CAPITOLO 33
Dormii per un po’, nonostante che di tanto in tanto udissi un
discreto tramestio proveniente dal piano di sotto. Ma mai avrei sospettato che
sarebbe accaduto ciò che Giacomo prevedeva e desiderava da tempo.
Ricordo solo che, dopo un po’, mia madre entrò in camera mia
e mi svegliò, con impressa sul viso un’espressione agitata e preoccupata.
‘’Cos’è successo, mamma?!’’, le chiesi, già in ansia e con la
voce impastata e fioca.
‘’Ero appena rincasa quando hanno suonato il campanello, e…
alla porta si sono presentati due carabinieri! Hanno chiesto di Federico, ed io
l’ho chiamato giù. Il ragazzo, che tutto s’aspettava tranne questo genere di
visita, non appena li ha scorti ha fatto delle storie, ma loro l’hanno voluto
condurre immediatamente in caserma. Il motivo non lo so affatto, han detto che
ne avrebbero potuto parlare solo con i membri della sua famiglia, per motivi di
privacy. Ecco, ora mi chiedevo se fosse meglio contattare Roberto…’’, mi narrò
mia madre con il classico impeto di chi è rimasto davvero colpito da ciò che è
successo.
Deglutii, facendo scivolare un po’ di saliva all’interno
della mia gola arida e lievemente arrossata, prima di riconoscere che sì, forse
era davvero meglio telefonargli per avvisarlo.
Annuii senza dire nulla, ed alzandomi lentamente dal letto
riconobbi che i due coniugi Arriga non dovevano ancora aver fatto ritorno a
casa da quella mattina, e tutto ciò era sospetto. Mai entrambi erano stati
fuori per tanto tempo, e lo stesso Roberto non aveva mai saltato un pranzo a
casa.
‘’Mamma, chiamalo… faglielo sapere’’, le dissi poi, per
confermare le mie idee. Roberto andava avvisato, e poi sapevo che la questione
gli stava a cuore.
Fu il turno di mia madre ad annuire, per poi abbandonare la
mia stanza, immersa in un turbato silenzio.
Io non riuscii a far altro che restarmene in camera mia,
sveglio però, ad ascoltarla mentre telefonava a Roberto e l’avvisava
dell’accaduto. Tutto sommato, devo riconoscere tuttora che non ero affatto
dispiaciuto per Federico.
Il nulla.
Ci sono quei momenti, durante la propria esistenza, in cui
una persona vorrebbe essere il nulla, mischiarsi abilmente con esso e sparire
per un po’, volatilizzandosi come per magia.
Il voler uscire dai propri problemi, dalle situazioni scomode
e il non voler sfiorare tasti dolenti a volte può dare questa impressione, che personalmente
mi capita spesso di provare.
Quando ripenso ai concitati momenti successivi a quella sorta
di arresto di Federico, non posso non provare un umiliante brivido. Umiliante,
proprio così. Non tanto per me, ma per una persona che mi sta talmente tanto a
cuore da farmi immedesimare nella sua drammatica situazione.
Ma procedo un passo per volta, altrimenti rischio
d’ingarbugliarmi nel groviglio concitato e frenetico di questi ricordi.
Mia madre aveva avvisato Roberto, ovunque esso fosse, e
l’uomo, da quel che lei aveva capito, doveva essersi recato dal figlio.
‘’Mi… mi sembrava che stesse piangendo!’’, mi disse però
l’unico genitore di cui mi fidavo, sbottando la frase quasi in modo ingenuo ed
incredulo.
Anch’io pensai che quella fosse stata solo una sua
impressione, dovuta alla concitazione del momento. Ma sbagliai.
Roberto rincasò solo qualche ora dopo, seguito dalla moglie.
Io e mia madre stavamo già cenando, dopo aver lasciato qualcosa da parte per
quel fannullone di mio padre, che ancora non era tornato da chissà dove, ed
eravamo in attesa di notizie da parte dei coniugi, se ovviamente avrebbero
voluto condividere qualcosa con noi.
Mia madre sapeva che se Federico era nei guai era anche per
causa mia, e temeva che questo avrebbe potuto guastare irreparabilmente i rapporti con gli inquilini, lei che era tanto
egoisticamente amante della pace, ma stava di fatto che ormai era tutto finito
e le carte erano già tutte in tavola. Non si poteva fare più nulla per
cambiarle.
Ci alzammo da tavola, sentendoli rientrare, e fui parecchio
sorpreso di vederli rincasare assieme, ma immaginai che provenissero dalla
caserma. Federico non era con loro. Roberto appariva livido in volto, più
demoralizzato che arrabbiato, mentre Livia era furente.
I due entrarono nella cucina l’uno dopo l’altra, come furie,
ed io e mia madre ce ne restammo in piedi a lanciarci a vicenda uno sguardo
allarmato.
‘’Il nostro soggiorno in questa casa è terminato. Entro
domani ce ne andiamo da questo tugurio e da questo paesino insignificante’’,
esordì Livia, con un tono di voce molto deciso e tagliente.
Il suo chiaro intento era umiliare mia madre, con le sue
parole e il suo insulto rivolto alla nostra dimora, ma lei non colse l’offesa,
parve lasciarsela scivolare addosso. Notai che il suo sguardo era tutto
dedicato a Roberto, rimasto ancora in silenzio in quel primo concitato momento,
in cui la moglie pareva su tutte le furie.
‘’Parla per te e tuo figlio. Io resto, almeno per un po’ ‘’,
disse l’uomo, e riconobbi che la sua voce era davvero incrinata. Sembrava che
avesse pianto, anzi, ne ero quasi sicuro.
‘’Certo, ma chi ti vuole? Anche la nostra storia è finita
qui, sempre se è mai esistita’’, ribatté l’aristocratica, facendo una smorfia
di evidente disgusto ed afferrando un bicchiere pulito dal lavabo.
Io e mia madre eravamo allibiti, e la mia cara genitrice,
preoccupata, si mise a servire l’ultima porzione della nostra cena, in modo che
noi potessimo concluderla in fretta per poi lasciare spazio agli Arriga. Tornai
quindi a sedermi.
I due coniugi, dal canto loro, parevano non aver voglia di
uscire dalla stanza; mentre Roberto si era lasciato scivolare lentamente su una
sedia libera posizionata a fianco del tavolo, la signora sembrava davvero
intenzionata a sorseggiarsi in tutta tranquillità un po’ di succo di frutta,
che si era appena versata nel bicchiere.
Riconobbi che forse sarebbe stato meglio se avesse
sorseggiato un po’ di camomilla calda, visto il suo stato.
‘’Il nostro percorso assieme…’’, tentò di dire Roberto,
subito interrotto brutalmente dalla risata stridula della moglie, che soverchiò
ogni altro rumore.
‘’Il nostro percorso assieme! Il nostro percorso! Ma sei
davvero ridicolo, Roberto. Ho sempre saputo che eri un uomo che non valeva
nulla, ma almeno pensavo che tu ci arrivassi a comprendere almeno qualcosa di
elementare. Non c’è mai stato nessun nostro percorso! C’è stato solo il mio’’,
disse ad alta voce Livia, mentre io e mia madre continuavamo a mangiare. Il
cibo quasi mi formava un nodo in gola di fronte a quelle orrende parole, tra
l’altro pronunciate di fronte a noi due estranei alla loro famiglia, come se
fossero cose di normale routine su cui chiacchierare.
‘’Antonio, finiamo di cenare dopo. Lasciamo che…’’, tentò di
dire mia madre, ma l’ennesima risata isterica della signora la interruppe.
‘’No, potete ascoltare, state tranquilli! Ora chiedete il
permesso, quando non avete fatto altro che origliare, spiare e controllarci per
tutto il periodo in cui abbiamo soggiornato qui. Restate, vi prego! Questa è la
resa dei conti, quel momento a cui avete partecipato attivamente per costruirlo
negli ultimi mesi… ascoltate e guardate i risultati che avete ottenuto!’’,
disse la donna, amaramente.
‘’Noi non abbiamo mai spiato nessuno’’, sussurrò mia madre,
sconcertata dall’esagerata reazione dell’aristocratica.
‘’Ah no? No, ne sei proprio sicura? Tu, pulitrice di
gabinetti e quell’infame vermiciattolo di tuo figlio non avete fatto altro che
remarci contro dal primo giorno in cui ci avete visto. Bastardi! Lo so che
odiate me e mio figlio, ma…’’.
‘’Livia, questa è una faccenda che riguarda noi due e
Federico. Non tirare in ballo persone che non c’entrano nulla in tutta questa
storia’’, la bloccò Roberto, quando ormai la moglie era totalmente e
rabbiosamente scagliata contro di me e di mia madre, che da parte sua abbassò
lo sguardo e non trovò la forza per replicare nulla.
A volte mi sento un po’ come la mia mamma, e devo riconoscere
che neppure lei è mai stata una donna d’animo forte e sicuro. Quella fu una
situazione in cui tutta la sua debolezza trasparì in un modo talmente tanto
chiaro da farmi sentire male anche per lei.
Con quelle parole, Livia aveva umiliato entrambi, ma nessuno
di noi due era riuscito a tener testa a quella che pareva un’ira repressa,
venuta fuori lentamente e nel corso dei vari giorni precedenti a questo
momento, per poi esplodere definitivamente tutta d’un colpo.
‘’Il fetente è entrato più volte in camera di mio figlio.
L’ha provocato fino a farlo impazzire! E poi si lamenta se gli ha dato un
qualche scapaccione! Ed ecco che il povero Federico è nei guai, guai grossi
questa volta, e lui se ne sta qui dietro la sottana di sua madre, a fare il
santo, solo perché ha ricevuto un calcino nel didietro… nei guai dovevi esserci
tu, deforme mentale!’’, aggiunse la signora, rincarando comunque la dose.
Fui lì per rispondere qualcosa, ormai troppo nervoso per
riuscire a stare zitto e a lasciarmi sottomettere dalla mia naturale timidezza,
ma Roberto si alzò e in lampo si avvicinò a me, appoggiandomi una mano sulla
spalla destra e chinandosi leggermente verso il mio volto.
‘’Non rispondere a questi insulti, Antonio. Non dar seguito
alle parole di una donna che ormai ha perso tutto, anche la dignità di donna
coniugata, ed è impazzita’’, mi disse, a voce bassa, ma non tanto da non essere
udita dalla vicina moglie, che però quella volta non rise, anzi, strabuzzò gli
occhi.
‘’Ecco, sono una pazza anche per te… questa è la ricompensa
per quello che ho fatto per il tuo bene! Essere chiamata pazza, essere
odiata…’’.
Livia era ancora furente, ma non aveva intenzione di
schiodarsi dalla sua postazione, appoggiata leggermente con la schiena contro
la bassa credenza della cucina, quasi avesse bisogno di un supporto fisico per
restare in piedi.
‘’Ad aver sbagliato tutto e ad averci rimesso, in questa
storia, sono stato proprio io. Fin dall’inizio. E per questo ritengo giusto che
ogni rapporto tra noi due abbia immediatamente fine’’, mormorò Roberto, sempre
affranto e senza commentare le parole della moglie, che dal canto suo appariva
meno dispiaciuta e più fuori di sé.
‘’Non ti doveva neppure passare per l’anticamera del cervello
di corteggiarmi! Di fissarti con me… tu dovevi lasciarmi in pace! In questo
momento, io e Federico saremmo stati felici e lontani da qui, ancora a Bologna,
a goderci la vita e non a roderci l’anima’’.
‘’Non capisci proprio nulla. Credi che senza di me tu e
Federico avreste avuto una vita serena? I tuoi ti avrebbero costretto ad
abortire, o a lasciare il bambino in ospedale. Ricordi quello che ti diceva tuo
padre? Le brutte parole che ti rivolgeva, quando scoprì che eri incinta, e per
di più…’’.
‘’Basta così. Non rigirare il coltello nella piaga. Ma penso
che tu non abbia ragione, e a volte immagino di nuovo la mia vita libera, senza
di te. E d’ora in poi sarà proprio così che vivrò! Non sono più una ragazzina,
so esattamente quello che voglio’’, tagliò corto Livia, diventando pensierosa
per un attimo.
Mia madre si preparò improvvisamente a lasciare la stanza, e
lo fece, mentre quando io tentai di muovermi Roberto mi posò di nuovo le sue
mani sulle mie spalle, quasi invitandomi a stare lì.
‘’Non lasciarmi solo proprio in questo momento, mio giovane
amico’’, mi sussurrò infatti, con la voce sempre più incrinata.
Io ero pietrificato di fronte al suo dolore, e a ciò che
stava accadendo. Avevo come una vaga idea del fatto che fossi stato io
l’artefice dell’improvviso e repentino deterioramento del rapporto di coppia
dei coniugi Arriga, e questo mi faceva stare ancora peggio.
Non volevo udire quella loro discussione, poiché prima di
tutto non lo ritenevo giusto, e poi ne avevo sentite fin troppo durante la mia
giovane vita.
Nonostante tutto, decisi di restare lì, accettando
tacitamente la richiesta di quell’uomo che aveva fatto tanto per me, fino a
quel momento, e che io avevo ricompensato distruggendogli la famiglia e
rovinandogli l’esistenza. Ecco, interpretai quella mia scelta di non
abbandonare la cucina come la voglia di scontare la giusta punizione per il
grave peccato che avevo commesso la sera precedente, dove forse mi ero lasciato
influenzare troppo dalle parole critiche dei miei amici e soprattutto di
Giacomo, sempre troppo innervosito nei confronti degli Arriga.
Solo in seguito compresi che forse, in quei giorni, ero stato
davvero troppo severo con me stesso. I due coniugi Arriga parevano essere
giunti alla fine della loro relazione già da un po’; io e la mia scelta dissennata,
molto probabilmente, eravamo stati solo la goccia che aveva fatto traboccare
definitivamente il vaso.
‘’Sì, ragazzino, non lo lasciare solo! Da quando siamo giunti
qui, non ha fatto altro che scodinzolarti attorno. Tienitelo, questo cane…’’,
ribatté l’arpia, sempre pronta a ferire con la sua perfidia senza limiti.
‘’Adesso basta, stai esagerando. Falla finita e vai a
preparare le cose… le tue cose e quelle di tuo figlio. Non voglio più né voi né
nulla di vostro a portata dei miei occhi’’, sibilò Roberto, sempre vicino a me.
Mi sentivo davvero di troppo, volevo andarmene da quel luogo
ormai pieno d’odio e di rancore covato per anni e anni, e poi schiuso tutto ad
un tratto. Ma ricordavo sempre che avevo una pena da scontare e un amico da
supportare.
Perché Roberto era un mio amico, nonostante fosse molto più
grande di me; mi aveva passato molto, insegnandomi ad amare e a rispettare la
natura, a riflettere prima di commettere scelte sciocche, a guardare le cose e
gli eventi attraverso un’altra prospettiva, ovvero quella che poteva apparire
sempre come la più interessante e quasi impensabile. Non potevo e non volevo
lasciarlo solo, ma ammetto che, al solo ricordare le parole che Livia gli stava
rivolgendo, mi ribolle ancora il sangue nelle vene.
Sul momento avrei voluto rispondere in qualche modo a quelle
provocazioni, ma alla fine mi trattenni sempre, ben sapendo che quello che
stava accadendo tra i due adulti non era assolutamente un affare mio. Erano
persone grandi e vaccinate, e stava a loro regolare autonomamente i loro
rapporti, anche se in modo scorretto e malato.
Io ero solo un ragazzino, e la mia missione era quella di
supportare un amico grazie alla mia presenza fisica, e nient’altro.
‘’Certo, è proprio quello che ho intenzione di fare, ma prima
voglio spiattellartene un po’ nel naso, e proprio di fronte a qualcuno che
magari ti idealizza pure!
‘’Ti rendi conto?! Per più di vent’anni ho vissuto con un
uomo come te, un verme insulso, inabile in ogni genere di lavoro e totalmente
incapace… ho dovuto tirare avanti con le mie forze, ed ho dovuto instradare
nostro figlio in un modo poco responsabile, per far sì che potesse anch’esso
tirare avanti senza mai doverti chiedere troppo. E tutto questo perché?! Ma
perché sei un fallito, è ovvio!
‘’Non hai mai concluso nulla durante tutta la tua vita,
stando prima nascosto dietro la sagoma di tuo padre per poi venire allo
scoperto e prendermi a tradimento… ti rendi conto che per quasi ventidue anni
tu hai vissuto di buona carità? Tua moglie te l’ha fatta. Io avevo una sorta di
debito con te, e l’ho ripagato a modo mio; ma tu sei sempre stato come un cane,
proprio come ti ho detto poco fa.
‘’Sai, è stato come avere un pastore tedesco al posto di un
marito; un uomo cupo, riflessivo, per nulla attivo e che mangiava solo.
Un’incapace. Ti ho mantenuto così come tanti altri mantengono un animale
domestico’’, proseguì Livia, imperterrita e sfoggiando per la prima volta un
sorrisino soddisfatto, sempre contornato da quel nasetto leggermente aquilino e
quelle labbra increspate e rosse come il fuoco, grazie al rossetto, con quei
capelli ribelli come quelli del figlio e a quegli occhi sempre un po’ troppo
spalancati e a tratti leggermente impressionanti.
‘’Antonio!’’, mi richiamò mia madre dal corridoio, per
togliermi da quella situazione scomoda.
‘’E’ tutto a posto Maria, non temere… noi abbiamo già finito
di discutere, non abbiamo proprio più niente da dirci’’, la rassicurò
prontamente Roberto, alzando un po’ il tono della voce e cercando di non
rispondere direttamente alle orribili provocazioni lanciategli dalla moglie.
Livia era veramente una donna perfida e mediocre, e a quel punto e di fronte a
quelle parole di una forza tremenda, mi veniva da chiedermi quale fosse stata la
sua storia con l’uomo che aveva poi sposato.
Io ero sempre lì, pietrificato sulla mia sedia e mortificato
per via dell’umiliazione pesante e a parole che stava venendo inflitta al mio
caro inquilino. Inoltre, quel riferimento scorretto rivolto agli animali
domestici mi aveva davvero lasciato allibito; Livia era davvero impazzita.
Si dice che chi non vuol bene agli animali non è neppure in
grado di volerne alle persone. Ciò che Livia aveva tirato fuori spontaneamente,
in quell’agitatissima sera, forse era una piccola conferma del più noto detto
popolare.
Ora che ho avuto modo di imparare a convivere con gli animali
domestici, posso assicurare a chiunque che essi sanno essere pure molto meglio
degli umani. E di certo molto, ma davvero molto meglio di Livia.
‘’Sì, abbiamo finito di discutere, sguattera… vieni pure a
sistemare questo schifo di tavola, tanto io non mi ci siederò più attorno ad
essa’’, replicò Livia dopo aver udito le parole del marito e rivolgendosi a mia
madre, che dal canto suo preferì non rispondere. Come al solito.
‘’Sei liberissima di insultare me e di far del male a me, ma
non provocare e non tormentare le altre persone di questa casa. Ricorda che
questa non è casa tua’’.
Roberto era inflessibile. Non pareva poi neppure più di tanto
colpito dalle offese che gli erano state rivolte contro, ma sfoggiava ancora
quell’espressione rattristata e demoralizzata di poco prima.
‘’Con tutti i soldi che mi hanno fregato, facendomi pagare un
affitto spropositato per due camere, un bagno e una cucina condivisa, posso
tranquillamente rivolgere offese verso chiunque’’.
‘’Il tuo è tutto rancore. Ti provoca bruciore interiore il
fatto che non sei riuscita a prendermi in giro fino in fondo, ad abbindolarmi…
ed ora ne approfitti per prendertela con chiunque. Non sei mai cambiata, Livia!
Eri così da ragazzina, poi hai messo sul tuo viso quella maschera da donna
distaccata e forte quando tutto ti appariva più propizio, per lasciarla cadere
una volta per tutte quando la situazione ha preso una piega nuovamente a tuo
sfavore… ora vattene, ti prego. Vai in camera. Prepara le tue cose’’, riprese a
dire il consorte, con rassegnazione e facendo pressione per concludere quella
discussione imbarazzante, condotta di fronte ad estranei e carica di offese
umilianti.
‘’Sì, vado subito e non me lo faccio ripetere, stai
tranquillo… ci tengo però a farti capire che non devi cantar vittoria, perché
in tutto questo ho vinto solo io, mio caro; se non l’hai capito, ti ho tenuto a
mio fianco fintanto che facevi comodo a me e a Federico, ed ora che non ci
servi più, e che potrò avere un’altra alternativa parecchio più allettante,
lascio che tu vada a quel paese! Mi sono proprio stancata di vedere tutti i
giorni il tuo viso, di averti sempre tra i piedi… mi fai schifo, e me ne hai
sempre fatto, se non è mai stato chiaro fino a questo momento!’’.
Livia, ormai abbandonata la sua maschera e quasi urlando, ci
tenne a sottolineare per bene ogni concetto. Voleva averla davvero vinta su
quel marito che non mi era mai parso così tanto debole e passivo.
Di certo, la signora era una donna molto forte, ma che quando
si lasciava andare alle sue emozioni diventava una sorta di megera; ormai, come
le aveva riconosciuto anche il marito, aveva lasciato cadere la sua mediocre
maschera e si era rivelata per quella che era, concludendo quel percorso di
cambiamento che era cominciato da quando Federico aveva iniziato ad avere
problemi con me, per poi giungere a minacciarmi direttamente, qualche mattinata
prima.
La farsa dell’aristocratica poteva dirsi finalmente conclusa,
essendosi rivelata perfettamente per quello che era.
‘’E’ tutto molto chiaro. Vai a preparare le tue cose e
vattene. Prepara anche quelle di Federico’’, tornò a ripetere Roberto, sempre
senza rispondere in alcun modo alle offese rivoltegli contro.
Ero stupito dal fatto che l’uomo non volesse più vedere il
figlio, quel ragazzo che pareva voler seguire sempre con pazienza e cercando di
sforzarsi per andargli incontro in tutti i modi. Riconobbi sul momento che
quella era una di quelle classiche situazioni molto dolorose, soprattutto per
alcuni membri di una famiglia, e continuava a dispiacermi davvero molto per il
povero Roberto.
Ero anche più che certo che da quella mattina qualche
dinamica interna alla famiglia Arriga fosse stata stravolta.
Nel frattempo, Livia si distaccò dalla credenza, e,
attentamente, cercò di riprodurre un andamento sicuro di sé mentre sfrecciava
davanti ai nostri volti, dirigendosi finalmente verso il corridoio e le scale.
Mi venne quasi da tirare un sospiro di sollievo, mentre
Roberto si lasciava sfuggire un profondo gemito. Fu così che capii che anche le
parole appena dette avevano lasciato su di lui un indelebile segno.
Mentre l’uomo crollava su una sedia a fianco a me, e la
moglie sembrava davvero intenzionata a chiudere lì il dibattito e a sparire al
piano superiore, la porta d’ingresso si spalancò di colpo, facendo una botta
che quasi mi spaventò.
Pensavo che si trattasse di mio padre, con uno dei suoi
classici ingressi prepotenti e a sorpresa, ma dovetti ricredermi in fretta,
poiché una frazione di secondo dopo la brutale entrata in casa apparve un
trafelato Federico, ficcando per un istante il suo viso dentro la cucina, per
poi tentare di tirare dritto verso le scale non appena ebbe notato che non era
presente alcun viso amico per lui.
‘’Federico, figlio mio!’’, sentii singhiozzare Livia, ancora
nel corridoio, dove aveva atteso l’amato figliolo, per abbracciarlo proprio a
pochi passi dalla porta della cucina stessa. Potevo intravedere le loro sagome,
e decisi di spostarmi.
Dato che il combattimento tra coniugi era finito, potevo
anche bere qualcosa per riprendermi, e poi svignarmela.
Casa mia era diventata un inferno. Mentre mi alzavo dalla mia
sedia, mi venne da gettare un’occhiata alla roba di mio padre, sistemata in un
angolino e all’interno di due valigie ben chiuse, e solo quella breve visione
seppe infondermi tanta nuova amarezza.
Sul momento ricordo che non stavo male; come ho correttamente
ricordato poco fa, ero solo amareggiato dalla piega che aveva preso tutto
quanto. Era comunque una piega che si sarebbe potuta prevedere, ma che io nella
mia probabile stoltezza non ero riuscito a comprendere per bene. E quello che
restava era, come ora, la mia voglia di mischiarmi col nulla e di trovare un
po’ di pace e di sollievo da tutto ciò che stava accadendo.
‘’Mamma…’’, mugugnò il mio nemico, tra le braccia materne nel
corridoio.
Decisi di temporeggiare un attimo, in modo da evitare d’incontrare
madre e figlio nel corridoio, e di ammazzare qualche minuto bevendo, come mi
ero ripromesso, e sperando che i due si levassero di lì. Immaginavo che non
avessero affatto piacere di vedermi in faccia, e non mi andava proprio di
sfilare sotto al loro naso.
Eppure, la sorte non volle offrirmi la chance di riuscire a
dileguarmi, poiché Federico ebbe la balzana idea di tornare sui suoi passi, ed
incredibilmente di entrare in cucina, forse perché aveva visto me e Roberto e
ne aveva pensata subito una delle sue.
‘’Allora?’’, gli chiese il padre, lentamente, ancora seduto
sulla sua sedia. Il ragazzo gli rivolse solo una semplice occhiata in tralice,
prima di muoversi verso di me e verso il lavabo.
Mi feci subito da parte e mi diressi verso la finestra.
‘’Allora niente. Rischio un sacco di ripercussioni legali.
Secondo loro, ora ci sono ufficialmente tutte le prove che servono per
incastrarmi; sono io il vandalo che ha rovinato la facciata del liceo, sono io
che ho rovinato la macchina di un insegnante, poiché sarei stato ripreso con
chiarezza da una telecamera del posto recentemente visionata, sono io che ho
ideato… e che ho picchiato e messo in atto azioni di violento bullismo in rete
e nella vita reale. Insomma, sono proprio colpevole di tutto!
‘’Sarete pure contenti, adesso. Magari, han detto che se la
preside si accanisce e le denunce continuano a fioccare, e se le vittime di
questi gesti vorranno continuare ad andare fino in fondo, rischio fino ad un
anno e mezzo di galera… senza contare i danni che dovrò risarcire. Al momento
non sono stato arrestato, ma dovrò sempre fornire tutti i dati dei miei
spostamenti e non posso abbandonare la provincia. Devo essere sempre
rintracciabile, in attesa di quel che accadrà…’’, disse Federico, puntando il
suo sguardo su di me. Io lo distolsi subito, ma sapevo che lo stava facendo per
ferirmi e tentare per un’ultima volta di mettermi in soggezione.
Roberto era rimasto sbalordito, nel frattempo, e di fronte a
quelle parole pure sua madre era tornata silenziosamente ad affacciarsi alla
porta della cucina, con le mani unite a mo’ di preghiera al di sotto del mento.
‘’Quei tre stronzetti che avevo conosciuto al liceo sono
colpevoli, ma invece di confessare semplicemente, a quanto pare si sono messi
ad infierire, giurando che li ho strumentalizzati. È colpa mia se a loro andava
di far atti vandalici e pestaggi! Avrei dato loro dei soldi e il sostegno per
compierli.
‘’Ma forse sono stato io ad essere stato strumentalizzato da
loro. E comunque, io sono innocente ed estraneo a tutto ciò, e mi ritengo tale.
Mi sono solo trovato nei posti sbagliati in momenti sbagliati, tutto qui’’,
concluse il ragazzo, sempre fissando me.
Mi sentivo addosso tutto il peso del suo sguardo, e non so
ancora il perché del fatto che la sorte volle che dovessi assistere a tutta
quella sequenza di situazioni non di certo linde degli Arriga. Mi sentivo
davvero impotente e sfortunato, e non avevo neppure più il coraggio di uscire
da lì, poiché Livia l’avvoltoio se ne stava appollaiata nel bel mezzo della
porta della cucina, riprendendo a sgranare nervosamente i suoi occhiacci dopo
qualche secondo di normalità.
‘’Posso testimoniare io, che tu sei innocente! Ti giuro che
te la caverai…’’, sussurrò la madre, muovendo qualche passo verso il figlio, che
la mantenne a debita distanza solo alzando una mano.
Federico era tetro ed appariva stanco, ma manteneva un certo
comportamento austero e freddo, nonostante tutto.
‘’Livia, è possibile che non capisci? Ha sbagliato, e…’’.
‘’E un corno! Lo so che mi odi, sei un fottuto stronzo come
tutte le persone che ho incontrato durante la mia vita. Dai, comincia a remarmi
contro anche tu! Vai a sporgere una denuncia immaginaria, su!’’, sbottò
freddamente il ragazzo, interrompendo il padre.
‘’E non osare mai più tentare di parlarmi’’, ribatté Livia,
indirizzando la frase al marito, che dal canto suo si limitò ad alzare le
braccia in segno di disinteressata resa.
‘’Mamma, sono in guai grossi. Mamma, sono nei casini questa
volta…’’, cominciò improvvisamente a mormorare il mio nemico, per poi
finalmente vacillare. La sua espressione tesa ma distante scomparve in un
battito di ciglia, e il giovane cominciò all’improvviso a piangere a dirotto.
La madre, pronunciando parole di conforto, si avventò subito
su di lui, avvolgendolo in un caldo abbraccio.
Abbassai lo sguardo, imbarazzato, e approfittando del momento
tentai di dirigermi verso la porta.
Mentre mi muovevo, già sentivo la ventata d’aria di libertà
che avrei trovato nel corridoio, in quel momento lontano da quegli estranei
delinquenti e litigiosi, ma le carte in tavola furono nuovamente rimescolate
dall’ennesimo attacco di Roberto, ormai allo stremo. L’uomo pareva essersi
racchiuso nel suo mondo cupo e indifferente, freddo e passivo, nonché doloroso;
mai fino a quel punto l’avevo notato così scoraggiato e distante, lui che era
sempre vicino a tutti e caldo come il sole dell’estate.
‘’Federico, sei un uomo ormai! È mai possibile che tu non ti
sia accorto che stavi sbagliando, e che continuavi a seguire la via sbagliata
mentre io mi sgolavo a ripeterti che così non andava affatto bene... insomma,
in fondo è questione di maturità saper rendersi conto dei propri errori, e
accusarne le ripercussioni senza tante manfrine’’, disse infatti il padre di
famiglia, mentre già il figliolo scattava di fronte a questo discorso pesante
ma veritiero.
‘’Adesso basta. È da quando sono nato che mi giudichi, che mi
costringi ad indossare le tue idee, che vuoi che io faccia solo ciò che vuoi
tu… ma chi sei tu per potermelo dire? Eh?’’, sbottò arrogantemente il giovane,
smettendo di frignare ed allontanando la madre da lui.
Io raggiunsi la salvezza, ovvero il corridoio, e mi chiesi se
quello fosse il modo corretto di rivolgersi ad un genitore. Mi chiesi anche se
il caro Roberto avesse ancora avuto bisogno di una presenza amica a suo fianco,
in quegli istanti così lugubri e oscuri, ma non mi feci problemi a pensare che
quelli erano strettamente affari suoi, e la presenza di altri avrebbe solo
rischiato di far inasprire ulteriormente la situazione, come d’altronde pensavo
che fosse già accaduto.
In effetti, madre e figlio quando avevano calato gli affondi
più decisi avevano anche spostato lo sguardo su di me, forse per valutare se
anche su un estraneo alla vicenda quelle frasi avessero fatto l’effetto
desiderato.
In quei concitati momenti, Livia e Federico volevano
dimostrare la loro superiorità, nonostante tutto, seppur constatando di aver
perso un po’ su tutti i fronti. Il voler schiacciare prepotentemente Roberto
pareva quasi un ultimo tentativo in corner per cercare di avere almeno una
piccola vittoria, anche se piccolissima in confronto all’amarezza, sicura e
unica vincitrice dello scontro. Stavano cercando una sorta di contentino, che
potesse minimamente alleviare tutta la loro delusione provocata dalla vicenda.
‘’Sono… tuo…’’, tentò di dire Roberto dall’interno della
cucina, intanto.
‘’Tu non sei nessuno per me’’, tagliò corto Federico, per poi
rimettersi a piangere.
Io mi allontanai, e raggiunsi mia madre, che nel frattempo si
era seduta sui gradini delle scale, senza altro posto in cui andare. Mi fece un
po’ di spazio, quando mi vide arrivare, ed io mi accomodai a suo fianco.
‘’Ho sbagliato, Antonio. Mi perdonerai mai?’’, mi chiese,
quasi all’improvviso.
Io mi volsi verso di lei, giusto in tempo per notare la sua
espressione realmente dispiaciuta.
‘’Non so perché dici così…’’, dissi, un po’ frastornato. Mia
madre non mi aveva mai chiesto scusa per qualcosa, fino a quel momento.
‘’Ho lasciato che degli estranei entrassero in casa e
spadroneggiassero ovunque. Guarda ora come siamo ridotti; tu sei stato
malmenato da un bullo, io non ho neppure più una stanza in cui stare
liberamente… mi piaceva la cucina, cucinare e preparare i miei pasti… ed ora
quei pazzi se la sono presa, per litigare per l’ennesima volta ed insultarmi!
Tu non hai neppure più la tua saletta e il tuo pianoforte, e questo perché ho
permesso a quel prepotente di tuo padre di riappropriarsene. Insomma, questa è
casa mia, casa nostra e di noi due, ed io ho lasciato che tutta questa…
gentaglia si prendesse ogni cosa! Ora non ci resta altro che la disperazione’’,
rispose mia madre, facendo piccole pause quando le emozioni e le parole si
facevano più difficili da esprimere liberamente.
‘’Mamma, so che le tue intenzioni iniziali erano buone. I
soldi degli Arriga ci facevano assolutamente comodo, e Sergio era tornato come
un profugo… quindi, ripeto che ho compreso che ciò che è poi accaduto e che sta
accadendo non si è sviluppato volutamente. Il resto non importa’’, minimizzai,
comunque facendo leva sul fatto che mi era molto chiaro che mia madre non aveva
mai pensato che le sue piccole ed accorte scelte avessero potuto sconvolgere le
nostre esistenze in quel modo.
‘’Davvero? Quindi non ti fa senso il fatto di aver perso
tutto in quella che era casa nostra, dalla serenità…’’.
‘’No, mamma, no. Credo che ormai sia solo questione di poche ore
prima che tutto si concluda, e poi non dovremo più piangere sul latte
versato’’, le risposi, tagliando corto, e forse con un po’ troppa foga. Ma
avevo espresso una delle mie più concrete sensazioni interiori.
Con un po’ di fortuna ci saremmo potuti liberare di mio
padre, e quindi anche della rottura della sua ragazza, mentre Livia e Federico
molto probabilmente se ne sarebbero andati entro ventiquattro ore. Roberto,
poi, non era assolutamente un problema.
Mia madre annuì alle mie parole, ma non mi parve interamente
convinta.
‘’Questa gente ci ha influenzato troppo. Da quando sono
venuti a contatto con noi, hanno saputo cambiare le nostre vite’’.
Quelle parole appena pronunciate non avrebbero fatto effetto
su di me se non avessi notato un retrogusto di ignoto dietro ad esse. Non volli
comunque indagare più a fondo con mia madre a riguardo, e mi limitai a parlare
per me, senza tentare di approfondire o di cercare aghi in un pagliaio in quel
momento tanto agitato e doloroso. Il momento delle verità e delle scuse.
‘’E’ vero’’, dissi.
Mi limitai solo ad accettare il significato più superficiale
di quelle frasi, sistemandomi meglio sullo scomodo gradino di granito. Avrei
voluto andarmene al piano superiore, e già mi accingevo ad alzarmi, poiché
avevo bisogno di stare un po’ di tempo da solo e magari rimuginare sugli ultimi
eventi, ma neppure quella volta tutto ciò mi fu concesso dal destino.
Non seppi mai cosa fece tracimare il vaso della razionalità a
tratti infantile di Federico; a suo tempo mi è bastato udire un grido
raggelante, emesso da Livia, che risuonò per tutta casa e forse anche in quella
dei vicini.
Io e mia madre ci guardammo e scattammo in piedi, pronti a
dirigersi verso la cucina per scoprire ciò che era successo. Eravamo fin dal
primo momento convinti che si trattasse di qualcosa di realmente orribile,
poiché l’aristocratica non aveva mai cacciato un grido simile prima di
quell’istante.
Con la pelle accapponata, e, povero me, nascosto parzialmente
dietro a mia madre, facemmo in fretta capolino sulla soglia della cucina, dopo
che il mio unico genitore ragionevole mi aveva rapidamente mostrato tutte le
sue paure con un rapido sguardo. Anche lei temeva una pazzia di quegli
scellerati inquilini, date le circostanze, e purtroppo non ci sbagliavamo
affatto.
Non appena ci affacciammo quasi nello stesso istante alla
porta della stanza, notammo fin da subito che Federico era in piedi, nel bel
mezzo della camera, mentre tra le mani impugnava saldamente un lungo coltello
da cucina, prelevato da uno dei cassetti di mia madre. Livia era a pochi passi
da lui, con le mani sulla bocca come per sopprimere l’ennesimo grido bestiale,
e l’impassibile Roberto se ne stava ancora seduto sulla sua postazione, con gli
occhi abbassati e non rivolti direttamente alla scena.
Ciò che era più inquietante era che il ragazzo rivolgeva la
punta dell’oggetto tagliente verso il suo petto, e pareva deciso a non
abbassarlo affatto e a non lasciarne la presa.
‘’Se quelli mi fanno qualcosa, o mi mandano in tribunale a
causa di tutto quello che è successo, io mi ammazzo. Mamma, ho paura! Troppa
paura! Mi ammazzo. E tu guardami, imbecille! È anche per colpa tua se mi sono
ridotto così! Io mi ammazzo, mi ammazzo. Se mi danno una condanna, mi
ammazzo…’’. E così dicendo, Federico scoppiò di nuovo in lacrime.
Io e mia madre eravamo a bocca spalancata, senza aver avuto
la forza neppure per respirare, ancora troppo stupiti da quella scena. Poi,
all’improvviso, tutto si concluse così com’era iniziato, ovvero con incredibile
fretta.
Ancora in lacrime, Federico gettò via il coltello verso un
angolo della cucina, per poi correre rapidamente verso la porta. Io e la mamma
ci spostammo per lasciarlo passare, mentre anche Livia si riscosse e si mise ad
inseguirlo, passandoci a fianco sussurrando qualche parolaccia di difficile
comprensione rivolta verso il marito, che fu l’unico a restarsene ancora
placidamente immobile e pietrificato.
Il coltello, intanto, continuava a tintinnare al suolo nel
punto in cui era caduto, mentre la sua lama mandava qualche bagliore verso il
soffitto, colpita dalla luce.
‘’E’ un pazzo squilibrato e viziato, è da tempo che lo dico a
sua madre. Va aiutato… o meglio, andava aiutato. A questo punto, è già
rovinato. Ma questo non è più un problema mio…’’, mormorò con tono rassegnato
l’uomo, dedicandoci un rapido sguardo, per poi riabbassare nuovamente gli occhi.
Come ci eravamo ridotti, in quel momento! Sembravamo davvero
una banda di pazzi. Per fortuna non c’era mio padre, altrimenti lui avrebbe
potuto essere l’ennesimo folle della serata.
Io mi allontanai subito da lì, mi riscossi e giunsi quasi di
corsa fino in camera mia, senza pensare a mia madre che invece doveva essersi
diretta verso Roberto.
Non feci caso a nulla e non pensai a nulla, se non pregando
di dimenticare in fretta quella scenata a cui ero stato costretto dalle
circostanze ad assistere. Aveva ragione mia madre, quando diceva che quei tre
inquilini avevano cambiato la nostra vita. Più che altro, l’avevano
scombussolata.
E dentro di me restava solo un’infinita amarezza.
Non provavo dispiacere per Federico; passati quegli istanti
di spavento e di incredulità, mi era parso subito ovvio che stesse continuando,
con la sua solita irrazionalità, a giocare a fare la vittima e l’innocente. La
scena drammatica e quasi teatrale di poco prima forse l’aveva pure pianificata
da tempo, per far inasprire ulteriormente la madre, che stava utilizzando
abilmente come scudo umano e ultima difesa.
E Livia ormai era definitivamente impazzita; il figlio doveva
essere l’unica persona al mondo al quale voleva bene, e lui, utilizzando quel
pizzico d’amore genitoriale malato, stava inscenando tutto per farla uscire
definitivamente di senno, e magari per cercare di lanciarla contro chi lo stava
per mettere davvero alle strette, anche se sarebbe valso a poco il suo
intervento.
Riconobbi sul momento di aver analizzato tutto con estrema
freddezza, e che forse non era così, ma più semplicemente quell’ultima reazione
si trattava della dimostrazione della follia più genuina e del disagio
interiore che stava vivendo quel ragazzo prepotente ed emarginato.
Ma misi un paletto ai miei pensieri. Avevo assolutamente
bisogno di staccare un attimo la spina. Quella mostruosa realtà mi stava
lasciando cadere in un baratro oscuro.
Senza pensarci due volte, afferrai il mio cellulare e telefonai
alla persona che più amavo a quel mondo… in quegli istanti colmi di agitazione
e di tensione non sognavo altro che rivederla, poterla stringere a me e
chiacchierare con lei.
Il timore di affrontare l’argomento Alice era stato superato
in fretta grazie agli eventi traumatici a cui avevo appena assistito, ed avevo
bisogno assolutamente di stare un po’ con una mia amata coetanea.
Ne avevo necessità, e sperai con tutto il cuore che lei fosse
disponibile a venirmi incontro, quella volta.
NOTA DELL’AUTORE
Salve a tutti!
Come avrete notato, questo è uno dei capitoli più forti
dell’intero racconto. Spero di essere riuscito a ricostruire per bene questa
follia collettiva, che ormai sta travolgendo il povero protagonista…
Spero che il capitolo, nonostante tutto, abbia saputo
intrattenervi piacevolmente per un po’. Ripeto e ribadisco che tutto ciò che
accade in questo racconto è totalmente frutto di fantasia, ma credo che questo
si noti chiaramente, anche se ho cercato di ricostruire tutto in modo
verosimile.
Vi ringrazio tutti, e buona giornata! A lunedì prossimo.