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Autore: GioTanner    17/10/2016    1 recensioni
Prima di entrare però gli si insinuò un dubbio, come uno spillo nel cranio, così si ritrovò chiedere un'ultima domanda alla Dottoressa: “Bruce Wayne ti ha detto chi sono?”
“No. Ma mi ha detto che un ragazzo con una 'J' sulla guancia si sarebbe fatto senz'altro vivo per vedere il paziente.(...)
- - - - -
La 24bis è una stanza strana; è lontana dalle altre, ha tre serrature ed è rinforzata. Nessuno sa chi deve essere curato lì dentro, tranne l'anziana dottoressa Thompkins. Ed è proprio lì che Jason Todd, percorrendo corridoi infiniti e percependo rumori ovattati, si dirige: ogni volta che può, ogni volta che riesce a non sentirsi male anche solo guardandolo.
Genere: Angst, Generale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jason Todd, Tim Drake
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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When you are Strange

piccino

«When you’re strange
Faces come out of the rain
When you’re strange
No one remembers your name»


GIORNO 5 – Due ore all'alba

La chiave nella toppa, un leggero sfregamento di vestiti, un odore di polvere da sparo appena appena percepibile e dei passi pesanti che riecheggiavano nel silenzioso corridoio della clinica della Dottoressa Thompkins. Fuori aveva smesso di piovere da pochi minuti e Gotham City sembrava una profonda pozza d'acqua scura pronta a straripare.
Le stanze erano chiuse a chiave, una a una Jason Todd le sorpassava tutte fino ad arrivare ai corridoi laterali: prese quello di destra, come la volta scorsa, si addentrò nel buio con passo fermo e guardando dritto davanti a sé; aveva i capelli asciutti, ma i guanti bagnati perciò li tolse prima di levarsi qualche ciuffo di capelli ribelle che gli andava sugli occhi, la giacca di pelle era fradicia così come il casco rosso, sottobraccio. Le pistole, con ancora due proiettili dentro e infilate nella cintura, erano ancora calde, eppure Jason non faticava ad immaginare che, con tutta l'acqua che aveva preso lì fin sopra ai grattacieli più alti di Gotham City, per un po' avrebbero smesso di funzionare e avrebbe dovuto pulirle con olio di gomito una volta ritornato al suo appartamento.
Il rumore tintinnante del mazzo di chiavi venne messo a tacere, preso con irruenza dalle mani del giovane: la porta si aprì cigolando leggera, nel silenzio della notte e Jason ci scivolò dentro, senza fiatare, richiudendo immediatamente a chiave.

Ciao Tim.” Affermò, posando il casco sul comodino bianco, accanto ad un letto in ferro leggermente rialzato e con la testiera del medesimo materiale coperta da tre cuscini bianchi. Le lenzuola, anch'esse bianche, avvolte nell'oscurità della notte erano ancora perfettamente stirate e mai usate. Il solito odore di disinfettante vorticava nella stanza, accompagnato da una risata bassa e gutturale proveniente da una figura accartocciata su una sedia al di là del letto, verso la fine della stanza e accanto alla finestrella a grate.
Ciao Tim.” Riprovò, accendendo la lampada da notte appoggiata sul comodino. La luce andò a sagomare i tratti dei due individui che occupavano il medesimo spazio di quella claustrofobica stanza: l'uno era in piedi, perplesso e bagnato come un pennuto, l'altro era seduto, scomposto, su una sedia in ferro e guardava stancamente le punte dei suoi piedi mentre rideva sottotono.
Jason trovava quella risata orribile: troppo gutturale e spenta per essere quella di un ragazzo di appena sedici anni. Sulla sua faccia era dipinto il disgusto che provava e che davvero non riusciva a trattenere.
Era la seconda volta che lo vedeva e non riusciva a capacitarsi di tutto il male che aveva dovuto subire Tim Drake per divenire quello spettro spettinato gorgogliante e lugubre. Quando Red Hood, solo un giorno e mezzo fa, era entrato nella stanza in isolamento sapeva solo a parole ciò che era accaduto al ragazzo. Non era stato Batman a riferirglielo, perché il pipistrello di Gotham provava vergogna e dolore su questa vicenda e non era compito suo consolarlo dalla sua incapacità; ma al contrario erano state le voci che circolavano sulla sempre attesa, voluta e desiderata morte del Joker a confermare, insieme alle parole di sconforto, affannate e frenetiche, di Nightwing, quello che era accaduto dentro l'Arkham Asylum.
Soprusi e torture su Robin: poteva capire, si ritrovò a pensare.
E invece no.
Perché il Joker non lo puoi prevedere.
E se un giorno gli girava di spaccarti le ossa e perforarti i polmoni con un piede di porco... un altro giorno poteva inventarsi insieme ad Harley Quinn di avere un suo erede, senza perdere tempo, ma divertendosi un mondo: Sequestrare un quindicenne che volava giù dai palazzi con un rampino e provare a vedere cosa succedeva se gli riassettavi la mente, fra un urlo strozzato e una scossa elettrica dopo l'altra a friggergli le sinapsi.

A-ah! La pianti di osservarmi? La piantate tutti di guardarmi co-così?- Chiese il ragazzo più piccolo, fra una risata sciocca e una più amara, un singhiozzo contrastante di ilarità che non riusciva a far smettere... e neppure voleva. Di scatto puntò gli occhi su Jason, muovendo appena i piedi, nudi. -Mi piace la 'J' sul tuo viso... l'ha fatta mio padre? L'ha fatta... Oh, Jason, povero, triste, Jason.” Reclinò la testa all'indietro e si morse la lingua. Gli psicofarmaci che prendeva lo rendevano docile, ma non per questo si arrendeva all'opportunità di sbeffeggiare un ex pettirosso di Gotham City.
Smettila Tim, tu-... tu non... -Farfugliò Red Hood sedendosi stancamente sul letto e allungando le gambe per distendersi meglio. -Non sei suo figlio.” Concluse, abbandonando la schiena su i cuscini morbidi, rialzati.
No-no... chi vorrebbe un figlio così?- E puntò un dito sul lato destro del capo sghignazzando, per poi accompagnarci un altro dito ancora e trasformare il gesto della mano in una pistola. -Ho sparato al mio papino. Ho sparato al Joker! BANG! Ho sparato ed è stato... è stato... ohh... è stato...” Si morse ancora la lingua e deglutì, poi rise ancora. Un altro po', ancora un altro po' fino a che non s'attutirono le risate e col fiatone, a voce bassa piagnucolante e amareggiata, pronunciò: “Dio... Jason, è stato orribile.”
E Jason Todd che ascoltava quel monologo festante, catartico e destabilizzante alzò di riflesso il volto a quelle parole sussurrate flebilmente: “Tim!”


E SMETTILA DI CHIAMARMI TIM!”
L'urlo fu immediato, tuonante e aleggiò e si spense in pochi istanti nella stanza insonorizzata e isolata. I tratti del volto del ragazzo divennero più alienanti, spigolosi e minacciosi: la luce tratteggiava la sagoma di un clown senza trucco fiacco e burlato, ma pieno di rabbia e follia. Gli occhi del più giovane... gli occhi di Joker Jr si erano spalancati, ingrigiti, la bocca si era allargata e le mani, formicolanti, si muovevano come a muovere i fili di un burattino. Alzandosi con un gesto di stizza, spietato e fulmineo lanciò la sedia contro l'uomo che sedeva sul letto.
Jason fece uno scatto repentino, indietro, come un felino spaventato e scese giù dal letto digrignando i denti.
Avrebbe voluto prenderlo a schiaffi, calciarlo e torcergli il collo, se non fosse che un raccapricciante, quanto inaspettato, pianto lo fermò: Joker Jr stava piangendo. Un pianto isterico a tratti quasi non udibile.
Odiava tutto ciò che apparteneva al Joker, lo odiava perché ne aveva una paura fottuta. Ma Joker Jr era stato Robin e da qualche parte in quella testa piena di malsani orrori era stato anche Tim Drake. Aveva provato odio per il suo
rimpiazzo, ma era un odio diverso da quello per il Joker. Non era un odio viscerale... era più un tradimento alla sua persona, alla sua memoria. E Tim, il terzo Robin, proprio non c'entrava nulla... quello con cui prendersela era vestito di nero e non lo aveva mai ringraziato.
Anzi, dopo l'iniziale e più che giustificato disprezzo e ostilità... Jason aveva iniziato a percepire di star apprezzando il senso di giustizia, l'innocenza e il solido e brillante carattere del compagno. Mal sopportava Robin, ma gli stava piacendo il ragazzo dietro quella maschera. Quel ragazzo che un giorno era scomparso nel nulla e nessuno sapeva dove si fosse cacciato.
Ed ora si ritrovava lì, in quella asettica e disinfettata fino all'inverosimile stanza, con un fantoccio che aveva le sembianze di Tim, ma che non lo era. Lui non c'era. Non ancora... e non sapeva se, invece di quel personaggio strano e dinoccolato, un giorno l'avrebbe rivisto.

Sono-... sono passati quindici minuti. Io... io-” Jason riprese il suo casco rosso, lasciò accesa la luce e spinse con prepotenza le chiavi negli ingranaggi della porta, guardandosi le spalle dove il sedicenne si dondolava appena, stanco e insonnolito nell'aver parlato così a lungo con tutti i sonniferi e i medicinali che prendeva.

Sì, bravo, vattene ancora!- Acconsentì Joker Jr mentre le lacrime gli solcavano le guance -Ridi Joker Jr, Sorridi! Pagliacci, ridi!* Joker Jr non aspetta nessuno. Joker Jr non aspetta nessuno. Joker Jr non aspetta nessuno. Joker Jr non aspetta...
La porta si chiuse. Jason respirò a pieni polmoni appoggiandosi alla parete esterna.
Joker Jr cadde a terra.


•♦•♦•♦•♦•♦•♦•♦•


*Sorridi! Pagliacci, ridi! - proviene dalla celebre canzone → https://www.youtube.com/watch?v=SND3v0i9uhE del film “Singin' in the rain”. Secondo me è appropriatissima. A parte che mi immagino Tim Drake vedersi questo film anni '50 con Alfred ♥, ma poi è proprio una metafora del 'sebbene tutto stia andando storto... tu sei un pagliaccio e lo show deve continuare.”

Salve a tutti! Ringrazio chi mi sta leggendo {in particolare Treasterischi che ha recensito e messo fra i seguiti la mia fanfiction} e spero continuiate a seguirmi e, se volete, lasciatemi un commento.
Aggiungo solo una piccola noticina sul comportamento di Jason: sì, lui è un pezzo da novanta e pieno di rabbia e adrenalina, ma me lo immagino (come in alcuni capitoli nei fumetti) che possa anche essere mortificato e... di non riuscire a “gestire la situazione”, perciò scappa. Perché non sa cosa dire. E vede un altro Robin cadere a pezzi, un altro ragazzo spezzato dal Joker.


   
 
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