall'infermiera che era venuta a chiamare il loro turno. Decise di rimanere fuori ad aspettare e bere qualcosa alla macchinetta, se stava altri cinque minuti con lui gli avrebbe rotto anche l'altro sopracciglio. Come diavolo gli era venuto in mente di prenderlo a pugni? Non avrebbe dovuto, una volta era Rogers quello che iniziava le risse, ma lui di persona non aveva mai iniziato. Lui le aveva sempre concluse.

Come se non bastasse, quando nello spogliatoio si era accorto che era nudo, il suo primo pensiero non era stato quello di portarlo in ospedale, ma di fare ben altro. Un sorriso sarcastico gli si dipinse sul volto. Si era messo nei casini perché non riusciva a pensare con la testa, era proprio un coglione. Per quel motivo non voleva iniziare una relazione con lui. Era come se già sapesse che i suoi sentimenti per lui non avrebbero fatto altro che diventare più forti. Sarebbero perdurati anche senza di lui e ciò lo spaventava. Era troppo per lui sia da gestire che vivere.

Le parole di Lee però si insinuarono in lui.

Gli ospedali lo mettevano di cattivo umore, soprattutto per il loro odore di disinfettante, guanti di plastica e di quelle insipide mele scotte che portavano ai pazienti ricoverati. Quelli però non erano i motivi principali: in realtà, con una madre come la sua, era normale ritrovarsi in quel luogo più di una volta al mese, a volte a causa dell'alcol, altre per incidenti che se fosse stata sobria avrebbe tranquillamente evitato. Non riuscì a fare a meno di sentirsi sollevato per un momento. Ora che era in clinica sarebbe stata meglio, lo desiderava più di ogni altra cosa. Lo irritava però pensare al fatto che ora si ritrovava lì non per colpa di sua madre, ma sua. L'attimo dopo che aveva colpito Leeroy si era sentito svuotato e subito colpevole. Non era una persona violenta, non lo era mai stato. Il modo in cui il difensore gli faceva perdere il controllo lo stordiva ogni volta, perché non riusciva mai a rendersi conto di ciò che stava facendo nell'esatto momento in cui lo faceva. Ciò che però non riusciva a perdornarsi era di essere venuto meno alla prima delle sue regole autoimpostesi e cioè: mai e poi mai iniziare una relazione sul campo. Come se non bastasse, era andato ad invischiarsi con l'ultima persona a cui avrebbe mai pensato in quell'ambito. Si sarebbe preso a pugni da solo, e sapeva che avrebbe dovuto. Aveva sperato fino all'ultimo secondo che Leeroy non gli avrebbe rivolto parola, non voleva problemi, non voleva rovinare la squadra. Se qualcuno lo fosse venuto a sapere, ci sarebbero state delle conseguenze, come dei commenti omofobi da parte di qualche coglione. Di ciò non si preoccupava molto, perché come aveva mandato il terzino all'ospedale, avrebbe potuto mandarci chiunque altro. La sua unica e vera preoccupazione era la squadra, si sarebbe potuta sfaldare e tutti i loro sforzi sarebbero andati a puttane unicamente per le sue debolezze ed il suo egoismo. Perché cazzo quella sera gliel'ho permesso, pensava disperato, mentre si passava freneticamente una mano alla base del collo, dove aveva il tatuaggio. Avrebbe chiuso ogni cosa con Leeroy definitivamente una volta che fossero usciti da quel posto.


Il difensore uscì dalla stanza accompagnato da un'infermiera che gli raccomandava di fare più attenzione durante gli allenamenti. Lui le sorrise, poi la signora accolse un nuovo paziente. Gli sguardi di Lance e Leeroy si incontrarono per un momento, lasciandoli senza parole. Nessuno dei due si sarebbe scusato, perché ognuno di loro aveva esternato il suo stato d'animo anche se non completamente. Lance notò subito dopo l'enorme cerotto bianco che copriva il sopracciglio destro del difensore, vi si soffermò per un lungo momento. Questo come lo spiego a Stan?, pensò. Leeroy richiamò la sua attenzione. "Andiamo?"

Lance si alzò e lo seguì fin fuori l'edificio e poi in macchina. Notò subito che il terzino era più irascibile del solito, eppure prima che entrasse in ospedale non sembrava averla presa così male per quel taglietto. Sicuramente il suo cervello aveva elaborato l'accaduto in ritardo.

"Ti hanno chiesto come hai fatto a farti male?" chiese disinteressatamente il portiere, guardando la strada. Il sole era quasi tramontato e delle nubi iniziavano ad oscurare il cielo, probabilmente avrebbe piovuto quella notte.

A quella domanda Leeroy rifletté un po' su prima di rispondere.

"Ho detto che ho preso una pallonata in faccia mentre stavo di fianco alla porta e che ci sono andato a sbattere contro," disse con tono piatto. Aveva mentito all'infermiera, non voleva che venisse contattato uno dei suoi genitori e nemmeno Stan, altrimenti addio campionato. Tra l'altro non poteva nemmeno spiegare il motivo del pugno di Lance, però aveva sentito la sua paura dopo essere stato colpito. Aveva anche visto il suo sguardo colpevole ma che non voleva chiedere scusa.

"Che scusa stupida," sentenziò Stark.

"Se tu pensassi prima di fare qualcosa, cazzo, magari non saremo a questo punto," rispose secco.

"Non sono l'unico,” rispose semplicemente il portiere. Le colpe andavano condivise.

Parlare con Lance ogni volta era una battaglia persa, era come remare contro corrente.

"La colpa non è mia, ma del tuo atteggiamento del cazzo," sentì Lance sbottare. Quella era la risposta che non voleva sentirsi dare.

"Vaffanculo, muoviti a portarmi a casa allora." Si mise a guardare fuori dal finestrino, cercando di pensare ad altro, magari il paesaggio l'avrebbe calmato. Stavano percorrendo un lungo viale alberato, il sole era ormai tramontato, lasciando il posto al buio, e la strada era deserta. Come avrebbe spiegato a Stan tutto quello? Non avrebbe mai creduto a nessuna scusa che Leeroy avesse inventato. Si sentiva come se tutte le forze della natura lo avessero preso di mira, come se avesse una calamita per le disgrazie. Realizzò in quel momento che non poteva obbligare Lance a parlare, forse avrebbero dovuto chiudere lì tutto quanto come se nulla fosse mai accaduto.

"Hai ragione. È meglio lasciare le cose come dici te," sussurrò, continuando a guardare gli alberi che passavano velocemente davanti a lui. Notò che tra le nuvole in cielo si riuscivano ad intravedere i raggi della luna piena. Tirò giù un po' il finestrino, voleva sentire l'aria fredda sul viso per non pensare più, avrebbe potuto cessare di esistere in quel momento stesso, ascoltando i suoi stessi battiti che lo calmavano.

Non riusciva a credere come quell'altro non riuscisse a prendere delle responsabilità che fossero al di fuori del contesto scolastico. Leeroy non era un idiota alla sua prima cotta. Qualche goccia di pioggia cadde sul finestrino, destando Roy dai suoi pensieri. Poco dopo notò che la macchina stava accostando.

"Non sai azionare i tergicristalli?" chiese scettico, senza ricevere risposta.

Vide Lance appoggiare la testa e le braccia al volante, sospirando.

"Che c'è, ora?" chiese spazientito.

 Le parole di Lee non avevano ancora smesso di ronzargli nella testa. Non riusciva a trovare una via d'uscita a quella situazione nonostante la sua intelligenza. Entrambi non riuscivano a dimenticare quello che avevano provato. Se prima voleva ammazzarlo di botte perché non lo sopportava, non sopportava la sua faccia da schiaffi, il suo carattere irritante, ora invece avrebbe voluto sentirselo sulla pelle. Le uniche cose che gli riuscivano bene nella vita erano tre: il calcio, la scuola e fare lo stronzo. Con Leeroy poteva comportarsi nel modo peggiore che voleva, poteva essere sempre se stesso, senza mai sentirsi in colpa, quindi anche dopo quella notte, Lance avrebbe anche potuto comportarsi con lui a quel modo. Quella cicatrice però gli avrebbe ricordato ogni volta cosa aveva fatto.
Quando gli occhi di Lee si specchiarono nei suoi, si accorse di non avergli ancora risposto. Si slacciò la cintura di sicurezza ed afferrò la nuca del difensore con la mano sinistra tirandoselo più vicino per baciarlo. Notò subito che l'altro era rimasto come pietrificato e non accennava a ricambiare il bacio.
Tanto rumore per nulla, pensò ironicamente. Poi però sentì l'altro aggrapparsi alle sue braccia e alle sue spalle, rispondendo. L'effetto di disorientamento non se l'era inventato, appurò che era una sensazione reale. Il terzino lo stordiva per brevi attimi, lo faceva sentire bene. Avrebbe ricominciato subito da dove erano rimasti l'altra volta. Si staccarono per un momento. "Ora me lo sai spiegare?" chiese Leeroy con il fiatone. In tutta risposta Lance tornò a baciarlo e fece scivolare una mano nell'interno coscia, accarezzandolo, per poi risalire fino a fermarsi in mezzo alle gambe. Sentì un gemito uscire dalle labbra che stava baciando.

"No, Lee..." rispose.

"Non in macchina," riuscì a dire ad un certo punto Leeroy, dopo aver realizzato come si sarebbero potute concludere le cose. Si baciarono un'ultima volta prima che il terzino riuscisse a staccarsi di dosso il portiere con uno sguardo interdetto.

"Sono in ritardo, Jo si starà chiedendo dove sono."

 

 

Una volta arrivati nel vialetto di casa Rogers, Lance spense l'auto, lasciando scendere uno strano silenzio tra i due. Non era imbarazzo, era in verità una situazione di stallo. Partivano sempre d'istinto, con forza brutale, con rabbia e passione ma alla fine rimaneva sempre quella fastidiosa sensazione sullo stomaco di entrambi che impediva loro di agire e parlare. Si ritrovavano a guardarsi di sottecchio o ad ignorarsi, proprio cercando di raccogliere il coraggio a due mani e agire.

"Vieni a farti la doccia da me, poi ti riaccompagno a casa,” disse Leeroy con un tono leggermente seccato. Come sempre, era lui a prendere la situazione in mano, a cercare di portare il loro "rapporto" in una qualunque direzione. Era proprio vero, era tutta colpa di Leeroy se si trovavano a quel punto.

L'aria fuori dall'auto era pungente e fastidiosa. Lance sentì il freddo circondargli la carne, fino a quel momento non si era reso veramente conto di essere ancora in pantaloncini corti. Seguì il padrone di casa dopo aver afferato il proprio borsone. Una volta dentro non potè fare a meno si sospirare di sollievo perché al caldo. Stranamente, la cugina del difensore non era in giro; di solito passava la maggior parte del suo tempo nel salotto o in cucina, a fare chissà cosa. La trovava strana, ma carina.

"Mia cugina sarà sicuramente in camera sua a cazzeggiare, a quest'ora passa il tempo su Twitter," disse Roy, non sapendo cosa dire, facendo strada in camera sua. "Vuoi da bere?" domandò poi.

"No grazie, voglio solo andare a casa. Sono stanco morto," rispose Lance, sbadigliando. Gli ultimi giorni erano davvero stati difficili. Aveva bisogno di dormirci sopra e di mangiare. Si rese conto in quel momento di quanto avesse fame, di fatti si fece sentire lo stomaco.

"Se vuoi puoi restare per cena, Jo cucina," disse il terzino entrando in camera. "La doccia sai dov'è."

"No grazie, preferisco andare a casa."

Leeroy sospirò. "Seriamente, mi hai preso a pugni e sono strafatto di antidolorifici, con che coraggio vuoi farti portare a casa da me?" chiese il padrone di casa con un sorriso furbetto che lasciò l'altro senza parole.

"Tu ti sei offerto di portarmi a casa."

"Ho mal di testa,” rispose secco, facendosi poi scappare una risata.

"Lo fai venire anche a me di 'sto passo." fece Lance, afferando il borsone e rinchiudendosi in bagno.

Leeroy si buttò sul letto, cercando di restare sveglio. Voleva solo riposare le membra per poco. Si concentrò sul rumore dell'acqua della doccia che proveniva dal bagno. Prese le cuffie del cellulare e si mise ad ascoltare Viva la Vida a tutto volume. Con Lance in campo avrebbe dato il massimo, di questo ne era certo. Nonostante con Stan si erano comportati in quel modo strano, durante le partite veniva fuori la loro vera intesa. Si chiese se fosse così anche con quello che era appena successo tra di loro.

In quel momento bussarono alla porta di camera sua.

"Sì Jo?" chiese. Questa volta l'aveva sentita.

La ragazza entrò senza troppi complimenti, ma prima che poté, chiedere qualcosa, si preoccupò subito vedendo la faccia del cugino.

"Che cavolo hai fatto?!" chiese stupita, andando subito ad afferrargli la faccia.

Lee spense la musica, lasciandosi controllare. "Fa male?"

"No, ma ho mal di testa. Sono pieno di antidolorifici."

"Ma come hai fatto?"

"Ho avuto una breve disputa con Lance, ma non lo dire a nessuno o non giocherò domenica."

Jo lo guardò estrefatta. "Non puoi fare così ogni volta. Se la zia lo viene a sapere ammazza entrambi. Dovete andare d'accordo, non menarvi." disse lei facendo avanti e indietro davanti a lui.

"Sì, lo so, infatti resta a cena," rispose lui, come se niente fosse.

 

 

 

 

   
 
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