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Autore: Morgana89Black    12/10/2016    2 recensioni
Severus Piton accetta di tornare a fare la spia per Silente. Va dal Signore Oscuro per riconquistare la sua fiducia. Cosa accadrebbe se dopo questi fatti qualcuno dal passato tornasse nella sua vita?
Dal primo capitolo:
Un lampo di luce ed un taglio poco profondo, ma doloroso si apre sul mio viso, sento il sangue sgorgare lentamente. Al primo se ne aggiungono altri, su ogni parte del mio corpo: gambe, braccia, petto. Non sono così profondi da uccidermi, ma lo sono abbastanza per torturarmi.
Dal quarto capitolo:
Non riuscivo ad evitarmi di tornare regolarmente ad osservare la sua figura armoniosa dalla quale, nonostante tutto, mi sentivo attratto. La contemplai a lungo mentre, sicura di sé, con gesti precisi e misurati portava a compimento una delle pozioni più complicate con cui una ragazza della sua età poteva venire a contatto.
Dal settimo capitolo:
"Sei ubriaco, Severus! Solo per questo ti dirò quel che sto per dirti: in un altro mondo, forse, ti avrei concesso almeno una notte con me", sorrideva placidamente mentre pronunciava quelle parole.
Dall'ottavo capitolo:
Lei non risponde, mi volta le spalle. Sta tremando, è evidente. Ed io non so cosa fare. Se ora l'avvicinassi mi respingerebbe...
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Famiglia Black, Famiglia Malfoy, Narcissa Malfoy, Nuovo personaggio, Severus Piton | Coppie: Draco/Astoria, Lily/Severus, Lucius/Narcissa, Lucius/Severus, Severus/Narcissa
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Dopo la II guerra magica/Pace
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Candida come lenzuola di lino bianco.

 

I giorni si susseguono noiosi e tutti uguali, senza alcuna distinzione l'uno dall'altro, se non per il numero sul calendario, che cambia a cadenza regolare e senza imprevisti.

Questa domenica mi sono svegliato, come sempre, dopo solo alcune ore di sonno e con la volontà di andare nella sala grande, per fare colazione molto presto ed evitare, così, la moltitudine di studenti chiassosi. I miei piano sono stati stroncati dopo solo mezz'ora di veglia dal richiamo del mio Signore. Il bruciore al braccio sinistro è stato molto più intenso del solito e mi ha lasciato senza fiato per qualche secondo.

Uno strano senso d'inquietudine mi accompagna per tutto il tragitto versa Casa Riddle. Ho sempre trovato molto tetra quest'abitazione e, soprattutto, ho sempre compreso sin troppo bene la volontà del signore oscuro di abitare questo luogo, che per lui non è altro che il ricordo di tutte le sofferenze della propria infanzia ed adolescenza. Siamo molto simili in questo. Anche io risiedo ancora nella vecchia abitazione dei miei genitori ed ogni centimetro di quel luogo mi ricorda mio padre e l'odio che provo per lui.

Questo sono per noi due le nostre rispettive abitazione: il memento di quello che siamo, di quello che eravamo, di quello che avremmo potuto essere. Nessuno di noi, però, lo ammetterebbe mai apertamente. Ci renderebbe troppo deboli agli occhi altrui.

 

Il ragazzo, non dimostrava più di sedici anni, anche se nel suo sguardo vi era la consapevolezza di un uomo adulto o forse di un bambino che non ha mai potuto lasciarsi andare alla spensieratezza. Nonostante la giovane età e la consapevolezza di essere inadeguato e diverso da tutti coloro che si trovavano nel grande salone, si era mosso con una risolutezza ed una sicurezza che gli altri gli invidiavano.

"Severus Piton...", il suono serpentino uscito dalle labbra del giovane Tom Riddle, rendeva il suo nome con una dolce carezza. Sembrava assaporare ogni lettera, ogni sillaba, mentre pronunciava quelle due parole, come se gli fossero care, "ero impaziente di conoscerti. La tua fama, le tue capacità mi sono note. Lucius mi ha parlato molto bene di te".

Si era rivolto al giovane lord con un cenno del capo e lo stesso Severus, per una frazione di secondo aveva incontrato gli occhi dell'amico, esprimendogli in silenzio la propria riconoscenza. Era felice di trovarsi in quella casa ed al cospetto del mago oscuro più potente di tutti i tempi. No, forse felice non era proprio il termine corretto da utilizzare. Lui era onorato di essere là, era curioso di conoscere l'uomo che incuteva tanto timore. Felice non poteva considerarsi, non lo era più da tempo o, molto probabilmente, non lo era mai stato.

"Mio Signore, sono onorato di essere, finalmente, dinanzi a Voi e di potervi conoscere. Servirvi è il mio obiettivo sin da quando ho avuto notizia delle vostre strabilianti imprese".

"Mi sarai utile, Severus. Mi sarai molto utile".

Dopo una breve presentazione, il Signore Oscuro aveva richiesto di parlargli in privato, e, sotto gli sguardi invidiosi di tutti coloro che avrebbero voluto l'occasione di trascorrere del tempo da soli con Lord Voldemort, si erano congedati per appartarsi nella stanza privata del mago più vecchio.

"Noi due siamo più simili di quanto appaia, non pensi Severus?". Non si era aspettato di essere paragonato all'uomo, ma non poteva di certo negare le similitudini esistenti fra loro.

"Non sono certo di potermi considerare un vostro simile. Siete molto più grande di me, e non in senso anagrafico". Aveva dimostrato umiltà. Umiltà che persino quel gionro, dinanzi ad un uomo così pericoloso non provava. Una parte di lui si era sempre sentito molto al di sopra di quell'uomo bieco. Si era avvicinato al Signore Oscuro col solo intendo di approfittare del suo potere per ottenere più facilmente il proprio.

Quella era stata solo la prima di una lunga serie di incontri solitari. Lui e pochi altri avevano il privilegio di poter entrare nella villa del Lord e nelle sue stanze senza dover attendere di essere chiamati.

 

Al solo pensiero di tutto ciò che è accaduto dopo quel primo giorno rabbrividisco. Se potessi tornare indietro, con la coscienza e la conoscenza che ho oggi, tante cose le avrei fatte in modo diverso.

Entro sicuro in questa vecchia abitazione, percorrendo i corridoio che conosco sin troppo bene. Salgo la scalinata che mi porta al primo piano, per raggiungere quella porta. Ogni volta che vedo il legno scuro e lucido dell'uscio delle stanze del Signore Oscuro, una piccola parte del mio cervello mi urla di andar via e di scappare. Non vorrei essere qui. Non mi piace questo luogo. Non mi piace la sensazione di essere imprigionato dentro azioni e pensieri che non condivido più.

Una strana inquietudine mi accoglie mentre la mia mano pallida si avvicina al legno freddo per bussare. La porta si apre, senza che alcun suono sia pervenuto dall'interno.

"Severus...", ogni lettera del mio nome viene intrappolata dalle labbra di Tom Riddle, come se lui stesse racchiudendo la mia anima in nere spire di veleno, soltanto chiamandomi, "ti aspettavo".

Mi avvicino di qualche passo e mi inchino leggermente. Le mie spalle si curvano di pochi centimetri, ma nella parte nascosta della mia mente impenetrabile, un brivido di disgusto verso me stesso si espande. Pensare che una volta anche io mi sono inginocchiato dinanzi a quest'uomo. Quanto poco rispetto di me stesso ho avuto per vendermi a lui, per un pò di potere.

"Mi onora essere al vostro cospetto, mio Signore". Se mi vedessi dall'esterno credo che mi odierei. So di essere credibile quando mi rivolgo a lui con così tanto rispetto e devozione. Ed è questo che mi fa provare ancor di più orrore per la mia persona. Mi viene così faccile sottomettermi? È vero che in realtà... mi blocco. Blocco i miei pensieri. Come posso essere così stupido da lasciarmi andare a questo tipo di elucubrazioni in questa stanza? Da quando sono così incauto?

"Gli uomini di Silente si stanno muovendo, Severus... non so come e non so dove, ma qualcosa sta succedendo". Mi guarda, attendendo, ovviamente, che io gli risponda. Devo stare attento e rimanere concentrato o potrei morire.

"Silente sta cercando di bloccare il suo operato su più fronti, mio Lord, ma per quel che ne so io, al momento, non ha ottenuto alcun risultato degno di nota".

Per qualche secondo il mio respiro si blocca e rimango immobile, in attesa. Sento il suo potere entrare nella mia testa, con prepotenza e crudeltà. Vuole accertarsi della mia sincerità. Nonostante tutto non si fida di me.

Rimaniamo così, a guardarci l'un l'altro, ancora per un pò, mentre, strisciando come un serpente velenoso lo sento uscire da me. Mi faccio ancora più schifo in questo momento. Mi sento sporco, perché so che ciò che ha visto lo ha compiaciuto. Glielo leggo negli occhi, lo sento nella sua mente.

Non posso trattenermi ed evitarlo. Una parte di me, non piccola ad esser sincero, desidera penetrare i pensieri del Signore Oscuro, anzi brama entrare nei meandri della sua mente, per dimostrare a me stesso che l'essere che ho davanti è fallibile e non è altro che un uomo.

È solo per una manciata di secondi, ma quello che provo è indescrivibile. Non si tratta di dolore, ma di ansia, preoccupazione, desolazione. Esco, silenzioso come un'ombra, cauto come una piuma che scivola verso il pavimento in un giorno d'estate. Lui non si è accorto di nulla, continua a guardarmi tranquillo. Io, invece, devo fare il possibile per non mostrare il mio sgomento. Qualcosa è accaduto dall'ultima volta che mi sono permesso di sfidare la morte così da vicino. Qualcosa che non riesco a comprendere pienamente.

"Controlla le mosse di Silente e informami se dovessero esserci dai cambiamenti. Continua a servirmi in modo soddisfacente, e verrai ricompensato. Sei congedato". Non attende il mio saluto. Si volta e torna a fissare il vuoto, fuori dalla finestra di questa sua immensa prigione dorata.

Devo impormi di non correre, mentre mi dirigo verso l'esterno. Ho bisogno di aria ed è con enorme sollievo che, finalmente, respiro nel gelido autunno inglese. Quello che ho percepito, seppur per poco tempo, mi ha sconvolto. Che cos'ha fatto quell'essere con la sua anima e con la sua mente? Non riesco a capire, ma sono certo che si tratta di qualcosa di oscuro e di terribile.

Neanche mi rendo conto di quel che sto facendo, quando mi ritrovo in questo piccolo e squallido vicolo della Londra babbana. Il mio cervello, senza che io pensassi, mi ha portato dove ho bisogno di essere in questo momento. Qualcuno, forse, direbbe che è stato il mio cuore a farmi arrivare sino a qui, ma sarebbe da ipocriti pensare che quel gelido muscolo che pompa il sangue nelle mie vene possa prendere una qualche decisione per me.

La vetrina desolata si staglia davanti a me e, per una volta, accolgo la sua vista come se stessi salutando un vecchio amico che non ho occasione di vedere da anni. Attraverso il vetro asettico trovandomi dinanzi ad un locale variopinto e chiassoso. Sulla destra si trova la più stravagante sfilata di essere umani: un uomo dal cui nasco escono nuvolette viola e scintille verdi; una donna coperta di macchie arancioni, simili a piccoli pois su tutto il corpo; una mamma con un bambino il cui naso ha assunto la stessa forma e dimensioni di quelle della proboscide di un elefante. È deludente notare come maghi così inetti da non riuscire a controllare i più banali incantesimi sono liberi di vagare per il territorio inglese.

Non mi curo degli sguardi sorpresi che mi vengono rivolti, né tanto meno di quelli spaventati. Il mio aspetto, d'altronde, ha sempre ingenerato timore e reverenza negli altri. A dir la verità, timore sempre, sin da quando ero bambino, ma la reverenza è venuta molto tempo dopo e solo quando ho imparato a produrre tale sentimento nell'altro.

Salgo quattro rampe di scale, sino ad arrivare al reparto di mio interesse. Un medimago tirocinante sembra intenzionato a fermarmi, ma cambia idea quasi subito e prosegue per la sua strada senza dire una parola. Non so cosa mi faccia essere così sicuro, forse il senso di quiete e di tranquillità che si espande dalla porta del reparto, ma quando la mia mano si avvicina alla porta so che è quella giusta. Infatti, non appena l'uscio si sposta quel tanto necessario a mostrarmi l'interno fiocamente illuminato della stanza il mio sguardo si posa, immediatamente, su di lei.

Per qualche secondo il mio stomaco viene stretto in una morsa gelata e non sono sicuro di riuscire ad attraversare questa porta. Il suo viso dolcemente adagiato sul cuscino, nonostante le evidenti differenze, mi ricorda il viso di un'altra donna, e vorrei scappare e correre via da questo luogo, senza più fermarmi, senza guardarmi indietro. Per la seconda volta nella mia vita, vorrei nascondermi e ricominciare da zero, in un paese diverso, lontano da tutti e, forse, anche lontano dal mondo magico.

 

La casa che si stagliava dinanzi ai suoi occhi era il tragico scenario di un evento orribile. Intorno al cancello d'ingresso e lungo le strade desolate ancora si potevano scorgere i resti di una festività grottesta. Le zucche intagliate brillavano ad intervalli regolari lungo tutta la via.

Con un terribile senso di oppressione allo stomaco, il giovane uomo aveva attraversato il cancelletto, che, nonostante fosse spalancato, sembrava invitare a rimanere all'esterno. La porta della piccola, ma ordinata villetta, era socchiusa e non era servito toccarla perché si muovesse sui cardini, senza il minimo rumore.

Il corpo inerme di un giovane uomo era steso a terra, proprio dinanzi alla scalinata che porta al piano di sotto. Si era fermato davanti al ragazzo. Lo aveva guardato a lungo. Quel viso che aveva tanto odiato e che lo aveva tanto disprezzato in passato ora era lì, senza vita, senza quella scintilla di derisione negli occhi, senza la sicurezza nei gesti tipica di un bambino tanto amato. Aveva sofferto negli ultimi mesi e lo si poteva leggere in ogni centimetro del suo bel volto. Per qualche secondo, dimentico dei torti subiti, si era sentito vicino a quell'uomo ormai vuoto.

Con la consapevolezza che quella sarebbe stata la sera più orribile della sua vita aveva finalmente trovato la forza di salire le scale di lucido legno bianco e candido, come l'anima della donna che aveva trovato riversa sul gelido pavimento di marmo nella cameretta del suo bambino. I capelli, rossi come il fuoco, sparsi intorno al viso d'angelo, sembravano le fiamme dell'inferno in cui lui era caduto. Gli occhi, verdi come la giada, lo stavano guardando, accusandolo di non averla protetta, di non aver mantenuto la promessa fattale molti anni prima, di non essere rimasto con lei, come le aveva assicurato avrebbe sempre fatto.

Voleva toccarla, ma temeva il momento del primo contatto con quel corpo ormai svuotato. Quando, finalmente, aveva avuto la forza di circondarla con le braccia e di accoglierla vicino al proprio cuore, si era sorpreso nel trovarla ancora così calda. Avrebbe potuto essere semplicemente addormentata, se non avesse avuto quei due occhi così belli aperti nel vuoto.

"Mamma...", la voce flebile era arrivata a lui come una pugnalata, dritta al cuore. Aveva dimenticato che il bimbo era ancora in quella casa e, soprattutto, non aveva previsto di incontrarlo e di sentirlo parlare. Quella voce, quel suono, quella parola... non l'avrebbe mai dimenticata.

 

Devo fare forza su tutta la mia volontà e la mia determinatezza, per allontanarmi da quella casa distrutta e ritornare in questa asettica stanza d'ospedale. Quella vocetta tremula, talvolta, ancora oggi mi sveglia di notte e percorre i miei incubi, incurante della mia sanità mentale.

Mi avvicino al suo corpo esile, adagiato con cura e grazia sul letto. L'eleganza e la compostezza della famiglia Black non è stata scalfita dalla malattia e dalla sofferenza. Sembra addormentata. È così diversa da Lily. Lei persino nella morte emanava gioia di vivere e spensieratezza. Cassandra, al contrario, sembra una dea, una ninfa caduta in un sonno profondo in un giardino incantato.

Vorrei scuoterla, ma sembra così fragile, così debole. Se fossi un altro tipo d'uomo, forse, ora mi lascerei andare alle lacrime, ma non posso permettermi di farlo.

Guardarla qui, pallida come le lenzuola di lino su cui è distesa, mi fa capire quanto io realmente tenga a lei. Non mi ero reso conto di quanto in profondità fosse entrata nella mia vita. Non avevo capito quanto, nonostante la rabbia, i litigi e le incomprensioni, io avessi fatto affidamento sul fatto che lei ci sarebbe stata, comunque.

"Mi chiedevo quando ti avrei visto qui", nonostante il tono pacato della voce, devo fare affidamento su tutto il mio autocontrollo, per impedirmi di mostrare la paura che per un attimo ha attraversato il mio corpo. Mi volto, con calma ed ostentando una sicurezza che non ho, per incatenare i miei occhi d'ebano nei suoi di zaffiro.

"Vieni spesso, Cissy?", mentre parlo lei mi sfiora la guancia con le sue lunghe dita ed un brivido mi scorre lungo la schiena.

"Ogni giorno. Spero sempre di arrivare e trovarla sveglia, che mi guarda coi suoi occhi irrispettosi e con la sua espressione più sfacciata", si ferma per osservare la donna alle mie spalle, "pensi mai a come sarebbe la nostra vita se avessimo fatto delle scelte diverse?".

"Non mi piace perdermi in questo genere di considerazioni. Non posso cambiare il passato, quindi non vale la pena di pensarci".

"Potremmo sai... potremmo cambiare il passato...", sembra persa in pensieri che non posso vedere. L'istinto è troppo forte e cerco di penetrare nella sua mente, ma non posso. Sorride. "Draco mi somiglia. Almeno in questo".

Arrossisco lievemente, sono stato incauto e deve aver avvertito la mia presenza, "Perdonami. Non avrei dovuto".

"Come sta?".

La guardo confusa prima di rispondere, "è incosciente in un letto d'ospedale".

Non mi guarda, continua a fissare Cassandra, a cui io do le spalle, "mi riferivo a Draco".

"Spadroneggia fra i giovani serpeverde, come il degno erede di suo padre. Si azzuffa con Potter ed i suoi amici e, quando si annoia, studia".

Le mie parole ottengono l'unico effetto di farla voltare nuovamente verso di me. È così vicina che posso vedermi riflesso nelle sue iridi e, purtroppo, posso sentire il suo odore. Profuma di glicine e rosa canina. Ha il medesimo odore da quando frequentavamo la scuola insieme. È così adatto a lei, così elegante.

"Sai bene che non era quello che stavo chiedendo, Sev".

"Cosa vuoi che ti dica, Cissy? È un ragazzo intelligente, come sua madre, freddo, come suo padre...".

"E impenetrabile, come il suo padrino", sorrido, mio malgrado, fiero di quel ragazzino arrogante.

"E' preoccupato. E non posso dargli torto. Non posso rassicurarlo, perché non so neanche se domani sarò ancora vivo per poter mantenere la promessa che andrà tutto per il meglio. Siamo in guerra". Mi sento un bambino imbronciato, quando evidenzio l'ovvio.

"Siamo in guerra...", ripete la mia frase, come se la stesse assaporando, come se le servisse risentirla, per comprenderla appieno.

Si volta e si dirige verso la porta, senza più guardarmi e lasciandomi qui, immobile e sorpreso. Si ferma solo quando la sua mano è ormai sulla maniglia, "proprio perché siamo in guerra e perché non sappiamo se domani saremo qui, dovremmo approfittarne per godere di questi attimi di vita che ci scorrono addosso. Vivi, Severus. Fallo finché il respiro non abbandonerà i tuoi polmoni, finché non sarà troppo tardi".

La osservo uscire, silenziosa com'è entrata. Chiudo la porta magicamente dietro di lei, e dopo aver effettuato qualche incantesimo alla stanza, in modo tale che nessuno venga a disturbami, con cura maniacale inizio a svestirmi. Prima il mantello, che adagio con grazia sulla poltrona, dopo la casacca, bottone dopo bottone, in una danza flessuosa e continua. Solo dopo essere rimasto a petto nudo ed aver tolto le scarpe mi sdraio sul letto, accanto a Cassandra.

Il suo corpo caldo mi rassicura. È viva e lo sono anche io. Ed in questo momento è l'unica cosa che conta.


 

***
 


Ringrazio, prima di tutto, coloro che hanno commentato e le mie lettrici appassionate, che mi rendono sempre felice e mi fanno apprezzare ancor di più la possibilità di pubblicare sul sito questa storia.

   
 
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