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Autore: MissKenobi    11/11/2016    1 recensioni
“Non ricordi?”
Scuoto la testa, intontita.
Come diavolo è potuto succedere tutto questo?
Genere: Angst | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Regina Mills
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 8
 
 
 





 


Le persone credono che un’anima gemella sia una persona che combacia perfettamente con noi, ed è ciò che le persone vogliono. Ma una vera anima gemella è uno specchio, la persona che ti mostra tutto ciò che ti tieni dentro, la persona che lo mostra affinché tu possa cambiare la tua vita. Una vera anima gemella è probabilmente la persona più importante che tu incontrerai, perché butterà giù i tuoi muri, e ti risveglierà.
-Elizabeth Gilbert
 
 
 
 
 
 
 


Quattro anni prima
 




Ero sempre stata una di quelle persone; una di quelle persone che odiano sentirsi dire quanto sono belle.

La maggior parte della gente vive per sentirselo dire; si sentono appagate, lusingante, adulate.

Io no.

E non perché sia così diversa dagli altri, non mi sono mai reputata un essere superiore rispetto alla popolazione mondiale; semplicemente, ero profondamento convinta di non essere bella.

Guardandomi allo specchio, non riuscivo a vedere altro che difetti; difetti che le persone che mi amavano, chiaramente non vedevano o non volevano vedere.

E’ opinione comune che l’amore renda ciechi.

Io credo che sia una grande stronzata.

Stavo insieme a Neal da due anni ormai e in lui, non vedevo altro che difetti.

Non era forse amore quello che provavo?

Secondo l’opinione comune, non doveva esserlo; altrimenti non avrei visto gli innumerevoli difetti che mi facevano uscire fuori di testa ogni giorno.

Una delle cose che più mi facevano arrabbiare era il suo modo di ripetermi quanto fossi bella.

Continuava a ripetermelo ogni giorno, come se il continuare ad insistere su un concetto lo rendesse in qualche modo più vero.

“Sei bellissima”

“Perché continui a ripetermelo?”

“Perché è la verità”

Molto probabilmente lui ci credeva davvero; credeva davvero che io fossi la ragazza più bella del mondo.

Guardando i suoi occhi mentre me lo ripeteva, per un momento, solo per un secondo, ci credevo anche io.

Ma poi una parte di me; la parte sbagliata, si convinceva che in qualche modo non fosse vero.

Quella parte sbagliata, che era sempre stata presente in me e che di giorno in giorno cresceva sempre di più; come un parassita nel mio corpo, mi convinceva e mi portava a credere che stesse mentendo.

Quel parassita ha un nome molto comune.

Si trova in ogni persona.

Si chiama insicurezza.

Non so quando sia iniziato.

Non so quando abbia iniziato a crescere dentro di me e non so se passerà mai.

So solo che a volte penso che tutto questo; quello che ho con Neal, non sia abbastanza.

Ci sono dei giorni in cui vorrei disperatamente essere una di quelle persone; una di quelle persone che si sentono belle e lo fanno credere anche agli altri.

Qualche giorno fa, ho conosciuto una di queste persone.

Anche se conosciuto, forse non è il termine esatto.

Nel mio lavoro si incontrano tantissime persone, ma se ne conoscono davvero poche.

Sono un’infermiera; un’infermiera pediatrica e nel mio lavoro si viene a contatto davvero con tante persone, specialmente in una città come New York.

Il più delle volte non faccio neanche caso alla gente che passa per l’ospedale, ma ci sono dei casi particolari che in qualche modo catturano la mia attenzione.

Lei era stato uno di quei casi.

Sapevo di averla già vista da qualche parte, anche se in quel momento, alle tre del mattino, dopo dodici ore di turno, non riuscivo esattamente a ricordare dove.  

Era stata una sensazione strana; come se in qualche modo una parte di me fosse stata subito incuriosita da quella donna.

Avevo passato minuti a guardarla, mentre compilavo le cartelle o mentre passavo distrattamente per i corridoi.

Teneva in braccio un bambino di circa due anni; molto probabilmente il figlio.

Mentre la guardavo, continuavo a chiedermi dove fosse il padre, e mi chiedevo come fosse possibile che una donna simile fosse da sola in un momento come quello.

Avevo chiesto a Ruby; mia collega, nonché mia migliore amica, che cosa avesse il bambino e mi aveva risposto dicendo che il bambino era arrivato con un forte dolore addominale e che appena possibile, sarebbe stato visitato da un dottore.

Non so esattamente che cosa mi avesse spinta ad avvicinarmi a lei.

Non so che cosa mi avesse attirato di quella donna.

Ma a volte capita.

Capita di sentire qualcosa di completamente inspiegabile; qualcosa che ti spinge verso una persona, mentre una parte; la parte più razionale ti urla “che cosa stai facendo?”

“Come si chiama?” le avevo chiesto avvicinandomi e guardando il bambino che ora dormiva fra le sua braccia.

Mi aveva guardata, e per un momento avevo visto nei suoi occhi lo stesso sguardo perso e rapito che molto probabilmente avevo avuto io nelle ultime ore mentre la spiavo di nascosto.

“Henry” aveva risposto abbassando lo sguardo e avvicinando ancora di più il bambino al suo corpo, come se avesse paura che qualcuno potesse portarglielo via da un momento all’altro.

“Posso sedermi?” avevo detto indicando la sedia di fronte a lei.

“Non ha nessuno che l’aspetta a casa?”

“Lo prendo come un si” avevo risposto sedendomi “e sì, c’è qualcuno che mi aspetta, ma sono le quattro del mattino e non credo che senta la mia mancanza.”

Aveva riso, e in quel momento avevo deciso che vederla sorridere era senza dubbio la cosa più bella che avessi visto al mondo.

“Non è stanca…come ha detto che si chiama?”

“Non l’ho detto, infatti.”

“Posso sapere il suo nome allora?”

“Emma”

“E si siede con tutti i pazienti in sala d’attesa dopo la fine del turno, Emma?”

“Non con tutti, no.”

“E come mai con me, si? Sempre se posso chiederle.”

Che cosa stavano facendo esattamente?

Che cosa stavo facendo esattamente?

Non ne avevo idea.

“Mi sembrava avesse bisogno di compagnia.”

“Da che cosa l’ha dedotto?”

“Non lo so, è stata una sensazione.”

“Capisco.”

“Posso sempre andarmene, se vuole.” avevo detto a disagio.

“Vuole andarsene?”

Mi stava sfidando?

Stava giocando con me?

“No, non voglio andarmene.”

“E allora non lo faccia.”

Ricordo che eravamo rimaste in silenzio per i dieci minuti successivi; non mi ero mai sentita così a mio agio con nessuno.

Avevo sempre odiato quella sensazione di disagio che si crea con le persone quando nessuno sa cosa dire.

Le persone odiano il silenzio perché non sanno come gestirlo e per questo tendono a riempirlo del niente assoluto con chiacchiere inutili.

Con lei, no.

Con lei era diverso.

Avrei potuto passare ore in silenzio, senza dire una parola e sarebbe stata la cosa più bella del mondo.

“E’ sposata, Emma?” mi aveva chiesto all’improvviso senza neanche guardami.

“Sposata? No, per carità.”

“Ha un ragazzo, ragazza? C’è qualcuno nella sua vita?”

“No, nessuno.”

Ecco.

Ecco dove erano incominciati i guai.

Perché avevo mentito?

“Prima ha detto che c’è qualcuno che l’aspetta a casa o sbaglio?”

“Si ma non è nessuno di importante.”

Nessuno di importante?

Come poteva non essere importante qualcuno che avrei dovuto sposare?

Aveva annuito.

Il nostro primo incontro era finito così: interrotto da una mia collega che l’informava che il dottor Whale, era pronto per visitare il bambino.

“E’ stato un piacere, Emma.” aveva detto alzandosi.

“Anche per me.”

“Spero di rivederla ancora, magari in circostanze migliori.”

“Sarebbe un piacere.”

“Bene…allora buona serata, Emma.”

Erano passati due giorni da quella sera.

Due giorni in cui non avevo fatto altro che pensare a lei.

Due giorni in cui continuavo a domandarmi che diamine mi fosse preso.

Avevo mentito.

Avevo mentito su Neal.

Avevo mentito sulla mia vita.

“Nessuno di importante” avevo detto.

Il problema era che non mi sentivo in colpa, o meglio, forse una parte di me si sentiva leggermente in colpa, ma non abbastanza.

Con Neal era tutto un “non abbastanza.”

Quel non abbastanza che mi era sempre andato bene.

Mi era sempre andato bene, fino al quel momento.

Poi era arrivata quella donna.

Quella donna che non sapevo neanche chi fosse.

Quella donna che non sapevo neanche come ritrovare, perché ero stata così stupida da non chiederle neanche come si chiamava. 

Ero andata a lavorare per giorni con la speranza di rivederla, anche se sapevo che era un pensiero stupido e sbagliato, perché la sua presenza in
ospedale, avrebbe significato che suo figlio non era migliorato.

Era possibile sentire la mancanza di qualcuno che non si conosce?

Forse sì.

Non è forse  più facile e in qualche modo più semplice amare qualcuno che non c’è?

Qualcuno che esiste solo nei tuoi pensieri?

 

Questo capitolo è dedicato a tutte le persone che non credono di essere belle. 
A quelle persone che credono di essere piene di difetti e che molto probabilmente sono migliori della maggior parte della gente che si reputa migliore di loro.
Lo dedico a voi e in fondo un po' anche a me stessa.
E vi auguro davvero di trovare una persona che vi faccia sentire di essere la persona più bella sulla faccia della terra.
Non importa se la sensazione durerà anche solo per un secondo, non importa. Vi auguro di provarla.
Per il resto, vi ringrazio come sempre :) alla prossima e fatemi sapere cosa ne pensate. 


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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