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Autore: DaniNTI    17/10/2016    1 recensioni
"Lo spazio tra ogni punto" è il racconto interiore in prima persona di un anonimo giovane in un periodo della sua vita caratterizzato da un incontrastabile vuoto esistenziale e da un profondo sconforto.
Attraverso il racconto di momenti di vita quotidiana, che coinvolgono altri personaggi, tra cui una donna con cui egli ha una relazione di natura prevalentemente sessuale, due amici e il suo gatto, il protagonista dà voce alle sue riflessioni e ai suoi pensieri, i quali si configurano come una sorta di "flusso di coscienza" che intervalla la descrizione delle giornate.
Citazione dal testo:
"La mia quotidianità stantia è il limbo che mi spetta, e chissà chi l’ha deciso. Ho smesso di aver voglia di lottare per diventare ciò che non sono. Non porterebbe a nulla e la ragione è molto semplice: la mia coscienza è incredibilmente lucida, ma fottutamente debole. O forse sono le turbolenze con cui conviviamo ogni giorno nella nostra segreta interiorità ad essere troppo forti per chiunque provi a contrastarle".
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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“Chi cazzo sarà mai?”, pensavo.
“E’ quasi mezzanotte”.
Vado ad aprire, ero un po’ diffidente. C’erano due ragazzi e una ragazza, avranno avuto tutti vent’anni, non di più.
“Ciao amico, cazzo. Scusa il disturbo”, disse il ceffo al centro.
“Ditemi.”, risposi in maniera pacata ma non tanto amichevole.
Salice intanto li fissava tutti e tre, uno per volta, mentre era sul tavolo a leccarsi i baffi.
“Eh, un gran casino amico. Siamo del quarto piano, abbiamo fatto una festicciola stasera. Niente di grosso, ma sai beh siamo un po’ sbronzi si vede no? Ehehe. Beh non so come sia potuto succedere, giuro, ma c’è salsa di mirtilli sulle pareti, e cazzo i genitori di Brian tornano domani sera ed è un gran puttanaio se non risolviamo sto casino. E quindi niente, ci han detto che tu nella vita sei un…come si dice? Beh insomma, fai cose con la vernice no?”
“Non faccio solo quello nella vita”, rispondo irritato tenendo la mano sulla porta semichiusa.
“Dai capo, non voleva insultarti. Guardalo com’è ridotto. Ti prego, ci serve una mano o siamo nella merda. Quanto vuoi per sistemarci tutto ora?”, disse l’amico.
“200”, dissi io rispondendo in modo secco senza pensarci troppo.
“200? Ma cazzo, è tantissimo amico. Non puoi stringere un po’?”.
“No. Ho gli attrezzi nel deposito, non ho una macchina e per arrivarci devo andare con i mezzi. E’ mezzanotte e ci sono pochi bus a quest’ora, devo aspettare al freddo e non ho un cazzo di voglia. E voi non mi siete nemmeno troppo simpatici. Quindi 200, prendere o lasciare”. Ero proprio fiero della mia risposta. Pareva pensata a tavolino.
“Dai amico, aspetta un attimo. Facciamo così. Noi ti diamo 150, e in più Jane te lo succhia. Che ne dici?”, rispose il tizio al centro sghignazzando e indicando la ragazza al suo fianco.
“Ehi, schifoso figlio di puttana!”, gridò lei mortificata, guardando il tipo con occhi di fuoco e spingendolo in maniera goffa. In realtà, però, il suo mostrarsi così umiliata durò solo per pochi secondi, visto che subito dopo si mise a ridere anche lei annullando del tutto la sua già scarsa credibilità.
“Tanto glielo avresti succhiato comunque!”, aggiunse l’altro ragazzo scatenando una risata generale.
Che situazione, mi sembrava di essere tornato al liceo!
Per un attimo mi feci trascinare dall’idiozia di quelle tre teste di cazzo, che riuscirono per davvero a strapparmi un sorriso di bocca. Ma poi tornai serio.
“No, me lo succhiano domani”, rispondo assumendo un’aria disinteressata e un po’ spocchiosa.
I tre, come prevedibile, risero ancora di più, in modo sguaiato, e la situazione iniziava a sfuggire di mano. I due tipi parevano essersi dimenticati il motivo per cui avevano bussato e la tipetta, che iniziava a barcollare, mi si appoggiò sulle spalle cercando il mio sguardo.
“200, e Jane per oggi lo succhia solo a voi due. Allora, cosa facciamo?”, dico sorridendo. Guardo prima i due ragazzi e poi la tipa, che a quanto pare ora giocava di nuovo a fare la donzella umiliata: di colpo si allontana da me.
I ragazzi tornarono improvvisamente seri e si guardavano tra di loro non sapendo bene cosa fare e cosa dire.
“Potete darmi 150 oggi, e gli altri 50 quando volete”, propongo io vedendo come si stavano mettendo le cose.
I due ragazzi ora sembravano più convinti, mentre Jane aveva abbandonato la discussione e cercava di salire le scale da sola barcollando sempre più.
“Va bene amico, grazie dell’aiuto”, risponde uno dei due ragazzi grato del compromesso a cui ero sceso.
“Spero di essere da voi entro un’oretta. Non fatela bere ancora”, dissi indicando Jane, che dava segni sempre più evidenti di cedimento.
I due mi risposero ridendo, ma io prontamente li guardai con sguardo fulminante. Allora subito dissi, con aria molto infastidita: “sono serio, non voglio casini”.
“Ma capo, pensavo fossi uno di noi. Prima eri stato al gioco, insomma pensavo avessi capito di che tipo di personaggio si tratta”, disse uno dei due mentre l’altro gli dava corda annuendo ad ogni sua parola come un perfetto idiota. Due teste di merda in sincronia.
“Non m’importa”, dissi freddamente.
Mi stavo scaldando.
Abbassai lo sguardo e mi diressi verso Jane. I due ragazzi non capivano, sembravano spaesati. Reazione comprensibile.
Mi avvicino a lei, che mi guarda accennando un sorriso questa volta sincero, un po’ timido, come quello dei bambini, accompagnato però da uno sguardo riconoscente, che invece sembrava quasi quello di una persona matura. La prendo in braccio senza farmi troppi problemi e scendo le scale. Tiro un calcio alla porta di casa ancora semichiusa, la stendo sul mio letto e vado in cucina. Riempio d’acqua una bottiglia vuota che stava sul lavandino e mi dirigo nuovamente verso la mia camera. Poggio la bottiglia sul comò e tiro fuori dallo scaffale una bacinella. La metto per terra, a fianco al letto. Esco di casa, chiudo la porta a chiave e mentre camminavo a passo svelto guardo in modo sfuggente i due ragazzi, che avevano seguito la scena per intero. Parevano increduli.
“A tra poco”, dissi poi con un tono quasi allegro, come se non fosse successo niente.
Era il caso di sciogliere la tensione, pensavo, altrimenti chissà cosa avrebbero pensato quei due.
“A tra poco”, risposero loro lasciando trasparire il loro stupore, ma senza aver nulla da ridire.
E’ chiaro che qualcosa oggettivamente non quadrava in me, non me lo sono riuscito a spiegare nemmeno a posteriori. Tutt’oggi non so cosa mi fosse saltato in mente esattamente, non so perché presi le difese della ragazza in maniera così marcata e improvvisa dopo averle praticamente dato della troia insieme a quei due coglioni. E non so perché io mi sia voluto prendere cura di lei, non mi è mai fregato un cazzo di fare la parte della persona responsabile. Né tantomeno volevo scoparmela, ovvio, era praticamente una bambina.
Avevo scoperto improvvisamente di essere in mezzo a un branco di ragazzini e soprattutto di non essermi fatto alcun problema nell’abbassarmi al loro livello. D’accordo, è evidente che il mio improvviso cambio di posizione non aveva senso , ma il fatto che quelle due teste di cazzo si illudevano di avere in mano la situazione e parlavano di me come “uno di loro” mi aveva infastidito parecchio. Mi sentivo toccato dalla cosa. Non l’avrei mai detto.
“Pensavano che io avessi capito di che tipo di personaggio si trattava”, riflettevo riportando alla mente le loro parole, mentre mi dirigevo verso la fermata del bus.
“Ma che cazzo significa?”, dissi tra me e me.
“E loro non sarebbero dei personaggi? Per come parlano sembrano usciti da un cartone animato”.
Mi accorsi di star parlando ad alta voce.
Un ragazzino che si trovava alla fermata del bus aveva ascoltato e sorrideva. Non ci feci troppo caso.
Presa la vernice e tutto ciò che mi occorreva per lavorare tornai a casa. Jane dormiva, decisi di lasciarla lì in pace. Salgo al quarto piano e busso all’appartamento dei ragazzi.
I due mi aprono e mi offrono una birra. Ringrazio e la prendo.
Impiegai qualche ora per sistemare tutto, c’era un merdaio. Tutto sommato però sono stati dei soldi più che facili, devo ammetterlo. Brian e Sam sarebbero passati da me entro un paio di giorni per darmi la somma rimanente, ci scambiammo i numeri di cellulare. Avevo anche pensato di dire loro che non ci sarebbe stato bisogno di darmi altro a parte i 150, ma quei soldi in più mi facevano comodo.
Alle 6 e mezzo di mattina ero appena uscito dal loro appartamento.
Brian, Sam e gli altri loro amici mi salutarono dandomi il pugno come fossi uno della cerchia. Branco di rincoglioniti. Chiesi loro se Jane sapesse come tornare a casa e mi risposero dicendo che abitava nei dintorni.
Quando entrai in casa, lei era già in piedi. Le feci un cenno con la testa, senza dir nulla.
“Ciao”, disse lei con tono pudico.
 “Volevo prepararti la colazione, ma non ho trovato nulla in giro. Dov’è il frigorifero in questa casa?”.
“Non ce l’ho”, risposi.
“Non ne ho bisogno”.
“Ah”, replicò lei sorridendo teneramente a testa bassa.
“Ascolta, io…”, disse lei dopo un po’ come per iniziare un discorso.
“Tranquilla”, risposi io interrompendola prontamente.
Lei a quel punto si avvicinò, mentre Salice interessato aveva capito che qualcosa di strano era nell’aria.
Jane prese a guardarmi negli occhi in modo insistente. Io avevo capito subito le sue intenzioni. Penso però che avrebbe voluto solo baciarmi, senza andare troppo oltre.
“Al massimo posso darti un bacio in fronte”, dissi io con aria scherzosa.
E così feci.
Mi piace pensare che io le abbia insegnato qualcosa, anche se non saprei bene dire cosa. Ma non era il caso di rifletterci su: nel momento in cui certe situazioni mi hanno lasciato scosso, ho sempre preferito ignorarle e lasciare che il tempo facesse il suo dovere. Non avevo voglia di capire il motivo dei miei comportamenti, non avevo voglia di capire perché, quando voglio, riesco a fare le cose con criterio. Mi sentivo utile come poche altre volte, era una sensazione strana. Avevo fatto una cosa giusta e me ne ero reso conto. Di solito non mi pongo il problema, piuttosto faccio quello che mi conviene sul momento senza andare a fondo nelle questioni. Ma quella volta era andata un po’ diversamente e l’avevo realizzato abbastanza presto.
C’era ancora del succo nel bicchiere sul tavolo. Lo bevo, lavo il bicchiere e lo metto a posto.
La mia giornata era finalmente terminata.
   
 
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