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Autore: MadAka    20/11/2016    1 recensioni
“Il sovrano aveva impiegato due anni per sentirsi all’altezza del compito che il padre gli aveva prematuramente lasciato. Tuttavia, alla fine, l’erede di T’Chaka si stava dimostrando un ottimo re, così come un perfetto Pantera Nera.”
[Post Civil War. Sono presenti riferimenti ad altri film Marvel, in particolare AoU. Alcune cose possono essere tratte anche dai fumetti]
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Nuovo personaggio, Sam Wilson/Falcon, Steve Rogers, T'Challa/Black Panter
Note: Movieverse | Avvertimenti: Incompiuta
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Anisa camminò più in fretta del solito lungo il corridoio che l’avrebbe condotta nell’ufficio di T'Challa. La tazza di caffè che teneva in mano, da cui l’aroma saliva invitante e avvolgente, oscillava così violentemente che ogni due passi minacciava di far cadere sul pavimento buona parte del suo contenuto. La donna era adirata con il sovrano e niente, nel suo atteggiamento, poteva lasciare trasparire il contrario.

La notte prima Anisa aveva impiegato ore a prendere sonno e c’era riuscita solo perché era consapevole che T'Challa l’avrebbe informata del suo rientro. Lei voleva andare con lui a ispezionare la centrale idroelettrica in cui le Sentinelle avevano rilevato delle presenze, ma T'Challa non glielo aveva permesso. L’aveva convinta a rimanere al palazzo e le aveva detto che l’avrebbe svegliata non appena avesse fatto ritorno. Tuttavia quella stessa mattina Anisa si era svegliata al suono della sveglia come sempre e quando aveva realizzato che la Pantera era tornata a palazzo senza dirle alcunché, il nervosismo aveva preso il sopravvento.

Aprì la porta dell’ufficio con uno scatto, senza bussare nemmeno; la tazza che teneva in mano concretizzò le sue minacce e rovesciò alcune gocce di caffè sull’immacolata porta nera. Anisa trovò T'Challa in piedi, le mani dietro alla schiena, di fronte a quello che riconobbe come l’ologramma del primo ministro etiope. Il sovrano si voltò a guardarla un momento, dopodiché tornò a rivolgersi all’immagine dell’uomo: «Sa che parlerei ancora molto volentieri con lei, primo ministro» disse, sorridendo. «Tuttavia la mia assistente mi ha sta ricordando che ho diverse faccende da sbrigare.»

«Non voglio farle perdere altro tempo, allora. Mi informi subito se dovesse avere bisogno di qualsiasi cosa.»

«Senz’altro. Le auguro buona giornata.»

Il primo ministro fece altrettanto e la chiamata venne chiusa, facendo scomparire l’ologramma dalla stanza. T'Challa si rivolse verso Anisa, ancora immobile sulla soglia, l’espressione di chi non stava capendo esattamente cosa accadeva. Il sovrano le fece un cenno, indicando alla donna, in una mossa sola, di entrare e sedersi. Lei eseguì; si chiuse la porta alle spalle e andò a sistemarsi davanti alla scrivania, guardando T'Challa in modo confuso.

«Puoi bere tu quel caffè. Ne ho già presi due questa mattina.»

Anisa abbassò lo sguardo sulla tazza che ancora teneva in mano, sempre più confusa.

«Mi dispiace, mi sono dimenticato di dirti che non lo avrei preso» proseguì il sovrano.

«Ti sei dimenticato di dirmi un sacco di cose!» esplose la donna, appoggiando la tazza sulla scrivania con tale forza che molte gocce di caffè volarono sul suo piano, fortunatamente sgombro di carte. «Perché non mi hai detto nulla quando sei rientrato questa notte?»

Non riuscì a trattenersi. Aveva sperato e, soprattutto, confidato che una volta tornato a palazzo Pantera Nera le avrebbe subito detto ciò che aveva scoperto, anche se si fosse trattato di cose di poco conto. Dopotutto Anisa era per T'Challa molto più di una semplice assistente; tuttofare per il sovrano del Regno di Wakanda, combattente al fianco della Pantera.

T'Challa le sorrise, dolcemente. «Hai ragione. Ti chiedo scusa.»

Le poche parole parvero sufficienti a placare la donna. Anisa si ricompose, sistemandosi sulla sedia.

«Hai trovato qualcosa?» chiese poi. Era terribilmente curiosa di sapere la verità, di scoprire se ancora una volta T'Challa aveva ragione e, in quel caso, di capire se avevano a che fare con qualcuno che andava temuto oppure no.

«Ho trovato qualcuno» esordì il sovrano, divenendo improvvisamente più serio. Anisa trattenne il respiro, senza staccare gli occhi dall’uomo.

«È Klaw.»

A sentire quel nome la donna allentò la presa dalla tazza, che rimase così abbandonata sul piano della scrivania, con il proprio contenuto a raffreddarsi lentamente. Una morsa la braccò alle viscere e un grosso senso di malessere la pervase.

Ulysses Klaw. Se c’era davvero lui dietro alle morti, alle sparizioni e ai furti, bisognava agire in fretta e fermarlo prima che potesse fare del male ad altre persone.

T'Challa si accorse dell’improvvisa reazione della donna ma non riuscì a dire nulla. Lei, infatti, precedette le sue parole: «È in quella centrale? Dove dicevi tu?»

«Sì. Non credo si fermeranno lì a lungo. Perciò dobbiamo agire in fretta.»

«Quanti sono?»

«Ne ho contati diciassette, ma potrebbero essercene altri.»

Anisa si alzò di scatto dalla sedia, gli occhi spalancati. «Diciassette? Perché non li hai fermati subito? Hai affrontato gruppi molto più numerosi di così» esclamò.

T'Challa sollevò una mano per intimarle di calmarsi; lo sguardo fiero e risoluto con cui la guardò fece capire alla donna che si era spinta troppo oltre. Per quanto il loro rapporto potesse essere fraterno, quell’uomo era pur sempre il suo sovrano. Anisa tornò a sedersi e quasi contò i secondi prima che T'Challa riprese a parlare: «Non fraintendere, Anisa. Mi conosci perfettamente e sai che io stesso avrei agito subito, ieri notte. Tuttavia…»

Inspirò a fondo, ripensando alle due figure che erano rimaste nascoste nell’ombra. «Tuttavia qualcosa mi ha detto che da solo non ci sarei riuscito.»

Lei lo guardò esterrefatta, sorpresa da quella ammissione. Se non avesse visto le labbra di T'Challa muoversi a comporre quelle parole non ci avrebbe creduto.

«Klaw è ricomparso dopo anni, non è uno sprovveduto e sa benissimo con chi ha a che fare se si avvicina al Wakanda. Sono certo che gli uomini che sono con lui non vanno sottovalutati» spiegò il sovrano, la voce di chi era perfettamente consapevole di quanto stava dicendo.

«Perciò, cosa facciamo?»

«Prima, hai visto anche tu, ho parlato con il primo ministro etiope. L’ho informato di ciò che ho scoperto, omettendo una serie di cose, ovviamente» disse, un leggero sorriso in volto. «Ho avuto il permesso per intervenire con degli uomini in quella zona. Massima segretezza.»

Anisa rimase a guardarlo, capendo tutto. T'Challa avrebbe colpito Klaw alla centrale con un novero di soldati e, affinché la cosa non facesse clamore – poiché un intervento wakandiano in Etiopia avrebbe comunque fatto notizia – aveva informato dell’accaduto e chiesto il permesso a intervenire al primo ministro della nazione. Tuttavia nessuna informazione a riguardo sarebbe dovuta trapelare. Se l’intervento di T'Challa avesse avuto successo, Klaw sarebbe stato eliminato prima di fare altre vittime e le persone scomparse, i furti e i morti, sarebbero passati come disgrazie sotto silenzio con il tempo.

«A quando l’intervento?» domandò la donna, senza porre altre domande sul discorso fra T'Challa e il primo ministro etiope.

«Questa notte. Faremo in modo di essere alla centrale idroelettrica intorno alle due e di tornare entro l’alba.»

«Pensi che ce la faremo?»

Il sovrano annuì. «Porterò con me trenta uomini armati. Ma tu, Anisa, resterai qui.»

Il tono dell’uomo non ammetteva repliche, ma la donna non gli diede peso. Si alzò nuovamente dalla sedia e guardò T'Challa con una determinazione bruciante.

«Io verrò. Non puoi tenermi fuori da questa storia se si parla di Klaw» proruppe.

L’uomo, che non era rimasto sorpreso dall’affermazione di lei, distolse lo sguardo, scuotendo la testa. «Non posso permettertelo.»

«E perché no? Come se non avessi mai combattuto al tuo fianco, come se non avessi mai aiutato la Pantera» disse sprezzante.

T'Challa tornò a guardarla. Sapeva che sarebbe arrivato quel momento. Conosceva l’avversione che Anisa provava per Klaw, così come sapeva ciò che l’uomo le aveva fatto e capiva i sentimenti di lei. Tuttavia voleva impedirle di correre il rischio di diventare schiava della brama di vendetta, come aveva fatto lui anni prima quando aveva dato la caccia a James Barnes.

Mantenendo il tono risoluto che lo contraddistingueva, le rispose: «Non si tratta di questo. So che saresti all’altezza. Solo non voglio che il desiderio di vendetta ti consumi come ha consumato tante persone prima di te.»

Anisa non si scompose a quelle parole. Si avvicinò al sovrano e alzò lo sguardo sul suo. Negli occhi scuri di T'Challa c’era una leggera sfumatura di preoccupazione che per lei fu semplice da interpretare.

«Io non voglio vendicarmi di Klaw» gli disse, in un modo che parve quasi una confessione. «Voglio solo che venga fermato, così da impedire che possa fare ad altre persone ciò che ha fatto a me.»

T'Challa rimase a guardarla, silenzioso. Non poteva biasimarla e non lo avrebbe fatto.

«E sia» disse, con un leggero cenno del capo. «Ma dovrai darmi la tua parola. Non voglio che quell’uomo ti trasformi.»

Anisa acconsentì, senza dire nulla. Non avrebbe permesso all’uomo che le aveva stravolto la vita di farlo ancora una volta e non gli avrebbe neanche permesso di diventare un’ossessione. Voleva solo che fosse fermato. In quale modo non le importava, così come non le importava che fosse lei a farlo; tuttavia, se poteva in qualche modo contribuire alla causa, non sarebbe certamente rimasta a guardare.

 

*

 

La luna riluceva sottile come una lama sopra le alte fronde degli alberi che costeggiavano rigogliosi il fiume Omo. Trentadue uomini non sarebbero certo passati inosservati neanche fra quelle foreste, se a guidarli non ci fosse stato qualcuno che conosceva perfettamente quelle terre. La Pantera, la tuta nera e iridescente per via del vibranio, camminava avanti a tutti posando i piedi nei punti migliori per evitare di fare rumore. Accanto a lui Anisa si muoveva con la stessa leggerezza; anche lei portava una tuta di fibre miste a vibranio, una maschera più simile a un elmetto così da proteggerle la testa senza però schiacciarle i capelli che dietro, raccolti in una lunga e stretta treccia, erano liberi di muoversi. Alla cintura in vita era agganciata una coppia di tonfa1, l’arma con cui lei si era sempre destreggiata.

Proseguendo nel fitto della foresta, T'Challa e i suoi uomini arrivarono in prossimità della centrale idroelettrica. Le flebili luci e l’uomo di vedetta davanti alla porta, fecero capire alla Pantera che non erano arrivati troppo tardi. Si voltò verso i suoi uomini e fece loro cenno di attendere l’inizio delle operazioni. I soldati si abbassarono, nascondendosi fra le basse fronde della giungla mentre T'Challa, silenzioso, arrivava alle spalle del nemico e lo atterrava con un’unica, precisa, mossa. Indicò agli uomini di raggiungerlo e così fecero, cercando di fare più silenzio possibile. Appostati intorno alla porta, uno degli artificieri sistemò alcune cariche in corrispondenza delle cerniere e le fece brillare. Per quanto la detonazione parve debole sortì ugualmente l’effetto desiderato e con un calcio assestato al centro esatto della porta, quella si staccò dai cardini e volò oltre l’ingresso, schiantandosi al suolo.

Gli uomini dentro la centrale ebbero a malapena il tempo di accorgersi di ciò che stava accadendo. I sodati del Wakanda entrarono rapidi nell’edificio cominciando a sparare. Se non fosse stato per i giubbotti antiproiettile molti nemici sarebbero stati abbattuti subito, ma solo alcuni caddero, colpiti alla testa. Quando T'Challa e Anisa entrarono, pochi istanti dopo, il conflitto a fuoco era già nel suo pieno. Gli uomini di Klaw si stavano riparando dietro a delle spesse casse, sparando con quante più armi avevano. T'Challa e i suoi uomini, invece, erano schiacciati contro le grosse turbine in disuso, poste proprio davanti all’ingresso. La Pantera analizzò rapida la situazione e trovò una via sicura per permettergli di arrivare alle spalle dei nemici. Con un cenno indicò il percorso ad Anisa, che fece a appena in tempo ad annuire prima che un soldato wakandiano urlasse: «Granata!»

Un boato spezzò l’aria e fece tremare ogni cosa. Pantera Nera fece scudo con il suo corpo su Anisa e il vibranio della tuta impedì alla deflagrazione di fargli del male. Sentì diversi uomini gridare, gli spari proseguire e il rumore di carne lacerata. Ignorando ogni precauzione e via sicura, T'Challa si avventò sui soldati di Klaw, affrontandoli nel corpo a corpo. Anisa lo seguì, i tonfa stretti in mano con cui sapeva combattere e difendersi perfettamente – anche grazie alla leggerezza e resistenza che il vibranio conferiva loro. I nemici erano una decina; T'Challa ne abbatté due e nel mentre venne raggiunto dai suoi uomini che presero a combattere anche loro a stretto contatto con gli avversari.

Erano prossimi a sovrastarli quando, improvvisamente, una risata folle si fece largo nella stanza, rimbombando in ogni dove.

«Pantera Nera!» urlò la voce, selvaggiamente divertita.

A T'Challa non servì altro per capire che si trattava di Klaw. Conosceva la sua voce e conosceva la follia che lo pervadeva ogni volta che si incontravano. La Pantera si voltò verso l’uomo, i muscoli tesi, pronto a scagliarcisi contro. Ignorò completamente i soldati che si stavano fronteggiando intorno a lui – Anisa compresa – e focalizzò la sua attenzione esclusivamente su Klaw.

Quest’ultimo avanzò nella stanza, i due grossi uomini che T'Challa aveva visto la sera prima al suo fianco. Klaw allargò le braccia, un ghigno a increspargli il volto.

«Mi fa piacere rivederti, credevo ti fossi completamente dimenticato di me.»

A quelle parole Pantera Nera scattò; fece un balzo, pronto ad avventarsi sull’uomo che tanto disprezzava, ma la persona alla destra di Klaw si mosse rapidamente, scagliando un coltello in direzione di T'Challa. Il sovrano riuscì a schivarlo al limite; sentì fischiare la lama del pugnale accanto all’orecchio e rimase sbalordito dalla velocità con cui era stato lanciato. Distratto da questo pensiero non si accorse della mano destra di Klaw, sollevata all’altezza del suo petto. La fase discendente del suo salto venne arrestata da una pressione che non riuscì a vedere: era come se qualcosa di incredibilmente pesante lo avesse respinto indietro. Si sentì percuotere anche all’interno della tuta della Pantera e cadde a terra, rialzandosi subito. Accanto a sé si trovò Anisa e realizzò che, nel frattempo, i suoi uomini erano riusciti ad avere la meglio sugli avversari. La donna teneva gli occhi fissi su Klaw, mentre quest’ultimo continuava a scrutare avido Pantera Nera. L’uomo sollevò nuovamente la mano destra.

«Non crederai che io sia tornato qui senza le armi adeguate per affrontarti, vero?» domandò, retorico.

Nuovamente qualcosa di invisibile parve spingere con una forza sovrumana T'Challa. Si accorse che lo stesso stava accadendo ad Anisa, che però portò le mani alle orecchie nel disperato tentativo di non sentire ciò che la misteriosa forza stava eruttando. T'Challa udì diverse grida di dolore provenire alle sue spalle, si voltò appena per poter vedere cosa stava accadendo dietro di sé. Molti dei suoi uomini urlavano, coprendosi le orecchie, chiudendo gli occhi o stringendosi le braccia al petto. Alcuni di loro caddero a terra, afflosciandosi privi di vita, finché finalmente la vibrazione cessò.

La Pantera non riusciva a spiegarsi ciò che stava succedendo e, notando l’espressione impressa sul volto della donna, capì che anche per Anisa doveva essere così. Ebbe malapena il tempo di prendere in considerazione l’ipotesi di attaccare nuovamente Klaw, che l’altro uomo che era al suo fianco, rimasto immobile fino a quel momento, fece un passo avanti. Fece scattare l’accendino che teneva stretto in mano e, in una maniera inspiegabile, da lì si propagò una feroce fiamma rossa che acquisì forza e dimensioni in brevissimo tempo. Sia T'Challa che Anisa riuscirono a schivare la fiammata per un soffio, lanciandosi ognuno nella direzione opposta. Per i soldati wakandiani – e anche per gli uomini di Klaw, svenuti o semisvenuti a terra – non fu così. Le loro grida si fecero largo strazianti nel vasto deposito quasi distrutto. Alcuni cercarono di scappare, altri non ne furono in grado, mentre la rovente fiamma non ne voleva sapere di estinguersi e lambiva vorace tutto ciò che incontrava. Pantera Nera riuscì ad arrampicarsi su una sporgenza della parete, al riparo dal fuoco; poco più in là vide che anche Anisa era lontano dalle fiamme, il volto intriso di terrore e incredulità.

«Mi dispiace dover lasciare la festa così presto, Pantera.»

La voce di Klaw tornò ad attirare l’attenzione di T'Challa, che si accorse che le fiamme non stavano in alcun modo minacciando il punto in cui i tre uomini erano fermi.

Klaw fece un cenno di saluto. «Ho delle faccende piuttosto importanti da sbrigare e non mi va di perdere altro tempo. Dopotutto era solo questione di ore prima che noi lasciassimo questa vecchia centrale.»

Detto ciò diede le spalle alla stanza e al sovrano, allontanandosi senza apparente fretta insieme ai due uomini. La Pantera balzò nel punto in cui i tre erano appena stati, deciso a inseguirli, ma le urla che continuavano a sollevarsi fra il fuoco alle sue spalle gli fecero capire che poteva ancora salvare qualcuno.

«Dobbiamo andarcene di qui!» urlò, rivolto ad Anisa.

Lei lo guardò come se non sapesse dove si trovava. T'Challa la raggiunse, per sua fortuna il vibranio della tuta rendeva le fiamme meno pericolose. « Anisa, dobbiamo muoverci!»

La donna si ridestò. Ancora incredula e disgustata dall’accaduto seguì il suo sovrano, cercando in ogni modo di schivare il fuoco. Aiutò Pantera Nera a portare fuori dall’edificio quattro superstiti, ma quando provarono a rientrare per cercare di salvarne altri, una violenta esplosione li ricacciò indietro.

Frastornato e stordito, T'Challa, sul limitare della giungla, sollevò lo sguardo in tempo per vedere la vecchia centrale idroelettrica che si accartocciava su se stessa, precipitando in un ammasso di calcinacci, polvere e fiamme. Quando ripensò a tutte le persone che erano ancora presenti in quell’edificio nel momento dell’esplosione e quando capì che fine avevano certamente fatto, il gelo pervase il suo corpo. Si sentì mancare l’aria e il cuore martellava colpevole nel suo petto. Rimase a guardare la polvere che si posava, il rombo dell’esplosione che ancora gli rimbombava nelle orecchie. Si alzò e si tolse la maschera della Pantera, facendo vagare rapidamente lo sguardo fra le basse fronde e i cespugli di felci, finché non individuò Anisa. La donna era carponi sulla terra e stava tossendo. La treccia le si era disfatta in buona parte e il suo elmetto giaceva immobile davanti a lei. T'Challa la raggiunse. Si chinò accanto a lei e le posò una mano sulla spalla; sentendo quel tocco Anisa sollevò lo sguardo. Aveva il viso sporco di fuliggine, ma per il resto era illesa.

«Come ti senti?» le chiese il sovrano.

«Io sto bene…» rispose, finendo inevitabilmente a guardare i resti della centrale idroelettrica. Come T'Challa anche lei era atterrata per ciò che era accaduto; si sentiva impotente, responsabile, come se non avesse potuto fare abbastanza per impedire agli avvenimenti di manifestarsi a quel modo.

L’uomo l’aiutò a rialzarsi e insieme andarono ad accertarsi delle condizioni degli unici quattro superstiti che erano riusciti a portare in salvo. Ad Anisa mancò il fiato quando li vide. Tre di loro erano svenuti, mentre il quarto si contorceva dolorante al suolo. Tutti avevano bruciature sparse sul corpo e il sangue delle ferite risplendeva alla luce del fuoco e della luna.

T'Challa si rivolse alla sua assistente: «Dobbiamo chiamare dei soccorsi. Hanno bisogno di cure mediche urgenti.»

La donna annuì e sollevò lo sguardo verso la centrale distrutta; sotto le macerie si vedevano ancora delle fiamme danzare, pronte a riemergere prepotenti dai resti.

«Dobbiamo anche fare in modo che l’incendio venga spento prima che si propaghi alla foresta» disse lei. T'Challa le diede ragione con un cenno e rimase a guardarla mentre chiedeva supporto con la sua ricetrasmittente.

Si sentiva vuoto e completamente atterrato. Più di venti persone erano morte in quell’attacco e ciò significava che era avvenuto perché lui aveva sottovalutato Klaw. L’esito di quella notte era stato per lui un duro colpo, la dolorosa conseguenza di una netta sconfitta.

 

 

 

 

 

Note:

1 tonfa: il tonfa è un’arma usata nelle arti marziali. Nei film della Marvel sono spesso usati dalla Vedova Nera. Avrei potuto dare un’arma diversa ad Anisa, ma ho sempre avuto un debole per i tonfa e li ho inseriti ugualmente.

 

 

 

 

___________________________

Solo una breve comunicazione.

Intanto grazie a tutti quelli che hanno letto primo e secondo capitolo (molti più di quanti mi aspettassi, lo ammetto).

Poi, ci tengo a fare una piccola precisazione sul rapporto Klaw – T'Challa. Il loro legame in questa storia l’ho tratto sia dal film che dal fumetto – come avevo già anticipato nel capitolo precedente. Quello che non ho inserito – avendo tratto ispirazione maggiore dal CMU – è il perché i due si conoscono. Nei fumetti, infatti, Klaw non è solo un uomo fissato con il vibranio che ha attaccato a più riprese il Wakanda, ma è anche la causa della morte di T’Chaka. Considerando però che in Civil War il sovrano del Wakanda muore in circostanze differenti mi sono attenuta a quella storia, perciò ho “limitato” l’odio che T'Challa prova per Klaw al fatto che ha depredato le sue terre per anni.

Grazie ancora a chiunque abbia letto!

 

MadAka

 

  
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