Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Stella94    08/11/2016    3 recensioni
Dal primo capitolo:
"─Dove andrai?
Gli domandò con voce gracile, quasi con timore. Perché non voleva pensarlo nuovamente lontano, non voleva pensare che stava per perderlo ancora, non voleva pensare che non poteva più raggiungerlo, che lo aveva riabbracciato solo per dirgli addio.
Jon si voltò verso di lei. Il fuoco gli illuminò il profilo del viso più maturo di come ricordava. Aveva occhi grandi e profondi, due cerchi oscuri ricolmi di ombre nelle quali ci si specchiava vedendosi fragile, vulnerabile, un fuscello nella balia della tempesta.
─Dove andremo semmai."
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jon Snow, Sansa Stark
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
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                                                      Tutta una menzogna
 
 
 






Tutto quello che ne seguì fu un turbinio di lance, grida, sangue e mal pronunciate implorazioni sull’orlo di una morte quasi certa.
Sansa stava a guardare senza vedere per davvero. Suo fratello Jon si destreggiava tra i nemici con sorprendente abilità, facendo ruotare la sua lama come se non pesasse nulla, l’acciaio di Valyria che emanava sbarluccichii argentati sotto il bagliore pallido del tardo pomeriggio.
Scoprì che in battaglia Jon assomigliava a suo padre più di quanto l’aspetto già non suggerisse. Era nei suoi affondi afflitti con precisione, nel suo modo di muovere le gambe tenendole puntate e ben aperte che Sansa lo riconosceva.
Sul viso Jon aveva un’espressione si insaziabile furore, e vide in lui impeto e collera, fuochi di ghiaccio nei suoi occhi d’ombra.
Jeremy Look non aveva avuto possibilità di difendersi. Giaceva già privo di vita in una pozza di sangue assorbita dalla neve. Spettro si era accanito su di lui con ferocia, e prima di distogliere lo sguardo, Sansa lo aveva visto tendere una mano verso di lei - la stessa che poco prima aveva infilato tra le sue gambe – scongiurandola di richiamare la bestia. Era stata zitta e aveva stretto i denti.
Altri due uomini erano caduti sotto la furia di Jon, ma gli armigeri di Bolton non erano facili da mettere a terra. Era con due di loro ora che si stata destreggiando, mentre Spettro affondava le zanne nel corpo di un altro.
Sansa si sentiva come pietrifica e impossibilitata a muoversi. Tutto ciò che guardava diventata sfuocato e indistinto, girava, poi si perdeva nella nebbia.
Era presente eppure si sentiva come in un incubo, in cui non era padrona delle sue azioni e poteva sperare solo che si risolvesse tutto per il meglio prima di svegliarsi.
Jon aveva tutta l’aria di chi non voleva essere intralciato e lei era consapevole che non sarebbe stata capace neppure di andare in suo soccorso stringendo un pugnale.
Ma loro erano in due e Jon era appena crollato in ginocchio. Si decise a farsi coraggio senza neppure sapere con certezza cosa una simile follia l’avrebbe spinta a fare. I due uomini torreggiavano su Jon come ombre di ghiaccio e pietra. Suo fratello riuscì a farne crollare una a terra facendogli perdere i sensi con un fendente sullo stinco. Ritornò dritto e puntò la spada sull’avversario che aveva di fronte, che parò un colpo prima di essere sorprendentemente trafitto nel fianco.
Questo stravaccò a terra, il tempo di un ultimo respiro, e dalla sua bocca fuoriuscì una lunga colata di sangue, che le scivolò sul mento imbrattando l’armatura finemente istoriata.
Jon si concesse un attimo per riprendere fiato. Intorno a lui una desolazione di morte e volti esangui trafitti dalla sofferenza. Era troppo distratto per accorgersi della presenza dietro le sue spalle.
L’ultimo avversario ancora in vita, che si era illuso di aver abbattuto, si stava rimettendo in piedi, imprecando a denti stetti, sul viso sbarbato l’ombra di un ghigno sadico.
Fu in quel momento che Sansa perse il senno, o qualcosa l’accecò tanto forte che riempì la realtà di una luce nuova, più chiara, abbagliante.
Si guardò intorno, trafelate e ansimante. Scorse un masso non poco distante dai suoi piedi. Lo sollevò da terra scoprendo che era molto più pesante di quanto pensasse. Poi si avviò svelta, con l’adrenalina che le pompava dentro, e una furia accecante che la riempiva di una forza nuova.
Alzò le braccia sopra la testa sollevando il masso, colpì il cranio dell’uomo senza neppure rendersene conto, mentre aveva già la spada sguainata pronto a sorprendere Jon alle spalle. L’agguato improvviso lo fece gridare come un animale.
Sansa si scansò prima che le crollasse addosso, inorridita dall’abilità con in quale l’aveva colpito profondamente alla testa, un fiotto di sangue che già gli stava colando lungo la mascella.
Jon si voltò allarmato. Sembrava sorpreso ma non atterrito. Lo sguardo che lanciò a sua sorella fu di stupore, e forse di gratitudine. Finì l’uomo con un colpo di spada al centro del petto. Questo si contorse sul terriccio ricoperto di neve, poi smise di respirare e tutto fu solo silenzio.
 
Furono costretti a tagliare per boschi, abbandonando l’idea di servirsi dei destrieri lasciati incustoditi dai nemici ormai morti.
Erano riusciti a sbarazzarsi di tutti loro, ma il latrato dei cani aveva messo in guardia altri uomini di Bolton. Decine forse, o anche di più. Li avevano visti correre nella loro direzione, e nel tentativo di seminarli, si erano trovati obbligati a nascondersi negli anfratti della foresta, nelle buche scavate dalle radici degli alberi, dietro le siepi spoglie imbottite di neve bianca.
A Sansa sembrava che il cuore dovesse uscirle dal petto da un momento all’altro. Era stanca, scossa da tremiti di terrore, e traumatizzata da uno stupro che per fortuna Jon era riuscito a sventare.
Sentiva ancora le loro mani grandi e viscide sulla sua pelle sensibile. Vedeva i loro volti affamati, nelle orecchie ancora quelle frasi oscene e le terribili minacce.
Ma questa volta non osava chiedere a Jon di concederle riposo. Adesso lo guardava negli occhi e non le serviva altro per capire.
Dobbiamo proseguire.
La strada li condusse lungo un sentiero lastricato di massi, alberi dai rami bassi che erano costretti a scavalcare, piegando anche la schiena per passarci sotto. Era un cammino arduo e faticoso. La terra era scivolosa e più di una volta Sansa era stata costretta a reggersi a Jon per non cadere. Il giorno stava lasciando spazio alle ombre di una notte che si prospettava gelida e piena di incubi.
L’idea di trascorrerla in un luogo tanto ostile, a Sansa faceva accapponare i peli dietro la nuca. Ma non confessò neppure questo timore a suo fratello. Entrambi avevano rischiato la vita perché era stata toppo testarda da non capire. Era pronta a lasciarsi condurre. La Sansa senza Jon era una Sansa disarmata e fin troppo vulnerabile.
─Ho ucciso un uomo.
Confessò rompendo il silenzio.
Jon le fece strada strappando un ramo secco dal suo cammino.
─Io l’ho ucciso, Sansa. Tu l’hai solo tramortito. E comunque nessuno di loro merita il tuo rimorso o la tua pietà. Stavano per stuprarti.
Bastò quella parola per riportarla alla mente la sera in cui Ramsay Bolton prese la sua verginità con la forza e la violenza.
Il suo fiato che sapeva di vino sul collo, la ferocia con cui le lacerò i vestiti e si insinuò tra le sue gambe strappandole un urlo di disprezzo.
Non fu un brivido quello che le percorse il corpo, ma come un’entità gelida e invisibile, un sussurro di ghiaccio, una morsa stretta alla gola.
Si costrinse a respirare a concentrarsi sul sentiero. Era quasi tutto buio, e in quell’oscurità densa solo il rumore delle foglie che si spezzavano sotto i loro passi a rompere il silenzio.
Sansa stava cominciando a temere che quella boscaglia non avesse fine e che loro si fossero smarriti, perennemente costretti a girare in tondo lungo un perimetro che non conoscevano.
Ma ecco che una flebile luce rese la realtà più chiara, meno spaventosa. Il tetto di rami sopra la loro testa si stava biforcando a poco a poco, fino a lasciare spazio al cielo, di un blu intenso, macchiato da qualche sprazzo di nuvole grigie, che prometteva altra neve.
Jon doveva conoscere bene quei luoghi, perché non c’era esitazione nei suoi passi lunghi e decisi. Si sentiva così vulnerabile e piccola dietro le sue spalle, e allo stesso istante nel posto più sicuro possibile.
Jon era una roccia inespugnabile, più tenace di qualsiasi altra fortezza. Jon era intuizione e  destrezza, era forza e genialità. Era onore e benevolenza. Tutto quello che forse lei non sarebbe mai stata e che aveva sognato di poter ammirare.
─Dobbiamo attraversare il torrente.
Le disse guardando davanti a se. Sansa alzò lo sguardo, lo scrosciare dell’acqua che si infrangeva lungo la riva pietrosa.
Il fiume aveva l’aspetto di un fiotto d’acqua non eccessivamente profondo, ne impetuoso. La corrente scorreva veloce tra gli argini fangosi e intrisi di neve. Dall’altra sponda si ergeva un ponte quasi del tutto distrutto. Per raggiungerlo non disponevano di una chiatta, ne di qualsiasi altra imbarcazione che potesse aiutarli ad attraversarlo senza essere costretti a immergersi nell’acqua gelida. Ma gli occhi di Jon, profondi, quasi colpevoli, sembravano suggerirle che quell’alternativa era inevitabile, per quante altre possibilità avrebbe tentato di proporgli.
Annuì, per forza sconfitta. Afferrò la mano del fratello che già gli tendeva con i piedi ben saldi sulla riva. Sansa strinse i denti e si concentrò a guardare il cielo.
Era bello, per quanto potesse sembrare oscuro e lugubre.
C’era qualcosa nella sua vastità che assicurava quasi una promessa. La certezza che da qualche altra parte quello stesso cielo era di un azzurro vivo e privo di nuvole. Che la notte risplendeva di stelle e che si accedeva di rosso al tramonto. Quella guida che lei avrebbe seguito per acciuffare quel giuramento.
E quando i suoi stivali si immersero nell’acqua gelida, lei continuò a guardarlo. E lo guardò anche quando l’acqua le arrivò alla vita, rendendole il corpo rigido, quasi di pietra.
Lo guardò anche quando sentì la corrente farsi forza contro di lei per trascinarla lontano fino a che sarebbe annegata.
Ma quando arrivò dall’altra sponda, con gli abiti fradici, il respiro fermo in gola e il corpo scosso da incessanti tremolii, Sansa osservò Jon e si raggomitolò nel suo abbraccio di speranza.
Nei suoi occhi c’era qualcosa di più bello di qualsiasi cielo, e perfino più rassicurante di una promessa felice.
Nei suoi occhi c’era desiderio di riempirla di se stesso, e la voglia di farle passare qualsiasi paura.
Nei suoi occhi c’era ogni parte più segreta di se stesso, che le stava donando, consapevole che se ne sarebbe presa cura.
 
Questa volta fu Jon a volersi fermare. Il buio aveva reso il bosco una foschia imperscrutabile, e c’erano ben poche strade che potessero percorrere senza correre il rischio di inciampare, perdersi in sentieri senza via d’uscita.
E non potevano trascurare il fatto che entrambi avevano i vestiti fradici, che attaccati sulla pelle sembravano pesare il doppio. Anche solo spostarsi in quelle condizioni era difficile, e il gelo era impossibile da sopportare quando non vi era nessuna protezione tra il corpo nudo e il ghiaccio.
Rischiavano di congelare. 
Percorsero una stradina sgombra e silenziosa, che li condusse ad una vecchia locanda malmessa di nome “La Bella”
Jon le assicurò che conosceva quel posto, c’era stato da bambino con Robb, a tracannare corni di birra all’oscuro di suo padre. Non l’aveva trovata piacevole a quell’età.
Sansa non osò obbiettare, anche se entrare in un luogo affollato le arrecava un forte senso di disagio, soprattutto considerate le loro miserevoli condizioni.
La locanda aveva l’aspetto di un luogo a cui i padroni non prestavano molta attenzione, con le stalle all’aperto dalle quali proveniva un odore sgradevole, e le finestre dai vetri opachi e incrostarti di polvere, dove era impossibile scorgere chi ci fosse all’interno.
Sansa alzò il cappuccio, se pur fradicio, sui capelli umidi, e strinse la mano del fratello, grande, rassicurante.
Quando si fecero spazio all’interno de “La Bella”, la trovarono incredibilmente affollata, di contadini, mercenari, uomini con il vizio del gioco d’azzardo, e prostitute emaciate che mostravano senza alcune vergogna quello che avevano da offrire.
Alla vista dei nuovi ospiti, molti di loro spalancarono le labbra stupiti, altri sembravano semplicemente curiosi della  ragione per il quale avessero deciso di farsi un bagno con temperature tanto impietose, e altri ancora avevano l’aria sospettosa di chi fiutata i guai e voleva starne alla larga.
Anche il locandiere dietro al bancone ricolmo di bicchieri sporchi svuotati a metà e di bottiglie di vino impolverate, li squadrò dalla testa ai piedi, con un grugno sul viso e le braccia incrociate al petto dal quale svettava una prominente pancia.
Sansa si chiese se avesse riconosciuto Jon, ma Jon continuava a mantenere un profilo basso ed era evidente che tutte quelle occhiate di sospetto, stavano aizzando la sua ira.
Dal conto suo, la ragazza si teneva nascosta dietro la schiena di suo fratello cercando di non tremare troppo. Era una sofferenza implacabile che partiva dalle ossa. Avrebbe solo voluto spogliarsi, e gettarsi nuda accanto ad un fioco bello vivo e caldo. Il pensiero delle fiamme sul viso quasi la fece lacrimare.
─Che cosa volete?
Dichiarò il locandiere panciuto. Aveva una faccia rotonda quasi quanto tutto il grasso che gli si era accumulato sulla vita. Doveva essere ubriaco, o semplicemente il fatto che lavorasse in quel posto aveva avuto un effetto alquanto bizzarro sul suo viso rosso come un melograno. Gli occhi piccoli nascondevano ciglia folte, ricciolute e bianche, mentre sulla testa era completamente calvo, cosa che Sansa trovò decisamente curiosa.
─Io e mia moglie vogliamo semplicemente una stanza in cui poterci riposare. La notte è gelida lì fuori.
Io e mia moglie.
Io e mia moglie.
Un brivido improvviso e svelto trapassò il corpo di Sansa e aveva poco a che fare con la sua tunica bagnata.
Era evidente che Jon avesse in mente qualcosa, e forse spacciarsi per una coppia di sposi non era del tutto una cattiva idea. Ma non era preparata a sentirsi definire moglie. Moglie di Jon Snow.
Quel pensiero le provocò uno strano formicolio nello stomaco. Sansa era già una moglie, ma essere quel tipo di moglie sembrava diverso.
Sembrava restituire alla parola un senso tutto nuovo, un peso che prima non aveva mai del tutto contemplato. Si strinse ancora di più al suo braccio.
─E io non voglio guai nella mia locanda ─ Dichiarò l’uomo mettendo ancora più in mostra il suo ventre prominente ─Chi siete? Malfattori? Ladri? Nemici della corona? Ricercati? Assassini?
─Siamo solo una coppia di sposi che sono diretti verso sud in cerca di fortuna ─mentì Jon con un tono piatto, apparentemente tranquillo ─Ho conio con me, abbastanza da pagare qualsiasi luogo asciutto tu abbia da offrirmi, e un pezzo di quel caprone che sta arrostendo sul fuoco.
Il ragazzo indicò il camino non poco lontano dal bancone ricolmo di bibite, bicchieri mezzi vuoti e briciole di pane nero. Il grasso della carne scura sfrigolava e colava sopra la brace ardente. Il profumo che ne proveniva era buono, anche se Sansa sentiva lo stomaco chiuso per il gelo e per la paura.
Il locandiere assottigliò gli occhi da ratto, era evidente che non era del tutto convinto della sincerità di suo fratello. Sansa fu tentata di tirarlo per un braccio, sussurargli di andare via e cambiare posto. Ma probabilmente questo avrebbe dato ai presenti motivi per avere maggior sospetti nei loro confronti.
L’uomo che stava loro di fronte, era un tipo che nella vita doveva essersi trovato in parecchi guai, tanto da riconoscere l’odore a leghe di distanza. Non era facile da ingannare, nonostante il suo aspetto che suggeriva una personalità bonaria e balorda. Sansa desiderava solo che la smettesse di osservarla tanto insistentemente.
─Perché avete gli abiti bagnati?
Domandò ancora più guardingo di prima.
A questo punto Jon rise, di gusto e vivacità. Un suono che in qualche modo le fece quasi sciogliere quel nodo di apprensione che aveva legato intorno al cuore e incastrato in gola.
Girò la testa di poco, solo per vederlo mettere una mano sul viso e strizzare gli occhi. Sembrava realmente divertito, tanto che Sansa ebbe l’istinto di imitarlo allungando un angolo della bocca serrata.
─Mia moglie è così maldestra ─ balbettò tra una risata e l’altra. A Sansa il divertimento era improvvisamente passato ─E’ caduta da cavallo in un acquitrino e ha trascinato anche me dietro. La bestia è scappata via e noi ci siamo ritrovati in questo stato. Per fortuna che avevo ben attaccate addosso le monete.
Anche il locandiere dovette trovare la storia al quanto buffa, e con lui alcuni ospiti che sghignazzarono tra i tavoli, mentre sorseggiavano corni di birra scura.
─E la lama?
Continuò  l’uomo dal ventre prominente indicando Lungo artiglio ben visibile sotto il mantello.
Jon arricciò le labbra ─Questa? ─ Fece cenno all’impugnatura intarsiata nella forma di un lupo ─Una fortunata vincita parecchi anni fa. Molto bella, non c’è che dire. Ma di poco valore. Efficace però a mettere in fuga i malintenzionati.
─Andiamo, Kyk! ─ Sbottò un uomo dalla faccia butterata all’estremità della locanda, con un sorriso sdentato e capelli neri e unti appiccicati sulla fronte ampia ─Sei il solito stupido! Non fare storie e concedi a questi ragazzi ciò che vogliono. È un miracolo che qualcuno sia disposto ancora a pagare del conio per venirsi a riparare sotto questa lurida baracca, mangiando la robaccia insipida che cucina tua moglie Liana.
─Chiudi quella bocca, Edyr, brutto ubriacone rinsecchito ─Proruppe Kyk puntandogli contro un dito grassoccio dalle unghie ingiallite ─Altrimenti te la chiudo io con un calcio su per le palle. Ho tutto il diritto di fare domande ai miei ospiti. Ci tengo alla mia testa io sai? ─ Poi rimase in silenzio per quelli che parvero interminabili minti, con una mano a reggersi il mento e le labbra chiuse in un broncio pensieroso. Espressione che si tramutò in una più disponibile e paciosa tanto velocemente che pareva quasi che qualcuno lo avesse tramortito, per trasformarlo in una persona completamente diversa alla precedente.
La sua bocca esplose in un sorriso sincero, le guance si colorarono di rosso per lo sforzo, gli occhi quasi lacrimarono e la prominente pancia andava su e giù scossa dai tremiti di un’incontrollabile risate.
─Ma si si, certo che potete restare! Mi siete simpatici. Hai del conio, hai detto? La gente che paga è sempre la benvenuta da queste parti. Mia moglie dice che sono logorroico, ma mi spedirebbe dritto ai sette inferi se mandassi via dei clienti. Liana? Liana? ─Urlò voltandosi di spalle, verso l’ingresso di quella che sembrava essere una cucina ─Liana? Dove sei finita, vecchia? Liana?
La donna che rispondeva al nome di Liana, era grassa quasi quanto al marito, con i capelli stopposi di un marrone sbiadito, le labbra sottili e le guance rosse per il caldo. Si stava asciugando le mani con un grembiule che teneva avvitato proprio sotto il seno cascante e generoso. Rivolse a Kyk uno sguardo tanto truce che Sansa quasi pensò che sarebbe stata in grado di incenerirlo.
─Cos’hai da urlare così tanto? Lurido grasso verme?
─Accompagna i signori in una stanza e offri loro un pasto caldo. ─Gracchiò il locandiere ─E non usare quel tono con me davanti ai clienti, donna!
─Oh, chiudi quel becco! ─ Liana lo liquidò con un gesto della mano ─Lo sanno tutti chi porta i pantaloni in questa baracca.
Quando li scrutò entrambi, Sansa ebbe quasi paura di fissarla. Si nascose ancora di più dietro le spalle di suo fratello, ma la donna corpulenta emise solo uno squittio schiudendo le labbra. In un attimo la sua espressione era mutata, le rughe del volto gonfio si erano rilassante in lunghe linee sulla fronte, gli occhi piccoli, curiosi, sembravano essersi aperti diventando più grandi. La vide sorridere e allungare le braccia.
─Per gli dei, per qualche ragione due pulcini bagnati girovagano di notte per queste strade fredde e balorde?
Il suo tono era severamente preoccupato, ma per nulla acerbo o sospettoso. Non sembrava neppure appartenere alla stessa persona che prima aveva osato farsi beffa di suo marito.
─Siamo in viaggio, mia signora ─ Intervenne Jon visibilmente a disagio ─Ma una sventura ha arrestato in nostro cammino. Chiediamo ospitalità per la notte.
─Oh! ─La donna spalancò ancora di più la bocca, era Sansa che stava guardando. Claudicando sui passi incerti, si fece sempre più vicina, fino a quando le fu inevitabile sentire il suo forte odore acre di cipolla, spezie assortite e quello più intenso di carne affumicata. Sansa notò che a Liana mancava un dente nel posto in cui doveva esserci un incisivo, e le sue dita erano corte e callose quando gliele passò sul viso ─Che splendida, fanciulla. Delicata come una mattina di pallida estate. Mai viste di fanciulle tanto belle da queste parti.
Sansa percepì il sangue correre veloce verso le guance, e una sensazione d’imbarazzo sostituire quella più atroce del freddo e della paura.
─Sei gentile.
Jon le si avvicinò ancora di più, una mano stretta sul suo fianco. Il commento della donna aveva attirato l’attenzione di molti uomini, ora più silenziosi e interessati dietro ai tavoli su cui stavano cenando.
Sansa era consapevole di ognuna di quelle occhiate, ed erano quasi dei piccoli morsi, punture di un insetto sulla pelle morbida.
─Avevo una figlia bella tanto quanto te ─La donna la stava fissando, ma il suo sguardo era essente, indubbiamente perso in ricordo lontani e dolorosi ─Ma poi… ─Fece una pausa, il petto gonfio da un sospiro ─Vieni cara, stai tremando. Seguimi. Ti darò una delle stanze più grandi. E ti preparerò una buona zuppa di rape e cipolle fumante. Ti riscalderà lo stomaco, piccola. Mia figlia la adorava!
 
 
La stanza in cui li condusse Liana, era effettivamente grande, con un ampio letto in cui avrebbero potuto starci anche sei persone, e le lenzuola di lino candide, che giurò di aver appena lavato.
L’ambiente era polveroso, dal pavimento fatto d’assi di legno scricchiolanti e il soffitto basso. Jon dovette piegarsi per entrare, ma Sansa non fece nessuna fatica, il cappuccio ancora ben celato sulla testa.
Liana la riempì d’attenzioni. A dispetto delle apparenze era una donna gentile che rideva spesso.
In realtà le sue erano per di più grida isteriche ma stranamente contagiose, tanto che Sansa si sentì quasi di più a suo agio. Quasi.
Rimasti soli, in balia di un silenzio teso, anche l’aria divenne più fredda e il peso dei vestiti fradici sulla pelle era un fardello impossibile da sostenere. Sansa era sicura che il gelo le fosse penetrato fin sotto le ossa, e che non avrebbe mai più smesso di tremare, neppure sotto un cumolo di morbide pellicce.
Si liberò del mantello fradicio constatando che era valso a ben poco. Doveva togliersi di dosso tutto il resto dei vestiti, dall’abito di lana, al corpetto, sino alla biancheria intima.
Ma quando alzò lo sguardo notò che Jon la stava già fissando, con gli occhi grandi e profondi, l’espressione colpevole e sofferente come se avesse già capito tutto quanto.
─Mi girerò di spalle, non ti guarderò.
E fu esattamente quello che fece. Tuttavia Sansa non riusciva a muoversi. L’idea di doversi spogliare in presenza di Jon la metteva a disagio, l’idea che anche lui avrebbe dovuto liberarsi dei suoi abiti la faceva stare ancora peggio.
Era un diverso tipo di vergogna. Come la paura di dover mostrare ogni aspetto più intimo che aveva sempre cercato di proteggere, e allo stesso tempo farsi carico della consapevolezza che stava compiendo un atto quasi peccaminoso, sbagliato, come se più per la sopravvivenza si stesse denudando per altri scopi.
Trasse un respiro profondo, lo sguardo fisso sulla sagoma del fratello stagliando contro la finestra che affacciava su uno scenario spettrale, reso bianco dalla neve.
Deglutì. Le mani erano incerte sui bottini della veste. Ne riuscì a rimuoverne solo alcuni, mentre ansimava contro il freddo e la morsa del gelo.
Se lo fece scivolare dal petto, si sentì decisamente più leggera ma tentennò ancora nel liberarsi delle calze e del corpetto stretto.
Per qualche strana ragione non riusciva a distogliere gli occhi da Jon, che con la testa china sembrava aver preso a respirare più intensamente. Il silenzio era rotto solo dal movimento dei suoi piedi nudi sulle assi del pavimento scricchiolante. C’era una sorta di tensione nell’aria, sottile ma abbastanza spessa da poter essere tagliata con la lama di una daga. Una forza, una presenza, sussurri, che sembravano insinuare cose senza mai dirle per davvero.
Lo sto facendo solo perché altrimenti sarei congelata. Non ho scelta. Dovevo svestirmi. Anche lui deve. Diventeremmo due pezzi di ghiaccio altrimenti.
Ma sembrava una menzogna così grande, che quando restò completamente nuda, coperta solo dalla sua pelle e dalla vergogna, rimase dritta, inerme, come pietrificata.
Cosa succederebbe se si girasse adesso?
In quella pazzia quasi lo desiderò davvero, flebilmente, impercettibilmente, solo un  bisbiglio nell’orecchio. Ma Sansa Stark l’aveva sentito e si chiese da dove fosse venuto.
Sei solo stanca, affamata, impaurita.
Si disse e per un po’ ci credette. Eppure quando raggiunse il letto per coprirsi usando il lenzuolo, quel desiderio ritornò. E questa volta non era un sussurro era quasi un grido. Lo stesso grido che trovò negli occhi di Jon Snow quando rimase a fissarla in quel bozzolo bianco di lino pulito.
Sei stanca, affamata, impaurita.
Ma era tutta una menzogna.
 
 
CONTINUA…

 
 
Ed eccomi ritornata, con il continuo di questa storia. Penso che si stia un po’ delineando. Jon ha definito Sansa sua moglie, e sarà questo il fulcro della storia. Li vedremo affrontare questa loro unione, nata dal tentativo di proteggersi, fino a scoprire dove li porterà, in una terra sconosciuta, lontana, dalle spiagge bianche, paesaggi da sogno e tramonti rossi.
Spero che sarete a bordo insieme a me per tutta la durata di questo viaggio. Come sempre vi voglio ringraziare del vostro appoggio, e se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo! Vi mando un bacio e un grande abbraccio!

 
   
 
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