CAPITOLO 30
I miei ricordi riprendono ad essere chiari a partire dal
mattino successivo a quella mia tragica scoperta.
Mentre i lividi fisici lasciati dalle mie disavventure delle
giornate precedenti cominciavano a dolere molto meno, facendo sentire il mio
corpo in forma quasi smagliante, il mio animo invece era a pezzi. E la
conseguenza di tutto ciò era che mi sentivo davvero mentalmente scarico. Un
catorcio, in poche parole.
Appena mi svegliai, mi andai ad arenare su una delle tre
piccole e scomode sedie posizionate nel salotto a fianco della cucina, dove
c’era anche il televisore dotato dello schermo più grande di casa.
Mi misi quasi in panciolle, dopo aver adeguatamente avvisato
mia madre degli eventi del giorno precedente, più nello specifico quelli
riguardanti ciò che era accaduto ad Alice.
La mia povera mamma doveva aver creduto che io fossi
innamorato della ragazza, visto come ne parlavo, e scossa anche lei dalla
notizia mi aveva prontamente perdonato per il mio comportamento della sera
prima. Mi aveva di conseguenza perdonato anche per non averle aperto la porta
della mia stanza quando lei bussava disperatamente, per informarsi di ciò che
mi era successo, dato che ero rientrato in casa ad ora tarda e sconvolto, e
naturalmente aveva approvato la mia proposta di stare a casa anche quel giorno
da scuola. Era un sabato, quindi sarei rientrato al liceo solo la settimana
successiva.
Con la consapevolezza che a scuola non avrei perso molto, e
che comunque non ci sarei andato neppure per quel giorno, avevo poi acceso il
cellulare e trovato decine di telefonate di Jasmine. Logicamente la richiamai e
la rassicurai, siccome sia lei che i suoi genitori si erano preoccupati quando
avevo abbandonato la loro auto durante il ritorno, ma cercai di chiudere la
chiamata il più in fretta possibile. Ero troppo affranto per continuare a
parlare di ciò che avevo scoperto il giorno prima.
Ero come affetto da una sorta di dolore primordiale ed
ancestrale, come un grande senso di colpa opprimente, ma anche molto
irrazionale e forse non troppo sensato. Mi sentivo quasi come se avessi la
coscienza sporca, e dovetti riconoscere che forse un po’ l’avevo per davvero. E
il problema era che non avevo la benché minima idea di come rimediare.
Potei soltanto ripromettermi che non avrei mai più giudicato
una persona cara senza cercare di starle a fianco e di scoprire cosa
l’affliggeva, in modo da non lasciarla mai sola, nonostante tutto quanto.
Devastato mentalmente e confuso, me ne rimasi quindi già da buona
ora in una posizione strana, e seduto nella stanzetta più angusta di casa,
fatta sistemare a dovere dai miei nonni un decennio prima, quando avevano
deciso di sacrificare parte della cucina, siccome era un’ambiente troppo grande
per tutti noi, per creare un piccolo spazio dedicato alla tv, in modo che chi
volesse guardarla potesse anche non stare in mezzo agli odori della cucina o al
chiasso di casa. Quella era una sorta di camera isolata e letteralmente
stritolata tra quattro mura, ed era il posto migliore in cui andarmi a
rifugiare in quel momento.
Con le gambe incrociate sotto il sedere, così come le
posizionavo quando ero estremamente agitato, mi dondolai un po’ con la schiena
e poi accesi la televisione, cercando di soffocare la mia insolita ansia e i
miei problemi provando a seguire qualche trasmissione o film.
Fui fortunato, poiché non appena accesi l’apparecchio mi
trovai subito di fronte ad una serie tv, di quelle poliziesche che continuano
tutt’ora ad andare di moda, e che un paio d’anni fa impazzavano liberamente e
grandiosamente un po’ su tutti i canali. Inutile dire che non seguii più di
tanto la trama, ma almeno rimasi bloccato per un po’ davanti allo schermo
televisivo senza darmi troppe noie.
Durante uno degli spazi pubblicitari, che sempre appaiono
infinitamente lunghi, osservai alcune pubblicità come se fossi pietrificato.
Erano pubblicità dei panettoni, dei regali natalizi e di festività.
Deglutendo, fui costretto a riconoscere che nell’ultimo
periodo mi ero lasciato talmente tanto andare ai miei problemi personali da
dimenticare addirittura l’imminente avvicinamento del Natale e delle vacanze
natalizie, Natale che si sarebbe festeggiato tra poco più di due settimane. Ed
io quell’anno ero così triste e provato da non riuscire neppure a realizzare
tutto ciò.
Quelle pubblicità mi facevano davvero tanta pena, soprattutto
quasi mi disgustava vedere quei babbi natale che spuntavano ovunque, con il
loro sorriso mediocre che sarebbe dovuto apparire alla gente come un qualcosa
di buono e di disinteressato, quando invece dietro a quelle lunghe barbe
bianche e rigorosamente finte si nascondeva il volto di uomini che venivano
pagati per fare tutto ciò, e che pubblicizzavano qualche prodotto.
Anche il Natale ormai era diventato un appuntamento col
consumismo, non un qualcosa da vivere felicemente assieme, in famiglia o con
gli amici, cercando tutti di volerci più bene e di essere più buoni con il
prossimo. Era semplicemente la festa dei soldi spesi in cibarie e nei regali,
tutto qui.
‘’Quella che era una delle festività più importanti del mondo
cristiano è diventata solamente la festa dei pandori e dei panettoni’’.
Roberto, che parlò alle mie spalle, mi aveva quasi
spaventato. L’uomo doveva avermi cercato, per poi prendere parola non appena mi
aveva intravisto.
Mi volsi leggermente verso di lui, per poi distogliere subito
lo sguardo dopo aver annuito leggermente con la testa. Era da due giorni che
non mi parlava, ovvero da quando tra me e Federico c’era stato il confronto
finale, e finalmente, non seppi mai il perché, aveva deciso di rompere
volontariamente il velo di silenzio che era sceso tra di noi, quasi a dividerci
per sempre.
Il mio inquilino se ne stette in piedi alle mie spalle,
mentre l’ennesima pubblicità dei panettoni si snocciolava in tv ed io me ne
restavo chiuso nel mondo cupo dei miei tristi pensieri e delle mie riflessioni
forse fin troppo banali.
‘’E’ quasi uno scherzo del destino, se ci pensi un attimo su.
Gesù Cristo è nato e morto per noi, ha dato la vita per salvare la nostra anima
dal peccato e per concederci l’opportunità della vita eterna, e noi stessi come
ricambiamo il suo sacrificio? Ma è ovvio, mangiando panettoni e pandori, e
ricoprendoci a vicenda di regali. Viva l’egocentrismo nella sua massima
espressione! Sono gli umani che vogliono trasformarsi in divinità, sfruttando
la materia’’, continuò il mio interlocutore, leggermente divertito. Continuava
a parlarmi per cercare di ottenere una risposta, e mi chiesi se si stesse
comportando così perché mia madre gli avesse detto qualcosa a riguardo del mio
stato d’animo del momento, ma questa mi parve fin da subito una sciocchezza.
‘’Non vedi mai nulla di positivo nell’essere umano’’,
sbottai, senza aggiungere altro.
‘’Guarda Antonio, io mi ricordo le festività di Natale di
tanti anni fa, quand’ero ancora un bambino o un ragazzo come te. Io e mio padre
festeggiavamo il santo giorno organizzando assieme un bel pranzo con tutti i
nostri parenti, e per tutto l’arco della settimana prima di quel momento
stavamo assieme, ci preparavamo assieme ed io cercavo di offrire il mio
contributo attivo nella preparazione dei pasti, nonostante che solitamente
finissi per combinare pasticci. Ma durante quella settimana, e durante quella
santa giornata, noi andavamo perfettamente d’accordo e non litigavamo mai. E
sai che mio padre era un tipo tosto, te l’ho già detto tante volte!
‘’Il Natale quindi compiva un miracolo, ed io non vedevo l’ora
che arrivasse. Poi, al pranzo partecipavano anche i parenti della mia defunta
madre, a volte, e anche se mio padre non ci era mai andato d’accordo in
gioventù, in quel giorno si sforzava di essere accogliente e buono, si
sacrificava davvero per il bene comune. Ed io ero tanto felice! Non si
scambiavano tutti questi regali come si fa ora, e non c’erano vagonate di
pandori, panettoni e prodotti vari, ma si stava assieme, si mangiava e si
beveva in compagnia, si parlava del più e del meno e si andava d’accordo.
Questa era la magia del Natale.
‘’Oggi, invece, ci si ricopre di doni e via, non ci si
sofferma più a stare assieme, a concedersi una pausa piacevole dalla frenesia
del mondo e della vita quotidiana. Nessuno attende più questo santo giorno per
stare in compagnia di persone che magari non vede mai durante l’anno, o per
concedersi una pausa dalle diatribe e magari cercare attivamente una soluzione
per tentare di andare d’accordo. La magia del Natale è svanita! Si attende solo
il regalo, magari un bel paccone grande, e non la presenza altrui. Uno schifo,
davvero’’, concluse Roberto, fin troppo esaustivo come sempre.
‘’Hai ragione, ma penso che non sia così per tutti’’,
replicai, sempre cercando di attaccare la sua idea pessimista sull’umanità, che
in parte condividevo silenziosamente.
‘’No, per fortuna no. Ma la maggior parte di voi ragazzi è
così’’, obiettò il mio interlocutore, a sostegno della sua tesi.
Mi mossi leggermente sulla mia sedia e non risposi, facendo
finta di non aver udito. L’ultima cosa su cui m’importava parlare in quel
momento era proprio il Natale.
Fui sul punto di cercare di aprirmi con Roberto, e di
parlargli dei miei tormenti interiori, spinto dalla sua voglia di avvicinarmi,
ma non ci riuscii. Pensai che se l’avessi fatto forse sarei potuto star meglio,
anche perché quell’uomo ormai era diventato un soggetto di cui mi fidavo, e
sapevo che non avrebbe né riso né messo in giro chiacchiere.
Era saggio, e forse una parola per me o un consiglio avrebbe
potuto averli. Ma la mia timidezza e l’agitazione di quel giorno m’impedivano
davvero di aprirmi autonomamente a qualcun altro, quindi finii per restarmene
muto e in rigoroso silenzio, mentre sullo schermo della televisione il break
pubblicitario finiva e riprendeva la trasmissione della serie tv.
Sullo schermo riapparì il solito poliziotto americano con in
mano una pistola carica, che si guardava attentamente attorno prima di chinarsi
sul corpo senza vita di una ragazza, a quanto pareva uccisa nel suo
appartamento inglobato all’interno di una grandissima e classica metropoli
della East Coast, mentre Roberto non pareva affatto convinto di me e non aveva
alcuna intenzione di abbandonare la stanzetta.
‘’Come fai a guardare quello schifo?! È assurdo!’’, sbottò,
più tra sé e sé che con me.
Gli rivolsi uno sguardo provato.
‘’E perché mai?’’, gli chiesi, lentamente. Non che
m’importasse di quella serie tv, che tra l’altro non avevo mai seguito
assiduamente ma che conoscevo solo per la sua grande fama, ma forse
interiormente m’interessava scoprire cosa aveva da ridire anche a riguardo di
tutto ciò.
‘’Non per fare polemica eh, ma le serie tv di quel genere non
fanno altro che rimbambire i ragazzi e instradarli sulla via del male. A parte
il fatto che ormai sembrano tutte uguali, e che comunque stanno crescendo ed
arricchendo il bagaglio utile per i criminali’’.
‘’Ma le fanno vedere in tv…’’, provai a dire, ingenuamente e
superficialmente. Inutile che io stia qui a rievocare mentalmente il suo
classico sospiro esasperato.
‘’In tv fanno vedere quello che fa comodo e ciò che fa
guadagnare soldi, quindi ovviamente tutto ciò che ha molti telespettatori.
Queste serie sono molto vivaci, non ne dubito, e chi le guarda rimane intrigato
e segue attentamente le varie indagini, ma offrono indirettamente una visione
del mondo errata’’, riprese a sancire il mio interlocutore.
‘’E sarebbe?’’, chiesi, un po’ incuriosito.
‘’Beh, tanto per cominciare in ogni episodio o puntata
appaiono persone uccise. Un telespettatore che si piazza davanti alla
televisione ogni giorno e alla stessa ora per seguirla con puntualità, pian
piano viene assuefatto da quel mondo. Ci si affeziona ai protagonisti, e agli
attori vari… mentre svanisce lentamente il timore reverenziale che si ha per il
crimine e per la morte. Tutti seguono sbavando le varie indagini di poliziotti
in gamba, capitani e commissari esperti, medici della scientifica e tanto
altro, ma nessuno si preoccupa più della vittima in questione, che viene
mostrata riversa al suolo e uccisa barbaramente. La morte, il crimine e
l’omicidio diventano quindi una cosa ritenuta normale, mentre invece è
anormale’’.
‘’Non ti seguo. Questa comunque è finzione, e quelli sono
attori. Nessuno muore realmente, e nessun crimine è incentivato’’, osservai,
perplesso.
‘’Va bene, è così e tu che sei una persona normalissima non
perdi mai di vista questo punto chiave. Se tutti interpretassero ciò che vedono
sullo schermo in questo modo, non ci sarebbero problemi! Ma sai quante persone
con disturbi o con intenti omicidi seguono con attenzione alcuni punti di
queste puntate, sempre più gestite in modo verosimile, per avere un’idea di
come potrà reagire la polizia di fronte ad una possibile situazione simile e
reale? E poi, non è forse vero che alcuni videogiochi violenti sono riusciti ad
influenzare in modo diretto attentatori e criminali vari? Alla fine, tutto
offre uno spunto a chi lo cerca. E in questo caso non è affatto positivo’’,
considerò Roberto, sedendosi sulla seconda sedia a pochi passi da me.
Annuii senza pronunciarmi, considerando che tutto sommato ciò
che stava dicendo l’uomo poteva avere una base comprensibile. Il tutto però mi
appariva alquanto esagerato, nel complesso.
Mi volsi improvvisamente verso il mio interlocutore, e rimasi
folgorato nello scoprire che anche lui mi stava guardando, con un leggero
sorrisetto stampato sul viso. E cascai improvvisamente dal pero.
Compresi improvvisamente che Roberto aveva parlato fino a
quel momento solo per farmi uscire dal mio muto e doloroso silenzio, anche
cercando di farmi conoscere in modo diretto alcune sue idee, e dovetti
constatare che era riuscito nel suo intento di allontanarmi anche solo per
qualche istante da quella routine di pensieri cupi che affollavano la mia mente
da ore ed ore.
Risposi al suo sorriso appena abbozzato con uno ancor più deciso.
‘’Ecco, un sorriso era proprio quello che ci voleva, anche se
non ci sarebbe proprio nulla da sorridere…’’, disse l’uomo, sfoggiando un
sorriso più sicuro e marcato.
‘’Non c’è davvero nulla da sorridere, ultimamente…’’,
sospirai, tornando serio.
‘’Qualcosa non va?’’, mi chiese, debolmente e senza essere
indiscreto.
‘’Direi proprio di sì. Ieri nel tardo pomeriggio ho scoperto
che Alice, quella ragazza col caschetto che è venuta anche alcune volte in
questa casa, è malata’’, dissi, a voce bassa e spegnendo il televisore.
‘’Spero non sia nulla di grave’’, mi disse di nuovo Roberto,
sempre debolmente e con voce fioca e bassa. Stava parlando con cortesia, per
non urtare i miei sentimenti e per non spronarmi ad andare dove io non avessi
voglia di giungere.
‘’Ha un cancro al cervello’’, quasi gli sputai in faccia,
senza mezzi termini. Sul momento non riuscii ad addolcire la tristissima
verità, e non ritenevo neppure giusto ed opportuno farlo.
Notando la sua mancata reazione, immaginai che mia madre gli
avesse già anticipato tutto. Mi chiesi nuovamente se fosse possibile che fosse
proprio stata lei a chiedergli di cercare di parlarmi, conoscendo il fatto che
lui era sempre stato abile a farmi aprire e che tutto sommato eravamo sempre
andati d’accordo. In fondo, parlare con un uomo loquace e scaltro come Roberto
si rivelava sempre un’avventura interessante.
‘’Mi dispiace. Di fronte a simili tragedie, purtroppo, anche
le parole rischiano di diventare inutili’’, mi disse, quasi scusandosi per non
poter confortare il mio dolore, ma leggermente sollevato per essere riuscito a
farmi aprire.
‘’Fidati, anche i pensieri rischiano di diventarlo’’,
aggiunsi, ben conoscendo il mio tormento, e realizzando in quel momento quanto
in realtà fosse inutile.
Ormai la mia amica era malata, io non potevo far nulla per
salvarla o almeno alleviare una qualche sua sofferenza e ciò che avevo pensato
su di lei fino a qualche giorno prima era stato un mio grave errore, che avevo
già riconosciuto e di cui mi ero ampiamente e profondamente pentito. Ma,
nonostante questa nuova consapevolezza, non riuscivo davvero a star meglio, o
almeno a tirarmi su un attimo il morale.
Almeno ero certo di aver imparato la lezione; mai sparare
giudizi o farsi precise idee senza prima avere la certezza che tutto ciò sia
fondato.
Stava di fatto che, in ogni caso, il dolore provocatomi per
ciò che stava accadendo ad Alice era tanto, e il dispiacere immenso.
‘’Capisco. Se ti va di parlarne…’’.
‘’Non vedo cosa ci sia da parlarne’’, obiettai io alla
cortese proposta del mio interlocutore.
‘’Parlare ad un altro dei nostri tormenti interiori a volte
aiuta molto, e ci fa stare meglio. Se ti va, e se ti fidi di me, sai che io ti
ascolterò sempre’’, aggiunse Roberto, pacatamente.
Sospirai.
‘’Il dolore per ciò che è accaduto ad Alice è immenso, forse
troppo per essere razionalizzato. Lei mi ha salvato dalla mia solitudine,
qualche mese fa, e mi ha aperto molte porte… aggiungendo che mi ha fatto anche
conoscere Jasmine. Poi, però, tutt’a un tratto ha cambiato repentinamente comportamento
nei miei riguardi, e subito io ho pensato a una qualche forma di gelosia
provata nei confronti miei e di Jasmine, la sua migliore amica, poiché siamo
sempre andati profondamente d’accordo fin da quando ci siamo conosciuti.
‘’Ammetto che per giorni, anche se solo le riservavo un
pensiero, mi si metteva in subbuglio lo stomaco. Poi, ieri ecco la doccia
fredda e l’amara scoperta… la mia amica non era cambiata per via della gelosia
e dell’invidia, ma a causa di un male che le opprimeva il cervello. Ecco, ora
puoi trarre da te le conclusioni, e capire perché non mi do pace da ieri
sera’’, conclusi, dopo aver narrato tutti i punti principali della vicenda e
del mio tormento interiore.
Roberto mi aveva ascoltato con la sua solita e matura
impassibilità, e annuì alla fine del mio breve riassunto.
‘’Capita a volte di farci certe idee su qualcuno. Idee che
alla fine si rivelano sbagliate e molto lontane dalla verità. Non tormentarti
per un tuo errore! Siamo umani, e sbagliamo a volte. L’importante è che tu
abbia compreso che hai commesso uno sbaglio e che ti sia pentito di tutto ciò. Il
resto verrà da sé. E a riguardo della malattia della tua amica, beh… Alice non
è ancora morta, quindi su col morale, e speriamo assieme che questo maledetto e
subdolo male non l’abbia vinta su di lei! E so che anche quella ragazza
combatterà duramente per riprendersi in mano la sua vita’’, mi disse il mio
interlocutore, cercando di passarmi un po’ di speranza.
‘’E’ vero. Ora è incosciente, sotto l’effetto di potenti sedativi…
ma credo che se si risveglierà, lotterà con tutta sé stessa. Il più sarà
risvegliarsi dopo l’intervento dei giorni scorsi’’, dissi, ricordando le parole
udite all’ospedale il giorno precedente e riconoscendo che effettivamente
Roberto aveva ragione, in quello che mi aveva detto poco prima.
‘’Non perdere la speranza, mio caro e giovane amico. Non
perderla mai. Alice era una brava ragazza e comprendo dalle tue parole che era
una persona dall’animo gentile e piena di cortesia, e che ha fatto del bene
anche te. Vedrai che Dio ne terrà conto’’.
Sobbalzai a quelle parole.
‘’Non dubito di ciò che hai detto e ti do ragione su tutto,
ma… tu mi avevi detto che non credevi in Dio’’, gli feci notare, ancora
leggermente stupito dalla sua affermazione a sorpresa di poco prima.
‘’Non credo in Dio come entità, così come lo vuole la
religione, ma credo in Dio come bene e speranza. Non credo quindi che esista un
Signore che sta in Cielo e che da lassù ci guarda, ci giudica, ci perdona e
quant’altro… ma voglio credere che una scintilla primordiale di bene, molto
potente e imparziale, viva qui tra noi, su questa Terra, e che non sia poi così
tanto distante. Non so se mi sono spiegato bene’’, proseguì Roberto, tornando a
elargire un piccolo e tirato sorriso.
Annuii, lasciando che il mio sguardo scivolasse lentamente
verso il pavimento della stanza, di un bianco quasi accecante.
Incredibilmente, dopo quella conversazione mi sentivo davvero
molto meglio, come se condividendo il mio tormento e ascoltando il parere di un
uomo colto, intelligente e razionale come Roberto mi avesse aiutato ed
illuminato. Infatti, in quell’istante nel mio cuore e nella mia mente si era
fatta spazio la speranza, e davvero, io avrei creduto nella guarigione e nel
sollievo di Alice fino all’ultimo, fin quando ce ne sarebbe stata la
possibilità.
Le sarei stato mentalmente vicino, pensandola e sperando che
tutto potesse andare bene. Non l’avrei mai più lasciata sola, neppure nei miei pensieri,
che in fondo mi piaceva pensare che anch’essi avessero una loro forza, oltre ad
avere un peso in grado di schiacciare il nostro povero mondo interiore.
‘’Grazie per queste belle parole. Mi hai illuminato’’, dissi
all’uomo, poco dopo. Stavo davvero molto meglio.
Roberto sorrise ancor più apertamente.
‘’Grazie a te per avermi ascoltato, come al solito. Non ho
fatto niente di che’’, mi rispose l’uomo, sincero.
A quel punto, tornai ad oscurarmi nuovamente.
‘’Temevo che te la fossi presa con me, poiché erano più di
due giorni che non mi avevi rivolto la parola’’, dissi, esprimendo quei dubbi
che mi avevano tormentato fin dai momenti successivi alla mia colluttazione
finale con Federico.
Il mio interlocutore, udendo quelle parole, parve per la
prima volta leggermente sorpreso, poi scosse leggermente la testa.
‘’No, non ero per nulla arrabbiato con te. Tu non hai alcuna
colpa. È che purtroppo ormai mi sono rassegnato io… e vedere i frutti di tutto
quello che ho cercato di fare negli ultimi vent’anni abbondanti è stato davvero
tremendo. Non preoccuparti, sul serio, ero io che avevo bisogno di stare sulle
mie, e mi scuso se ti ho tenuto poco in considerazione nei giorni scorsi’’.
A seguito di quel breve discorso, fu il mio turno di scuotere
leggermente la testa.
‘’No, assolutamente… ciascuno di noi ha i propri problemi a
cui pensare, e non devi scusarti di nulla. Volevo solo sapere se te l’eri presa
con me per tutta quella vicenda oppure no… ma mi hai già risposto’’, conclusi,
timidamente e in modo impacciato. Non volevo di certo che Roberto mi facesse da
balia o mi stesse sempre dietro, d’altronde tra me e lui si era instaurato un
buon rapporto, ma io non ero nessuno per lui, ed era pur sempre un estraneo che
aveva anche una sua famiglia a cui pensare, tra l’altro piena di problemi.
‘’No, non ero arrabbiato con te, come ti ho già detto. Non
dovevi nemmeno pensare ad una cosa del genere. Ora, comunque, vado a prepararmi
un caffè… a più tardi’’, mi disse l’uomo, strizzandomi leggermente l’occhio
destro some suo solito e dileguandosi con gentilezza.
Ed io, rimasto lì solo, non potei non lasciarmi scivolare di
nuovo nel limbo dei miei pensieri, che questa volta erano più leggeri e meno
opprimenti, poiché in essi aveva preso spazio anche la speranza. E si sa, la
speranza quando radica è poi l’ultima a morire, dentro l’animo umano.
Rivolsi quindi un pensiero ad Alice e sperai con tutto me
stesso che la vicenda non finisse in tragedia, ma che il sole potesse tornare a
spuntare di nuovo su di lei, perché davvero non meritava tutto quello che stava
passando.
Quel pomeriggio fu da incubo.
Ancora mi ricordo in modo perfetto ciò che accadde. Infatti,
subito dopo pranzo, tornò a casa nostra Stefania, che dopo quel giorno in cui
si era beccata una percossa da mio padre non si era fatta più vedere né
sentire.
Non fui io a farla entrare in casa, bensì il mio stesso
padre, forse convinto che la ragazza si fosse decisa a mettere fine alle
ostilità seguendo i suoi consigli. Stefania, dal canto suo, doveva essere
venuta in quell’orario inusuale per le visite proprio per non incontrare mia
madre, che logicamente non era in casa, ma era al lavoro. Io avevo osservato
l’ingresso dell’ospite dalle scale, stando attento a non farmi scorgere, ma
tanto non corsi minimamente il rischio, giacché i due che fino a poco prima
dovevano aver formato una coppia erano interessati solo l’uno all’altro.
Sergio le si avvicinò, quasi come volerle dare un bacio
conciliatorio sulla guancia, ma lei si ritrasse con sdegno. Da quel momento in
poi mi fu chiaro che la giovane era giunta fin lì per portare avanti la sua
guerra personale.
I due si ritirarono silenziosamente in cucina, dove chiusero
la porta dietro di loro, e cominciarono a parlare.
Io, ancora imbambolato sulle scale di casa, mi chiesi se per
mio padre fosse un vizio quello di avvicinare donne molto più giovani di lui,
magari seducendo ignare studentesse o ragazze che potevano apparirgli
abbastanza ingenue da essere sottoposte al suo misero e vigliacco gioco. Pure
la mia povera madre doveva aver vissuto, anche se magari in modo un po’ meno
drammatico, ciò che stava vivendo Stefania in quel momento.
Scuotendo la testa da solo e senza saper offrirmi una
risposta, mi chiesi dove dirigermi, e lì sul posto fui praticamente folgorato
da una voglia assurda di suonare. D’altronde, mio padre aveva da discutere con
la sua ex, e i due coniugi Arriga erano al piano di sopra, ritirati nella loro
stanza, forse anch’essi a bisticciare come avevano cominciato a fare
assiduamente nell’ultimo periodo, ed io avevo campo libero.
Col cuore in gola, e con una voglia assurda di riprendere
possesso del mio strumento musicale, raggiunsi la mia saletta e mi tappai al
suo interno.
Prevedendo che il mio genitore sarebbe stato occupato per un
po’, mi feci forza e spalancai i vetri della finestra, facendo così uscire
l’aria viziata rimasta intrappolata da settimane tra quelle quattro mura, quasi
gelosamente custodita dal freddoloso Sergio, e poi, per la prima volta dopo più
di un mese, mi avvicinai al mio pianoforte. Fu una sensazione strana, anzi, un
mix di sensazioni differenti, ma in grado di rendermi piacevolmente inquieto.
Un leggero strato di polvere ricopriva tutto quanto, e
facendomi coraggio ripulii tutto in un batter d’occhio e con il panno apposito,
ancora conservato all’interno del mobiletto vicino. Poi, giunse il momento
tanto atteso; quello di sedermi di nuovo lì, di fronte al mio amico di sempre,
e tornare a dargli vita e voce.
Deglutii, senza più pensare a chi mi circondava su quel
misero mondo, e con una ritrovata voglia di suonare mi misi a sfiorare i tasti
del mio strumento preferito e tanto amato.
La sinfonia mi venne subito perfetta e accorta, ma
soprattutto corretta e piacevole da udire, e in quegli istanti colmi di gioia
mi lasciai un po’ andare, senza seguire alcuno spartito o altro.
Spartiti che, tra l’altro, avevo lasciato dentro al
mobiletto, senza neanche tentare di estrarli, correndo quindi poi il rischio di
dimenticarli e di farli individuare da mio padre, che magari per ripicca me li
avrebbe pure rotti, e io non potevo proprio correre rischi del genere. Meglio
che stessero al sicuro, e che io avessi la possibilità di sfogare ciò che avevo
dentro in tutta libertà, ritrovando quindi quell’armonia che mi mancava da un
bel po’ di tempo.
Suonai per un po’, innalzandomi finalmente libero
nell’infinito splendore della musica, e lasciandomi scivolare addosso tutti i
problemi che avevo accumulato negli ultimi mesi, sentendomi fin da subito
davvero molto meglio e più felice e soddisfatto. Stavo ritrovando la mia pace
interiore.
Dopo un po’, il mio ritmo s’allentò, anche a causa dei rumori
che avevano cominciato a circondarmi con maggior insistenza e a disturbare la
mia attenzione. I rumori in questione giungevano dal piano superiore, proprio
sopra alla mia testa, dove i due coniugi Arriga avevano cominciato a litigare a
voce più alta del solito, e dalla cucina dove Stefania e Sergio pareva che
stessero per scannarsi a vicenda.
Quel pensiero violento mi bloccò definitivamente, lasciando
che le mie braccia smettessero di muoversi assieme alle mie dita ad un ritmo da
me voluto e ricercato.
Mi chiesi se fosse meglio che andassi a fare un giretto in
corridoio, magari controllando che la situazione nella stanza attigua non
degenerasse come durante la scorsa volta, dov’erano volati anche schiaffi, ma
poi decisi di non muovermi da lì, tanto non avrei potuto davvero far nulla per
calmare un probabile eccesso d’ira del mio genitore.
Udendo anche il litigio in contemporanea degli Arriga, mi
sentii oppresso in quel luogo che un tempo era stato il mio rifugio dal mondo e
dai suoi urti. Mi chiesi se anche Federico fosse in ansia per quello che stava
accadendo tra i suoi genitori, ma logicamente lasciai perdere quella domanda,
dato che colui che era stato il mio più acerrimo nemico ormai sembrava aver
perso le forze anche per tirare avanti. Da due giorni era il fantasma di sé
stesso, muto e sfuggevole, sempre rinchiuso nella sua stanza.
Aveva perso tutto, e anche lui stava affrontando una caduta,
finalmente, e di certo del rapporto dei suoi genitori non doveva importargli
molto, d’altronde non gli era mai importato troppo di loro, dalle impressioni
che avevo sempre avuto.
La situazione effettivamente degenerò dopo poco, e quasi
all’improvviso, quando mio padre urlò qualcosa e udii la porta della cucina che
si spalancava.
Tremai, ancora seduto alla mia postazione, senza sapere come
reagire. L’uomo non aveva ovviamente accolto l’appello mio e di mia madre ad
andarsene, e continuava così a causarci problemi, sia lui che la sua amante.
Stefania un po’ mi faceva pena, però la sua ingenuità a
tratti mi faceva innervosire e sorridere. Ed inoltre, anche se lei aveva dentro
al suo ventre una sorta di parte di me, attendendo un mio fratellastro, non
riusciva a convincermi della sua più totale buonafede nei confronti di mio
padre. Chissà se tra i due c’era mai stato qualche sentimento sano, oppure se tutta
la loro falsa relazione fosse stata instaurata per bisogno e necessità di
entrambi, quasi mentendosi doppiamente e reciprocamente.
‘’Sei davvero un uomo schifoso! Non ti cercherò mai più,
fidati, e non vorrò mai più rivederti!’’, urlò Stefania all’improvviso, nel bel
mezzo del corridoio, poiché la voce mi giunse molto chiara e nitida alle
orecchie.
Mio padre, dal canto suo, mugugnò qualcosa dalla cucina, per
poi dirigersi anch’egli nel corridoio e sbottare un’orribile e irripetibile
bestemmia disperata.
Schifato da tutta quella scenata, mi venne l’impulso di
appoggiare le mie dita sulla vicina tastiera e di emettere qualche suono, e
quasi involontariamente lo feci, come se anche il mio corpo in modo autonomo
volesse proteggersi e tutelarsi da tutto quel violento e volgare pandemonio.
‘’E smettila di strimpellare con quel dannato coso,
altrimenti poi lo spacco, porca…’’, ruggì l’imbestialito Sergio, udendo subito
le mie note appena suonate, logicamente aggiungendo un’altra impronunciabile
robaccia sul finale della frase.
Coprendomi le orecchie e cercando di salvarmi da
quell’ambiente malato, potei soltanto udire altri rumori soffusi provenire dal
piano di sopra, meno violenti di quelli prodotti dal mio genitore però, mentre
le strida acute di Stefania rimbombavano ovunque attorno a me. La ragazza
doveva essersi portata già davanti alla porta d’ingresso, pronta anch’essa a
dileguarsi dopo le ennesime e brutali promesse che stava facendo al suo ex
amante, poiché da quel che gli stava dicendo intesi chiaramente che non aveva
più intenzione di cercarlo o di rinstaurare qualcosa con lui.
Mi venne spontaneo chiedermi le sorti del mio fratellastro,
che in quegli istanti dovevano già essere state decise, ma davvero in quel
momento non potevo preoccuparmi di altri o di altro se non di me stesso e della
mia incolumità mentale, tentata da quegli orribili, volgari e violenti litigi. Intanto,
un rapido tramestio provenne anche dalle scale, segnale che qualcun altro
voleva andarsene da quella casa e uscire all’aperto.
Ormai dimentico pure del mio pianoforte, tornai ad agire come
un pazzo, pur di fuggire da quel posto che puzzava di malsano e di male.
Sfruttando quindi la finestra aperta della stanza, per
fortuna al piano terra, uscii frettolosamente in giardino e mi dileguai in
fretta senza che nessuno se ne accorgesse, raggiungendo senza intoppi il
cancelletto e lasciandomi alle spalle e con un sospiro di sollievo tutto quel
patatrac. Volevo solo fuggire da lì, e in quei fatidici istanti pensai di
poterci riuscire.
Ma in strada dovetti affrontare l’ennesimo ostacolo, prima di
poter raggiungere una qualche sorta di piccola libertà.
Nulla, nella vita, è mai troppo
semplice o scontato.
NOTA DELL’AUTORE
Salve a tutti!
Continuo a ringraziare chiunque sia
giunto a leggere fin qui, e tutti i gentilissimi recensori che mi seguono
sempre con grande puntualità ed attenzione. Grazie, davvero!!
Grazie di cuore a tutti e per tutto,
e buona giornata! A lunedì prossimo.