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Autore: princess_sweet_94    16/10/2016    1 recensioni
[STORIA RIPUBBLICATA]
Kathleen ha sempre vissuto con un unico interrogativo: sapere chi fossero i suoi genitori. Nessuno le ha mai detto nulla e neanche il suo tutore, l'uomo che l'ha cresciuta, ha mai risposto a tale domanda.
La situazione sembra complicarsi nel momento in cui la ragazza riceve la lettera e che le cambierà la vita...
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Enjoy❤
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger, Nuovo personaggio, Ron Weasley, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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La Magia. Che grande invenzione! Per alcuni era stupefacente, per altri curiosa, per altri ancora impensabile ma, per chi ci convive quotidianamente, addirittura un’abitudine.
Era un’abitudine per Kate essere svegliata dalla lampada che le dava leggeri colpetti sulla spalla, che diventavano più violenti man mano che li ignorava finché non si decideva ad alzarsi. Mentre scendeva le scale massaggiandosi il braccio dolorante si maledì per aver chiesto a Severus di stregare la lampada (conoscendo la pigrizia della giovane il suo tutore era stato più che lieto di soddisfarne la richiesta, così era sicuro che si sarebbe alzata in orario se non voleva essere tempestata di lividi). Nella piccola cucina il bollitore con l’acqua calda stava già fischiando avvertendo di essere pronto. Lo tolse dal fuoco e afferrò due tazze dalla credenza riempiendole di foglie di tè verde e acqua, poi si dedicò alla cottura delle uova.
Kate Riddle era una ragazza minuta, con lunghi capelli ricci e neri e gli occhi verdi, orfana di entrambi i genitori – aveva perso la madre appena dopo la sua nascita e il padre poco più di un anno dopo – che viveva con il suo tutore: Severus Piton, un uomo sinistro e abbastanza inquietante con capelli neri lunghi poco più sopra delle spalle, il naso adunco e la pelle biancastra. A detta sua era un amico di suo padre (anche se pronunciava quella parola con un certo disgusto), uno dei più stretti e quindi era il solo ad averla potuta prendere sotto il proprio tetto dopo la sua morte.
La ragazza aveva undici anni, compiuti il 24 giugno, ma era stata educata bene: non era evasiva, pettegola o infantile come la maggior parte delle sue coetanee. Si mostrava invece seria e composta, a volte anche fredda, ed era estremamente attenta alle regole ed alle buone maniere: non la vedevi mettere un piede fuori riga, dire una parola di troppo o mancare di rispetto ad adulti o persone di carriera. Era con queste regole che l’aveva portata su Severus e lei non aveva la minima intenzione di infrangerne nemmeno una; se non per il nome e la differenza in aspetto la gente avrebbe potuto credere tranquillamente che fossero padre e figlia.
Proprio mentre faceva scivolare le uova dentro due piatti un rumore di passi provenì dalla scala accanto la cucina: avvolto in un elegante completo nero fece la sua comparsa nella stanza il suo tutore che, mormorando un ‘Buongiorno’ con la sua voce acuta in risposta a quello allegro di Kate, si sedette al tavolino cominciando a imburrarsi delle fette di toast appena sfornate. A metà della silenziosa colazione un picchiettare sul vetro li avvertì che era arrivata la posta: un grande gufo grigio se ne stava appollaiato sul davanzale della finestra in attesa che qualcuno gli aprisse. La ragazza si alzò prontamente ed aprì la finestrella lasciando entrare il gufo che posò una lettera sul piatto vuoto di Kate e attese: la ragazza la prese e la girò leggendone l’indirizzo:
 
Mrs. Kathleen Riddle
Stanza degli ospiti
11, Spinner’s End
Cokeworth
 
Osservò perplessa la busta mentre Severus assunse un cipiglio, soffiando un “Mi chiedevo quando sarebbe arrivata” e tornò tranquillamente ad imburrare i suoi toast. Sorpresa, Kate aprì la busta e quasi gli mancò il fiato, era scritta con una elegante calligrafia ordinata e in uno stupendo inchiostro verde smeraldo:
 
Cara Mrs. Riddle,
siamo lieti di informarla che lei ha il diritto a frequentare la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Qui accluso troverà l’elenco di tutti i libri di testo e delle attrezzature necessarie.
I corsi avranno inizio il 1° settembre. Restiamo in attesa della sua risposta via gufo entro e non oltre il 31 luglio p.v.
 
Con ossequi
Minerva McGranitt
Vicedirettrice
 
 
Kate era così frastornata che rimase a bocca aperta a fissare la lettera: Hogwarts, la più grande scuola per giovani Maghi e Streghe, aveva ammesso lei! Si trattenne dall’urlare dalla gioia e saltare su e giù per la cucina solo perché sapeva che Severus non lo avrebbe permesso. Tutt’al più cercò di riprendersi e la cosa fu facilitata dal gufo, ancora appollaiato sul tavolo con aria di importanza, che lanciò un verso per ricordare loro la propria presenza. Severus si alzò dalla tavola e le disse con il suo tono di voce atono e spento: “Aspetta che gli consegni la risposta” e avvicinandosi ad un cassetto ne trasse un foglio di pergamena e una penna d’oca con tanto di boccetta di inchiostro “La scrivo io, tu va a vestirti. Oggi andiamo a comprare l’occorrente per la scuola”.
Ancora non ci credeva, era così felice ed emozionata: stava per frequentare la scuola che l’avrebbe istruita per diventare una vera strega professionista! Si fece la doccia e si vestì accuratamente fuori di sé dalla gioia poi prese mantello e borsa e scese nell’ingresso dove Severus la stava aspettando. Uscirono nella calda stradina di Spinner’s End e si affrettarono a raggiungere il confine della cittadina di Cokeworth, lì avrebbero potuto smaterializzarsi fino a Londra. Afferrò l’orlo del mantello dell’uomo e, dopo uno schiocco secco, si ritrovò a girare vorticosamente in uno spazio vuoto e buio, il fiato le si mozzò in gola e chiuse gli occhi. Dopo pochi istanti si ritrovò nell’ombrosa frescura di un vicolo. Non era la prima volta che si smaterializzava ma le faceva sempre uno spiacevole effetto.
Tornò a respirare e seguì Severus all’interno del pub situato lì vicino, Il Paiolo Magico, dove nel retro era situata l’entrata per Diagon Alley l’unico posto dove si poteva comprare tutto ciò che ad un mago poteva servire. Attraversarono la sala in tranquillità e stavano quasi per aprire la porta sul retro quando una voce balbettante alle loro spalle fece fermare di colpo l’uomo con la conseguenza che Kate, intenta a guardarsi intorno con curiosità, gli andò a sbattere contro. Anche lei si voltò e vide un giovanotto pallido dall’aria molto nervosa e un grosso turbante viola in testa venirgli incontro: “S-Severus!” esclamò mentre l’interessato s’irrigidiva con una smorfia “C-C-Che p-piacere v-vederti qui!” disse mostrando un lieve sorriso. Lo stesso non si poteva dire di Piton che lo guardò come se si trovasse qualcosa di estremamente disgustoso davanti.
“Raptor” esalò quello che doveva essere un saluto.
“C-C-come mai d-da q-queste p-p-arti?” domandò poi notò Kate che continuava a fissarlo “E l-lei c-chi s-sarebbe? Non d-dirmi c-che è t-t-tua figlia, eh S-S-Severus?” domandò con un risolino che suonava tanto di falso.
“No, Raptor, non è mia figlia. È solo sotto la mia custodia” spiegò infastidito poggiando una mano sulla spalla della ragazza e guardando intensamente il giovanotto che ora aveva l’aria ancora più nervosa di prima.
“Oh, m-ma d-dai” rispose lui, con un lieve tic all’occhio “I-I-Immagino s-siate qui p-p-per fare gli a-a-a-acquisti per la s-s-scuola”.
“Già, quindi se non ti dispiace avremmo un tantino fretta” sussurrò Severus gelido come se volesse avvelenarlo con le parole.
“Oh, a-a-allora b-b-buoni a-a-acquisti!” disse “Buona g-g-giornata!” ma prima che potesse finire la frase l’uomo si era già voltato e aveva raggiunto il retro continuando a spingere davanti a sé Kate. Una volta fuori si sbatté la porta alle spalle.
“Ma chi era quello?” domandò lei, incapace di trattenersi.
“Insegna Difesa Contro le Arti Oscure a Hogwarts” sbottò sprezzante estraendo la bacchetta “Quindi molto probabilmente sarà il tuo insegnante” concluse contando i mattoni del muretto.
“Oh, allora è lui che ti ha fregato il posto alla cattedra…” ma si interruppe immediatamente. Aveva toccato un tasto dolente: anche Severus insegnava ad Hogwarts, Pozioni, ma sapeva che il suo desiderio era avere la cattedra di Difesa Contro le Arti Oscure… che puntualmente si vedeva soffiare da sotto il naso. Lui fece una smorfia ma non disse nulla mentre i mattoni si ritiravano aprendo il passaggio su una stretta stradina affollata.
“Muoviamoci” disse solamente avanzando, seguito a ruota dalla ragazza.
La stradicciola era affollatissima: maghi e streghe di tutte le età entravano e uscivano da negozi di tutti i generi, il sole batteva sulle loro teste mentre a stento riuscivano a camminare attraverso la folla; ad un certo punto la stradicciola si biforcava: mentre da un lato continuava dritta, costeggiata di negozi, l’altra si apriva in uno spiazzetto vuoto su cui si ergeva un grande edificio bianco come la neve che sovrastava le piccole botteghe. Oltre le scale di pietra, dritto davanti all’ingresso, vi era un piccolo folletto dal viso scuro e l’aria intelligente. Salirono la scalinata mentre il folletto li accoglieva con un inchino.
Si ritrovarono davanti ad una porta d’argento che oltrepassarono, una coppia di folletti dal colorito pallido si inchinarono e li introdussero in un grande salone bianchissimo: sembrava esser stato scolpito nel marmo. Da entrambe le parti erano disposte due lunghe file di alti banconi in legno rosso e lucente su cui erano riversi almeno un centinaio di folletti, tutti occupati a scrivere su grossi libroni, pesare monete e gioiell, o esaminare pietre preziose. Un bancone più alto era riposto alla fine, anche quello di un rosso lucente, dove vi era un folletto dall’aria vecchia: la testa grande era coperta tutt’intorno da un fulvo di capelli bianchi con una chiazza pelata al centro, il naso era lungo e ricurvo, le orecchie lunghe e piegate, le dita erano strette attorno ad una penna d’aquila che scivolavano leggere su un paio di fogli di pergamena. Severus si fermò proprio lì e, con un colpo di tosse, richiamò l’attenzione della creatura che alzò su di loro gli occhi neri e sottili.
“Sì?” domandò.
“Siamo quì per prelevare del denaro dalla camera blindata 654, la signorina Kate Riddle deve fare un prelievo” informò Severus sbrigativo, mentre il folletto riponeva la penna nel calamaio e si sporgeva oltre il bancone per vedere in faccia la ragazzina. Per un istante lei ebbe giurato che un guizzo di sorpresa attraversasse il folletto mentre il suo viso impallidiva.
“Camera blindata 654?” ripeté come se non avesse capito bene o sperasse di non aver capito bene.
“Già” rispose Severus piuttosto irritato.
“Avete la chiave?” domandò ancora il folletto. Piton trafficò tra le pieghe del mantello e ne estrasse una minuscola chiave dorata si cui era inciso il numero ‘654’ “Molto bene” asserì infine la creatura ritirandosi sulla sedia. Schioccò le dita ed al loro fianco apparve un secondo folletto dalla carnagione rosea ed una tenuta d’oro e d’argento “Vi accompagnerà nella camera blindata 654” informò afferrando di nuovo la penna mentre l’altro faceva loro segno di seguirlo oltre il bancone fino alla fila di porte che costeggiavano il muro sul retro. Ne aprì una e si ritrovarono in uno stretto passaggio di pietra, illuminato da torce: scendeva ripido e scosceso e per terra correvano dei binari, come se fossero in una piccola ferrovia. Salirono su un carrello che cominciò a muoversi lentamente per poi andare via via aumentando di velocità man mano che procedevano.
Cominciarono e scendere sempre di più, il carrello sferragliava nel buio mentre faceva sempre più freddo. Kate cominciò a sentirsi male e anche Severus al suo fianco aveva il volto più pallido del solito. Dopo quella che parve almeno mezz’ora finalmente il carrello rallentò e si fermò davanti ad una porta alta fino al soffitto, di ottone e con una serie di ghirigori ad ornarla. Il folletto prese la chiave dalle mani di Severus e la infilò nella minuscola toppa nascosta mormorando parole in una strana lingua; la porta si illuminò di vari colori: dal verde smeraldo, al viola ametista, al nero pece, all’azzurro zaffiro fino a tornare al marroncino dell’ottone. Lentamente, come se fossero stati mille minuscoli serpenti, i ghirigori in rilievo si ritirarono ai bordi del portone: evidentemente erano delle protezioni magiche poiché solo allora il folletto girò la chiave aprendo la porta e mostrandone il contenuto.
“Questa è la tua camera blindata, Kate” informò pigramente Severus alle sue spalle mentre lei osservava la stanza sbalordita: una montagna di monete d’oro arrivava fino al soffitto e riempiva la maggior parte della stanza, sparse un po’ ovunque c’erano collane con perle grosse quanto una noce, un mucchietto di rubini che sembravano più dei piccoli macigni se ne stava stipato in un angolo, coppe d’oro puro e d’argento erano esposte su una mensola vicino al soffitto, due grossi diamanti erano riposti in cima a due mucchietti di falci e zellini, bracciali e anelli d’oro erano raccolti su dei rialzi di pietra e sparsi un po’ ovunque vi erano diversi piccoli scrigni di legno. Non poteva credere che fosse davvero sua. “Quando nascesti tua madre si premurò di riservartene una e di riempirla con una parte dei suoi averi in caso ne avessi avuto bisogno” concluse l’uomo.
Una parte? Solo una parte? Lì dentro c’era un patrimonio intero! Si chiedeva solo quante altre ricchezze possedesse la sua famiglia. Si accorse di avere la bocca spalancata per lo stupore solo quando il folletto gliela chiuse invitandola ad entrare e prelevare ciò che le serviva. Come risvegliata da una trance, Kate entrò nella camera e raccolse tutte le monete che entravano nella borsa ma non osò toccare né i rubini né i diamanti né le perle e né i gioielli. Un po’ per timore un po’ perché sapeva che non gli sarebbero serviti per comprare libri e paioli.
Una volta che la borsa fu piena abbastanza la chiuse e se la gettò in spalla, raggiunse l’uscita barcollando sotto il loro peso e risalì sul carrello mentre il folletto richiudeva accuratamente la porta e vi applicava nuovamente i sigilli, restituendo la chiave. La risalita fu più sopportabile della discesa ma lo stesso molto spossante.
Quando uscirono dalla banca, ritrovandosi finalmente all’aria aperta, Kate avrebbe volentieri baciato il marciapiede.
S’immersero di nuovo nella folla diretti a prendere l’occorrente, mentre Piton scorreva la lista.
“Tu va da Madama McClan a farti fare l’uniforme, io mi occupo dei libri” asserì infine. Si separarono ad un incrocio, Kate lasciò la borsa a lui e tenne solo il necessario per pagare le divise, e anche qualcosa in più (“Non si sa mai” gli aveva detto lui); con i libri non si poteva fare un conto preciso poiché il prezzo variava di volta in volta.
Raggiunse il negozio di Madama McClan: abiti per tutte le occasioni e vi entrò, il tintinnio del campanello le diede il benvenuto mentre una strega tarchiata e vestita con un lungo abito color malva spuntò dal retro.
“Dimmi, cara” asserì.
“Mi servono le uniformi per…” cominciò lei ma venne interrotta quasi subito.
“Hogwarts, scommetto” la precedette la donna, ricevendo un segno di assenso “Seguimi” le fece un cenno e la portò nel retro dove la fece salire su uno sgabello e le mise addosso una lunga tunica nera; si piegò ed iniziò a prendere le misure per accorciarla al punto giusto. Accanto a lei vi era un ragazzo dall’aria tesa, coi capelli neri e un paio di occhiali che si faceva aggiustare l’orlo da una streghetta minuta, appresso ancora un altro ragazzo pallido, con i capelli biondi e la faccia appuntita che sembrava molto annoiato di stare lì.
“Anche voi a Hogwarts?” domandò quest’ultimo. Il ragazzo annuì e lo stesso fece lei, quasi contemporaneamente.
“Mio padre mi sta comprando i libri e mia madre sta guardando le bacchette magiche, un po’ più avanti” disse “Dopo li trascinerò via per andare a vedere le scope da corsa. Non capisco perché a noi del primo anno non è concesso averne di personali. Penso che costringerò mio a comprarmene una e la porterò dentro di straforo, in un modo o nell’altro” asserì. Lei e il ragazzo coi capelli neri si scambiarono un’occhiata che fece comprendere molto bene quello che passava per le loro menti: a nessuno dei due importava nulla dei progetti di quel ragazzino.
“E voi ce l’avete un manico di scopa vostro?” proseguì il ragazzo.
“No” dissero quasi in coro.
“Sapete giocare a Quiddich?”
“No” rispose ancora il ragazzo che sembrava imbarazzato mentre lei si proferiva in un “Si”. Kate ebbe quasi la sensazione che lui non fosse uno che aveva vissuto nel mondo della magia, forse era un mago che discendeva da una famiglia di Babbani ma non glielo chiese, sapeva che non era una cosa molto educata.
“Io sì” disse ancora il ragazzo noncurante “Papà dice che sarebbe un delitto se non mi scegliessero per far parte della squadra del mio dormitorio, e devo dire che sono proprio d’accordo. Voi sapete già in quale dormitorio andrete a stare?”
Era incredibile come cambiasse argomento con una tale rapidità! Però, con quella domanda aveva insinuato un atroce dubbio nella mente di Kate: Severus le aveva parlato dei dormitori di Hogwarts e delle loro caratteristiche e quella domanda le era sorta spontanea: “In che dormitorio finirei, io?”
Lui aveva detto che con tutte le probabilità sarebbe finita in Serpeverde poiché tutta la sua famiglia da parte di padre era stata smistata lì.
“No” rispose il ragazzo ma lei non disse nulla, né fece alcun cenno.
“Be’, nessuno lo sa veramente finché non si trova sul posto, non è vero? Ma io so che starò a Serpeverde: tutta la nostra famiglia è stata lì. Pensa, ritrovarsi a Tassorosso! Io credo che me ne andrei, e voi?”
Il ragazzo si proferì in un distratto “Mmm…” mentre lei alzava semplicemente le spalle.
“Ehi! Guardate quello!” disse d’un tratto il ragazzo indicando con un cenno del capo la vetrina principale, per un attimo Kate credette si trattasse di Severus ma poi, girandosi verso il punto indicato, scoprì che non era lui… anzi, la figura oltre il vetro non gli somigliava neanche lontanamente! Era cinque volte più grande di un uomo normale, con una folta chioma nera aggrovigliata alla barba identica da cui si intravedevano a stento naso e bocca. Sorrideva, o così pareva, e aveva l’aria piuttosto simpatica. Indicò due grossi gelati per far capire che non poteva entrare e solo quando il ragazzo con i capelli neri parlò capì che si stava rivolgendo a lui.
“Quello è Hagrid” disse tutto contento “Lavora a Hogwarts”.
“Oh” disse il ragazzo “L’ho sentito nominare. È una specie di inserviente, vero?”
“È il guardiacaccia!” ribatté infervorato.
“Sì, proprio così, ho sentito che è una specie di selvaggio… vive in una capanna nel comprensorio della scuola. Ogni tanto si ubriaca, cerca di fare delle magie e finisce con l’appiccare il fuoco al suo letto” mugugnò il ragazzo biondo mentre l’altro gli lanciava un’occhiata gelida.
“A me sembra simpatico” commentò Kate, sorridendo “Ha un’aria amichevole” e colse con un lieve rossore l’espressione di profonda gratitudine che le rivolse il ragazzo con gli occhiali.
“Ma perché sei con lui? Dove sono i tuoi genitori?” domandò ancora il biondo senza il minimo senso di privacy. Ma cosa voleva: che si raccontassero le loro vite private a vicenda?
“Sono morti” rispose secco lui, lasciando vagamente sorpresa Kate che non osò chiedere come.
“Oh, scusa. Ma erano come noi?”
“Erano una strega e un mago, se è questo che intendi”.
“Io non penso che dovrebbero permettere agli ‘altri’ di frequentare, non trovate? Loro non sono come noi, non sono capaci di fare quello che facciamo noi. Pensa che alcuni, quando hanno ricevuto la lettera, non avevano mai neanche sentito parlare di Hogwarts. Secondo me, dovrebbero limitare la frequenza alle più antiche famiglie di stregoni. A proposito, voi come vi chiamate di cognome?” ma prima che qualcuno dei due potesse parlare le due streghe che lavoravano agli orli di Kate e del ragazzo coi capelli neri si rialzarono.
“Ecco fatto, ragazzi” disse Madama McClan rivolta ad entrambi. Tutti e due furono più che lieti di abbandonare la conversazione, saltarono giù dagli sgabelli mentre si sfilavano le vesti.
“Bene, penso che ci rivedremo ad Hogwarts” si congedò il ragazzo, sempre con la stessa parlata lenta e strascicata. Seguirono Madama McClan nell’ingresso dove ella piegò accuratamente le vesti e li infilò in due pacchetti separati che consegnò ai due che, dopo aver pagato, uscirono.
“Allora ci vediamo a scuola” disse il ragazzo, imbarazzato, volgendole un sorriso.
“Senza dubbio, se riusciamo a raccapezzarci sul treno anche prima” rise “Oh, e comunque mi chiamo Kathleen anche se preferisco farmi chiamare Kate.”
“Io sono Harry…” il ragazzo sembrò esitare senza sapere se dire o no il proprio cognome ma lei gli risparmiò questo dilemma.
“Allora ciao, Harry” salutò dirigendosi verso Il Ghirigoro, ovvero il negozio di libri dov’era Severus.
“Ciao” gli gridò dietro Harry, lei si voltò a volgergli un altro sorriso poi sparì tra la folla.
Prima che potesse mettere un solo piede sul gradino che portava alla porta del negozio questa si aprì lasciando uscire un uomo alto, con lunghi capelli d’argento e il viso appuntito: gli ricordava molto qualcuno ma non sapeva chi. “Chiedo scusa” disse lei gentilmente spostandosi, l’uomo le fece un cenno con la testa in segno di ringraziamento e si diresse in strada con un pacco di libri sotto braccio, senza però risparmiarsi di lanciarle un’occhiata indagatrice da sotto in su. Lei rimase leggermente perplessa ma decise di non preoccuparsi più di tanto, così fece per entrare nel negozio ma andò quasi a sbattere contro Severus che usciva.
“Hai finito con i libri?” domandò.
“Sì. Hai finito con le divise?”
“Sì”.
“Allora andiamo.”
Nell’ora successiva comprarono il calderone (in peltro, misura standard due), il set di provette in vetro (“Si rompono meno difficilmente di quelle in cristallo”), il telescopio e la bilancia d’ottone.
“Bene, manca solo la bacchetta” disse Severus intascando la lista e fermandosi all’imbocco di un vicolo “Tu va al negozio, te la caverai da sola… io devo prendere ancora una cosa” le lasciò un sacchetto con le monete “Se quando hai finito non sono ancora tornato aspettami alla gelateria qui di fronte” e indicò un bar dall’aria accogliente con dei tavolini all’aperto per poi sparire oltre un mucchio di vecchi calderoni che costeggiavano la strada. Kate si diresse verso un negozietto dall’aria antica e un po’ malridotta, l’insegna sopra la porta aveva il legno piuttosto marcio e la scritta in oro scrostata recava: Olivander: Fabbrica di bacchette di qualità superiore dal 382 a.C.
Appena aprì la porta il campanellino d’argento suonò annunciando il suo arrivo; la stanzetta in cui si trovò era buia e piccola con scaffali alti fino al soffitto pieni di scatole lunghe e sottili, tutte rigorosamente neri. Una scala scivolò lungo gli scaffali e si fermò di colpo all’estremità dietro il bancone, un uomo si reggeva su di esso scrutando la ragazza: era piuttosto anziano con gli occhi grandi e grigi e dei folti capelli d’argento.
“Ehm… salve” salutò nervosamente lei.
“Mi chiedevo se si sarebbe mai fatta vedere… e pensare che…” la guardò a lungo ed in silenzio ma poi scosse la mano con un gesto improvviso “No, no… lasciamo perdere! Immagino sia qui per una bacchetta” disse scendendo dalla scala e avvicinandosi a lei “Che mano usa per tenere la bacchetta?” domandò afferrando un lungo metro per sartoria.
“Oh, ehm… la destra” si affrettò a dire mentre lui cominciava a misurargli la lunghezza delle braccia e delle dita.
“Mh… bene, bene…” borbottava ogni tanto mentre prendeva misure ovunque neanche dovesse fargli un set completo di abbigliamenti su misura “Molto bene…” la lasciò andare ed iniziò a frugare fra gli scaffali estraendo pacchetti, ne aprì uno da cui estrasse una bacchetta “La provi: legno di faggio e corde di cuore di drago, nove pollici, bella flessibile” spiegò infilandogliela in mano. Kate la osservò per un secondo poi l’agitò lievemente: un mucchio di scatole caddero dallo scaffale vicino a si aprirono, facendo rotolare il contenuto sul pavimento.
“Direi di no” commentò Olivander levandogliela di mano e sostituendola con un'altra “Acero e piume di fenice, sette pollici, molto flessibile”. Kate ripeté l’operazione ma stavolta fu una lampada ad esplodere. “Assolutamente no!” asserì Olivander strappandogliela di mano come se temesse di veder saltar via il negozio e gliene infilò una nuova in mano “Ebano e peli di unicorno, otto pollici e mezzo, elastica”.
Quando Kate la sollevò in aria ci fu uno scoppio e il bancone quasi saltò per aria “No, no e ancora no!” gliela tolse e cominciò a cercare tra gli scaffali mentre lei si dava un’occhiata in giro, gettando un occhio sul pavimento dove giacevano ancora le bacchette cadute dallo scaffale: ne notò una in particolare ancora adagiata all’interno dello scatolino aperto. Si avvicinò con cautela e prese tutto lo scatolo osservando la bacchetta: era lucida e liscia, di più o meno undici pollici se non errava, di un marrone chiarissimo quasi rosso.
“La provi” disse la voce di Olivander alle sue spalle, facendola sussultare. La scrutava con attenzione mentre lei tornava a posare gli occhi sulla bacchetta, poi la prese tra le dita e la alzò: non ebbe bisogno di agitarla perché un calore improvviso si diffuse su la sua mano e una strana frescura le invase il busto, la bacchetta sprizzò un paio di scintille dorate e vibrò.
“Interessante” sentenziò Olivander “A quanto pare ha trovato la bacchetta giusta per lei… o meglio, la bacchetta ha trovato il possessore giusto per lei”. Kate lo guardò poi tornò a fissare la bacchetta “Sappia che è la bacchetta a scegliere il mago, signorina Riddle” e qui Kate sbarrò gli occhi: come faceva a spere il suo nome? “E non il contrario. La bacchetta ha voluto che fosse lei a prenderla e nessun’altra… Legno di tasso, crine di unicorno, undici pollici e un quarto, bella flessibile: questa è la sua bacchetta”.
Olivander la incartò dopo averla rimessa nella scatola e, dopo aver pagato, Kate uscì un po’ sconvolta dal negozio. Severus non era ancora tornato quindi attraversò la strada ed entrò nel bar fresco e accogliente, ordinò una coppa di gelato alla crema e fragola e si sistemò su un tavolino all’aperto osservando la gente che passava.
Doveva ammettere che quel giorno erano successe davvero tante cose: aveva ricevuto la lettera che aspettava dall’età di sette anni, aveva visitato Diagon Alley, si era già fatta un probabile amico a Hogwarts e aveva anche una bacchetta. Già, anche se non era certo la prima volta che ne prendeva in mano una: ricordava quando aveva a malapena quattro anni ed era riuscita a prendere quella di Severus dal suo mantello mentre lui era distratto e gli aveva trasformato il naso (già abbastanza lungo di suo) in un lungo rubinetto ricurvo… cavoli, una sgridata come quella non l’aveva mai ricevuta!
La cosa brutta delle sgridate di Severus era che lui non urlava, non ne aveva bisogno, era così inquietante che gli bastava abbassare il tono e sibilare le parole con tutta la calma che poteva per spaventare a morte qualcuno. Se poi si aggiungeva anche quel gelido sguardo che ti rivolgeva quando voleva avvelenarti con gli occhi allora sì che potevi cominciare a correre.
Entro dieci minuti aveva già spazzolato il suo gelato e stava conversando con la cameriera, venuta a prendere la coppa di cristallo, che le stava raccontando della prima volta che aveva ricevuto la sua lettera. In quell’istante un ragazzo sbucò dal vicolo e si avvicinò al bar: “Ehi, Melissa!” chiamò avvicinandosi alla cameriera “Ci tieni tre posti liberi nel locale interno? Ci serve un posticino per parlare in tranquillità…” disse con un tono di voce che poteva far intendere molto. La cameriera parve un po’ scocciata.
“Papà non vuole finire nei guai, George” rispose seccata “Se state organizzando qualche incontro clandestino…”
“Nessun incontro clandestino, tranquilla. Solo una piccola chiacchierata tra amici” e le fece l’occhiolino. La cameriera annuì mentre Kate osservava il ragazzo: aveva i capelli rosso vivo e il naso tempestato di lentiggini, poteva avere sì e no tredici anni e… era molto carino, notò sentendosi imporporare le guance quando lui le rivolse un sorriso amichevole a cui rispose timidamente. La cameriera sparì nel locale e il ragazzo si voltò per andarsene ma si fermò di colpo.
“Ah, buongiorno professore!” esordì amichevolmente con un gran sorriso stampato in faccia rivolto a colui che si stava avvicinando: era Severus che fece una smorfia non appena lo vide ma non poté parlare perché un'altra chioma rossa spuntò alle sue spalle, Kate credette di avere le traveggole: era identico fino all’ultima lentiggine al ragazzo che era accanto a lei.
“Allora George hai…” cominciò a parlare ma si fermò subito alla vista dell’uomo “Buongiorno professore!” esordì esibendosi anche lui in un gran sorriso “Anche lei a fare compere?”
“Oh, si è deciso a prendersi un gufo!” esclamò George “Be’, era pur sempre giunto il momento visto l’incidente con… ehm… il precedente. Ricordi, Fred?”
Severus assunse un cipiglio diabolico.
“Ovviamente ci teniamo a ricordarle che non l’abbiamo fatto apposta” disse Fred con rammarico.
“Già, non era nostra intenzione farlo saltare in aria coi fuochi d’artificio.”
“Weasley, già è tanto che debba sopportarvi durante l’anno” ringhiò l’uomo “Fatemi il favore di sparire almeno quando è vacanza!” e posò con malagrazia una grossa gabbia dorata sul tavolino di fronte a lei.
“Ma certamente professore!”
“Con molto piacere!”
I due lo oltrepassarono velocemente mentre Severus sprizzava scintille dagli occhi, non appena si voltò verso il tavolo però Kate vide chiaramente George rivolgerle un gran sorriso. Rimase ad osservare incantata la sua chioma color fuoco sparire dietro l’angolo poi uno stridio acuto la fece destare: nella gabbia vi era appollaiato sul trespolo una fulgida civetta marrone, poi ricordò le parole dei gemelli.
“Severus, non avevi detto che Nigel si era perso?” domandò. Lui le rivolse un’occhiata di fuoco ma non rispose “Comunque vedo che te ne sei procurato un altro” si affrettò ad aggiungere lei.
“Questo è tuo” rispose asciutto “Ti servirà ora che inizierai la scuola.”
Kate osservò la civetta attentamente e la trovò molto graziosa, stava giusto per sceglierle un nome quando un dubbio la perforò: “È maschio o femmina?” chiese. Severus aprì la bocca per rispondere ma si bloccò
“Non lo so” asserì infine. Rimasero qualche istante ad osservare la civetta perplessi poi lui sbottò “Ora andiamo, abbiamo preso tutto” infilarono i pacchetti nella borsa e, tenendo la gabbia, tornarono verso Il Paiolo Magico, quando lo riattraversarono era completamente deserto. Si smaterializzarono e materializzarono sulla sponda del fiume ai confini di Cokeworth, per poi risalire la stradina di Spinner’s End.
Kate mise tutte le sue cose in ordine nel grande baule di pelle e si dedicò alla lettura dei libri scolastici, passava gran parte del tempo chiusa in camera a divorarli e, per la fine di agosto, li aveva già finiti tutti.
  
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