When you are Strange
«When
you’re strange
Faces
come out of the rain
When
you’re strange
No
one remembers your name»
GIORNO 5 – Due ore all'alba
La
chiave nella toppa, un leggero sfregamento di vestiti, un odore di
polvere da sparo appena appena percepibile e dei passi pesanti che
riecheggiavano nel silenzioso corridoio della clinica della
Dottoressa Thompkins. Fuori aveva smesso di piovere da pochi minuti e
Gotham City sembrava una profonda pozza d'acqua scura pronta a
straripare.
Le
stanze erano chiuse a chiave, una a una Jason Todd le sorpassava
tutte fino ad arrivare ai corridoi laterali: prese quello di destra,
come la volta scorsa, si addentrò nel buio con passo fermo e
guardando dritto davanti a sé; aveva i capelli asciutti, ma i
guanti bagnati perciò li tolse prima di levarsi qualche ciuffo
di capelli ribelle che gli andava sugli occhi, la
giacca di pelle era fradicia così come il casco rosso,
sottobraccio. Le pistole, con ancora due proiettili dentro e infilate
nella cintura, erano ancora calde, eppure Jason non faticava ad
immaginare che, con tutta l'acqua che aveva preso lì fin sopra
ai grattacieli più alti di Gotham City, per un po' avrebbero
smesso di funzionare e avrebbe dovuto pulirle con olio di gomito una
volta ritornato al suo appartamento.
Il rumore tintinnante del
mazzo di chiavi venne messo a tacere, preso con irruenza dalle mani
del giovane: la porta si aprì cigolando leggera, nel silenzio
della notte e Jason ci scivolò dentro, senza fiatare,
richiudendo immediatamente a chiave.
“Ciao
Tim.” Affermò, posando il casco sul comodino bianco,
accanto ad un letto in ferro leggermente rialzato e con la testiera
del medesimo materiale coperta da tre cuscini bianchi. Le lenzuola,
anch'esse bianche, avvolte nell'oscurità della notte erano
ancora perfettamente stirate e mai usate. Il solito odore di
disinfettante vorticava nella stanza, accompagnato da una risata
bassa e gutturale proveniente da una figura accartocciata su una
sedia al di là del letto, verso la fine della stanza e accanto
alla finestrella a grate.
“Ciao Tim.”
Riprovò, accendendo la lampada da notte appoggiata sul
comodino. La luce andò a sagomare i tratti dei due individui
che occupavano il medesimo spazio di quella claustrofobica stanza:
l'uno era in piedi, perplesso e bagnato come un pennuto, l'altro era
seduto, scomposto, su una sedia in ferro e guardava stancamente le
punte dei suoi piedi mentre rideva sottotono.
Jason trovava quella
risata orribile: troppo gutturale e spenta per essere quella di un
ragazzo di appena sedici anni. Sulla sua faccia era dipinto il
disgusto che provava e che davvero non riusciva a trattenere.
Era
la seconda volta che lo vedeva e non riusciva a capacitarsi di tutto
il male che aveva dovuto subire Tim Drake per divenire quello spettro
spettinato gorgogliante e lugubre. Quando Red Hood, solo un giorno e
mezzo fa, era entrato nella stanza in isolamento sapeva solo a parole
ciò che era accaduto al ragazzo. Non era stato Batman a
riferirglielo, perché il pipistrello di Gotham provava
vergogna e dolore su questa vicenda e non era compito suo consolarlo
dalla sua incapacità; ma al contrario erano state le voci che
circolavano sulla sempre attesa, voluta e desiderata morte del Joker
a confermare, insieme alle parole di sconforto, affannate e
frenetiche, di Nightwing, quello che era accaduto dentro l'Arkham
Asylum.
Soprusi e torture su Robin: poteva capire, si ritrovò
a pensare.
E invece no.
Perché il Joker non lo puoi
prevedere.
E se un giorno gli girava di spaccarti le ossa e
perforarti i polmoni con un piede di porco... un altro giorno poteva
inventarsi insieme ad Harley Quinn di avere un suo erede, senza
perdere tempo, ma divertendosi un mondo: Sequestrare un quindicenne
che volava giù dai palazzi con un rampino e provare a vedere
cosa succedeva se gli riassettavi la mente, fra un urlo strozzato e
una scossa elettrica dopo l'altra a friggergli le sinapsi.
“A-ah!
La pianti di osservarmi? La piantate tutti di guardarmi co-così?-
Chiese il ragazzo più piccolo, fra una risata sciocca e una
più amara, un singhiozzo contrastante di ilarità che
non riusciva a far smettere... e neppure voleva. Di scatto puntò
gli occhi su Jason, muovendo appena i piedi, nudi. -Mi piace la 'J'
sul tuo viso... l'ha fatta mio padre? L'ha fatta... Oh, Jason,
povero, triste, Jason.” Reclinò la testa all'indietro e
si morse la lingua. Gli psicofarmaci che prendeva lo rendevano
docile, ma non per questo si arrendeva all'opportunità di
sbeffeggiare un ex pettirosso di Gotham City.
“Smettila
Tim, tu-... tu non... -Farfugliò Red Hood sedendosi
stancamente sul letto e allungando le gambe per distendersi meglio.
-Non sei suo figlio.” Concluse, abbandonando la schiena su i
cuscini morbidi, rialzati.
“No-no... chi
vorrebbe un figlio così?- E puntò un dito sul lato
destro del capo sghignazzando, per poi accompagnarci un altro dito
ancora e trasformare il gesto della mano in una pistola. -Ho sparato
al mio papino. Ho sparato al Joker! BANG! Ho sparato ed è
stato... è stato... ohh... è stato...” Si morse
ancora la lingua e deglutì, poi rise ancora. Un altro po',
ancora un altro po' fino a che non s'attutirono le risate e col
fiatone, a voce bassa piagnucolante e amareggiata, pronunciò:
“Dio... Jason, è stato
orribile.”
E Jason Todd che
ascoltava quel monologo festante, catartico e destabilizzante alzò
di riflesso il volto a quelle parole sussurrate flebilmente:
“Tim!”
“E SMETTILA DI
CHIAMARMI TIM!”
L'urlo fu immediato, tuonante e aleggiò
e si spense in pochi istanti nella stanza insonorizzata e isolata. I
tratti del volto del ragazzo divennero più alienanti,
spigolosi e minacciosi: la luce tratteggiava la sagoma di un clown
senza trucco fiacco e burlato, ma pieno di rabbia e follia. Gli occhi
del più giovane... gli occhi di Joker Jr si erano spalancati,
ingrigiti, la bocca si era allargata e le mani, formicolanti, si
muovevano come a muovere i fili di un burattino. Alzandosi con un gesto di stizza, spietato e fulmineo lanciò
la sedia contro l'uomo che sedeva sul letto.
Jason fece uno
scatto repentino, indietro, come un felino spaventato e scese giù
dal letto digrignando i denti.
Avrebbe voluto prenderlo a
schiaffi, calciarlo e torcergli il collo, se non fosse che un
raccapricciante, quanto inaspettato, pianto lo fermò: Joker Jr
stava piangendo. Un pianto isterico a tratti quasi non
udibile.
Odiava tutto ciò che apparteneva al Joker, lo
odiava perché ne aveva una paura fottuta. Ma Joker Jr era
stato Robin e da qualche parte in quella testa piena di malsani
orrori era stato anche Tim Drake. Aveva provato odio per il suo
rimpiazzo, ma era un
odio diverso da quello per il Joker. Non era un odio viscerale... era
più un tradimento
alla sua persona, alla sua memoria. E Tim, il terzo Robin, proprio
non c'entrava nulla... quello con cui prendersela era vestito di nero
e non lo aveva mai ringraziato.
Anzi, dopo l'iniziale e più
che giustificato disprezzo e ostilità... Jason aveva iniziato
a percepire di star apprezzando il senso di giustizia, l'innocenza e
il solido e brillante carattere del compagno. Mal sopportava Robin,
ma gli stava piacendo il ragazzo dietro quella maschera. Quel ragazzo
che un giorno era scomparso nel nulla e nessuno sapeva dove si fosse
cacciato.
Ed ora si ritrovava lì, in quella asettica e
disinfettata fino all'inverosimile stanza, con un fantoccio che aveva
le sembianze di Tim, ma che non lo era. Lui non c'era. Non ancora...
e non sapeva se, invece di quel personaggio strano e dinoccolato, un
giorno l'avrebbe rivisto.
“Sono-... sono
passati quindici minuti. Io... io-” Jason riprese il suo casco
rosso, lasciò accesa la luce e spinse con prepotenza le chiavi
negli ingranaggi della porta, guardandosi le spalle dove il sedicenne
si dondolava appena, stanco e insonnolito nell'aver parlato così
a lungo con tutti i sonniferi e i medicinali che prendeva.
“Sì,
bravo, vattene ancora!- Acconsentì Joker Jr mentre le lacrime
gli solcavano le guance -Ridi Joker Jr, Sorridi! Pagliacci, ridi!*
Joker Jr non aspetta nessuno. Joker Jr non aspetta nessuno. Joker Jr
non aspetta nessuno. Joker Jr non
aspetta...”
La porta si chiuse.
Jason respirò a pieni polmoni appoggiandosi alla parete
esterna.
Joker Jr cadde a terra.
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*Sorridi! Pagliacci, ridi! - proviene dalla celebre canzone → https://www.youtube.com/watch?v=SND3v0i9uhE del film “Singin' in the rain”. Secondo me è appropriatissima. A parte che mi immagino Tim Drake vedersi questo film anni '50 con Alfred ♥, ma poi è proprio una metafora del 'sebbene tutto stia andando storto... tu sei un pagliaccio e lo show deve continuare.”
Salve
a tutti! Ringrazio chi mi sta leggendo {in particolare Treasterischi
che ha recensito e messo fra i seguiti la mia
fanfiction} e spero continuiate a seguirmi e, se volete, lasciatemi
un commento.
Aggiungo solo una piccola noticina sul comportamento
di Jason: sì, lui è un pezzo da novanta e pieno di
rabbia e adrenalina, ma me lo immagino (come in alcuni capitoli nei
fumetti) che possa anche essere mortificato e... di non riuscire a
“gestire la situazione”, perciò scappa. Perché
non sa cosa dire. E vede un altro Robin cadere a pezzi, un altro
ragazzo spezzato dal Joker.