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Autore: MadAka    05/11/2016    2 recensioni
Da una parte c’è Arabella, studentessa prossima alla laurea, scettica e ironica, che vive perennemente una lotta interiore fra il suo innato realismo e una fantasia fin troppo nutrita.
Dall’altra parte c’è Peter, giocatore di rugby, sagace, razionale e intelligente.
In mezzo Thomas, anche lui giocatore di rugby, armato di buonumore e buone intenzioni.
Intorno a loro Swansea, Llansamlet, un unico stadio, il solito caffè e svariati pub.
Una breve, brevissima storia sui due lati opposti e su chi, nel mezzo, tenta di saldare tutto insieme.
Genere: Sentimentale, Slice of life, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Peter

 

 

Guardo lo schermo del cellulare finché questo non diventa nero, spegnendosi e facendo sparire con la luce anche l’icona della chiamata appena conclusa. Ho ancora il respiro pesante per via della corsa e essermi fermato sotto uno spicchio di sole non mi sta aiutando molto a farmi passare il caldo che ho addosso.

Arabella ha appena chiuso la telefonata con me e io farei meglio ad avviarmi verso l’ingresso del parco dato che ci siamo dati appuntamento lì fra un quarto d’ora. Sono dall’altra parte del parco, io, perciò – dato che non voglio correre per evitare di sudare ancora – farei meglio ad avviarmi.

Devo ammettere di sentirmi un po’ confuso. Appena ho risposto alla chiamata della ragazza e lei mi ha sicuramente sentito ansimare si è zittita di colpo. Quando poi le ho spiegato che ero semplicemente a Cwmdonkin Park a correre si è lasciata andare a una risata che aveva in sé qualcosa di imbarazzato e mi ha subito chiesto se potevamo vederci. Considerando che non è la prima volta che mi capita una cosa del genere ero già convinto che il motivo per cui avesse tanta fretta di incontrarci fosse legato al fatto che ha trovato le parole giuste per rifilarmi un altro due di picche, ma il messaggio che mi ha mandato Tommy – che leggo solo ora – mi lascia perplesso e mi fa capire che forse devo ricredermi. Ha scritto solamente “È fatta” e poi ha aggiunto quell’emoticon con la faccina super sorridente di cui, a parer mio, abusa.

Infilo lo smartphone in tasca e mi avvio, cambiando anche la canzone che sto ascoltando. Mi sembra strano che il messaggio di Tommy – all’apparenza privo di senso – e la chiamata frettolosa di Arabella non siano collegate in qualche modo. Mi auguro solo che la ragazza stia venendo fin qui per dirmi che ha voglia di uscire con me, di uscire seriamente.

Arrivo all’ingresso del parco in poco più di cinque minuti. Spengo il mio mp3 e rimango in attesa, guardando verso l’inizio della via per vedere se compare o meno Ella.

Non ho esattamente l’aspetto che mi ero immaginato per ricevere un rifiuto effettivo o per sentirmi dire da una ragazza che mi piace che, sì, potremmo cominciare a uscire insieme. Ho corso per più di un’ora, sono ancora accaldato e sono abbastanza sicuro di non profumare come un mazzo di rose. Avrei potuto dire alla ragazza di trovarci in un’altra occasione, magari in serata, ma il modo in cui mi ha chiesto se potevamo vederci mi ha fatto capire che chiederle di posticipare non sarebbe stata la scelta migliore.

Per qualche strano motivo mi torna alla menta il bizzarro messaggio di Tommy e, proprio quando sul fondo della strada riconosco la figura di Arabella, quelle due brevi parole assumono un significato. È probabile che, in quello che sta per succedere, il mio amico c’entri. In che modo non lo so, ma lo sospetto fortemente.

Mi sistemo la t-shirt della Swansea RFC mentre la sagoma della ragazza si avvicina, mettendo sempre più in evidenza le sue forme ormai note e gli indomabili capelli scuri. Si guarda intorno mentre cammina, voltando la testa da una casa all’altra. Mi rendo conto solo in questo momento di essere nervoso e il fatto che una coppia che si tiene per mano mi sia appena passata davanti non aiuta. Ella mi sorride appena si accorge che la sto guardando. La saluto con la mano, aspettando che mi raggiunga proprio sotto all’arco che introduce al parco.

Appena è davanti a me si ferma. «Ciao» mi saluta.

«Ciao» rispondo. «Come stai?»

Si stringe nelle spalle, annuendo ripetutamente con la testa. «Direi piuttosto bene, grazie. Scusami se ti ho disturbato mentre ti allenavi, prima.»

«Oh non preoccuparti. Come si può notare del mio aspetto non avevo appena iniziato.»

Ride leggermente, lanciandomi un’occhiata. Tuttavia non aggiunge altro. Si guarda intorno, in direzione del parco e lascia passare una persona che ci sfila accanto e si avvia lungo la stradina di accesso a Cwmdonkin Park. Ella la segue con gli occhi per un breve momento, infine indica nella direzione in cui la persona si è avviata e torna a rivolgermi la parola: «Ti va se facciamo due passi?»

«Certo» rispondo, invitandola con un cenno della mano. Si affianca a me e ci avviamo in direzione del centro del parco, seguendo uno dei suoi sentieri meno trafficati.

Fra di noi cala il silenzio e mano a mano che ci allontaniamo dalle persone presenti questo si fa più insistente. Vorrei dire qualcosa, ma so perfettamente che non servirebbe a niente. Arabella mi ha chiesto di vederci perché lei ha qualcosa da dire a me, qualcosa che, a quanto pare, non le riesce semplice; deviare la conversazione su altro non servirebbe a nulla.

Alla fine, quando le persone intorno a noi sono diventate decisamente poche, la ragazza prende fiato: «Senti, io… ci tenevo a scusarmi con te per ieri.»

La guardo, lei risponde brevemente alla mia occhiata, poi torna a fissare davanti a sé, giocherellando distrattamente con uno dei cordini della felpa.

«Mi sono comportata in modo imbarazzante» precisa.

Sorrido ripensando al momento a cui si sta certamente riferendo, infine dico: «Beh, c’è anche da dire che non ti ho presa proprio nel momento migliore» tento di sdrammatizzare.

Tuttavia Arabella rimane seria, come se fosse veramente arrabbiata con se stessa.

«Non c’entra. Voglio dire, tu ti sei esposto e, personalmente, penso che avrei potuto benissimo evitare di dire certe cose.»

Non so esattamente cosa intenda con “certe cose”, so solo che siamo arrivati al punto cruciale della nostra conversazione: la risposta alla mia domanda.

Smetto di camminare; Arabella se ne accorge solo qualche passo dopo, si ferma anche lei e si volta verso di me, guardandomi perplessa.

«Ci hai pensato?» le chiedo.

Non serve aggiungere altro, sa di cosa parlo, lo capisco dal modo in cui irrigidisce le spalle e schiude le labbra. Annuisce mentre si avvicina a me, guardandomi. Vorrei incalzarla, dirle di darmi una risposta – di qualunque tipo – in fretta, ma non faccio niente; rimango a guardarla e basta, in attesa. Lei solleva lo sguardo.

«Mi piacerebbe molto uscire con te.»

Mi sento improvvisamente alleggerito da un peso appena finisce di pronunciare queste parole.

«Ne sono contento.»

Ella sorride, rimanendo a guardarmi. Per evitare che il silenzio diventi qualcosa di eccessivamente imbarazzato mi affretto a organizzare come posso questo nostro primo appuntamento. «Quando vogliamo fare?» le chiedo.

«Quando sei più comodo tu, in modo che non influisca troppo sui tuoi allenamenti con la squadra.»

Non ci penso su a lungo: «Che ne dici di venerdì?»

«Venerdì?» ripete, come a dare un senso alla parola.

Io annuisco: «Sì. È il nostro day off per via della partita di sabato.»

«Oh giusto, i quarti di finale contro il Cardiff» esclama, schioccando le dita. «Va bene allora. Vada per venerdì.»

«Perfetto. Hai qualche posto particolare dove vorresti andare o scelgo io?»

So che non funziona così un primo appuntamento – non uno serio, almeno – so che dovrei portarla fuori in posti che non si aspetta, sorprenderla. Ma qui si parla di Arabella; la conosco ormai ed è una ragazza fuori dagli schemi. Non è certo portandola in un bel ristorante che la conquisterò.

Lei sta ancora pensando alla risposta da darmi e, alla fine, dice: «Sai cosa? Tu sei un ragazzo intelligente, giochi a rugby, hai una laurea, conosci alla perfezione Swansea. Francamente non penso che tu debba darti ancora da fare per fare buona figura con me.»

La guardo, confuso, ma Ella pare piuttosto certa di ciò che sta dicendo.

«Per una volta vorrei essere io a fare buona impressione su di te.»

Mi guarda, un lampo determinato negli occhi. Io sorrido, divertito. «Ma non serve» la rassicuro.

Scuote la testa, parendo una ragazzina. La trovo adorabile.

«Anzi, ribaltiamo tutto» esclama poi, illuminandosi. «Ti andrebbe di uscire con me? Vorrei portarti a Cardiff.»

Rimango a osservarla in silenzio, mentre lei non stacca gli occhi da me. Se ripenso solo a ieri, al modo in cui era chiaramente agitata mentre cercava di prendere tempo dopo la mia proposta, mi sembra di avere davanti una persona diversa, anche se sono consapevole che non è così. Rispetto a ieri Arabella ha semplicemente ritrovato la sua sicurezza e ciò significa che – come per me – sa di star affrontando qualcosa da cui riuscirà a uscirne rafforzata, indipendentemente dall’esito.

Porto le mani sui fianchi e sorrido. «Perciò abbiamo invertito le parti» dico, piacevolmente sorpreso dalla nostra conversazione. Non sono più io ad aver invitato fuori lei, ora, bensì è lei ad aver chiesto a me di uscire.

Ella sorride, stringendosi nelle spalle. «A quanto pare» risponde, rimanendo poi in attesa.

«Beh, se le cose stanno così non posso che accettare. In fin dei conti è da un po’ che speravo in questo invito.»

Il suo sorriso si allarga ulteriormente e non posso che essere felice di vederla così.

«E Cardiff sia. Conosco dei posti che ti piaceranno certamente» mi informa.

«Bene, buono a sapersi. Ti va di anticiparmeli mentre passeggiamo un po’?» chiedo, indicando con un cenno della mano il sentiero del parco che si addentra proprio nel suo cuore, su cui io e Arabella ci siamo fermati senza più ripartire. Lei acconsente e si incammina accanto a me. Per un momento mi torna alla mente il messaggio di Tommy e nella sua assurdità, ora, mi appare più chiaro che mai. Sono certo che il mio amico mi debba raccontare qualcosa o, con molta probabilità, è lui che si aspetta che io racconti qualcosa. Sicuramente lo accontenterei anche solo mandandogli un messaggio fotocopia del suo, solo che, almeno nel mio, l’emoticon non la metterei.

 

 

 

 

 

Thomas

 

 

La vittoria ai quarti di finale profuma di Swansea, terra bagnata e carne alla griglia. È un miscuglio di odori vari che accresce notevolmente il mio buonumore. Nonostante il tempo grigio del cielo – a tratti ha piovuto, poi si è lievemente schiarito in attesa di un nuovo, cupo, banco di nuvole – l’umore di tutti è alle stelle. Con la vittoria contro Cardiff siamo riusciti ad accedere in semifinale e siamo ancora in lizza per vincere il campionato, un traguardo che lo scorso anno abbiamo visto sfuggire troppo in fretta. Il St Helen oggi era colmo di tifosi; molti di loro provenivano dalla capitale, ma anche i sostenitori della nostra RFC hanno preso parte in massa a questa partita, affrontando caparbi un clima poco incline all’ospitalità.

Anche al terzo tempo c’è un’atmosfera meravigliosa. La club house è piena di persone come non succedeva da tempo e ovunque si sentono risate, chiacchiere e addirittura qualche canto. Nonostante la sconfitta anche i giocatori del Cardiff prendono parte a questa festa e lo fanno come ho sempre visto farlo nel mondo del rugby: con fierezza. Si deve uscire fieri da un campo di gioco, sia con una vittoria che con una sconfitta perché, indipendentemente dal risultato, hai comunque lottato dando il meglio di te.

Saluto il mediano di mischia del Cardiff con cui mi ero perso in chiacchiere e torno a rivolgere lo sguardo verso la sala della club house. Frugo fra i presenti con lo sguardo fino a trovare Peter. Inevitabilmente accanto a lui c’è Arabella e alla destra della ragazza c’è anche Niamh con Ryan. Raggiungo i quattro e mi introduco fra loro con poche cerimonie. Riprendono a parlare e cerco di seguire attentamente la conversazione così da poter intervenire quando ne ho la possibilità. Anche loro sono visibilmente felici e perdo completamente il filo del discorso quando mi soffermo a guardare Pete e Ella.

Sembrano una di quelle coppie rodate dagli anni. Se ne stanno una accanto all’altro con grazia, parlano senza interrompersi, scherzano. Trovo che sia bellissimo vederli così e sono piuttosto certo che ci sia qualcosa che i due devono raccontarmi, dato che ieri sera sono usciti insieme.

L’esito non può che essere stato positivo vedendoli ora e – poco modestamente – devo ammettere di sentirmi in parte responsabile della cosa. So che dopo quello che le ho detto Arabella ha raggiunto Pete e, alla fine, i due sono usciti da Cwmdonkin Park con un appuntamento organizzato nella Cardiff del venerdì. Questo particolare l’ho scoperto solo il giorno dopo, quando mi sono trovato faccia a faccia con il mio amico dato che, prima di allora, mi aveva informato solo con un messaggio fotocopia del mio a cui non aveva aggiunto l’emoticon – che in quella circostanza sarebbe stata perfetta.

E ora devo trovare il modo di cavare a forza le parole dalla bocca di Pete per sapere dell’appuntamento di ieri, che di certo gli ha dato una buona spinta dato che oggi ha giocato divinamente. Sono piuttosto certo che l’aver riaccompagnato a casa Arabella a fine serata abbia portato con sé qualcosa di più di un semplice saluto, anche se per averne la conferma devo aspettare ancora un po’.

Smetto di guardare i miei amici e torno a concentrarmi sulla conversazione. Abbiamo appena vinto la partita di accesso alla semifinale e sono in uno dei posti che più preferisco – la club house del St Helen – con i miei amici. Oggi nulla potrebbe rovinare questa bella giornata, soprattutto perché se dovesse succedere mi basterebbe guardare Pete e Ella per sentirmi meglio, dato che finalmente hanno capito di piacersi e sono visibilmente felici della cosa. Che sia merito mio oppure no poco importa, ciò che conta è che loro due ce l’abbiano fatta a scoprirsi ricambiati dall’altro. E poi, ciò che per me rende tutto ancora più stupendo è il fatto che Peter sia più felice del solito e lui, quando è così, diventa un compagno di bevute ancora migliore.

 

 

 

 

 

 

 

La storia finisce qui. So che avrei potuto renderla più lunga, più articolata, ma ho preferito lasciarla così, volevo semplicemente scrivere qualcosa di leggero e, forse, quotidiano, senza troppi fronzoli o complicazioni. Certamente sarà una banalità questo mio lavoro, ma è una banalità che mi sono divertita molto a scrivere.

Per quanto la protagonista di questa storia possa apparire Arabella per me, in realtà, è Thomas. Sarà che mentre scrivevo questo racconto (che ha impiegato molto più tempo di quanto si possa pensare a concludersi) mi sono affezionata particolarmente a lui, fatto sta che per me il protagonista è proprio Tommy. Nel suo piccolo compare sempre, muovendo fili invisibili attraverso le parole rivolte a Peter e Arabella e, alla fine, vince anche.

Il titolo è un gioco di parole (neanche tanto furbo) fortemente legato al mondo rugbistico (a cui sono attaccatissima, come chi ha letto il mio lavoro Cenerentola non lucidava palloni da rugby sa benissimo) e si riferisce al ruolo di Thomas e quello di Peter. Tommy è un’ala, Peter un centro. Il concetto dell’ala spostata a centro ricalca il ruolo sportivo di Tommy (l’ala, appunto) solo che il “centro” in cui viene spostato non è quello proprio del campo da rugby, ma il centro posto fra Peter e Arabella in cui lui deve destreggiarsi per far avvicinare i due.

 

MadAka

 

 

  
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