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Autore: effe_95    05/11/2016    3 recensioni
Questa è la storia di diciannove ragazzi, i ragazzi della 5 A.
Questa è la storia di diciannove ragazzi e del loro ultimo anno di liceo, del loro affacciarsi a quello che verrà dopo, alla vita. Questa è la storia di Ivan con i suoi tatuaggi , è la storia di Giasone con le sue stelle da contare, è la storia di Italia con se stessa da trovare. E' la storia di Catena e dei fantasmi da affrontare, è la storia di Oscar con mani invisibili da afferrare. E' la storia di Fiorenza e della sua verità, è la storia di Telemaco alla ricerca di un perché, è la storia di Igor e dei suoi silenzi, è la storia di Cristiano e della sua violenza. E' la storia di Zoe, la storia di Zosimo e della sua magia, è la storia di Enea e della sua Roma da costruire. E' la storia di Sonia con la sua indifferenza, è la storia di Romeo, che non ama Giulietta. E' la storia di Aleksej, che non è perfetto, la storia di Miki che non sa ancora vedere, è la storia di Gabriele, la storia di Lisandro, è la storia di Beatrice che deve ancora imparare a conoscersi.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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I ragazzi della 5 A
 
48. Mi vedo con te, Simone e Presto.


Aprile

Quanto hai totalizzato nella simulazione d’esame questo mese?”
Beatrice stava assiduamente buttando giù la bozza della sua tesina quando il cellulare le aveva annunciato l’arrivo di un messaggio. Aveva recuperato l’apparecchio nascosto sotto libri e fogli vari, per scoprire che ad inviarglielo era stata Italia.
Guardò con fare accigliato il cellulare, poi spostò lo sguardo sullo schermo del piccolo portatile che stava utilizzando in quel momento, e chiuse meccanicamente l’icona della pagina di word, contrariata per aver scritto solo dieci pagine.
Quarantatre su quarantacinque. Mi ha fregato quella domanda di scienze della terra nella terza prova :( Ah, e poi alla versione di greco ho totalizzato SOLO quattordici punti. Da non credere!”.
Quando ebbe risposto a Italia, appoggiò nuovamente il cellulare sulla scrivania e sospirando rumorosamente prese a raccogliere tutta la serie di fogli, appunti e schemi che aveva tracciato con estrema pazienza durante le settimane precedenti.
Il professor Riva aveva trovato piuttosto esagerata la quantità di libri che si era portata a casa dalla libreria della scuola, ma Beatrice li aveva utilizzati quasi tutti.
Mentre separava quelli che le sarebbero ancora serviti da quelli che avrebbe restituito il giorno dopo, non riuscì a fare a meno di lasciarsi scappare un sorriso ripensando alla faccia che aveva fatto Enea quando l’aveva vista uscire dalla libreria con le buste stracariche.
Radunò tutti i fogli in un mucchio ordinato e divise gli argomenti per materia, raggruppandoli con l’utilizzo di graffette colorate e post-it fluorescenti.
Aveva appena terminato l’operazione quando le arrivò un altro messaggio.
Anch’io ho sbagliato la domanda di scienze! Comunque … mi diresti a che pagina sono gli esercizi di matematica?”. Beatrice si affrettò a rispondere al messaggio e quando decise che era arrivato il momento di lasciar perdere la tesina e mettersi anche lei a fare i compiti, i suoi piani andarono completamente in fumo.
<< E così è questo il modo in cui ti vesti quando non posso vederti? >>.
Beatrice rischiò seriamente di cadere dalla sedia, il cellulare le cadde di mano e atterrò sul morbido tappeto peloso producendo un suono attutito, era piuttosto sicura che in quel momento doveva aver messo su un’espressione terribilmente scioccata.
Enea se ne stava appoggiato allo stipite della porta con una naturalezza tutta da invidiare, aveva il corpo rilassato, l’espressione serafica, divertita, e i capelli perfettamente spettinati.
Osservandolo attentamente, Beatrice si rese conto per la prima volta che probabilmente fuori stava piovigginando, perché Enea aveva la camicia umida all’altezza delle spalle, la cartella a tracolla era completamente bagnata e i capelli gocciolavano sulle punte all’altezza delle tempie.
Il cuore le fece un piccolo balzo nel petto a quella visione, ma la realtà la portò bruscamente nel presente, un presente in cui stava indossando un pigiama con delle paperelle, dei calzini rosa shocking imbarazzanti, le si vedeva il reggiseno di pizzo azzurro e aveva i capelli tutti in disordine raccolti malamente da un mollettone di plastica giallo fosforescente.
<< E tu cosa diavolo ci fai qui?! Come sei entrato?! >>
La sua voce era talmente carica di indignazione che Enea contrasse le sopracciglia, incrociò le braccia al petto e mise immediatamente su un’espressione circospetta.
<< Chi vuoi che mi abbia lasciato entrare? Prenditela con tua madre … paperella >>
Beatrice arrossì violentemente quando Enea ammiccò con lo sguardo divertito alla sua maglietta del pigiama, incrociò le braccia al petto e si alzò in piedi.
<< Che ci fai qui? Non dovevi andare a cena da tua nonna stasera? >>.
Beatrice gli porse quella domanda con espressione truce e un tono profondamente acido.
<< Mah, ho deciso di lasciar perdere per stasera. Lo so che sono già le sei e mezza, ma sono venuto qui per studiare un po’ con te … >>.
Enea fece spallucce ed entrò finalmente nella stanza.
Beatrice non poté fare a meno di pensare a quando ormai le fosse familiare vedere Enea muoversi in quell’ambiente che fino a pochi mesi prima era solamente suo.
<< Studiare con me? Da quand’è che tu … >>.
Beatrice ammutolì immediatamente quando Enea le mise sotto il naso il libro di matematica, sgranò gli occhi e senza troppe cerimonie si mise a rovistare nella cartella del fidanzato, scoprendo con grande sorpresa che era piena di libri.
Enea non aveva mai la cartella così piena di libri, mai.
Era già tanto trovarci più di un quaderno e una penna che non fosse scarica o rotta.
<< Sei venuto davvero per studiare! >> Sbottò con aria scandalizzata da principessa.
Enea alzò gli occhi al cielo, si sfilò velocemente la cartella e la gettò per terra accanto al letto della fidanzata, lanciò sulla scrivania il libro di matematica e afferrò Beatrice tra le braccia.
<< Ti aspettavi qualcos’altro forse? Sappi che io non ho alcun problema, ma non credo che tua madre sia tanto d’accordo … >>.
<< Smettila! >>.
Beatrice non lo fece nemmeno finire di parlare che lo schiaffeggiò sul braccio e scappò dalla sua stretta. Non aveva mai provato un disagio così forte nell’averlo tanto vicino, Enea era caldo, profumava di dopobarba, pioggia e menta, aveva i muscoli delle braccia incredibilmente tesi e toccarlo le incendiava letteralmente il corpo.
<< Va bene, va bene! >> Commentò Enea alzando le mani in segno di resa, Beatrice lanciò un’occhiata truce a quelle mani e non riuscì ad evitare di immaginarle sul suo corpo, avvampò violentemente e si precipitò verso la scrivania, dandogli le spalle.
<< Coraggio, prendi quella sedia e mettiti accanto a me! Stasera ceni da noi, e non discutere con me, capito? Muoviti! >>.
Enea riuscì a stento a trattenere un sorriso mentre eseguiva tutti quegli ordini.
<< Si, signora >> Mormorò quando si mise seduto accanto a lei.
Sorprendentemente per entrambi riuscirono a studiare per una mezz’ora buona senza interruzioni, battibecchi, bisticci o amoreggiamenti, terminarono tutti gli esercizi di matematica e tradussero metà della versione di greco di Tucidide.
Enea fu piacevolmente sorpreso di scoprire che era possibile tradurre qualcosa utilizzando solamente un dizionario, senza internet che suggerisse come fare.
Erano appena scattate le 19:30 quando terminarono anche con la ricerca di filosofia su Heidegger e Freud.
<< Ahia, non avevo mai scritto così tanto in vita mia! Ma era proprio necessario riportare così tante informazioni? Cosa vuoi che me ne freghi di questo “ Essere per la morte” o di psicoanalisi? Tanto non ricorderò nulla comunque … >>.
Beatrice ascoltò solo vagamente il brontolio di Enea, stava riponendo i libri e i quaderni per il giorno dopo nella cartella con estrema cura, e i suoi pensieri viaggiavano completamente altrove, dove non li aveva mai spinti fino a quel momento.
<< Tu come ti vedi tra dieci anni? >>.
<< … non capisco perché si ostinino a … Come? >>.
Beatrice smise di sistemare la cartella e sollevò lo sguardo, erano seduti una di fronte all’altro, davanti a quella scrivania ingombra di libri, con la pioggia che batteva i vetri in quei primi tiepidi giorni di Aprile, e per la prima volta provarono una paura tremenda.
<< Non fraintendermi … non ti faccio questa domanda perché voglio sentirti dire cose stupide come: “ tra dieci anni mi vedo con te”. Non mi riferivo a quello, non intendevo il nostro rapporto … mi riferivo proprio a te. A come immagini il tuo futuro >>.
Beatrice aspettò pazientemente che Enea rispondesse alla sua domanda, ma il ragazzo si limitò a fissarla negli occhi con sguardo vitreo, le mani strette a pugno sulle gambe.
<< Enea … >>
Beatrice non poté fare a meno di trasalire quando realizzò per la prima volta quella sera il motivo per cui Enea si era presentato a casa sua a quell’ora tarda saltando la cena da sua nonna: era preoccupato per qualcosa, c’era qualcosa che lo stava tormentando.
Qualcosa che lo tormentava così tanto da inscenare tutta quella farsa dello studio.
<< Enea, cosa c’è che non va? Devi dirmi qualcosa? Perché sei venuto qui stasera? Voglio sapere il vero motivo, non usare la scusa dello studio con me >>.
Enea sembrò riprendersi momentaneamente dal suo torpore e guardò con occhi vuoti la scrivania ancora ingombra dei suoi libri, sospirò pesantemente e si protese verso la cartella.
<< Hai ragione, c’è qualcosa che devo farti vedere … >>.
Infilò lentamente una mano nella tasca esterna della borsa e fece per estrarre un plico di carta spillato e ben ordinato, ma proprio in quel momento qualcuno bussò alla porta.
<< Ragazzi, è pronta la cena >>.
Enea sobbalzò leggermente quando Sofia entrò nella stanza guardandoli con un sorriso gentile sulle labbra, ripose frettolosamente i fogli nella cartella e la mise a terra.
<< Abbiamo finito mamma, veniamo subito … >>.
Si affrettò a replicare Beatrice, e quando la madre se ne fu andata nuovamente si girò immediatamente verso Enea e lo incoraggiò a continuare con lo sguardo.
Enea sorrise dolcemente, sollevò una mano e le aggiustò una ciocca ribelle dietro l’orecchio.
<< Cosa dovevi farmi vedere? >>.
<< Non è nulla di importante, te ne parlerò un altro giorno, va bene? >>.
No, a Beatrice non andava affatto bene, ma si rese conto che quella sera Enea non avrebbe parlato più, non avrebbe tirato più fuori quell’argomento.
Stava imparando poco a poco come era fatto quel ragazzo sfacciato, vivace, allegro e terribilmente solitario, chiuso come un guscio. Enea aveva più difese di quanto volesse ammettere a se stesso, aveva più maschere di quante avrebbe potuto portarne senza impazzire del tutto, ed era fatto in quel modo.
Enea sapeva parlare solamente con i gesti.
Beatrice annuì con riluttanza e afferrandolo per una mano lo tirò verso la porta.
<< E comunque, tra dieci anni mi vedo con te >>.
<< L’hai detto apposta per irritarmi vero? >>.
<< Ovviamente >>.
Raggiunsero la cucina che ridevano entrambi.
 
<< Alješa ho fame? Quando mangiamo? >>.
Aleksej aveva sempre ritenuto di essere una persona abbastanza paziente, ma suo fratello Ivan, il secondogenito della famiglia Ivanov, non faceva altro che mettere alla prova quella virtù solidamente consolidata.
<< Quando finisco la versione di greco! Se hai fame cucinati da solo >>.
Quella sera era di pessimo umore e ce l’aveva a morte con i suoi genitori, che se ne erano andati a cena fuori con Francesco, Iliana, Katerina e Jurij lasciandolo a casa da solo con i suoi quattro fratelli più piccoli e con il cuginetto di cinque anni, Simone.
Per tenerli tutti sotto controllo si era messo a studiare sul tavolo del grande salone di casa, ma con Andrea e Lisa che giocavano chiassosamente al Monopoli, Pavel che leggeva ad alta voce un libro di favole a Simone, e Ivan che imprecava sparando a tutto volume con il joystick della Play Station, era riuscito a tradurre solamente sette righi su ventisette.
Era piuttosto depresso e contrariato, non era mai successo che ci mettesse tutto quel tempo per tradurre una versione, guardò nervosamente il cellulare e gli si illuminarono gli occhi quando trovò finalmente le risposte al messaggio che aveva inviato pochi minuti prima.
Una era di Gabriele:
Sinceramente Alješa, perché dovrei alzarmi dal letto e venire fino a casa tua per aiutarti con una banda di marmocchi? Prendila come una scusa per fare pratica ;) Lo sai che ti amo <3”
Il secondo era di Miki:
Alješa non arrabbiarti ti prego, ma non ho ancora terminato i compiti per domani e non posso muovermi. Te la caverai benissimo, ne sono assolutamente sicura :). Ti amo <3”.
Aleksej strinse convulsamente il cellulare tra le mani, poi trasse un respiro profondo e cercò con tutto se stesso di trovare la calma necessaria per non esplodere.
Ma era davvero difficile dopo essere stato tradito in quel modo e senza ritegno!
<< Come siamo acidi stasera! Ormai sono già le otto … >>.
Aleksej appoggiò con malagrazia il cellulare sul tavolo e fulminò il fratello più piccolo con lo sguardo, Ivan aveva già compiuto quindici anni ormai, ma sembrava sempre un bambino.
Con quella zazzera di capelli ramati e gli occhi azzurri e taglienti sembrava un vero monello di strada, era burbero e scostante, un vero piantagrane.
<< Non mi interessa! Anche tu sei abbastanza grande per cucinare, alza le chiappe da quel divano e datti da fare, no? >>.
<< Senti un po’ tu! Stasera le vuoi prendere o … >>.
<< Alješa, anche io ho un po’ di fame ... >>.
Ivan smise immediatamente di parlare e gli occhi di tutti si spostarono sul piccolo Simone, perfino Andrea e Lisa, i due Ivanov più piccoli, smisero di giocare a Monopoli.
Aleksej adorava immensamente il suo cuginetto più piccolo, un bambino vivace, allegro e intelligente, con grandi occhi grigi e una zazzera ribelle di riccioli neri come la pece.
Assomigliava moltissimo al suo papà Francesco, e aveva preso davvero poco dai gemelli.
<< Beh, se Simone ha fame allora bisogna preparare assolutamente! Copierò la versione da Miki domani mattina … e magari gliela correggo anche >>.
La dichiarazione solenne di Aleksej venne accompagnata dalla chiusura istantanea del libro e del quaderno, si stiracchiò velocemente allungando le braccia dietro la schiena e rivolse un sorriso caloroso al cuginetto più piccolo.
<< Ehi, perché se te lo chiede Simone ascolti, ma se te lo chiedo io … >>.
<< Perché Simone non è un idiota, tu si! >>.
L’invettiva di Ivan venne bruscamente interrotta da Aleksej, che prese in braccio il cugino più piccolo e si avviò con passo sicuro in cucina.
Non aveva la minima idea di cosa preparare, mise giù Simone, che andò diligentemente a sedersi accanto al tavolo, e aprì il frigorifero grattandosi la nuca a disagio.
<< Posso darti una mano Alješa? >>.
Aleksej sobbalzò quando Pavel comparve al suo fianco silenziosamente, era sempre stato un bambino estremamente silenzioso e taciturno, osservava tutto con occhi attenti, ed era dotato di un’intelligenza fuori dal comune.
Tra i suoi fratelli Pavel era quello che assomigliava di più al padre, aveva una matassa disordinata di capelli biondo grano impossibili da domare, un viso estremamente spigoloso e gli occhi azzurri come il ghiaccio più freddo, tuttavia, a dispetto di questo particolare, era il bambino più altruista e generoso che avesse mai conosciuto.
<< Certo che puoi Pavlik, hai in mente qualcosa in particolare? >>.
Domandò Aleksej accarezzando il fratello più piccolo sulla testa, Pavel lanciò uno sguardo nel frigorifero e fece spallucce, indicando semplicemente le uova.
<< Perché non facciamo una bella frittata di verdure? Ci sono zucchine, melanzane, peperoni … oppure una frittata di cipolle? Troppo pesante? E poi qui è avanzato del ragù da ieri, lo scaldiamo e mangiamo anche un bel piatto di pasta, che ne dici? >>.
Aleksej guardò il fratello più piccolo sbattendo ripetutamente le palpebre, senza parole, Pavel era sempre sconcertante, con un’analisi dettagliata e veloce aveva trovato una soluzione efficace che non comportasse ricette troppo elaborate e pericolose.
Probabilmente aveva preso anche in considerazione il fatto che Aleksej non sapesse nemmeno accendere un fornello senza procurare danni.
<< Ok, ottimo. Ti occupi tu delle verdure? Io metto a scaldare il ragù >>.
Un’ altra cosa che Aleksej apprezzava di Pavel era la sua estrema organizzazione, non ebbe bisogno di dirgli nulla, pochi minuti dopo lavoravano in silenzio senza intralciare l’uno il lavoro dell’altro. Una decina di minuti più tardi si unirono a loro anche Andrea e Lisa, che avevano appena terminato la lunghissima partita a Monopoli.
Aleksej li incaricò di mettere la tavola, senza rendersi conto del fatto che tra Andrea e Lisa in quel momento era in atto una sorta di guerra silenziosa.
<< Molla quel bicchiere! L’ho preso prima io >>.
Sbottò ad un certo punto Andrea strappando l’oggetto dalle mani della sorella più piccola, Aleksej smise velocemente di controllare la pasta e fulminò i due Ivanov più piccoli con un’occhiataccia che fu bellamente ignorata da entrambi.
<< Smettila Andrea, sei arrabbiato perché ti ho stracciato al Monopoli! >>.
Replicò Lisa afferrando il bicchiere e tirando con forza.
<< Fate attenzione per favore … >>.
La supplica sussurrata di Pavel risuonò vana nella stanza.
<< Non dire stupidaggini, ti ho solamente lasciato vincere perché altrimenti ti saresti messa a frignare come una mocciosa! E molla il bicchiere! >>.
<< Non è vero! Hai perso perché sei un idiota. E mollalo tu quel bicchiere, non tirarlo! >>.
<< Ohi! Smettetela entrambi, siete venuti qui per fare casino?! Se continuante in questo modo quel bicchiere si … >>.
Aleksej non terminò nemmeno la frase che il bicchiere scivolò dalla presa di Andrea e Lisa e si schiantò a terra in una marea di schegge di vetro taglienti e minuscole.
<< Ops … >> Commentò Andrea grattandosi la nuca.
<< Alješa, non arrabbiarti … >>. Lo supplicò Lisa con le lacrime agli occhi.          
Aleksej guardò con fare avvilito il disastro che si era creato sul pavimento, respirò profondamente passandosi una mano sulla faccia, poi spense velocemente il fuoco sotto la pentola e indicò la porta della cucina con l’indice.
<< Uscite immediatamente da questa stanza, finché non avrò rimosso tutto il vetro da terra non voglio nessuno qui dentro, sono stato chiaro? >> Andrea e Lisa annuirono immediatamente, il primo mettendo su un’espressione di vergogna, la seconda tirando su con il naso, Pavel lasciò cadere il coltello con cui stava tagliando le verdure sul tagliere e guardò con occhi preoccupati il fratello più grande.
<< Alješa, sicuro che non vuoi una mano? Simone è bloccato sulla sedia e non può scendere, forse è il caso che io … >>.
<< Non preoccuparti Pavlik, Simone resterà seduto sulla sedia, vero? >>.
Aleksej completò la frase guardando il cuginetto negli occhi grigi e intelligenti, Simone annuì vigorosamente e incrociò le gambe come un indiano sulla sedia.
Pavel tentennò solo per alcuni secondi, poi sospirò rassegnato e lasciò anche lui la stanza.
<< Che disastro >> Commentò Aleksej, poi si chinò a terra per raccogliere i pezzi di vetro più grandi, ne aveva appena presi un paio quando sentì una fitta lancinante alla mano destra.
Senza accorgersene si era procurato un bel taglio sul palmo, imprecò tra i denti ed esaminò la ferita per controllare che non vi fosse rimasto incastrato dentro un pezzo di vetro.
<< Ti sei fatto male Alješa? >>. Aleksej sollevò gli occhi dalla ferita e intercettò lo sguardo accigliato e preoccupato di Simone, cercando di combattere contro il bruciore sorrise forzatamente e scosse la testa.
<< E’ solamente un graffio, passerà subito >>.
<< Forse dovrei darti un bacio sulla ferita? >>.
<< Come? >> La domanda del bambino lasciò Aleksej perplesso.
<< L’altra volta ha funzionato con Gabriele, gli ho dato un bacio e la sua bua è passata >>.
<< Gli hai dato un bacio quando si è fatto male al braccio? >>.
Domandò Aleksej fasciando velocemente la mano con una pezza bagnata, lanciò un’occhiata veloce al cuginetto e lo vide scuotere velocemente la testa.
<< No, quando aveva il mal di testa. Gabriele era seduto sul letto con Katja …>>
Aleksej lasciò cadere a terra scopa e paletta quando sentì quelle parole, voltò la testa di scatto verso Simone e lo afferrò per le spalle ignorando il dolore alla mano destra.
Il cuore gli martellava talmente forte nel petto che sembrava poter uscire da un momento all’altro senza che lui nemmeno se ne accorgesse.
Katja … Katen’ka … Katerina …
Che cosa ci faceva Gabriele seduto su un letto con Katerina?
Aleksej sapeva bene di essere abbastanza intelligente per capirlo anche da solo, ma …
“Ohi Katja, che stai facendo?”
“Sto cercando Gabriele”
Aleksej rabbrividì mentre i ricordi cominciarono a collegarsi come tanti fili invisibili.
“Ma che cazzo di modi sono?! Sai che ti dico, vaffanculo Gabriele!”         
“Io me ne cado a pezzi e a te non te ne fotte un cazzo, vero?!”
E ancora …
“Mi dispiace Gab … mi dispiace, ma questa volta, se non mi dici cosa c’è che non va, non posso aiutartinon so come fare”.
“Non puoi fare nulla Alješa … se non tirarmi qualche pugno in più quando mi vedi cadere. Questo puoi farlo?”
E ancora, ancora, ancora …
“Aleksej, oggi hai esagerato con Gabriele. Non devi attaccarlo ogni volta che fa qualcosa che non va! Non è così che lo invoglierai a parlare con te di qualsiasi cosa lo affligga! Gabriele sta soffrendo Aleksej, sta male ”
“Lo so! Ed è proprio questo che mi fa incavolare! Se sta male … perché non si affida a me? E’ stato lui a dirmi che dovevo sempre dirgli tutto, perché non fa lo stesso quell’idiota?!”
“Ehi Alješa, hai mai pensato che Gabriele non possa parlarne con te?”
“Cosa intendi dire?”
“Magari è qualcosa di cui non riesce a parlare. Qualcosa di cui si vergogna, qualcosa che non riesce a dire nemmeno a te”
E ancora, fino ai ricordi più recenti …
Quella cosa di cui non hai mai voluto parlarmi … quel problema che hai avuto. Insomma, quando abbiamo litigato tu … è qualcosa di cui ti vergogni?”
“Non più ormai. Non ha senso vergognarmi di amare qualcuno”
“Avrei dovuto dirti tutto fin dall’inizio, lo so. Ma a quanto pare sono più codardo del previsto. Pensavo che questa persona che amo fosse sbagliata per me, che non andasse bene. Mi sentivo in colpa per questo sentimento perché lo ritenevo sbagliato e si, me ne vergognavo da morire. E’ per questo che l’ho lasciata, ed è per questo che sono stato intrattabile per tutto quel tempo”
Aleksej si schiarì velocemente la voce, aveva le mani tremanti mentre stringeva le piccole spalle del cuginetto, Simone lo osservava ancora, ignaro del tumulto nei suoi pensieri.
<< C-che … che cosa facevano Gabriele e Katerina, Simone? >>
Il bambino aggrottò le sopracciglia e si portò un dito sul mento, come se si stesse sforzando a tutti i costi di ricordare.
<< Si stavano per baciare … si, si baciavano! >>.
Aleksej chiuse gli occhi involontariamente quando ebbe la sua conferma.
Pensavo che questa persona che amo fosse sbagliata per me …
 … questa persona che amo fosse sbagliata per me …
… che amo …
.. sbagliata per me …
Lasciò andare le spalle del cugino e sospirò teatralmente, sorridendo con tristezza al bambino ignaro ed innocente.
“ Stupido … Gabriele, sei uno stupido”.
 
<< Vienna? >>.
<< Si, Vienna! >>.
<< Perché proprio Vienna? >>.
<< E che ne so! Sono stati i professori a decidere >>.
Italia adorava osservare il modo in cui Muriel e Giasone bisticciavano, lo facevano con una tale confidenza che dava l’impressione di qualcosa di estremamente intimo.
Come se i due si conoscessero già da tutta una vita.
<< E quindi te ne vai a Vienna per cinque giorni? >>.
<< Sono solo cinque giorni Muriel, non vado mica in guerra! >>.
<< E chi ti ha detto niente! >>.
Italia si trovò a ridacchiare mentre li vide incrociare le braccia al petto nello stesso identico momento e arrossire come due pomodori.
<< Sono così divertenti? >>.
Sobbalzò leggermente quando Ivan le mormorò quelle parole all’orecchio.
Era una bella giornata di primavera, la prima vera giornata calda dopo tanto tempo, e avevano deciso di andare fuori città per un pic-nic sulla spiaggia più vicina.
Tirava un vento piuttosto forte e l’acqua era ancora ghiacciata, ma la sensazione di tepore che le accarezzava le membra era estremamente piacevole.
<< Moltissimo >> Bisbigliò verso il fidanzato ridacchiando con complicità.
<< Beh, tu cosa ne pensi di questa gita scolastica a Vienna? >>.
Le domandò Ivan stendendo le gambe sul pareo che avevano sistemato in spiaggia, prima di rispondere Italia non riuscì a fare a meno di contemplarlo per un po’, sotto la luce del sole Ivan era estremamente pallido, ma gli occhi verdi brillavano come due fanali.
Era bello, allegro, spensierato e il vento gli scombinava tutti i capelli con maestria.
<< Penso che sia la nostra ultima gita come classe, che proverò molta nostalgia e che voglio partecipare a tutti i costi e fare tantissime fotografie! >>.
Commentò giocherellando con le dita nella sabbia sottile, era seduta in posizione indiana sul pareo e il vento le faceva finire tutti i capelli sul viso, alcune ciocche le si attaccavano sulla bocca a causa del lucidalabbra alla pesca che aveva messo quella mattina.
<< Uhm, mi sembra una bella idea >>.
Ivan pronunciò quelle parole stiracchiando le braccia al cielo, poi sbadigliò sfacciatamente e si stese appoggiando la testa sulle gambe di Italia, che lo lasciò fare senza dire nulla.
<< Basta Giasone, sei un idiota! >>.
Sia Italia che Ivan sussultarono all’urlo angosciato di Muriel, che era saltata in piedi come un grillo schizzando tutti di sabbia, e fulminando Giasone con occhi lucidi di pianto.
<< Vattene a Vienna e restaci tutta la vita! Non voglio vedere mai più la tua brutta faccia! >>.
E con un’uscita teatrale si mise a correre verso il bar più vicino, bar dove in quel momento si erano sistemati anche Oscar e Catena per ripararsi dal vento troppo forte.
<< Muriel! Dannazione, mica l’ho fatto apposta? Non volevo davvero toccarle il seno … >>.
Brontolò Giasone grattandosi la nuca, Ivan e Italia lo guardarono sollevando entrambi un sopracciglio, il biondo arrossì violentemente e si tirò in piedi pulendosi i jeans dalla sabbia.
<< Beh, comunque c’è bisogno di fare tutta questa scena?! Manco fossi un maniaco >>.
E dette quelle parole inseguì la fidanzata.
Italia non riuscì a fare a meno di ridere seguendo Giasone con lo sguardo, ma quando il ragazzo sparì all’interno della struttura riportò l’attenzione sul viso di Ivan.
Aveva gli occhi chiusi ed un sorriso beato sulle labbra carnose, le braccia piene di tatuaggi erano ben visibile perché nonostante il vento aveva indossato una maglietta larga a giro maniche, un tripudio di colori e immagini piene di significato.
Italia sollevò un dito e prese a seguire distrattamente il profilo di quelle braccia allenate e tese, sentì la pelle di Ivan rabbrividire sotto il suo tocco, ma lui non emise nessun lamento.
<< Ivan … voglio davvero fare l’amore con te. Davvero, davvero tanto >>.
Italia sussurrò quelle parole, ma Ivan le sentì ugualmente, trasalì leggermente e spalancò gli occhi per guardare la fidanzata, si tirò a sedere di scatto e deglutì, rosso in faccia come un pomodoro troppo maturo.
<< Davvero, davvero tanto? >>.
Mormorò come un pappagallo e Italia scoppiò a ridere, sembrava un bambino spaventato con quegli occhi lucidi, i capelli tutti scarmigliati dietro la nuca e le guance rubiconde.
<< Uhm, sai, per me sarebbe la prima volta in assoluto. E’ così anche per te, vero? >>.
Ivan trasalì nel sentire quelle parole, batté più volte le palpebre ed esitò.
<< Perché la pensi così? >>. Le domandò, Italia fece spallucce e gli sorrise.
<< Perché tu sei così, se non ami davvero non le fai queste cose. Ho ragione? >>.
I pensieri di Ivan si persero in ricordi passati, ricordi di mani su una pelle candida, di capelli corvini stesi su un materasso, di piedi intrecciati e di mani dappertutto.
Scosse frettolosamente la testa e si sforzò di sorridere.
<< Hai ragione >>.
E non lo capì mai davvero perché le avesse mentito in quel modo.
Probabilmente perché si vergognava di se stesso, perché non voleva deludere le sue aspettative, perché dopotutto non aveva avuto il coraggio di dirle che era un uomo proprio come tutti gli altri …
<< E allora fallo con me, con me e solo con me,  vuoi? >>.
Mormorò Italia prendendogli il viso tra le mani, ad un millimetro dalle sue labbra.
Ivan chiuse gli occhi e contrasse le sopracciglia.
<< Va bene, va bene … quando vuoi tu >>.
<< Presto >>.  
E lo baciò.


____________________________________________
Effe_95

Salve a tutti :)
Sono tornata sopo quella che mi è sembrata una vita, perchè ovviamente, adesso che potrei scrivere di più, mi si è rotto il computer ed ho dovuto aspettare un'eternità.
Comunque, spero che questo capitolo vi piaccia.
E' un po' più leggero degli altri, almeno spero xD, e lo si potrebbe definire un po' di "passaggio", anche se in realtà ne ho approfittato per introdurre un po' quelli che saranno i prossimi argomenti.
Prima tra tutti la questione del futuro.
Finalmente Aleksej è venuto a conoscenza della verità, ve lo aspettavate che sarebbe stato Simone a rivelare tutto? ;) E cosa mi dite di Ivan e Italia? Vi sembrerà che io sia impazzita (non posso garantirvi che non sia così xD), ma fidatevi di me, per quanto possibile.
In fine, come ultima cosa, pensavo potesse farvi piacere sapere che ho trovato una canzone che di per se io associo sempre ai Ragazzi della 5A, diciamo la loro colonna sonora: " Parole in Circolo" di Marco Mengoni, se non la conoscete ve la consiglio :)
Detto questo, grazie mille come sempre, spero che il capitolo vi sia piaciuto e non sia troppo scadente. 
Alla prossima spero :)

 
  
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