CAPITOLO 32
Mi accingo a ricordare una delle cose più disgustose che io
abbia mai fatto nel corso della mia giovane vita, uno di quei gesti che restano
impressi nella memoria per anni e anni, forse per sempre.
In realtà, più che di una cosa, si è trattata di un’azione
infame, vile e orripilante, ma sfido chiunque a trovare una via d’uscita da
quel mondo fatto di male, odio e malumore che mi circondava ormai da fin troppo
tempo.
Sapevo che gli Arriga avevano intenzione di andarsene; la
signora era stata chiara a riguardo. Aveva sottolineato a mia madre che al più
presto avrebbero lasciato il paesino, non appena un altro istituto scolastico
di Bologna avesse accettato Federico come studente. Non so se questo continuo
viaggio del mio nemico tra vari ambienti scolastici fosse mai stato redditizio,
ma non credo, visto e considerando i risultati.
Sapevo pure che l’aristocratica voleva assolutamente fuggire
da quella piccola realtà, e anche alcune settimane prima avevo avuto modo di udire
la sua discussione a riguardo col marito. In quei concitati momenti, Livia
appariva atterrita e spaesata; le forze dell’ordine stavano indagando sui vari
fattacci accaduti di recente, e la vicenda tra me e suo figlio non si era
ancora chiusa, dato che comunque c’era una denuncia pesante e la preside aveva
scelto di compiere l’ardua scelta di separarci, iscrivendo Federico all’altra e
unica quinta del piccolo liceo a parte la mia.
Logicamente sua madre non l’aveva presa affatto bene. Inoltre
il prepotente se ne stava sempre chiuso in camera, così a scuola proprio non ci
aveva messo più piede dopo il giorno in cui avrei dovuto fargli copiare la
verifica di matematica, e invece gli avevo giocato uno scherzetto ed avevo
reagito.
Io quel lunedì sarei dovuto andare a scuola, ma i fatti del
sabato ancora mi turbavano, così come pure soffrivo ancora per la questione
riguardante Alice, e alla fine anche quella domenica tanto attesa era stata
rovinata dai brutti pensieri, ma soprattutto dall’azione più sconsiderata che io
abbia mai commesso.
Giuro tuttora a me stesso che non farò mai più una scelta
simile, poiché tra moglie e marito nessun estraneo deve mettere il dito. È un
detto vero, in fondo.
Ma quella volta fu una tragedia, e a causarla fui proprio io.
Che fossi realmente un mostro, come mi aveva detto quella
donnaccia che gironzolava per casa mia? Non lo so, alla luce dei miei
ragionamenti futuri mi verrebbe da dire di no, e che ho agito in quel modo
orrendo e subdolo solo perché non ne potevo più e dovevo pur difendermi in un
qualche maniera, ma sta di fatto che feci direttamente del male anche a chi
volevo sinceramente bene.
Trascorsi il sabato sera in ansia, nonostante mi fossi
inizialmente sforzato per mantenere un’ombra di un sorriso sulle labbra, e più
volte le mie mani correvano verso il mio cellulare, riposto nella solita tasca
dei jeans. Quell’oggetto conteneva ciò che mi faceva agitare di più, ovvero le
foto scattate da Giacomo, quelle più compromettenti.
Più volte mi chiesi se fosse giusto che Roberto venisse
ingannato in quel modo dalla moglie, e se sospettasse almeno qualcosa, ma in
quel momento non sapevo davvero darmi risposta. Sapevo solo che gli ero
debitore di tante cose, che per me era una persona saggia ed importante per la
mia vita, avendo condiviso con me la parte più movimentata e dolorosa della mia
esistenza, e che per me era ormai diventato un pilastro, al cui non temevo
ormai più neppure di rivolgergli la parola, sfidando anche la mia timidezza
eccessiva, siccome sapevo che nella sua infinita e onesta bontà era sempre
pronto ad ascoltarmi e a tenere per sé ciò che io gli rivelavo.
Insomma, non sapevo ancora con chiarezza chi fosse, e sul suo
passato ancora aleggiavano tante ombre, ma nei miei confronti si era sempre
comportato nel modo migliore possibile, tenendo anche presente che restava pur
sempre un estraneo alla nostra ben poco affiatata famiglia.
Ho paura, di nuovo, di ricordare, ma in questo momento mi
serve; devo imparare a reggere questa sequenza di ricordi, a rievocarli e a
soppesarli a dovere, perché a loro modo essi nascondono ciò che di più prezioso
mi sto affannando a cercare, ed imparare ad esaminarli e a valutarli, in modo
da individuare tutti i miei eventuali errori ed apprendere da essi, per tentare
di cercare di non compierli mai più in futuro.
In poche parole, affrontando direttamente e di petto i miei
ricordi più lineari, quel sabato sera non ressi lo sguardo della signora Livia,
che secondo me era ormai definitivamente andata fuori di sé. Temevo davvero che
quella pazza avesse serie intenzioni di commettere qualche follia in casa
nostra o contro di me.
Ricordo che a tratti pure mi seguiva, in casa, puntandomi
addosso quei suoi occhiacci leggermente fuori dalle orbite, irritati e
sconvolti, ma ero certo che lo facesse per intimorirmi e per spaventarmi,
conoscendo la mia indole molto fragile, e non sospettava di certo che io
sapessi ciò che stava combinando quando usciva, come poi ebbi modo di trovare
conferma in seguito.
Se avesse anche solo immaginato che io ero in possesso delle
prove schiaccianti, rese foto dal mio amato amico, penso proprio che in quegli
istanti non si sarebbe fatta troppi problemi a farmi fuori lì, nel mezzo del
corridoio della mia dimora, magari balzandomi alla gola come un’animale
selvatico impazzito.
Lo so, stavo esagerando, ma la mia mente finì per andare in
confusione, mi sentivo stressato e pedinato, oltre che in gravissimo pericolo. Chissà
che poteva combinare una donna in quello stato confusionario! E fu proprio in
quei concitati momenti che presi la mia decisione, molto affrettata e
probabilmente errata.
Per Roberto quella doveva essere una serata come tutte le
altre, lo vedevo molto tranquillo e rilassato mentre leggeva un giornale
sportivo in cucina, subito dopo cena. Io, con apparente disinvoltura e con una
buona dose di stronzaggine e di tremolante timore, gli passai sotto al naso il
mio cellulare, con un bel primo piano della moglie che baciava l’amante.
Rendendomi subito contro del mio gesto sconsiderato, mi
attesi che l’uomo si alzasse dalla sua postazione e mi desse una bella sberla,
e quasi mi ritrassi, ma il mio inquilino restò per una frazione di secondo come
di pietra, per poi afferrare dolcemente il mio telefonino e sfilarmelo dalle
mani.
Se lo avvicinò al viso, come se non vedesse bene, ed io
ammisi che mi attendevo che lo lanciasse contro il muro della cucina.
Invece, nulla.
L’uomo se ne rimase tranquillo, come se dentro di sé non
vivessero emozioni ma solo amare e nuove consapevolezze, e dopo aver rimirato
per un po’ le foto scattate da Giacomo, lasciò scivolare sul tavolo quel
giornale che stava leggendo e si alzò definitivamente dalla sua postazione
seduta, porgendomi il mio cellulare.
Non esitai un attimo a riprendere il mio oggetto e a
spegnerne lo schermo, infilandolo subito nella mia tasca dei pantaloni, e
tornando ad alzare lo sguardo rimasi molto scosso dall’espressione di Roberto.
L’uomo che era sempre apparso sicuro di sé e sorridente in ogni situazione,
oppure talmente tanto impassibile da apparire apatico a volte, aveva impressa
sul viso un’espressione d’indecifrabile e cupo dolore.
Dopo un attimo, compresi il suo viso non lasciava trapelare
solo dolore, ma soprattutto tanta rassegnazione.
‘’Dove le hai scattate?’’, mi chiese, lentamente e
all’improvviso.
Gli spiegai rapidamente come e dove si era svolta la vicenda,
a bassa voce e quasi tremando, ben sapendo che se la mia nemica pazza mi avesse
scoperto mentre le commettevo quel torto non avrebbe di certo atteso oltre a
colpire. Magari sarebbe pure impazzita definitivamente ed avrebbe commesso direttamente
una qualche follia.
Ma, per fortuna, la signora se ne stette in camera sua e la
sua presenza fisica non mi turbò assolutamente.
‘’Immaginavo… Livia è furba, non avrebbe potuto mettere in
atto i suoi loschi e schifosi scopi in pieno centro cittadino. No, ha scelto
come punto d’incontro il bar in periferia…’’, disse Roberto non appena smisi di
parlare.
Poi, improvvisamente, la sua espressione da delusa e
rassegnata tornò all’improvviso impassibile. Ed io restai immerso nella mia
cupa consapevolezza di aver reagito in modo azzardato e pericoloso, nonché
odioso nei confronti di una persona alla quale mi ero affezionato e a cui volevo
bene.
Sapevo che in una situazione invertita lui mi avrebbe
parlato, mi avrebbe spiegato per bene la situazione ed avrebbe cercato di
proteggermi dall’urto della verità con la sua grande dose di bontà, sempre se
avesse scelto di farmi del male raccontandomi una simile vicenda dopo avermi
colpito a morte con delle foto da lui scattate.
Mi resi conto che un altro uomo mi avrebbe come minimo
insultato, e dopotutto me la sarei anche meritata un’azione così, dopo aver
involontariamente ficcanasato nella vita altrui, e poi sarebbero sorti nuovi
guai con la moglie. Ma io avevo di fronte Roberto, una persona con una
personalità tutta sua, e non reagì subito ed in nessun modo.
Dopo la sua amara constatazione, infatti, si allontanò da me,
ma non andò dalla moglie, bensì si recò in giardino a fumare una sigaretta, ed
io che lo guardavo da dietro le spalle, immerso nel buio sfidato dai lampioni
della vicinissima strada, non riuscivo a notare alcuna traccia d’irrequietudine
in lui. Questo mi permise di tranquillizzarmi, e di sperare in nessuna sua
azione repentina o violenta, e non so più cosa provai dopo, perché l’ho
dimenticato. O l’ho voluto rimuovere, dato che la mia coscienza per la prima
volta si era macchiata in modo indelebile con quell’azione ignobile.
Adesso mi viene solo in mente che andai a letto turbato, ma
che non udii alcun litigio proveniente dalla camera accanto. E la mia unica
domanda fu se Roberto sapeva già che la moglie lo tradiva, considerando la sua
reazione fin troppo contenuta e pacata.
Nel giorno immediatamente successivo al mio disgustoso
misfatto, tutto era incredibilmente calmo e pacifico.
A sollevarmi momentaneamente dal pensiero di ciò che avevo
commesso la sera prima, un peccatuccio assai pesante, era che i miei inquilini
erano placidissimi anche durante quella domenica mattina. Federico non era
uscito dalla sua camera, dove la madre ormai gli recapitava pure i pasti, però
avevo sentito la tapparella alzarsi poco prima, quindi doveva essere già
sveglio a continuare quella scenata che ormai perdurava da metà settimana. La
signora Arriga, invece, l’avevo intravista uscire attorno alle otto, mattiniera
come sempre, non senza avermi lanciato una delle sue classiche ed
insopportabili occhiatacce.
Ero certo che Roberto non le avesse raccontato nulla a
riguardo di ciò che gli avevo mostrato, altrimenti quell’arpia mi avrebbe di
sicuro affrontato di petto. Avevo tanta paura di quell’essere adulto che ancora
non avevo compreso del tutto.
Il fatto che Roberto non avesse fatto scoppiare un caos con
la moglie mi insospettiva assai, ma allo stesso tempo mi faceva sentire più
quieto.
A mente più lucida, rispetto alla sera precedente, mi ero
preparato già di buonora ad attendere l’uomo, per approfittarne del fatto che
la moglie era uscita per fermarlo e dirgli che avevo sbagliato a fare ciò che
avevo fatto la sera prima, ed ero pronto pure a dirgli che quello che aveva
visto era in realtà un fotomontaggio, che mi ero fatto preparare da un mio
amico bravo in quel genere di cose, e tutto questo perché sua moglie a volte mi
turbava coi suoi comportamenti un po’ strani. In ogni caso volevo dire che non
si trattava di nulla di personale e che mi vergognavo per quell’azione insulsa
che avevo messo in atto.
Insomma, sapevo che in ogni caso ci avrei fatto una figura
pessima, e la mia mente in quel momento lavorava come una pazza e quasi per
assurdo.
Anzi, direi totalmente per assurdo. Era l’imbarazzo estremo
che provavo a farmi quasi sclerare, molto probabilmente a seguito della
costante consapevolezza del pasticcio che avevo combinato. Nel frattempo, avevo
già cancellato tutti gli scatti clandestini.
Mentre mio padre bofonchiava qualcosa dalla saletta del
pianoforte, da solo e con un tono di voce basso e fastidioso che mi fece quasi
irritare, rischiai di perdere la concentrazione sul mio obiettivo, ovvero
intercettare Roberto e parlargli, poiché l’uomo aveva sceso rapidamente le
scale e si stava dirigendo a tutta velocità verso la porta d’ingresso, la
stessa che era stata varcata qualche decina di minuti prima dalla consorte.
Riuscii a intercettarlo solo in giardino, lontano dalle
orecchie di mio padre e dopo essermi mosso con attenzione verso di lui.
L’uomo, notando che l’avevo seguito dall’interno fino a
fuori, si piazzò di fronte a me con un sorriso frettoloso ben saldo sulle
labbra, ed io involontariamente rabbrividii mentre mi avvicinavo a lui. Non
comprendevo come fosse possibile che sulle sue labbra si mostrasse quel segno
di evidente tranquillità e rilassatezza, ma il mio inquilino era un vero
maestro in impassibilità e depistaggio del proprio stato d’animo da parte di
occhi altrui.
Attesi fino all’ultimo per parlare, anche se sul viso dovevo
avere impressa l’espressione di chi si accinge a dire qualcosa che gli preme
dentro ed ha una gran voglia di uscire fuori a parole, ma la mia infinita
timidezza, che a volte sa tramutarsi quasi in codardia, mi tenne bloccato
fintanto che non poté più farne a meno, poiché colui con cui volevo
interloquire mi stava fissando, ancora ben piantato sul posto e dall’apparenza sorridentemente
rilassata.
‘’Senti, Roberto… a riguardo di ciò che ho fatto ieri sera…
io non volevo… e me ne vergogno… e avrei qualcosa da dirti…’’.
Che scena penosa! Manco riuscivo a spiegarmi e a parlare con
chiarezza. Inutile sottolineare che il mio viso era diventato rosso come un
pomodoro ben maturo, tanto diventava quasi sempre di quel colore. Ma quella
volta ne ero certo che fosse di una colorazione più marcata rispetto alle
precedenti.
Roberto mi sorprese, come sempre, mantenendo la sua placidità
ed allungando una mano verso di me, per poggiarmela sulla spalla destra,
mettendo fine alla mia difficile farneticazione.
‘’Non devi scusarti di nulla, anzi, non ci crederai ma sono
io a ringraziarti, perché mi hai aperto definitivamente gli occhi. Però, adesso
sta a me dovermi scusare, perché devo proprio andare in un certo posto ed ho
fretta… se vuoi dirmi qualcos’altro, me lo dirai più tardi, con calma. Ma non
preoccuparti assolutamente per quello che mi hai mostrato ieri sera, e non
pensarci neppure più! Non ti metterò in mezzo a questa questione con mia
moglie, non temere, so quanto può essere pericolosa se provocata, soprattutto
in questo periodo. A dopo’’, mi salutò, lasciando la sua debole stretta ed
allontanandosi da me a passi molto decisi e con evidente fretta.
Io, ancora imbambolato nel mezzo del giardino, non potei fare
altro che lasciarlo andare, per poi far cadere lentamente le mie spalle, quasi
provenissi da una fatica immane. Non sapevo che attendermi dall’uomo, ma mi
pareva che avesse trovato una qualche strategia, poiché il mio caro inquilino
usciva di casa molto raramente durante l’arco delle giornate trascorse a casa
nostra, e se lo faceva era per un motivo strettamente necessario, tipo andare a
fare un po’ di spesa o a compiere qualche semplice ed ordinaria commissione.
Quel giorno andò via con la sua auto, e questo era ancora più
strano, considerando che la utilizzava pochissimo.
Non volli continuare a stare a chiedermi cose di cui non
avrei potuto avere un’immediata e soddisfacente risposta, e siccome non avevo
affatto voglia di fasciarmi la testa inutilmente, visto che comunque me la
fasciavo sempre spesso e volentieri, decisi di rientrare in casa e di andare a
riprendere un libro in mano, o almeno provarci.
Da quando non dovevo più fare i compiti anche per il
prepotente, la vecchia e malsana abitudine di lasciarli perdere stava ricominciando
rapidamente a farsi strada in me, ma sapevo che dovevo continuare a darmi da
fare con assiduità e costanza, se non volevo tornare ai livelli più mediocri
degli scorsi anni.
Visto che Giacomo mi aveva mandato poco prima per messaggio
ciò che era stato affrontato durante i giorni della mia assenza da scuola,
avevo un po’ di nuovo lavoro su cui dovevo impegnarmi, e quindi decisi di
cogliere al balzo quel mio raro momento caratterizzato da una decisa voglia di
studiare, per andare subito in camera mia per tentare di prendere tra le mani i
vari libri, e magari concentrarmi sullo studio e staccare un pochino dalla mia
movimentata e continuamente dolorosa routine quotidiana.
Riuscii a studiare.
Col passare del tempo, ho avuto modo di avere la certezza che
il problema più grande dell’essere umano è trovare l’ispirazione o la voglia
per fare qualcosa. Una volta che si desidera davvero di inseguire un sogno,
oppure di svolgere qualcosa d’importante e di più concreto, si è già a metà
strada del percorso da compiere. E pareva che un po’ di voglia e di determinazione
fosse tornata a vivere in me, dopo alcuni giorni parecchio scialbi, fatti solo
di pensieri cupi e quant’altro.
Ricordo che dopo qualche ora di studio e nell’immediato primo
pomeriggio telefonai a Jasmine, informandomi su Alice e scoprendo che versava
ancora in uno stato d’incoscienza simile al coma, e che forse l’operazione non
avrebbe dato alcun risultato utile, proprio come si temeva.
Ricordo anche che tagliai corto, dopo aver sentito quelle
brutte notizie, e per nulla intenzionato ad incontrare la mia amata, ben
sapendo che tra noi due in quelle giornate ci sarebbe stato solo spazio per una
condivisione carica di dolore, la salutai quasi frettolosamente e in modo
abbattuto, e forse passai un po’ per villano, ma in cuor mio sapevo che la mia
Jasmine era una ragazza profondamente intelligente e mi avrebbe di certo saputo
capire.
Telefonai brevemente anche a Giacomo, per raccontagli cosa ne
avevo fatto delle sue foto e narrargli le mie preoccupazioni a riguardo, ma
ricordo solo che rise, per poi dirmi che anche lui, se fosse stato al posto
mio, avrebbe agito in quel modo, e di non preoccuparmi troppo per la sorte
della famiglia Arriga.
Il mio amico sperava solo che gli Arriga se ne andassero,
l’avevo capito da secoli ormai; ma io non sapevo ancora in cosa sperare. Sapevo
solo che se Roberto se ne fosse andato, io sarei rimasto solo in quella casa
maledetta in compagnia di mia madre, una donnina troppo fragile e indecisa, che
lavorava sempre ormai, e di quell’essere volgare e disgustoso di mio padre, assieme
alla sua petulante amante che di tanto in tanto si faceva viva, quando mia
madre non c’era. Ed erano solo urlacci e parolacce.
Avrei voluto tenermi stretto Roberto, quindi, l’unico adulto
in quel mondo in grado di capirmi e capace di starmi vicino in modo costante e
gratuito. Se avessi perso pure lui, sarei impazzito.
Però, purtroppo, ero consapevole che in ogni caso del destino
quell’uomo se ne sarebbe andato di casa mia, ma pregai solo che mi fosse
concessa l’opportunità di averlo a fianco fintanto che quel periodo
d’instabilità non si fosse finalmente stabilizzato. Prima o poi, il sereno
sarebbe dovuto ritornare a trionfare su tutti quei nuvoloni cupi.
Salutai in fretta anche Giacomo, non condividendo il suo odio
incondizionato riposto verso tutti e tre i membri della famiglia Arriga, poiché
lui stava commettendo lo sbaglio di giudicare senza conoscere. Se Livia e
Federico erano due gran stronzi folli, non era assolutamente necessario e
conseguente che il marito e padre di famiglia lo fosse pure lui.
Purtroppo però non riuscivo davvero a far capire quel
semplice concetto al mio amico, gasato per i grandi successi ottenuti contro il
nemico e sempre in attesa della ciliegina sulla torta, ovvero il colpo di
grazia, quello che avrebbe fatto espellere finalmente Federico dal liceo e
magari fargli assicurare qualche pena pesantissima, poiché ormai si sapeva che
almeno qualcos’altro di grave su di lui sarebbe emerso alle forze dell’ordine e
alla preside. E tutto ciò si sarebbe aggiunto anche all’aggressione che mi
aveva teso.
Il bullo in quel momento occupava l’ultimo dei miei pensieri,
per fortuna, e quindi sorvolai su tutte le asprezze espresse da Giacomo, e dopo
qualche minuto di sfogo congedai pure lui, pronto a tornare a riprendere i
libri in mano dopo quella piccola pausa e a cercare di ripassare ciò che avevo
affrontato nelle ore precedenti.
Dopo una manciata di minuti, però, qualcuno suonò al
campanello.
Essendo solo in casa quel pomeriggio, naturalmente senza
contare il prepotente che faceva la larva nella sua stanza, andai subito con
due balzi al piano inferiore e mi affrettai a dirigermi alla porta, curioso di
scoprire di chi si trattasse. Non aspettavamo alcuna visita, e credendo che si
trattasse di uno di quei soliti venditori ambulanti già mi accingevo a
prepararmi mentalmente le classiche frasi per declinare le loro offerte, senza
contare che si sarebbe potuta trattare anche di una visita inattesa.
Infatti, non appena aprii la porta, notai che Melissa se ne
stava proprio di fronte al mio cancelletto, con lo sguardo abbassato verso il
citofono, senza sapere che esso ormai non funzionava più da anni e che mia madre
non aveva voluto spendere soldi per farlo riparare.
‘’Mel! Che sorpresa!’’, mi lasciai sfuggire, attirando subito
la sua attenzione.
La ragazza mi guardò e mi sorrise.
‘’Allora non ricordavo male! E’ proprio questa la tua casa’’,
mi disse, evidentemente sollevata.
La giovane non era mai
venuta a trovarmi, e molto probabilmente doveva aver ricordato in modo blando
la casa che le avevo indicato il primo giorno in cui ci siamo visti, ovvero
quello in cui le avevo restituito il suo variopinto portafoglio ed era in
compagnia delle cugine.
‘’Sì, non ti sei affatto sbagliata’’, le dissi, mentre le
aprivo il cancelletto e la osservavo, notando che aveva gettato un ultimo
sguardo all’indirizzo e al nome di mia madre, scritto sul campanello.
Mi venne per un attimo da chiedermi se avesse sospettato per
un attimo che quello era il nome di sua zia, la moglie del fratello di suo
padre, ma quasi sorrisi di fronte a quel pensiero insulso, riconoscendo che la
ragazza non doveva sapere più di tanto sull’esistenza di quello zio mai
presente nella sua vita, e probabilmente tenuto a distanza dai fratelli minori.
Smisi di pensare solo quando la mia cugina si piazzò davanti
a me, con un sorriso delicato sulle labbra.
‘’A cosa devo questa tua improvvisa visita?’’, le chiesi,
titubante. Non avrei mai immaginato di trovarmela alla porta.
‘’Mi mancavi. Dato che ti fai sentire tanto poco, e che sei
sempre venuto tu a trovarmi, ho pensato di farti una sorpresa. Disturbo, forse?
È una domenica, magari hai qualche programma…’’.
‘’Nessun programma, vieni pure in casa’’, le dissi, non
lasciando che in lei sorgesse il dubbio di non essere la benvenuta, perché non
era così.
Con un pizzico di pungente curiosità, la lasciai accomodare
in cucina.
‘’Che casetta carina’’, mi disse gentilmente, guardandosi
attorno.
Ridacchiai, ancora frastornato da quella presenza inattesa.
‘’Nulla in confronto a casa tua’’, mi limitai a dirle, mentre
si sedeva.
‘’Mi hai detto che hai anche un pianoforte, qui a casa’’,
quasi mi sollecitò Melissa, togliendosi il suo giubbotto scuro e sistemandosi
leggermente con le mani la felpa rosa chiaro che indossava.
‘’Sì, sì. Vieni, se ti va te lo faccio vedere’’, suggerii,
cogliendo al volo l’occasione per uscire un attimo dal silenzioso imbarazzo che
stava prendendo piede dentro di me e sfruttando quel momento in cui mio padre
non era in casa.
Avevo come il sospetto che l’uomo stesse tramando
qualcos’altro che ancora mi era ignoto, ma non potevo neppure in quel caso
supporre qualcosa di certo. Ciò che però m’insospettiva era che, ultimamente,
non si assentava solo per recarsi al lavoro, ma lo faceva pure durante i giorni
festivi.
La mia povera madre, invece, quella domenica era stata praticamente
obbligata a svolgere dello straordinario, dato che c’era una palazzina intera
da ripulire urgentemente entro il giorno successivo. Lei e le sue povere
colleghe precarie erano state subito impiegate in quell’impresa che poteva
apparire epica.
‘’Certo, mi farebbe molto piacere vederlo’’, rispose la
ragazza, con tranquilla sincerità, dopo avermi sorriso per un attimo.
Allora la condussi nella mia saletta, dove il pianoforte
troneggiava ancora al suo interno, nonostante il fatto che stesse nuovamente
accumulando un po’ di polvere sulla sua superficie.
Mi sedetti sul mio piccolo sgabello, mentre la mia ospite ne sfiorava
i tasti con le dita.
‘’E’ bello quanto quello di mio nonno’’, disse, con un
sospiro, dopo aver osservato lo strumento per qualche istante, e allungando una
mano per accarezzarne nuovamente la tastiera.
‘’Quello di… di tuo nonno è molto più bello, pregiato ed
antico. Un pezzo di grande valore’’, dissi, titubante.
Su di me sentivo tutto il peso delle mie bugie. Avrei voluto
saltare al collo della ragazza e stringerla forte, dicendole che ero quel
cugino che lei non aveva mai conosciuto, e di cui magari non sapeva neppure
della sua esistenza o non si era mai chiesta nulla a riguardo. Però, anche in
quel caso dovevo tenere a freno ogni mia reazione e sentimento.
Avevo paura di interrompere quella farsa che stava
continuando forse da fin troppo tempo, anche perché non avevo idea di quale
reazione avrebbe potuto avere la ragazza di fronte alla mia rivelazione.
‘’Tu dici? Io sono dell’idea che uno strumento può avere
anche un sacco di valore, ma solo se è utilizzato ed affidato ad una persona
che ne abbia altrettanto’’, suggerì la ragazza, sapientemente.
‘’Uhm, può darsi. Comunque, io mi riferivo ad altro…’’.
‘’Anch’io lo stavo facendo, anche se indirettamente’’, quasi
m’interruppe Melissa, a voce bassissima, allontanando le mani dalla tastiera.
‘’Non capisco dove volevi arrivare, allora…’’, tentai di
dire, leggermente perplesso ed incrociando le braccia.
‘’Possibile che tu non l’abbia capito? Beh, volevo solo farti
capire che tu vali molto, Antonio. A volte tendi a sottovalutare le tue
capacità, ma fidati, tu sei davvero un ragazzo bravissimo, molto intelligente,
gentile ed… ed è…’’.
‘’Ed è…?’’, chiesi, quasi sussurrando e fissando per la prima
volta dopo qualche minuto il volto della mia interlocutrice.
Melissa pareva essersi inceppata, e con grande difficoltà e
con un pizzico di imbarazzo riuscì a concludere la frase che già da un po’
stava cercando disperatamente di pronunciare.
‘’Ed è per questo che mi piaci. Molto’’.
Sussultai. Non me l’aspettavo davvero.
Quel molto nel finale del breve discorso aveva un suo peso, e
rischiai di rimanerci intrappolato sotto, grazie anche al fatto che la mia
timidezza scattò fuori dal nascondiglio dove si era momentaneamente rintanata
per piombarmi addosso come una leonessa.
Arrossii tantissimo, e quasi fui lì per cominciare a
borbottare qualcosa d’insensato, ma Melissa avvicinò bruscamente il suo volto
al mio in un vago tentativo di baciarmi.
Prima che ciò avvenisse, riuscii a bloccare le sue labbra
posando sopra di esse l’indice alzato della mia mano destra, fermando il gesto
della ragazza a meno di un palmo dal mio volto.
‘’No’’, le dissi, sussurrandolo.
Lei mi guardò, inarcando leggermente le sopracciglia e
allontanandosi leggermente da me, come se fosse tornata in sé dopo qualche
secondo di follia. Mai e poi mai mi sarei creduto di trovarmi in una situazione
del genere.
‘’Perché no?’’, mi sussurrò lei di risposta, arrossendo
notevolmente.
‘’Perché io amo già un’altra ragazza’’, le risposi,
debolmente.
‘’Certo. Io sono sempre la seconda, la più brutta, lo scarto
che nessun ragazzo vuole…’’, disse improvvisamente Melissa, anche lei in modo
debole, per poi lasciar scivolare alcune lacrime sulle sue guance.
‘’Smettila. Sei una bellissima ragazza, molto cortese…’’,
tentai di dire, giustamente.
‘’Ok, ma a te non piaccio per nulla’’, mi sibilò tra i denti,
nervosa.
Non capivo la causa di quel momento di teso nervosismo, o,
almeno, non la capivo fino in fondo. La ragazza poi scoppiò a piangere,
lasciandosi sfuggire singhiozzi sempre più decisi.
A quel punto, anch’io esasperato da quella situazione che da
alcuni minuti tormentava entrambi, sfidai la mia timidezza e mi avvicinai
cautamente a lei, per poi donarle un piccolo ma caloroso abbraccio.
‘’Non è questione di piacermi o meno. Noi due siamo cugini’’,
le dissi, sputando fuori la mia rivelazione del secolo.
‘’Cosa… cosa stai dicendo?’’, mi chiese infatti Melissa,
quasi sobbalzando e costringendomi a sciogliere l’abbraccio.
Fu così che vuotai il sacco. Posandomi una mano sulla fronte
e sospirando, le raccontai tutto quello che avevo scoperto in quel mese
abbondante in cui avevamo avuto modo di conoscerci.
‘’… ed io mi chiamo Antonio Giacomelli, e sono il figlio di
Sergio, fratello maggiore di tuo padre’’, le dissi infine, come se volessi
soltanto continuare a far chiarezza su quel concetto.
In realtà, a quel punto sapevo che era giusto che la mia cara
cugina ed amica non avesse più dubbi a riguardo, e che smettesse di soffrire e
di farsi delle storie inutili, quindi le mostrai anche la mia carta d’identità.
Ma lei scosse ugualmente la testa.
‘’Ci sono tanti Giacomelli in Italia, non credo che tu sia
proprio quel cugino che non ho mai avuto modo di conoscere’’, mi disse,
cercando di non riconoscerlo a sé stessa. Capivo la sua sorpresa.
‘’Sono proprio io, te lo giuro’’, confermai, lasciandomi
scivolare di nuovo sul mio sgabello, sfinito da quella conversazione.
‘’E se sei proprio tu… perché siamo dovuti giungere a questo
punto, prima di conoscerci per davvero? A me sei piaciuto fin dalla prima volta
in cui ci siamo visti, ed ho celato e custodito il mio amore per te, mentre tu
mi hai nascosto la tua vera identità…’’, cercò di dire Melissa, lasciandosi poi
sfuggire un nuovo singhiozzo.
‘’Quando ti ho conosciuta, non sapevo neppure io che ero tuo
parente. L’ho scoperto solo dopo, ma… non ho mai avuto il coraggio per dire
realmente chi ero. Avevo paura che tu e la tua famiglia mi aveste potuto
prendere per approfittatore, o chissà cos’altro, perché nel frattempo ero già
venuto a casa vostra a suonare il piano e ad incontrarti… beh, per te volevo
restare un semplice amico. E poi, non sapevo neppure cosa ti avevano raccontato
su di me’’, aggiunsi, con sincerità.
A me, sulla sua famiglia mi era sempre stato detto che erano
persone fredde, a cui non era mai importato nulla di quel nipote generato dal
figlio maggiore e più scapestrato. Immaginavo quindi che qualche freddura fosse
circolata anche sui miei, almeno una volta in casa sua.
‘’Non so davvero cosa pensare’’.
‘’Ti giuro che non mi sono mai intrufolato in casa tua solo
per mettere scompiglio, o per farmi gli affari vostri o per altri doppi fini.
Io voglio restare ad essere per sempre un tuo amico, un tuo buon amico. Niente
di più, niente di meno’’, conclusi, chiarendomi al meglio.
‘’Capisco. Grazie per avermi detto la verità, anche se un po’
in ritardo, e per avermi concesso l’opportunità di conoscerti senza alcun
pregiudizio. Resterai per sempre il mio amico… e il mio unico cugino maschio.
Sei un gran bravo ragazzo e una bella persona, Antonio’’, mi disse la ragazza,
finalmente sciogliendosi e sfoggiando un sorriso tremolante.
Mi sentii rassicurato di fronte alla sua reazione, e proprio
mentre ci rivolgevamo uno sguardo ed io stavo per ringraziarla per le belle
parole che mi aveva rivolto e per dirle che le ricambiavo pienamente, ci
trovammo a volgere all’improvviso lo sguardo verso la finestra della saletta,
poiché tanti piccoli fiocchi bianchi avevano cominciato a cadere dal cielo con
un’intensità incredibile.
Per qualche istante, ce ne stemmo entrambi così, a guardare
la prima intensa nevicata della stagione, mentre i grandi fiocchi avevano
cominciato in pochi istanti a cadere ancor con maggiore insistenza e rapidità,
spinti dal vento che all’improvviso aveva cominciato a soffiare con violenza.
‘’Sembra una tormenta… sarà meglio che mi rechi in stazione e
che prenda il primo treno, prima che tutto sia difficile da raggiungere e che
ci siano dei disagi nei trasporti’’, disse la mia interlocutrice, rompendo il
magico silenzio che era sceso tra noi.
‘’Sono d’accordo con te’’, fui costretto a riconoscere,
notando che il tempo stava facendo le bizze, all’infuori della mia casa. Non
avrei mai voluto essere nei panni della mia adorata amica e cugina, che avrebbe
dovuto affrontare quel clima avverso.
Ci salutammo, lei mi diede un bacetto sulla guancia e mi
disse che tra di noi era tutto a posto, e che era davvero felice di aver
scoperto la mia vera identità. Non se la prese per il fatto che per lungo tempo
le avevo praticamente mentito, ma forse aveva compreso davvero ogni mia
motivazione e paura.
Forse, dentro di lei le condivideva.
Melissa è sempre stata una ragazza profondamente attenta ed
intelligente, quindi so che su di lei ho sempre potuto far affidamento e che mi
ha da sempre capito, perdonato ed amato, come un grande amico però.
Capì tutto, per fortuna, e fin quasi da subito. Sperai solo
che non si stesse preparando per far del casino in casa sua, dopo quella
scoperta, ma sapevo che lei era davvero una persona saggia e con la testa sulle
spalle, quindi mi fidavo profondamente di ogni sua scelta. D’altro canto, in
quel frangente ogni colpa era solo e solamente mia.
Melissa se ne andò così di casa mia, quasi improvvisamente
come si era presentata, sotto ad una fitta e copiosa nevicata, mentre il
gelidissimo vento della tempesta la sfiorava con decisione. Lei mi sorrise,
prima di sparire dalla mia vista, ed ebbi come la consapevolezza che quel
sorriso avesse molti significati, e che tra me e lei non si sarebbe mai
concluso il nostro splendido rapporto. Quest’ultimo non sarebbe stato d’amore
da coppia affiatata, bensì di rispetto e di parentale fratellanza.
Quando tornai in casa, dopo aver richiuso la porta d’ingresso
alle mie spalle, mi sentii da subito come svuotato, come se mi fossi tolto un
grandissimo peso di dosso, dopo aver fatto chiarezza su tutto quanto con la mia
cugina. E pensai che molto probabilmente anche lei doveva condividere quel
sollievo, almeno in parte, poiché le aveva permesso veramente di capirmi e di
guardarmi dentro, senza più alcun velo. E forse questo era stato meglio del
bacio che voleva darmi sulle labbra.
Tra me e Melissa finalmente era stata fatta chiarezza, e con
un po’ di stanchezza salii nuovamente al piano superiore, soddisfatto anche del
fatto che nessuno fosse stato in casa in quel momento a turbare la nostra
conversazione privata, e mi sdraiai sul mio letto, osservando con indolenza i
fiocchi candidi di neve che sfioravano il vetro della mia finestra, per poi
miseramente sciogliersi.
Rapito dalla magia della neve, dopo un po’ mi addormentai,
nonostante fosse pomeriggio inoltrato, mentre qualcuno al piano inferiore stava
rincasando.
NOTA DELL’AUTORE
Buongiorno a tutti, carissimi lettori e carissime lettrici!
Grazie, come sempre, per continuare a leggere, seguire e sostenere questo
racconto.
Finalmente tra Melissa e Antonio è tutto più chiaro; la
situazione, infatti, a lungo andare stava per sfuggire di mano ad entrambi.
Spero che anche questo capitolo sia stato di vostro
gradimento.
Continuo a ringraziarvi tutti di cuore, e vi auguro una
serena giornata! A lunedì prossimo.