Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Astarter    20/10/2016    6 recensioni
Aggiornamento 28/11/2019!
...
Quando fosse iniziata veramente con Jon, non lo capì mai, Sansa.
Nel percepire la sua indole di giustizia, lei aveva preso a detestarlo profondamente, ma non perché fosse Jon, il fratellastro che aveva sempre guardato con sdegno. Né perché ora regnasse sul castello che le spettava per diritto e successione. Non era quella la ragione.
Sansa anche se era restia ad ammetterlo lo odiava per quell'ingenuità che lui, a differenza sua, non aveva perso.
Bran era tornato a Grande Inverno, rivelando chi fosse in realtà Jon e lì quel giorno, qualcosa dentro Sansa si era liberato.
E c'era un'idea che le ronzava in mente, qualcosa che pareva la soluzione giusta a tutti i suoi timori.
Ci aveva pensato per giorni, settimane a cosa dirgli sedendosi sotto la chioma del grande albero cuore dalle foglie perennemente rosse. E alla fine era rientrata nel Bastione e l'aveva affrontato.
"Ma che stai dicendo? Tu se mia... " aveva sbottato Jon inorridito, senza però continuare, perché lei non era affatto sua sorella.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jon Snow, Sansa Stark
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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III
Senza maschere



 
 
Sansa perse un battito nel vedere comparire davanti ai suoi occhi proprio colui, che aveva invocato, con tanta disperazione. E una scintilla, che non sfuggì all’occhio attento di Baelish, comparve sul suo pallido incarnato, illuminandolo.
«Maestà» disse Dito Corto, incrociando gli occhi quasi neri di Jon. «Non fraintendete le mie intenzioni. Ho solo evitato che Lady Sansa cadesse sul ghiaccio.»
Jon ignorò le sue parole, superandolo e guardando Sansa staccarsi da Dito Corto quasi con brutalità, senza però azzardare un passo nella sua direzione.
«E’ vero» mormorò Sansa, sentendo lo sguardo del marito addosso.
Veloce aveva indossato la sua maschera quieta, quella che ormai s’era abituata a tenere da troppo tempo, optando per dirgli una mezza verità. Voleva proteggerlo dalle sue brame. Si sarebbe fatta carico di tutto, e tutto sarebbe andato bene.
Peccato che i pensieri di Sansa non fossero affatto condivisi da Jon che ora con aria severa la scrutava incredulo.
Stava per caso coprendo Lord Baelish? Perché?
Era uscito con andatura sostenuta dalla Torre Spezzata solo per dirigersi in quel cortile e soccorrerla nel caso quel lord le stesse facendo proposte poco nobili, nel caso lei avesse bisogno d’aiuto. E invece ora Sansa pareva addirittura proteggerlo? Ma quanto era stato stupido a seguire quel suo istinto, a pensare che lei avesse bisogno di lui? Ragionandoci su, Sansa in quei mesi, non s’era mai esposta più del dovuto, e prima dell’arrivo di Baelish avevano si passato molto tempo insieme, ma il loro percorso restava tutto in salita. E se c’erano troppe cose che di lui, lei non sapeva, lo stesso si poteva dire di lei.
«Lord Baelish» esordì il re del Nord in un soffio, allungando il braccio e prendendo la mano di Sansa. «Vogliate scusarci, ma è meglio che conduca mia moglie nelle nostre stanze. Giorni fa non è stata bene, e non è il caso che prenda ancora freddo qui fuori.»
«I miei rispetti, sire» rispose il Lord, facendo un mezzo inchino con il busto.
Sansa lo seguì senza battere ciglio. Ad ogni passo che facevano le guardie chinavano il capo al loro passaggio.
Jon continuava a guardare dritto davanti a sé.
Sansa, dopo minuti buoni di cammino verso la loro stanza, si ritrovò ad osservare le fiamme delle candele appena  accese nei vasti corridoi. Nemmeno s’era resa conto dell’arrivo della sera.
Jon la teneva con una possessività che quasi la fece esaltare. 
Possibile che lui fosse geloso?

Quando giunsero davanti alla camera patronale, lui dopo aver aperto la porta attese che lei entrasse e solo dopo averla richiusa si concesse di sospirare pesantemente.
Sansa si mordicchiò il labbro inferiore, quando sentì quel suono. Non ci voleva molto a capire che fosse arrabbiato.
«Sei fradicia di neve» le disse Jon. «Faccio venire qui le tue ancelle così che possano aiutarti ad asciugarti, prima che ti prenda un malanno.»
«Non ce n’è bisogno. Aspetta, faccio in un attimo» si avvicinò all’armadio e tirò fuori una veste asciutta, togliendo di dosso quella bagnata.
Quando uscì da dietro il separé lo vide seduto su una sedia. Sembrava scrutate le pelli interessanti delle sue maniche a giudicare da come le fissava.
«Ascolta Jon riguardo a prima» proruppe, strusciando le mani sul velluto della sua gonna.
«Hai già confermato che le parole di Lord Baelish fossero vere, sbaglio? Cos’altro c’è da aggiungere?» esibì un sorriso amaro.
«E allora cos'è quel tono? Mi tratti come se ti nascondessi qualcosa.»
«Non mi sembra che tu sia nella posizione di poter accusare me ora.»
 
A sera inoltrata, Sansa correva tra i corridoi di Grande Inverno. La strada che la separava dalla libertà e da suo marito era lontana. Aveva sentito l’annuncio di una delle guardie. Qualcosa la distrasse, quando i suoi occhi incrociarono un’arcata familiare.
Era la stanza dei suoi genitori.
Subito si precipitò ad aprire quella porta, dimentica di ogni cosa, come se lì ci fosse stata la risoluzione a tutti i suoi problemi.
Ma la sua corsa s’arrestò quando una mano fredda le ghermì il polso. Subito ruotò il capo incupendo il viso nell’incrociare due occhi grigi e tempestosi.
Era Lord Baelish e al suo fianco c’era Ramsay.
La corsa era finita. E stavolta nessuno l'avrebbe salvata…

«Jon» mormorò riaprendo gli occhi ansante e toccando il posto vuoto accanto al suo.
Era già la terza volta che faceva quell’incubo.
Ed era la terza notte che dormiva da sola. Quella camera non gli era mai sembrata così cupa. Era stata lei stessa a far affrescare le pareti, a cambiare le suppellettili e l’arredamento. Era così vivace, eppure da quando Jon se n’era andato, non faceva altro che sembrarle spenta, tetra. E tutto era cominciato la stessa sera di quel diverbio, quando una guardia aveva bussato alla sua porta consegnandole una lettera, che diceva suddette parole:
 
Sansa, non aspettarmi per cena questa sera. Io, ser Davos, Lord Baelish e Lord Glover consumeremo il pasto nella sommità della Torre Spezzata. Tra non molto giungeranno a Grande Inverno i membri di altre casate, pertanto ti chiedo di intrattenere le spose dei lord.
Per quanto riguarda la nostra ennesima discussione, penso sia meglio evitare almeno per qualche notte di dormire insieme. Vedrai che farà bene a entrambi.

Jon
 
Sansa aveva riletto quelle poche righe più volte, prima di recarsi nella sala. Sapeva cosa doveva fare con le mogli dei Lord che stavano giungendo, ma le ultime parole che Jon le aveva scritto, non avevano fatto altro che agitarla.
Fino a poco prima aveva creduto che tutto si sarebbe risolto come sempre, con un breve battibecco e con una dormita. E invece ora...
Quando le guardie aprirono la porta della grande sala dei banchetti, Sansa si guardò attorno. Se non altro non si poteva dire che si sentisse a disagio, fatta eccezione dello scudiero di Brienne li dentro erano tutte donne. 

Nella Torre Spezzata, il giovane re del Nord, cercava di focalizzare i pensieri su qualcosa di diverso da Dito Corto.
Non aveva creduto una sola parola di ciò che poco prima quell'uomo aveva detto davanti a Sansa.
I suoi occhi grigi, non gli trasmettevano fiducia, tutt'altro. 
Come aveva osato toccarla?
Jon cercava di essere discreto, ma non riusciva ad impedirsi di provare nei suoi confronti una rabbia incontenibile. 
La condivisione del tavolo del concilio ristretto, non gli era d’aiuto per ammansire il suo risentimento. 
E come se non bastasse, a buttarlo ancora più a terra c’era stato anche il comportamento di Sansa.

Nel primo pomeriggio di tre giorni dopo, Sansa dopo aver compilato alcune carte e fatto richiesta per provviste che mancavano nella cantina, risalì i gradini delle scale, incontrando Brienne, che senza corazza indosso e solo con una camiciola larga, non aveva affatto perso la sua aria da indomita guerriera.
«Perdona la domanda, mia regina» gli disse la donna, dandole del tu, nonostante il suo nuovo ruolo.
«Cosa c'è, Brienne?» percorsero assieme il corridoio che avrebbe condotto Sansa nella stanza della lettura e del ricamo, dove le sue ospiti l'attendevano.
«Sono preoccupata per te. Sembra che tu non faccia altro che sovraccaricarti di lavoro. Il tuo volto sembra sofferente, e credo che al re, tuo marito, non farà piacere questo tuo stato.»
«E dove lo vedi mio marito ora?»
 
Nessuno dei due aveva il coraggio di dire all’altro ciò che realmente provasse, e forse perché nemmeno riuscivano a dirlo a se stessi. Ma tutti e due cercavano un contatto anche sfuggente. 
Sansa, mentre raggiungevano i loro scranni, gli aveva sfiorato il braccio e Jon aveva percepito un brivido, credendo che fosse solo un caso, sconcertato di trovarsi a simili livelli di angoscia. 

Dito Corto in quella settimana, non si fece sfuggire nemmeno un'azione tra i due regnanti. Da fonti sicure aveva saputo che il re avesse provvisoriamente abbandonato la camera nuziale per la notte, affrancando giustificazioni. E questo non poteva che renderlo felice, perché come aveva previsto la smania di protezione della sua allieva la stava solo facendo precipitare ancora di più nel baratro. Gli sciocchi Stark s’erano sempre rovinati con le proprie mani e nemmeno questa volta il caso da lui studiato avrebbe fatto eccezione.

Jon prestò attenzione ad ogni movimento del Lord, restando sull'attenti.
Più volte ser Davos gli aveva consigliato d’attendere di portare a termine le trattative. Parere che seppur a fatica, vista la sua indole stava tentando di seguire. Non poteva fare passi falsi, ne ostentare acidità verso un Lord che l'aveva aiutato in guerra. La frustrazione che  albergava nel suo animo era devastante.
Sapeva di star facendo la cosa giusta, ma ogni notte non poteva far altro che sentirsi stupito nell'avvertire quanto fosse diventata straziante l'assenza di sua moglie al suo fianco.
«Non torni in camera nemmeno questa notte?» gli aveva chiesto lei per cinque giorni di seguito, ottenendo solo il suo diniego.
Jon sospirò nel rammentare quella domanda, perché anche se l’apprensione lo conduceva ad andare a vedere come stesse, a monitorare il suo sonno agitato, la sua indole lo obbligava a non dargliela vinta. E soprassedere troppe volte sul suo carattere e su quel modo di fare ambiguo avrebbe portato il loro rapporto alla rovina.
La vita era stata dura con entrambi e qualche giorno di separazione almeno notturna, non avrebbe fatto che giovare ad ognuno di loro.
Non torni in camera nemmeno questa notte?
No, non poteva cedere, non poteva permettere che il modo di fare della sua giovane sposa passasse inosservato ai suoi occhi.  

Sansa guardava il soffitto della camera padronale, incapace di chiudere occhio. Conosceva Jon da sempre, sapeva quanto fosse testardo. E se fino ad allora s’era ingannata, raccontando alla sua testa una marea di fandonie per renderlo ostile e troppo orgoglioso ai suoi occhi, quel giorno qualcosa di simile al senso di colpa si presentò nel suo stomaco al pensiero di come s'era comportata con Jon. E quella percezione le stava facendo a brandelli il petto, con una forza che le rubava il fiato e la spezzava.
Rammentò le volte in cui Jon durante il suo dormiveglia inquieto s'avvicinava a lei, sussurrandole parole placide all'orecchio per farla sentire meglio, sicuro che lei stesse ancora dormendo.  
Non gli aveva mai rivelato d’essere in stato di semi veglia in quel momento, e lui s’era illuso di non essere udito, ma lei s’era saziata di tutte le premure che solo a lei aveva dedicato.
E anche quel piccolo segreto, non faceva che aggiungersi a tutti i mattoni di cose che si premuniva a nascondere a Jon.
Tra loro c’erano troppe parole non dette. 
Ma se si fosse liberata, lasciandosi guardare per com'era cambiata, poi lui l'avrebbe accettata?
Jon aveva solo visto che fine avesse fatto fare a Ramsay, ma c'era anche dell'altro.
Le oscenità e le brutture che aveva subito nella sua vita l'avrebbero perseguitata sempre, velando il suo aspetto di una luce sporca.
La giovane regina artigliò le coperte e si rannicchiò su se stessa.
Forse, ingenuamente aveva temuto che lui s’accorgesse del suo malessere, dei suoi vestiti imbrattati di sangue immaginario, di quel pugnale che s’era conficcato tra le vertebre e affondava sempre più, provocandole un assurdo dolore.
Dentro aveva una tale desolazione, che si sorprendeva di riuscire ancora a respirare. 
Quella notte, la sesta che passava da sola, quando ancora una volta non lo vide raggiungerla, Sansa sentì una morsa in gola e pianse, soffocando i singhiozzi tra le coperte aggrovigliate, consapevole forse di essere davvero dalla parte del torto.
«Sansa, ricordi cosa ti dissi ancora prima che ci sposassimo?»
«Parlasti di fiducia» rispose, mentre lui si alzava dalla sedia.                                
«Già, e fino a che tu non nei avrai nei miei riguardi, tieniti pure i tuoi segreti per te, perché ne ho abbastanza delle tue risposte cortesi, delle tue bugie. Sono circondato da nobili falsi che cercano solo i miei favori. E tu che mi tieni lontano, cosa ti aspetti ora?»
Era una punizione quella che lui le stava dando, ed era tutto nelle sue mani. 
Era lei la cieca, perché in realtà lui l’aveva sempre vista.


Il giovane re del Nord portò un pezzo di carne alla bocca, mentre la regina al secondo boccone aveva già riposto le posate. 
«Non hai finito le barbabietole e nemmeno la torta» Jon si voltò alla sua sinistra, carezzando il volto di Sansa. «Sicura di essere sazia?»
La moglie abbassò lo sguardo timidamente e per un attimo la voce roca del marito quasi la convinse a mangiare, portandola a dargli retta, forse speranzosa di riuscire anche ad avere il suo perdono. Ma poi scosse il capo, abbassando di nuovo gli occhi. 
Quella sera a Grande Inverno erano giunti i Mormont, i Manderly e i Kastark. E tutti i membri delle casate, dame comprese, non avevano fatto a meno di notare quanto i due regnanti fossero uniti.
Solo loro parevano non accorgersene.
I musicanti davano il sottofondo a quel banchetto. 
Dito Corto accortosi della stessa cosa, ogni tanto mandava delle occhiate in tralice ai due ragazzi, aggrottando le sopracciglia. Bran era alla destra di Jon e mangiava il suo cosciotto d’agnello, Meera che non lo lasciava mai un attimo versava dell’acqua nella coppa. 

Tutto il resto dei commensali godeva del banchetto, ridevano tutti. Tutti eccetto loro, costretti a chinare lo sguardo all’altezza del cuore. Avevano entrambi l’espressione stremata dalle privazioni di cui si facevano carico e dalla cocciutaggine e il senso d’onore che sempre aveva rappresentato la loro casata. Il re e la regina avevano l’aria stanca, consumata. Non sembravano due ragazzi con una vita davanti, ma piuttosto parevano simili a due uccelli in gabbia.
Tutto quel castello, quei doveri che avevano addosso erano una prigione, il Nord un peso che gravava sull’animo d’entrambi. E ciò che li faceva andare avanti era un fiotto di speranza nel pensare che forse un giorno non troppo lontano avrebbero ringraziato d’avere quella posizione.
La musica si interruppe appena il re del Nord si mise in piedi.
Il silenzio sembrò insostenibile e fu lui a smorzarlo, esortando gli invitati ad andare avanti.
Non passò mezz’ora che anche Sansa si ritrovò a lasciare la sala, non ce la faceva più, voleva parlare con Jon. Voleva stare con Jon.
Una guardia le indicò il luogo in cui il re s’era recato. E dopo aver percorso tre corridoi e salito le scale, Sansa si ritrovò davanti ad una porta.
Poche candele illuminavano quella stanza usata solo per riporre vecchi mobili in disuso. La falce lunare illuminava una porzione di pavimento, lasciando il resto della camera nell’oscurità più totale.
 
«Jon» lo chiamò torcendosi le mani. «Sei qui dentro?» fece un passo avanti, guardandosi attorno.
«Perché sei andata via dal banchetto?» replicò, toccandosi le tempie.
«E’ qui che venivi quando le guardie non ti trovavano nell'altra camera? Dove sei?» glissò la sua domanda, camminando alla cieca.
«Non penso di doverti delle spiegazioni su ogni minimo movimento che compio»  le rispose comparendole davanti. «Va a riposare. Non è un posto adatto ad una regina questo.»
«Ti da così fastidio passare del tempo con me, quando non siamo in mezzo agli altri?» il tono quasi isterico fece sollevare le palpebre di lui.
«Sansa, non voglio litigare» le diede le spalle, facendo schiantare il cuore di Sansa dal torace allo stomaco.
Ma la verità era che s’era voltato perché, con lei così vicina, non riusciva a ragionare bene.
«A te non importa nulla di me come compagna, si vede da come ti comporti, quando siamo soli» aveva sbottato la ragazza.
Ma di cosa stava parlando? Possibile che… Meditò Jon.
«E’ questo quello che ti ha detto Baelish?» il giovane aggrottò le sopracciglia nel vederla annuire.
«Ha ragione» gli lanciò un’occhiata piena di rancore, facendo stringere i pugni al ragazzo dalla frustrazione. 
«Sapevo che tra noi non sarebbe stato facile, ma...»

Jon sospirò stancamente e le fece un cenno di saluto.
Come poteva pensare che non gliene importasse nulla dopo l'impeto con cui l'aveva presa solo dieci giorni prima? Doveva andarsene prima di essere completamente in balia di quell' istinto che s'era liberato dopo essere ritornato a nuova vita, perché era chiaro che qualcosa in lui fosse mutato. Sentiva l'oscurità del suo animo e la flebile luce di quello di Sansa lo attraeva e lo bruciava al tempo stesso.
Dalla sera in cui l’aveva baciata, una catena s’era legata a lui, qualcosa che forse non avrebbe più sfilato. 
«Aspetta» lo esortò lei, temendo di rimanere nuovamente da sola, temendo di allungare quel supplizio. «Io ho sbagliato e forse continuerò a fare altri errori, ma tu mi degni a stento di parola ultimamente.»
«E chi ha cominciato con quest’atteggiamento?» s’era voltato nella sua direzione, facendola trasalire così tanto che lei si ritrovò ad aprire la bocca e richiuderla per alcuni secondi.

«Ma...» biascicò.
«Ciò che mi fa più male, Sansa» mormorò tenendo le distanze da lei. «Non è sapere che quel Lord cerchi di rendermi indegno ai tuoi occhi…» la voce carica di tristezza e le sue iridi nere come carbone puntate nelle sue. «Ciò che mi fa più male è sapere quanto tu creda ad ogni parola che lui ti dice» la superò, lasciando dietro di sé solo la scia del vento prodotto dal suo mantello. 
No, non andare via.
Prima che lei stessa se ne rendesse conto, le sue gambe si mossero in un fruscio di velluto. E in un attimo chiuse le braccia attorno alla vita di Jon, affondando il viso nelle sue spalle larghe.
Lui restò pietrificato da quell’azione, sentendo i battiti cardiaci accelerare e la gola secca. Sansa era alle sue spalle e lo stringeva contro il suo corpo, con una disperazione quasi sorprendente.
Non la vedeva, ma sentiva il rumore frenetico dei suoi respiri.
Perché ti comporti così ora? Perché non dici davvero cosa pensi? Avrebbe voluto dirle.
Avvertì il suo fiato spezzato e qualcosa di tiepido scivolare sul suo collo.
Sansa stava piangendo.
Lei s’accorse d’aver permesso alle stille di rigarle le guance, solo pochi secondi dopo, ma non se ne preoccupò, non le importava. La sua copertura, la sua maschera si era schiantata al suolo non appena aveva capito cosa comportasse tenerla addosso. Non appena aveva capito di rischiare di perdere Jon.
Jon si voltò a guardarla, le prese le mani e sollevò le palpebre stupito di trovare tra le sue dita una chiave.
La chiave della camera patronale.
«Che significa?» sollevò l’oggetto davanti ai suoi occhi azzurri, deglutendo nell’incrociarli. Le sue iridi illuminate dalla luce lunare brillavano, dando un tocco etereo al suo viso.

«Significa che non torno lì, fino a che con me non ci sarai anche tu, sono stata chiara?» il finto tono altezzoso lo sorprese.
E in quell’attimo, Jon non seppe se essere felice di vederla finalmente crollare e assumere quell’umanità che quasi stava perdendo o rammaricarsi, per essere stato la causa del suo dolore.
Ma non fece in tempo a darsi una risposta, che subito sentì il tocco di lei sul volto.
Che cosa stava facendo ora? Non s'aspettava affatto quella risposta corporea.

Sansa libera dai suoi freni inibitori e confortata da quella penombra, esplorò ogni curva, ogni spigolo, ogni ruvidezza, ogni avvallamento del volto di Jon, percorrendo coi pollici l’arcata delle sue sopracciglia, la cicatrice sulla fronte, con gli indici le mezzelune delle sue occhiaie, con i palmi la barba. Quando premette il pollice sul labbro superiore, lui si ritrasse in imbarazzo.  

«Sansa» lei fece finta di non averlo sentito e premette l’anulare anche sul labbro inferiore, sentendo i respiri accelerati del ragazzo, proprio come lo erano i suoi battiti cardiaci.
«E’ successo davvero allora? Non l’ho sognato...» lo fissò sorridendogli dolcemente. «Noi ci siamo baciati, non è così?» 
«Smettila» non avevano mai parlato di quell’unico contatto intimo, di quel bacio.  
«Rispondimi, Jon» le sue mani scesero sulle sue braccia esigenti d'esortarlo a tenerla più vicina a sé, esigenti di sbloccarlo da quello stato di privazioni in cui s'era chiuso. 
In quelle notti solitarie un fiume di domande l’ aveva assalita. Sapeva solo che nell’esatto istante in cui le loro labbra s’erano unite, s’era sentita dannatamente viva.
«E' successo» mormorò lui, respirando a fondo.
«Perché non l'hai più fatto?» percorse i suoi capelli neri con le dita. Erano morbidi e profumati.
«Perché pensavo d'averti mancato di rispetto» rispose sincero
«Io...» si mordicchiò il labbro, abbassando le palpebre. Uno strano sfarfallio le solleticò lo stomaco. 
«Tu?» Jon affondò il viso fra i suoi capelli rossi e la sentii sussultare. Di certo non si poteva dire che fosse in uno stato di timidezza migliore di quello di lei. 
Quella conversazione inaspettata stava assumendo dei toni dannatamente inattesi, ma così puliti per entrambi. Dei toni che forse non avevano mai avuto con nessun altro.
«Io vorrei che tu lo facessi ancora» gettò lei frettolosamente, mentre lui schiuse le labbra incredulo. Aveva sentito bene?
Qualche secondo dopo, capendo d'un tratto la portata delle sue parole, lei avvampò in volto.
Dei, che cos'aveva detto? Ed ora Jon cos'avrebbe pensato?
«Fa finta di non aver sentito» esordì ansiosa. 
Jon socchiuse gli occhi, accennando un lieve sorriso. 
«Sansa» soffiò sulle sue labbra, facendola trepidare. «Potrei non ricordarmi come si fa» la sentì ridere  in modo impacciato a quella battuta e riacquistando il dominio del proprio corpo, le circondò la vita.
E prima di accontentarla e di appagare anche le proprie brame, la guardò intensamente, beandosi di quel sorriso timido che lei continuava a dedicargli.
Lei era bella e terribile come un’aurora morente...
...Sansa era una catena che odorava di prigionia.

 
                                                   
Il giorno di abbandonare Grande Inverno infine era giunto,
Jon prima di entrare nella camera di Bran 
vide quella che allora  pensava essere la sua sorellastra dai capelli fiammanti
camminare a passi veloci nel corridoio. 
Anche quel giorno lei non gli rivolse la parola, ne lo salutò
Indomita proseguì il suo percorso con aria altezzosa, come sempre era solita fare
quando si incrociavano.
Ma Jon ancora non immaginava che prima di rivedere Sansa sarebbero passati anni. 
E soprattutto nemmeno si aspettava di non essere più guardato con astio da lei, 
che quella notte gli aveva rivolto il sorriso più radioso che avesse mai visto sul volto di una donna.
Il sorriso che forse inconsciamente aveva sognato di poter ricevere fin da quando l'aveva rivista. 


 
 
Angolo dell'autrice

E dopo una settimana passata tra pasticche e febbre da cavallo ritorno ad aggiornare questa storia. Ah, influenza, vattene via!
Come sempre, vi aspetto nei commenti, cari recensori. ^^

 
   
 
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