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Autore: Dira_    15/10/2016    7 recensioni
Sono trascorsi cinque anni da quando Al, Tom e Lily hanno messo fine alla vicenda terribile che ha segnato la loro adolescenza. Grazie al mondo fuori da Hogwarts sembrano essersi lasciato tutto alle spalle. Chi è un promettente tirocinante, chi si è dedicato alla ricerca e chi, incredibilmente, studia.
Un'indagine trans-continentale, il ritorno di un vecchio, complicato amico e una nuova minaccia per il Mondo Magico li porteranno ad affrontare questioni irrisolte.
"Perchè quando succede qualcosa ci siete sempre di mezzo voi tre?"
Crescere, per un Potter-Weasley, vuol dire anche questo.
[Seguito di Ab Umbra Lumen]
Genere: Azione, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga'
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Capitolo LXIII
 
 
 
 

Hold me closer than anyone before
(Send them off! Bastille)
 
 

13 Agosto 2028
Porto di Grangemouth, Scozia.
 
“Sai cosa detesto del nostro lavoro Ama?”
Nora si voltò verso James, seduto accanto a lei nell’angusto prefabbricato che faceva da ufficio alla guardia portuale di Grangemouth. Arrivati erano stati accolti con la tipica diffidenza isolana di chi sì, aveva visto il tuo distintivo, ma non lo riconosceva e pertanto pensava subito ad una fregatura.
Non si può neanche dar loro torto … I Babbani hanno avuto la piaga del terrorismo internazionale per così tanti anni che in confronto noi maghi con i nostri occasionali maghi oscuri siamo dei novellini.
Fortunatamente li avevano comunque fatti entrare e l’intervento dell’agente infiltrato aveva scongiurato eventuali grattacapi o lungaggini burocratiche.
In ogni caso, stiamo aspettando.
E Potter non era il tipo di agente che sapeva pazientare. Erano seduti lì da un paio di minuti e già si agitava sulla sedia, lanciando occhiate fuori dalla finestra con una smorfia insofferente che sarebbe stata comica, se non l’avesse abbinata ad un fastidioso tamburellare sulla scrivania di fronte a loro.
“No, cosa?” Domandò comunque.
“Le attese.”
“Non l’avrei mai detto.”
James incassò la frecciatina con un sogghignetto. “Lo so, sono un rompipalle quando faccio così, Malfuretto me lo dice sempre.”
“L’importante è esserne consapevoli.” Lo canzonò, ma in parte condivideva la sua irrequietezza.
Sören è alla completa mercé di quello psicopatico del Camaleonte.
Qualcosa nella sua espressione dovette tradirla perché James le diede un colpetto con la propria spalla, solidale. “Tutto okay?”
Annuì perché quella faccenda non doveva diventare personale. Ripeterselo aiutava un po’. “Voglio solo mettere le mani su Doe il più presto possibile.”
“A chi lo dici!” Esclamò con forza. “Beh, io voglio anche prendere a calci in culo di Albie…” Rilasciò un sospiro. “Hai fratelli?”
“Figlia unica.” Scosse la testa. “Mi sarebbe piaciuto avere una famiglia numerosa come la vostra però.”
“Non credere, è più le volte che ti mandano ai matti che altro!” Le rivolse un sorriso ammiccante. “Se ci tieni però abbiamo ancora qualche posto vacante come nuora. Ho un sacco di cugini o cugine da presentarti!”
Ama ridacchiò. “Toglimi una curiosità, hanno tutti i capelli rossi?”
“Perché, è il genere di cosa che ti stuzzica?”
Prima che potesse mandarlo cordialmente al diavolo il Collegamento aprì la porta, chiudendosela subito dopo dietro con un Colluportus che stonava con la sua uniforme da lavoro color giallo fosforescente. “Ci è voluto del bello per convincere il mio capo che fate parte delle indagini per il cargo scomparso!” Esordì malmostoso. “Potevate almeno darmi qualche giorno di preavviso per inventarmi qualcosa!”  
“Se l’avessimo avuto non saremo qui a parlare con lei, Briggs.” Lo apostrofò dura, che non aveva tempo per le rimostranze di nessuno, e tollerava quelle di Potter semplicemente perché le condivideva. “Ha portato quanto le ho chiesto?”
Il mago le porse una cartella con fogli ancora caldi di stampa. “C’è tutta la documentazione della nave sparita. È un cargo americano di grosse dimensioni, nessuno chiude occhio da giorni … l’armatore è fuori di testa.” Fece una smorfia. “Si sa qualcosa dell’equipaggio?”
“È probabile che sia ancora sulla nave, prigioniero.” Rispose Ama, anche se dubitava che li avrebbero ritrovati vivi, non con Doe che aveva l’abitudine di non lasciare testimoni. Passò il fascicolo a James che lo aprì per scorrerne qualche righe con aria confusa.
“L’hanno rubato direttamente dal porto?” Domandò quest’ultimo. “Come avete fatto a non accorgervene?” Gli piantò gli occhi addosso in un’imitazione piuttosto fedele del padre. “Eri di turno?”
Lo scozzese diventò paonazzo. “Ero in pausa. È accaduto tutto nel giro di una manciata di minuti …”
“Testimoni oculari?”
Sbuffò. “Qui la gente ha la testa semplice, anche se avessero visto qualcosa a quell’ora e con quel tempaccio, avranno pensato ad un whisky di troppo.” Le lanciò un’occhiataccia. “Ve lo ricordate sì, che mi avete messo a lavorare con i Babbani?”
“E il Capitano la paga profumatamente per questo.” Gli ricordò con altrettanto vigore. Approfittando della sua aria colpevole aggiunse. “Lei si preoccupi di non far insospettire i suoi colleghi. Oblivi, se necessario.”
“I filmati delle videocamere di sorveglianza?” Chiese James.
“Fritti.” Scosse la testa Briggs. “Chiunque abbia fatto il lavoro è un professionista.”
Uno dei migliori.
“Come si sono svolti i fatti?” Potevano leggerli anche dal rapporto della sicurezza, ma era stato redatto da un Babbano. Aveva bisogno della versione magica dell’accaduto.
Briggs aggrottò le sopracciglia. “Come vi ho detto ero in pausa. Sono stato chiamato alla radiotrasmittente da un collega, sono arrivato al dock … e il cargo era sparito. Hanno strappato le catene dell’ancora … bestie con anelli che pesano dai 25 chili in su.” Scosse la testa. “Segni di bruciatura da Recido.” Aggiunse commentando una delle foto del fascicolo. “L’hanno rubata come se fosse una scopa.”
Ama osservò la foto sporgendosi dalla spalla di James: non c’era alcun dubbio, il furto era stato di stampo magico. “La ricerca è cominciata subito?”
“Quel cargo, con il suo contenuto, vale quasi un milione di sterline, certo che sì! Abbiamo chiamato la guardia costiera la notte stessa. Niente da fare, volatilizzato … ma non poteva andare diversamente.” Considerò.
“Perché?”
L’uomo si strinse nelle spalle. “La parte difficile è entrare qui dentro e farla sotto il naso della sicurezza. Sono Babbani, ma ci sono telecamere ovunque e ronde continue. Una volta che hai tagliato la corda è facile sparire dai radar. I gps nautici sono roba delicata, da migliaia di sterline, ma non ci vuole niente per mandarli in tilt, basta un incantesimo di bassa lega. Per me è una causa persa.” Concluse alzando le mani in segno di impotenza.  
James sbuffò sdegnato. “Lo sai con chi stai parlando? Te la riporteremo di sicuro, parola di Auror!” Concluse gonfiando il petto in un modo che all’inizio aveva trovato irritante. Ci aveva fatto l’abitudine ormai; a differenza dell’Agente Murphy almeno l’inglese non lo faceva con intenzione.
Fare il pavone è una seconda natura per lui.
Si congedarono, lasciando l’agente di collegamento all’ennesima dose di caffè, scones e noia. “Sei sempre così sicuro di te?” Gli domandò mentre tornavano indietro.
James si strinse nelle spalle. “Di solito non mi sbaglio.” Fece un mezzo sorriso, passandosi una mano tra i capelli. “E poi, non abbiamo alternative, no? Dobbiamo trovare quella nave.”
Ama non se la sentì di dargli torto. Gli posò invece una mano sulla spalla. “Prince è uno dei miei agenti migliori, terrà tuo fratello al sicuro.”
L’altro scosse la testa con aria dolente. “Tu non conosci Albie.”
 
 
****
 
Londra, Ministero della Magia.
 
Lily aveva detto a James che sarebbe rimasta al San Mungo a fare quello che le riusciva meglio, ovvero agire e non pensare. Nei fatti, concedersi completamente ai pazienti.
Dopo neanche un’ora la Patil l’aveva scovata a fissare come una pazza la povera Alice, che dormiva il sonno dei giusti.
E mi ha spedito a casa …
Con le mani in mano non riusciva a stare e quindi si era diretta nell’unico posto dove poteva essere ancora vagamente utile: l’Ufficio Auror.
Si guardò attorno; gli Auror erano in fibrillazione e da lontano poteva sentire la voce di suo padre tuonare ordini. Da quello che intuì non c’erano ancora state svolte significative, semplicemente il Salvatore stava tra i piedi dei suoi uomini.
E gli vogliono tutti troppo bene per non mandarlo a pescare Avvincini…
Lei era lì per tutt’altra missione però; Tom era da qualche parte, a dar fastidio a qualcuno fino a rischiare uno Schiantesimo o chiuso nella sua testa in un solitario arrovellarsi.
In ogni caso rischiava di farsi molto male, e lei doveva trovarlo prima che ciò accadesse.
Non vide James e Scorpius da nessuna parte, ma trovò uno degli agenti della scorta di Sören. “Ehi!” Lo fermò. “Hai visto un ragazzo alto, con i capelli neri e l’aria da poeta tragico?”
“Dici il figlioccio del Capo?” Domandò l’altro con sicurezza. Fece anche una smorfia inequivocabile. “È in sala caffè. Sta’ attenta, morde.”  
Lily ridacchiò. “Nah, abbaia solo un sacco.” E si infilò nella stanzetta evitando di incrociare parenti o conoscenti; non voleva farsi notare. Se suo padre avesse saputo che era nei paraggi si sarebbe distratto per controllare fosse tutto a posto, e voleva evitare.
Forse è lo stesso motivo per cui Tommy si è nascosto qui. A parte perché odia la gente.
Lo trovò infatti nel punto più lontano dalla porta, seduto su una sedia e con una tazza di caffè in mano mentre fissava il vuoto.
Molto bene.
“Tommy!” Lo chiamò con voce squillante facendolo sobbalzare. “Non mi hai sentita entrare?”
La guardò malissimo. “Che ci fai qui?”
Fu onesta. “Ti faccio da babysitter.”
“Non ho bisogno…”
“Invece credo proprio di sì.” Prese una sedia e gli si sedette davanti. “E poi ne ho bisogno io. Ti ricordo che anche l’amore della mia vita è dentro quella nave in compagnia di Doe.”
Tom sbatté le palpebre, finalmente riconoscendo la sua presenza. Prima l’aveva di sicuro calcolata come una voce di sottofondo nel suo personale inferno di angoscia. “… è già l’amore della tua vita?”
“Lo è sempre stato.” Ribatté rifiutandosi di arrossire perché non era quel tipo di ragazza. “E vorrei che tornasse sano e salvo, ma non ho controllo sulla cosa. Quindi, come vedi, siamo in due a dover ammazzare il tempo.”
Tom si rigirò la tazza tra le mani. “Non mi lasciano uscire di qui.” Ammise a mezza bocca. “Non posso chiedere aggiornamenti, non posso avvicinarmi ad Harry e non posso tornare a casa.”
Lily non se ne stupì; quando suo padre era in pieno assetto da battaglia uscivano tutte le sue vecchie ansie di guerra. Compreso il bisogno di avere tutto e tutti sotto controllo.
“Quante volte hai chiesto di essere aggiornato?” Domandò invece. “E no, ogni due minuti non è considerabile come una richiesta ragionevole.”
Ci fu un breve e colpevole silenzio da parte dell’altro. “Voglio un caffè decente. Questo sembra sputo di Poltergeist.” Concluse dispotico.
“Ragionevole.” Riconobbe magnanima. “Dai, posso farti uscire di qui, andiamo.”
Tom tentennò; era ovvio fosse combattuto tra il desiderio di libertà e quello di rimanere quanto più vicino possibile alla sua unica fonte di informazioni. “Non ci diranno niente, se non a cose fatte.” Lo spronò. “Lo conosci papà … e vuoi davvero cercare di parlare con zio Ron?”
“Andiamo.” Si alzò in piedi con un movimento improvviso, mollando sul lavello la tazza di caffè con un po’ troppa forza. Lily ebbe l’impulso di prenderlo per mano come quando erano bambini, ma era consapevole che l’altro l’avrebbe respinta. Quel privilegio ormai lo lasciava soltanto ad Al.
E vabbeh.
Sfilarono silenziosi tra cubicoli e Auror che lanciarono loro occhiate consapevoli, ma nessuno tentò di fermarli. “Non mi pare che ci sia questo gran desiderio di farti rimanere…”
“Non parlavo di loro infatti.” Borbottò affiancandolesi. “Ma di lui.”
Ovvero zio Ron, che se ne stava di fronte alla porta con l’aria indisponente di chi non si sarebbe fatto convincere da moine o lusinghe.
Favoloso. È lui il cane da guardia che ha sguinzagliato papà?
Siamo fregati.
“Lilù, non sapevo fossi qui!” Esordì incrociando le braccia al petto. “Meglio così … vi faccio accompagnare in sala caffè? Credo ci siano ancora dei calderotti.”
“Veramente veniamo da là.” Prese a braccetto Tom, che non si divincolò solo perché voleva evitare a tutti i costi di sembrare infantile.
Fatica sprecata. Zio Ronnie ci vede ancora con il pannolone.
“Lo porto a casa, deve farsi qualche ora di sonno.” Spiegò con il suo miglior piglio pacato. Abbassò anche la voce sperando di renderla quanto più simile a quella di sua mamma, quindi matura ed affidabile. “Puoi avvertire papà così non gli prende una sincope se non lo vede?”
“Ci sono delle brandine libere in dormitorio che potete usare.” Non si scompose. “È meglio se restate qui, così se succede qualcosa vi avvertiamo subito.”
Sì, come no.
Strinse il braccio di Tom che aveva aperto bocca per protestare. “È due giorni che abbiamo i ritmi sonno-veglia scombinati. Credo sia meglio se dormiamo entrambi in un letto vero.” Obbiettò. “E poi Tommy non entra in una branda, è troppo alto.” Gli pestò un piede quando lo sentì ad un passo dallo sbottare.
Fa’. Parlare. Me.
Non era un Legimante ma il messaggio passò comunque perché emise una specie di ringhio basso, e tacque.
Ron sbuffò. “Davvero, ragazzi, è meglio…”
“Non scapperemo a cercare Ren e Albus.” Suo zio non andava forte nei sottointesi, quindi bisognava esser diretti. “Non escogiteremo un piano super brillante per localizzare la nave e non ci Smaterializzeremo con il rischio di finire nel bel mezzo dell’Oceano. Anche perché, nel remoto caso riuscissimo a centrarla da questa distanza, finiremo tra le braccia di Doe, un’esperienza che nessuno dei due vuole ripetere. Giusto Tom?”
Tom fece una smorfia, ma siccome era un tipetto intelligente dietro tutta quella prosopopea da bello e dannato, annuì docile.
Bravo.
Ron emise un secondo sospiro, piazzando le mani sui fianchi. “Ragazzi…”
Okay, gesto distensivo. Attaccare, adesso!
Inumidì lo sguardo con l’esperienza di migliaia di capricci infantili. “Zio, siamo in piedi da non so quante ore … e abbiamo davvero bisogno di mettere qualcosa sotto i denti e fingere di dormire. Tom poi deve tornare da Meike, non può lasciarla sola!”
Stimolare il senso di famiglia e…
“Va bene.” Si arrese abbassando le braccia lungo i fianchi. “Ma se vi chiamiamo sui cellulari rispondete. Subito.” Sottolineò con forza.
“Certo! Grazie zio!” Esclamò con zelo fin troppo eccessivo, ma l’uomo non parve registrarlo. “Tommy?”
“Andiamo.” Convenne quasi trascinandola fuori dall’ufficio.
“Visto che avevi bisogno di me?” Cinguettò soddisfatta mentre l’altro si infilava in ascensore come se avesse un Dissennatore alle calcagna.
La degnò dell’ombra di un sorriso. “Sei una manipolatrice.”
“Detto da te è quasi un complimento!”
“Lo è.” Si appoggiò alle pareti chiudendo gli occhi e Lily realizzò quanto fosse stanco sul serio. Conoscendolo si era anche scordato di mangiare.
“Ti porto a casa.” Lo rassicurò.
“So arrivarci da solo.”
“Ne sono certa, ma non devi.” Gli sorrise. “Ci sono io, e non sono Al, ma meglio di niente, no?”
Tom non rispose ma si passò una mano sul viso. E la tenne lì. “Vorrei sentire la sua voce…” Mormorò così piano che dovette sporgersi per sentirlo. “… vorrei solo sentire la sua voce e sapere che sta bene.”
Frenò l’ennesimo impulso di abbracciarlo. Thomas Dursley poteva avere un carattere orripilante, essere moralmente un po’ troppo grigio per i gusti comuni, ma l’amore che provava per suo fratello non avrebbe vacillato, mai.
Era una cosa da ammirare.
Voleva aiutarlo davvero, e si sentiva uno schifo a non poterlo fare.
Se solo ci fosse un modo per farli parlare…
Le arrivò come un lampo. In fondo tutte le idee migliori venivano così. “Forse puoi!”
Tom non si disturbò a crederle, uscendo invece dall’ascensore e costringendola a trotterellargli dietro per tenere il passo. “Ho già provato a chiamarlo sul cellulare e allo Specchio Magico, non è raggiungibile.”
“Io parlavo di un incantesimo!”
A questo si arrestò bruscamente, facendola sbattere contro la sua stupida schiena ossuta. “Che intendi?”
Si massaggiò il naso offeso, ma decise di soprassedere. “Ho studiato un incantesimo a Storia della Psicomagia … mi è rimasto impresso perché aveva un nome bellissimo, l’Incantesimo delle Anime Parlanti.”
“Fa schifo.” La bruciò spassionato. “E poi non ne ho mai sentito parlare.”
“Solo perché tu non lo conosci non significa che non esista, sai?” Rintuzzò seppellendo il desiderio di prenderlo a schiaffi. “E non l’hai studiato perché non è nel registro degli incantesimi approvati dal Ministero. È sperimentale. La Patil ce ne ha parlato a lezione solo a titolo esemplificativo.”
Questo attirò la sua attenzione più che se gli avesse dato le coordinate della nave di John Doe. “Esempio di cosa?”
“Telepatia.” Scrollò le spalle. “Una specie almeno … non mi ricordo, è stato mesi fa, ma ho preso appunti. Dettagliati. E ho anche chiesto la formula per curiosità.”
Tom sorrise divertito. “Per curiosità…”
Lily arrossì. “Certo, scemo inquietante, non provo incantesimi illegali per divertimento.”
“Peccato.” La guardò attentamente. “Credi davvero possa funzionare?”
Se andiamo al Mulino, e recuperiamo gli appunti magari te lo posso dire con certezza.” Ripeté esasperata. “Non ho la tua memoria da elefante!”


Il viaggio verso la Tana vide una Lily insolitamente silenziosa; Tom non avrebbe mai creduto di poterle vedere quell’espressione addosso, così seria e determinata, eppure…
La rendeva così simile ad Al che faceva quasi male guardarla. “Voi Potter…” commentò mentre l’altra apriva la porta di casa; non c’era nessuno a giudicare dall’assenza di rumori. Ginny doveva esser a far veglia alla Tana, assieme a Molly e ad uno sciame di parenti più o meno acquisiti.
Meglio così, almeno non avremo distrazioni.
“Noi Potter cosa?” Gli domandò salendo le scale.
“Andate sempre al salvataggio di qualcuno.” Concluse suo malgrado divertito. “Sarà la vostra rovina.”
Potrebbe essere la rovina di Al perlomeno.
Perse il sorriso. Lily gli lanciò un’occhiata da oltre le spalle. “Ci fa sentire bene. Credo che per certi versi sia come una droga.” Fece una smorfia. “Spero di non passare la scimmia ai miei figli.”
C’era un po’ troppa verità in quelle parole, per cui decise di non soffermarcisi. “Già pensi ad un figlio?”
Lily arrossì. “Non adesso!” Scrollò le spalle entrando in camera e cominciando a cercare nervosamente in giro. “Forse, un giorno…”
“Con Sören?”
“Che ne so!” Esclamò un po’ troppo velocemente. “… cioè, sì. Forse. Boh … non voglio spaventarlo cominciando a parlare di matrimonio, figli e Tana tutti i Natali. È un po’ prestino, no?”
Tom si sedette sul letto, evitando accuratamente di schiacciare i peluche dell’altra; sapeva per esperienza che emettevano squittii e trilli raccapriccianti. “Se non è scappato quando gli hanno detto che avrebbe dovuto lavorare gomito a gomito con James, non scapperà più.”
Lily ridacchiò. “Dici? Ah… eccolo!” Da una pila di riviste che ingombrava metà scrivania tirò fuori un quaderno rosa e pieno di brillantini.
Ugh.
“È carinissimo!” Lo difese sfogliandolo con attenzione. “E poi me l’ha regalato Al.”
Sorrise. “Non dubitavo. Avete gli stessi orribili gusti.”
“Oh, sta’ zitto.” Lily parve trovare quel che cercava perché si immerse nella lettura per un paio di minuti prima di alzare la testa. “Credo si possa fare.”
“Come?”
Era una domanda legittima, e non significava che non si fidasse. Anzi. Pur avendo riserve sulla sua folle vita sentimentale e la brutta abitudine di parlargli come se fosse un moccioso irragionevole era stato uno dei primi a credere che Lily avrebbe potuto farcela come Psicomaga.
È come Al. È molto più di quello che sembra.
Lily gli si sedette accanto, mostrandogli gli appunti. “Leggi qui! L’incantesimo venne creato nel cinquecento da un mago italiano, Magellano Malatesta per parlare con la sua amante, Alba Lapini. I due si conoscevano fin da bambini, e si amavano … ma erano entrambi sposati ad altre persone.” Sospirò melodrammatica. “Matrimoni di interesse Purosangue, quanti danni hanno combinato.”
“Quindi?”  
L’altra ignorò il suo tono di urgenza. “Il marito di lei era molto geloso, e quando si accorse della tresca la rinchiuse nella torre più alta del suo castello. La torre in questione era farcita di incantesimi di Intracciabilità, Incantesimi Gnaulanti e nel punto più ventoso del Lazio … Sembra che non riuscissero neanche ad atterrarci i Gufi. Magellano era un Legimante esperto però, e alla fine trovò l’incantesimo adatto per continuare a sentire la sua voce e sapere che stava bene.” Lo quotò con un sorriso. “Da veri romanticoni, no?”
Tom non raccolse la provocazione. “Bella storia, ma in concreto come funziona?”
Lily indicò la formula. “Permette di inviare brevi messaggi da una mente all’altra, sfruttando la naturale connessione che si instaura tra due maghi che si conoscono da una vita e che condividono un forte legame emotivo.” Gli picchiettò il petto. “Cioè voi due.”
Tom distolse lo sguardo: non era fan di quel genere di incantesimi, che facevano più leva sull’interiorità di un mago che sulla sua effettiva capacità magica.  
Incantesimo Patronus, Occlumanzia, Legimanzia …
Non erano certo la sua tazza di the.
“In concreto si tratta di puntarsi la bacchetta alla testa, pensare intensamente ad un ricordo comune e chiamare il nome della persona che si vuole raggiungere.” Continuò l’altra. “Una volta istaurato il ponte in teoria sarete in grado di parlarvi. Non un discorso vero, più frasi spezzate, però…”
Tom guardò la formula. Era una lunga frase in italiano, scritta in inchiostro viola e brillante. Nient’altro che un appunto preso da una strega curiosa.
E forse l’unica possibilità che aveva per mettersi in contatto con Al. “Oltre a Malatesta è stato mai eseguito da qualcun altro?”
Lily esitò. “Non proprio … Te l’ho detto, non è approvato dal Ministero e non si sa se ci siano effetti collaterali. Con la Psicomagia il discorso è un po’ più complesso che lanciare uno Schiantesimo.”
“Facciamolo.” Tagliò corto.
“Okay.” L’altra inspirò. “Starò con te tutto il tempo e se qualcosa andasse storto...” Gli lanciò un’occhiata incerta. “Se…”
“Non preoccuparti.” Non era bravo nelle rassicurazioni, quindi si limitò a puntarsi la bacchetta alla testa e recitare la formula. Era stufo di aspettare.
Al. Mi senti?
Al…

 
****
 
 
Da qualche parte nel mare del Nord…
 
“… ren … Sören … Soren!
Una voce lo stava chiamando. Maschile, giovane. Una lingua straniera di cui intendeva le parole, ma che non era la sua. Non apparteneva a Doe, né a suo zio. Né a Milo, né…
Albus?
Sören aprì gli occhi e si pentì immediatamente di averlo fatto: la luce era troppo forte, come una lama incandescente che gli incendiava gli occhi.
“Sören!” Ripeté mentre il tono dell’amico sfociava nel sollievo. “… per Merlino, pensavo di averti perso!”
“… perso…” Non si era perso, sapeva esattamente dov’era. Sulla nave di Doe, nel bel mezzo del nulla, ostaggio quando avrebbe dovuto salvare Albus Potter e condurre gli Auror da Doe.
Ho fallito.
Quando finalmente riuscì a mettere a fuoco il mondo si guardò attorno, cercando di capire cosa fosse successo e cosa lo avesse ridotto in quel modo: l’ultimo ricordo che aveva era di Luzhin che gli torreggiava davanti, pronto ad ucciderlo.
… perché sono ancora vivo?
“… Cos’è successo?” Domandò tirandosi a sedere con un sostanzioso aiuto da parte dell’altro. Però il dolore era sparito, riusciva a respirare liberamente. Albus doveva averlo curato con la bacchetta che teneva in mano; quella con cui aveva affrontato Luzhin.
“Dove…” Erano in una cabina, intuì notando l’arredamento. Una delle tante cabine dell’equipaggio Babbano.
“Ci siamo Smaterializzati prima che Luzhin ti facesse secco con un Avada.” Spiegò Al sedendosi accanto a lui ed appoggiando la schiena contro il muro; lasciò andare un lungo sospiro, quasi lo avesse trattenuto per tutto quel tempo. Non aveva una bella cera, il viso era pallido e tirato, ma sembrava incolume.
“Ci hai Smaterializzati tu?”
“Sì.” Annuì. “Per un soffio, perché bastava poco per farci secchi entrambi.”
“Mi hai salvato la vita.” Realizzò.
“Ti ho solo tirato una spinta…”
“Solo?” Albus l’aveva spinto lontano dal raggio d’azione dell’incantesimo con una prontezza di riflessi che doveva aver modulato dalla sua esperienza sportiva, ma così facendo aveva rischiato di finire al posto suo. “… Che pensavi di fare?” Esclamò incredulo. “Potevi…”
“Sì, lo so.” Ribatté piano, passandogli la bacchetta. “Ma che alternative avevo? Non volevo guardarti morire.”
“Tu…” Annaspò a corto di parole. Con i Potter era una specie di accadimento ineluttabile.  “Come hai fatto?” Non ricordava molto di quegli attimi spaventosi, ma rammentava nitidamente che l’altro l’aveva placcato a mani nude.
Al si strinse nelle spalle. “Magia Accidentale.” Notando la sua espressione perplessa tentò un sorriso. “Non so se Lily ti ha mai raccontato di quando James da piccolo faceva saltare l’impianto elettrico … l’abbiamo ereditata da nostro padre. Quando siamo spaventati o in preda ad una forte emozione… è come un auto-pilota.” Fece una risatina incredula. “Onestamente l’ho usata solo un paio di volte in vita mia! È capitata al momento giusto, no?”
Sören si astenne dall’aprire bocca e rispondere, perché anche se in teoria avrebbe dovuto ringraziarlo, gli venivano in mente solo una sequela di insulti. “In che parte della nave ci troviamo?” Preferì domandare.
Al si guardò attorno. “Nella cabina dove mi hanno tenuto prigioniero prima di portarmi nel laboratorio.” Stimò con sicurezza. “Devo aver pensato inconsciamente fosse il posto più sicuro. Non lo so, te l’ho detto, non ho ragionato. Voglio dire…” Esitò. “… Luzhin è andato completamente fuori di testa. Voleva ucciderti!”
“… già.” Disattendendo peraltro un ordine diretto di Doe, a cui aveva obbedito come un soldatino fino ad un momento prima. Qualcosa doveva essere andato storto, nella sua testa o nelle sue intenzioni, e non aveva idea di che conseguenze avrebbe potuto portare.
Specialmente perché è una bacchetta che cammina.
“Dobbiamo andarcene.” Decretò alzandosi in piedi. Non riuscì a mantenere l’equilibrio, ma per fortuna Al, pur con tutti i suoi difetti, rimaneva un’ottima spalla a cui appoggiarsi.
“Ma se non riesci a camminare! Ti ho curato, ma sono sicuro di non esser riuscito a sistemarti del tutto la commozione cerebrale.” … anche se un po’ troppo loquace per i suoi gusti.
“Hai un’alternativa migliore?” Domandò mentre l’intera stanza ondeggiava vistosamente. E dubitava fosse a causa del mare mosso.
“No, cioè … certo che ce ne dobbiamo andare di qui, ma dobbiamo avere un piano. Questo posto pullula di Mercemaghi …e poi, Luzhin.” Gli ricordò.
Come se ce ne fosse bisogno.
Non era finita. Durante lo scontro era stato più occupato a salvarsi la pelle che analizzare lo stato d’animo del suo avversario ma non c’era dubbio che il suo omonimo volesse vederlo morto.
E non posso affidarmi alla Magia Accidentale per salvarmi la pelle una seconda volta.
“Okay.” Albus prese a camminare avanti e indietro, le dita che tormentavano i capelli con lena. Avendo imparato a conoscerlo un po’ in quei mesi aveva intuito che era il suo modo per attivare le sinapsi quindi lo lasciò fare. “Va bene, siamo su una nave nel bel mezzo del mare, giusto?”
Si supponeva dovesse rispondere? Dall’occhiata che gli venne lanciata capì di sì. “Certo.”
“Bene. Per andarcene quali alternative abbiamo?” Guardò fuori dall’oblò. “Una Smaterializzazione congiunta? Dovremo avere abbastanza magia per tentare la terra ferma!”
“Non io.” Scosse la testa. “Non ho idea di dove ci troviamo, ma conoscendo Doe siamo ben lontani dalla costa. Il rischio di Spaccarsi è troppo alto.”
“Una Passaporta allora. Sei in grado di crearla?”
“Troppo complesso, troppo poco tempo.” Sospirò. “Anche se la mia capacità magica fosse al cento per cento ci impiegherei almeno un paio d’ore. Presto ci troveranno.”
Albus si morse un labbro, lanciando uno sguardo preoccupato verso la porta. “… una scialuppa allora. Sono arrivato qui in barca, sono sicuro che la usano per spostarsi dal mare alla terraferma, potremo prendere quella!”
Sören annuì. Poteva essere una buona idea. “Dove la tengono?”
Al ci rifletté. “È la prima volta che salgo su una nave ma… Titanic!” Esclamò senza senso. “La tengono sul ponte per … calarla in acqua? Una cosa del genere.”
“Sei sicuro?”
Albus si strinse nelle spalle. “Se per deve essere a portata di mano in caso di emergenza, dove altro dovrebbero tenerla? Anche se la calassero con la magia, è lì che deve stare.”
“Dobbiamo arrivare sul ponte allora.” Poteva portarcelo. Sören strinse la bacchetta tra le dita, legno solido, che gli dava sicurezza. Poteva scortare Al fino alla barca, farcelo salire e spedirlo via da quell’inferno.
Io rimarrò.
Aveva preso quella decisione nel momento stesso in cui aveva realizzato di non avere più l’anello con il gps al dito. Doveva rimanere su quella nave e trovare il modo di comunicarne la posizione agli Auror.
Devono catturare Doe … e Luzhin.
Perché se Doe era un pericolo per qualsiasi Ministero incrociasse, diverso non era Luzhin. Soprattutto in preda al Demiurgo e con quella furia omicida negli occhi.
Va’ fermato.
Albus si diresse verso la porta, fermandosi però ad un passo dall’aprirla. “Tu verrai con me, vero?”
Potter, fin troppo intuitivi.
Lily era una LeNa ma suo fratello era capace di guardarti con quei maledetti occhi verdi e leggerti nell’anima.
Un po’ compativa suo cugino.
“Certo.” Mentì con disinvoltura. “Dobbiamo metterci in marcia, ma sarò chiaro. Niente colpi di testa, mi segui e non prendi iniziative.” Si raccomandò con la certezza che alla prima scossa di adrenalina sarebbe stato bellamente ignorato.
“Non che avessi intenzione di far altro.” Borbottò l’altro, falso come la moneta di un Leprecauno. “Sono disarmato.”
“Con la lingua che vi ritrovate voi Potter non lo siete mai.” Sospirò facendolo ridacchiare. Uscirono nel corridoio, completamente buio e castò quindi un Lumos per guardarsi attorno: non c’era anima viva.
Al momento.
“Sei pronto?” Anche senza toccarlo percepiva la tensione che emanava l’amico e poteva comprenderla: senza bacchetta era indifeso e di nessun aiuto. Eppure stranamente Sören fu felice di averlo affianco.
No, non stranamente.
Da quando aveva deciso di passare al lato giusto aveva capito che combattere da soli era peggio. Lo era sempre.
“Ci sono.” Gli rispose Al toccandogli una spalla. “Andiamo.”
Sören sorrise. Da soli non si aveva nessuno per cui combattere, quindi era decisamente più facile perdere. E perdersi.
“Andiamo.”
 
Sören era un pessimo bugiardo.
Albus invece si riteneva piuttosto bravo, anche perché l’altro non aveva minimamente capito che lui invece aveva capito; dietro quel “certo” e quegli occhi che avevano evitato i suoi per un attimo, Sören gli aveva detto a chiare lettere che aveva tutt’altri piani.
Vuole portarmi in salvo, ma non vuole seguirmi.
Il che era fuori discussione; non avrebbe  lasciato che rimanesse in quella specie di arena del Tremaghi ad affrontare un tizio pazzo e gonfio di steroidi magici.
Fissò la schiena dell’amico e al di là dell’angoscia e della paura di morire non era mai stato così sicuro di qualcosa. Non aveva intenzione di tornare da sua sorella e dirle che aveva lasciato il suo ragazzo in mezzo al mare.
Dovessi rubarti la bacchetta e Schiantarti tu vieni con me.
Avere la meglio non avrebbe dovuto essere neanche troppo difficile, visto che anche se l’aveva curato era palese che Sören stesse accusando gli effetti di una commozione cerebrale coi fiocchi.
Magie, non miracoli.
Non gli importava di lasciare Doe a piede libero e Luzhin a vagare per la nave in pieno delirio di onnipotenza. Non era un Auror, non era compito suo sbattere i cattivi ad Azkaban.
Sono un Guaritore, le mie priorità sono altre.
Arrivarono alla fine del corridoio che delimitava le cabine dell’equipaggio e Sören gli fece cenno di fermarsi di fronte alle scale che portavano al piano superiore; il boccaporto era spalancato su, ovviamente, altro buio.
Quasi preferivo il castello dei Von Hohenheim … o la grotta nella Foresta Proibita.
Almeno c’era luce. Poca, ma c’era.
“Vado a controllare che non ci sia nessuno, resta qui.”
“Ma…”
Resta. Qui.” Scandì, il volto illuminato in un’espressione mortalmente seria.
Non gli restò che obbedire, anche se l’idea di restare solo lo atterriva. Piuttosto che vedere nero si sedette su uno dei gradini e chiuse gli occhi; così poteva immaginare di essere a casa, sotto le coperte e tra le braccia scomodissime del compagno.
Tom …
Sperava che suo padre l’avesse tenuto buono, o alla peggio sedato; lo spilungone doveva essere nel panico a quel punto, e quindi rabbioso e assolutamente irragionevole.
Mi terrà il muso per settimane.
Sempre che ne esca vivo …
Inghiotti il magone, appoggiando la fronte contro le ginocchia; in quella posizione il respiro gli scaldava il viso e lo faceva sentire un po’ meno infreddolito e solo.
Tom…
 
“Al.”

Per poco non ebbe un infarto. La voce dell’altro era appena risuonata nella sua testa!
Che diavolo …?!
Si alzò in piedi, lanciando occhiate nel vuoto e nel silenzio più totale. “… Tom?” Mormorò incredulo.
Non era lì, non poteva essere lì. Eppure…
Udì dei passi per le scale, e poi la bacchetta di Sören lo illuminò. “… Cos’è successo, stai bene?” Doveva proprio avere una faccia assurda.
“Mi hai chiamato?”
Sören aggrottò le sopracciglia. “No. Perché, cos’hai sentito?”
Tom. Che presumibilmente è a centinaia di miglia marittime da qui.
Merlino, sto impazzendo?
“… niente, questa nave è piena di cigolii.” Scrollò le spalle. “Possiamo andare?”
L’altro non pareva molto convinto, ma lasciò cadere il discorso. “Sì, di sopra è libero.” Lo invitò a seguirlo con un cenno del mento, cosa che fece ben volentieri. Quella scala era appena diventata il posto più spaventoso della nave.
È la tensione. Dev’essere la tensione e il fatto che lo vorrei qui. Cioè, non davvero, basta uno di noi nei guai, ma comunque…
Calma, Potter. Non perdere la testa.
Inspirò, focalizzandosi sulla figura dell’amico davanti a sé; era reale, non lo chiamava con strani voci oniriche ed era a lui che doveva affidarsi.
Così preso nei suoi ragionamenti non si accorse che questo si era fermato bruscamente; quasi gli inciampò addosso, ma Sören fu lesto a prenderlo per un braccio e tirarlo contro il muro, sussurrando un Nox rapidissimo.
Pochi attimi dopo la luce di due bacchette illuminò il fondo del corridoio, ad una decina di metri da loro. “Dissilludo.” Albus sentì i peli delle braccia formicolare, mentre l’incantesimo li rendeva invisibili agli occhi dei due Mercemaghi in avvicinamento.
“Non respirare.” E non era una metafora, era un ordine. Così Al si trovò a trattenere il respiro, ringraziando la sua buona preparazione atletica e pregando che i due si sbrigassero.
Quasi rischiò di farsi scoprire quando gli sfilarono affianco; espressioni vuote, occhi aperti nel nulla.
Sono sotto Imperio!
Non erano Infetti però, quelli ormai li sapeva riconoscere ad occhio. Uno dei due era il Mercemago che gli aveva portato da mangiare quando era nella cabina.
Scesero le scale continuando la loro ronda e solo allora Al tirò un grosso respiro, imitato dall’altro.
“Erano…”
“Sì, ho visto.” Lo anticipò.
“Doe?”
“No.” Sören guardò l’ultimo bagliore delle bacchette spegnersi. “… credo sia stato Luzhin.”
“Ti sta cercando.” Realizzò. “Ma si può sapere che gli hai fatto?”
“Non ne ho idea.” E sembrava davvero non averla. “Ha detto un sacco di cose mentre duellavamo, ma pensavo lo facesse per distrarmi. Prima di oggi sapevo a malapena che faccia avesse, e solo per via di Lily…” Aggrottò le sopracciglia. “Non può avercela con me perché ho preso il suo posto cinque anni fa. Non avrebbe senso.”
“Beh…” Esitò: non riusciva a togliersi dalla testa il sorriso di Luzhin quando aveva realizzato non solo di essere vivo e ancora in salute, ma di aver acquistato l’equivalente di un superpotere Babbano. “Non faceva parte della Thule come te? Potrebbe considerarti un rivale.”
“Di che rivalità parli? La Thule si è disintegrata con la morte di mio zio, il Capitano Gillespie l’ha smantellata dalle fondamenta. Membri, collegamenti, agenti e cellule dormienti… hanno arrestato tutti e chiuso i laboratori. Non c’è più motivo per antagonizzarmi.” Un lampo di improvvisa comprensione gli passò negli occhi. “Pensi che mi ritenga responsabile?”
Oh sì, decisamente!
“Se credeva nella causa e in tuo zio, per lui la fine della Thule sarà stata la fine del mondo.” Gli sembrava di parlare come Lily, ma del resto sua sorella non era l’unica ad andar forte con le congetture. “Questo spiegherebbe perché lavorava per John Doe. È l’unico ponte rimasto con il suo passato.”
“E questo spiega perché mi vuole morto. Ho tradito mio zio, sono diventato un informatore per il DALM americano. Il tradimento per la Thule si lava nel sangue.”
“Carino.” Commentò con un brivido. “Che facciamo?”
“Il piano non è cambiato. Saliamo e troviamo le scialuppe.” Gli rispose deciso; non pareva particolarmente turbato da quella scoperta.
Si deve essere abituato ad avere nemici…
Era una cosa un po’ triste.  
“Okay.” Disse per poi seguirlo senza aggiungere altro: non ce n’era bisogno.
No, il piano non è cambiato. Adesso devo davvero Schiantarti e portarti via con me.
 
Il passato tornava costantemente a mordergli il culo, avrebbe commentato spassionatamente Milo se fosse stato lì.
E non c’era altro modo di dirlo, perché Luzhin voleva la sua testa e la voleva probabilmente in virtù di quello che erano stati: due marionette manovrate da suo zio.
Una più convinta dell’altra, ma in ogni caso…
Quella situazione era frutto di una serie di sliding doors, considerò, nascondendosi dalla seconda ronda e controllando che Al non segnalasse la loro presenza facendo rumore.
Cinque anni prima aveva fatto una serie di incontri, di esperienze che l’avevano cambiato solo perché suo zio, con la mente offuscata dalla malattia, aveva deciso di sostituirlo a Luzhin.
Se non si fosse ammalato niente di tutto questo sarebbe mai accaduto. Non avrebbe mai testato la mia fedeltà in quel modo così assurdo.
E non avrei mai conosciuto Lily, né Dionis.
E di conseguenza, non avrebbe mai ritrovato la sua bussola morale. Avrebbe continuato a lavorare per suo zio fino alla fine, e poi forse si sarebbe dato alla macchia con Doe.
Luzhin era diventato il cattivo della storia al posto suo per una mera serie di coincidenze.
Decise di accantonare quel pensiero, dato che erano quasi arrivati sopraccoperta.
Ricordava quel pezzo di nave perché l’aveva percorsa per andare nella piccola arena di gladiatori che Doe aveva approntato per divertire i propri compratori. “Fa’ attenzione.” Disse ad Al. “È l’ultimo posto dove abbiamo visto Luzhin … potrebbe essere ancora nei paraggi.”
E Johannes?
Dov’era il vero artefice di tutto quel casino? Si era già nascosto aspettando che passasse la bufera?  
Probabilmente.
Al gli afferrò un braccio a sorpresa. “Non vorrai andare a cercarlo, vero?”
Per un attimo pensò che l’amico aveva sviluppato una Legimanzia estemporanea, poi realizzò che non stava parlando di Doe, ma del suo omonimo. “Te l’ho detto, dobbiamo…”
Un colpo improvviso li fece sobbalzare. E poi un rantolo, come se qualcuno stesse tentando di chiamare aiuto. Si guardarono negli occhi e Sören comprese due cose: primo, che il rumore proveniva dalla sala da pranzo. Secondo, che non c’era alcun modo di impedire a Potter di seguirlo. Soffocò un’imprecazione in tedesco e corse dentro tallonato dall’altro.
La prima cosa che percepì era bagnato sotto le scarpe. Bagnato, vischioso e un odore che una volta sentito, non potevi più togliertelo dalle narici, sigillato per sempre nel cervello.
Sangue.
“Al…” Iniziò. Forse poteva risparmiare l’amico.
“Lancia un Lumos.” Disse questo in tono piatto. “Qualcuno stava gemendo, può ancora essere vivo.”
… è un Guaritore. Deve aver riconosciuto l’odore prima di me.
Nonostante tutto lo pronunciò a denti stretti.   
La scena che si parò loro davanti era materiale da incubo: una dozzina di corpi erano riversi a terra alla luce delle poche candele rimaste. Le sedie fatte a pezzi, imbrattati di resti di cibo, cocci di piatti e altro. La moquette di cui era rivestito l’ambiente aveva assorbito il sangue, ma non era bastato. Non abbastanza da non far sembrare quel posto una sorta di macello per esseri umani.
Per la grazia di Odino…
Sören aveva visto Doe all’opera, ma quello era tutto un altro livello di orrore. Era come se fosse esplosa una bomba; con nessuna predilezione in particolare, ma senza risparmiare un viso, un solo corpo. Sentì la mano di Al serrarsi di nuovo sul braccio, più forte.
“Merlino Benedetto…” Sussurrò. “… perché?” Aggiunse così piano che lo sentì a malapena.
Sören abbassò la bacchetta. Avevano visto abbastanza. “Perché può farlo.”
Era quello il segreto degli assassini, dei genocidi; a volte non c’era motivo per mettere fine ad una vita umana.
In preda al delirio dato dal potere puoi fare di tutto. Quindi perché no?
Era una lezione che Doe gli aveva insegnato sin da bambino: uccidere era uno dei primi impulsi a cui un individuo indulgeva se privo di senso di colpa, empatia, e paura di un eventuale punizione in quella o in un’altra vita. Quel trittico era l’unica valvola di controllo che impediva alla razza umana, sia Babbana che magica, di estinguersi.
Se non lo possedevi, e con Luzhin sembrava quello il caso, una carneficina era solo uno dei possibili risultati.
E neppure il più sorprendente…
Al inspirò forte, poi gli toccò il polso con fermezza. “Fammi luce, dobbiamo controllare se qualcuno respira ancora.”
Obbedì, ammirando il controllo dell’inglese, che nonostante avesse l’aria di voler rimettere non si risparmiava dall’esaminare con accuratezza ogni singolo cadavere. Dai vestiti Sören capì che aveva ucciso ben tre dei compratori; mancava all’appello il Principale Benefattore. Doe l’aveva portato via in tempo? Né lui né Sophia erano lì.
Al si chinò su quella che riconobbe come la strega dell’est. “… era lei.” Disse chiudendole gli occhi con una mano. “Non siamo arrivati in tempo.”
“… non avresti comunque potuto salvarla. Le sue ferite…”
“Sören.” Lo fermò. La voce vibrava di tensione, ad un passo dalle lacrime. “Per favore.”
“… Scusami.” Gli mise una mano sulla spalla. “… ma è la verità, non puoi salvare tutti.”
“Posso almeno provarci.” Si voltò verso di lui: a volte c’era una durezza, nello sguardo di quel ragazzo in apparenza tanto mite, che lo spiazzava. Da una persona come Albus ti aspettavi un crollo in una situazione del genere.
Invece.
Era rabbia, stimò. Albus reagiva con rabbia all’ingiustizia e alla violenza verso altri esseri umani. E questo surclassava persino il suo istinto di sopravvivenza.
Stavano per giustiziarmi. Non poteva accettarlo … e mi ha salvato.
Combatteva, al pari di Harry e James Potter; usava solo armi diverse.
Lo prese per le spalle, costringendo a guardarlo. “Lo capisco, ma per farlo devi essere ancora vivo. Non c’è più niente da fare qui, dobbiamo andarcene.”
Albus annuì, ma prima di seguirlo si fermò di fronte ad un Mercemago. “Aspetta…” Gli sfilò la bacchetta dalla mano, e dopo averla pulita contro la manica con un movimento allenato da chi era abituato a vederla insozzata ogni giorno, se la infilò nella tasca dei pantaloni. “Okay, sono pronto.”
“Albus…”
“Non sono un duellante al tuo livello, ma posso difendermi.” Gli rispose spiccio. “Dai, muoviamoci.”
Sören abbozzò un sorriso in risposta; sarebbe stato davvero difficile convincerlo a salire sulla scialuppa da solo.
 
****
 
 
Note:

Come ho detto su FB ho plottato fino alla parola FINE, cosa che non avevo fatto prima perché beh, mi costava davvero farlo dal punto di vista emotivo. Però ci siamo e devo davvero venire a patti con ‘sta cosa. :’)
Spero che i prossimi capitoli siano un buon modo per salutare questo mondo e dirvi GRAZIE per essere rimasti con me fino a qui, nel frattempo qua la canzone del capitolo.
 
  
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