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Autore: TotalEclipseOfTheHeart    08/12/2016    1 recensioni
Spin-off legato alla mia tutt'ora in corso longfiction "The Wathcers Chrnicles", che tratta della vita di uno dei sette protagonisti prima di unirsi nella lotta contro il male.
Qui potremo leggere del passato di Castiel Velharion, Terzogenito della Casata Reale di Draconia, e ogni capitolo sarà dedicato a un argomento particolare e a uno specifico periodo della sua vita.
Vedremo da vicino il suo rapporto con il padre e con i fratelli, e potremo anche reicontrare personaggi finora poco approfonditi, come la sua stessa madre.
Se avete e state amando la serie principale, questo piccolo squarcio nel tempo e nello spazio fa per voi.
Come promesso, ecco a voi la mini-serie interamente dedicata al Guardiano più Fosoco di tutti!!!
Genere: Avventura, Comico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Watchers Chronicles'
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Ti raggiungerò mai?
 
 
“Ahi!”, urlai, mentre, per l’ennesima volta in quei brevi minuti, la spada d’allenamento di Caesar raggiungeva repentina la mia protezione in cuoio, facendomi cadere col sedere a terra, dolorante e imbarazzato.
Ci trovavamo nell’Arena di Addestramento di Draacos, dove tutti i giovani e illustri nobili, che in futuro avrebbero preso le redini del regno, erano impegnati a seguire la propria dose di esercizi giornalieri, con i Mastri Spadaccini che li osservavano a vista, per assicurarsi chela cosa non si trasformasse in un gioco, ma nemmeno che nessuno si annoiasse eccessivamente.
Si trattava di un’ampissima arena circolare, fornita anche di spalti in pietra grezza, color sabbia, dalle quale occasionalmente anche amici e familiari potevano assistere agli allenamenti. Era suddivisa in quattro zone ben differenziate: la prima era quella in cui mi trovavo, assieme a mio fratello, ed era un ampio spiazzo libero, con i lati coperti di porta armi bianche, destinate per gli scontri a breve o medio raggio; la seconda era molto simile, ma tappezzata di manichini a forma d’uomo, e destinata alle discipline come il tiro con l’arco o il lancio dei coltelli; la terza era la più estesa, e lì vi si addestravano i giovani nei combattimenti a cavallo; la quarta invece insegnava l’utilizzo della magia per scopi guerreschi, ed era la sola a cui si poteva accedere non prima di aver accumulato una certa esperienza anche nelle altre, oltre che quella che mi aveva sempre interessato maggiormente. Sebbene non avessi ancora i requisiti per accedervi.
“Sai, se continui ad attaccarmi alla cieca, urlando come un pazzo e menando colpi a caso, non riuscirai mai a raggiungere la Quarta Casa.”, fece lui, inespressivo, senza tuttavia esimersi dal porgermi la mano per alzarmi.
“Uffa!”, sbuffai, affranto, “Tanto, non riuscirò mai a essere bravo come te, o Castor! L’istruttore dice che siete i migliori allievi che abbia mai avuto da quando ha iniziato a insegnare!”
Quello alzò un sopracciglio, poi sbuffò, come spesso faceva di fronte a me se per caso dicevo qualcosa di troppo infantile o che lo infastidisse particolarmente: “Ovvio che non ci raggiungerai mai, se continui a lamentarti come una femminuccia!”, ribattè, colpendomi sul vivo.
Mi alzai, senza rendermi conto di quanto, effettivamente, quelle parole fossero state scelte più per motivarmi che per offendermi realmente. Dopotutto, io avevo solo nove anni, e Caesar già quindici: non era raro che ricorresse a trucchetti simili per spingermi a dare il meglio, e sebbene non lo avrei capito che anni dopo forse non era un caso che solo con me decidesse di prendersi del tempo libero, a dispetto dei suoi doveri di Erede, per potermi addestrare o aiutare nei miei studi.
Poteva anche essere un genio e un gentiluomo, e non scomporsi mai di fronte a niente e nessuno, a sotto sotto ci teneva a me, perché sapeva molto bene quanto il mio destino fosse diverso dal suo e forse quasi le invidiava, la mia vita spensierata e priva di preoccupazioni. Paragonate alle sue, le mie giornate non erano che una misera barzelletta.
Dopotutto, che gli piacesse o no lui doveva mostrarsi sempre perfetto e intoccabile, solo tempo dopo mi resi conto come, forse, quelle ore passate in mia compagnia fossero il suo unico momento di respiro in mezzo a tutti quei doveri che gli piovevano addosso a tutte le ore del giorno.
Tuttavia, a quel tempo ero ancora troppo giovane per capirlo, e quindi guardavo sempre a lui come ciò che avrei assolutamente voluto essere.
Differentemente che con nostro fratello, lui non era solo dotato, ma aveva anche un carattere piacente e un modo di agire e parlare da vero leader, tutti lo apprezzavano a vedevano in lui ciò che un vero figlio di re avrebbe dovuto essere.
Inutile dire quanto desiderassi poter essere, un giorno, in grado di raggiungerlo.
Ripresi in mano la spada, mettendomi in posizione di guardia, più determinato che mai: “Chi piange come un femminuccia?!? Fatti sotto, ti riempirò di legnate fino a farti chiedere pietà!”, sbottai, rosso in viso mentre quello sorrideva appena, forse soddisfatto del risultato ottenuto.
“Ma certo! Non aspettavo altro!”, dichiarò, cercando di fare un affondo al mio indirizzo.
Schivai di lato, determinato a non dargliela vinta facilmente.
Sebbene fosse chiaro come stesse solo giocando, mi impegnai al massimo per tenergli testa, e quando, finalmente, alcune ore dopo riuscii a disarmarlo gettai la mia spada in aria, esultando, in preda all’euforia: “Ecco, visto fratellone? Ora dovrai fare tutto quello che dico! Il vincitore decide, ricordi?”
Una nostra piccola regola, che solitamente finiva con me costretto sui libri per un giorno intero, ma che, almeno per quel giorno, mi avrebbe visto dalla parte della vittoria.
Quello sospirò, fintamente sottoposto: “Ebbene, cosa dovrò fare, messer vincitore?”, chiese, sorridendo alla mia gioia infantile.
Mi feci pensieroso.
Poi schioccai le dita, contento.
“Dovrai dirmi con chi ti vedi tutte le sere!”, dichiarai infine, ancora inconsapevole di ciò che gli stavo realmente chiedendo.
Era da alcuni giorni, ormai, che sapevo di quel suo piccolo segreto. Non avevo ancora capito quanto la cosa fosse importante, per me, che di bravate notturne ne facevo tutti i giorni, non era così grave, però indubbiamente la cosa non poteva che suscitare una curiosità irrestibile nel mio animo di bambino.
Lo avevo scoperto per caso, mentre tornavo da una delle mie spedizioni nelle cucine, e lo avevo beccato a guardarsi attorno nei giardini del palazzo, con tutta l’aria di chi non vuole essere seguito. Ovviamente, io lo pedinai. Non che servisse a molto, in pochi minuti lo avevo perso di vista, ma da quel giorno lo tenni sempre d’occhio, scoprendo che non di rado usciva dalle sue stanze a sera tarda, per tornare solo quando la luna era già alta e tutti stavano dormendo.
Improvvisamente, l’espressione di lui abbandonò tutta la propria ironia, per diventare profondamente seria, mentre rispondeva: “Cestiel, io … mi spiace, ma questo non posso proprio dirtelo …”, disse, quasi dispiaciuto.
Mi immobilizzai.
Insomma, quella era la Regola del Vincitore, tutti dovevano seguirla, no? Io lo avevo sempre fatto, quando era lui a battermi, e proprio allora che vi ero riuscito io, si rifiutava di seguirla? Naturalmente, la prima cosa che pensai fu che ce l’avesse con me, e non volesse darmi la soddisfazione di dimostrare la mia meritata vittoria.
Sbottai: “Non è giusto, quando eri tu a vincere, facevo sempre tutto quello che volevi. Che male c’è se per oggi vale il contrario? Scommetto che sei geloso! Si, sei geloso perché oggi sono stato più bravo di te.”
Lo vidi impallidire, poi abbassò il capo, voltandosi: “Per ora abbiamo finito. Puoi tornare a casa.”, disse, per poi lasciarmi, senza pronunciare altro.
Furioso, con lui e con il mondo, gridai, in modo che anche lui potesse sentirmi: “Io ti odio!”, poi voltai i tacchi, le lacrime che spingevano per uscire a gli occhi gonfi di delusione.
Ora, meglio chiarire una cosa.
Quando un bambino di nove anni dice certe cose, solitamente non sa nemmeno cosa sta facendo. Semplicemente, si rende conto che sono le parole perfette per ferire qualcuno, specialmente qualcuno che ti vuole molto bene, e visto che il suo scopo è fare sentire quel qualcuno come si sente lui, altro non può che pronunciarle.
Spesso senza essere realmente consapevole di quelle che potrebbero essere le conseguenze, o di quanto certe cose possano ferire gli altri.
Ed era proprio ciò che avevo fatto.
Preso dall’ira, non mi ero curato troppo della reazione che avrebbe potuto avere mio fratello, o del fatto che forse avrebbe potuto avere dei buoni motivi per non voler soddisfare la mia curiosità.
Corsi nelle mie stanze che stavo quasi per piangere, per poi chiudermi all’interno, deciso a non uscire per il resto  dei miei giorni. Anche se in realtà sapevo benissimo che al primo sintomo di fame sarei sgattaiolato nelle cucine per rimpinzarmi come un dannato, in modo da affogare nel cibo quelle che ancora credevo essere le peggiori sciagure cosmiche che potessero colpire la vita di un innocente fanciullo della mia età.
 
Fu nei giorni seguenti che raggiunsi in breve tempo una decisione che avrei fatto molto meglio a non prendere, perché se le mie parole potevano anche non aver toccato mio fratello (che d’altronde era ben consapevole della mia indole volubile e dei problemi infantili di ogni bambino), certamente quello che stavo per fare lo avrebbe fatto. E nel peggiore dei modi.
Così, quando poco tempo dopo venne a cercarmi, per chiedermi se volevo passare del tempo con lui, lo cantonai con freddezza, determinato a non dargliela vinta e a farlo soffrire come meglio mi riusciva.
Inizialmente, parve veramente sorpreso del mio comportamento, perché di solito non ero un tipo troppo rancoroso, e dimenticavo in fretta i torti che avevo subito, o avevo pensato di aver subito, come accadeva più di frequente.
Tuttavia, non pareva altresì intenzionato a spiegarmi il motivo delle sue continue fughe, per cui presto il nostro rapporto parve quasi congelarsi. Diventammo sempre più distaccati, cosa che, sebbene allora ancora non lo sapessi, finì col ferire non solo lui, ma anche me.
Se Caesar pareva quasi sentire la mancanza delle nostre ore assieme, ed prese l’abitudine di sotterrarsi di lavoro per non pensarci troppo, io dal canto mio mi resi presto conto di come quel mio piano mi si stava velocemente ritorcendo contro.
Dopotutto, lui era il solo con cui potessi passare del tempo.
Castor, se cercavo di avvicinarmici anche solo per parlare, ma scacciava sempre via in malo modo, e le mie sorelle … beh, insomma, erano delle femmine, no? Io avevo bisogno di un amico maschio, con cui condividere anche tutte quelle piccole confidenze che mai avrei avuto il coraggio di fare con loro. Eamyr ed Efnir erano ancora troppo piccoli. Mentre tutti gli altri pupilli di corte solitamente preferivano girare al largo da me, che ero abbastanza noto per le mie bravate e la mia indole tutt’altro che remissiva e succube.
Ben presto capii come, senza di lui, le mie giornate si fossero fatte monotone e prive di stimoli.
Fu proprio quando decisi di ripristinare le cose che la motivazione che tanto mi aveva nascosto venne a galla, sconvolgendo non solo la mia concezione di lui ma sorprendendo anche tutta la corte al completo.
 
Accadde una mattina di mezza estate.
Finalmente, mi ero risolto a parlargli, e quindi avevo deciso di dirigermi verso le sue stanze, dove in quell’ora del giorno era solito studiare quelle materie allora per me incomprensibili quali economia e diritto.
Feci per alzare la mano, e bussare come era consono al mio rango, quando mi bloccai, ascoltando le voci sconvolte e furiose che provenivano dall’interno.
Una delle quali apparteneva a mio padre.
Cosa ci faceva l’Imperatore di Draconia a corte? Non doveva essere ancora sul fronte? E perché si era preso la briga di visitare le stanze di uno dei suoi figli, quando di solito non se ne occupava mai?
Tesi le orecchie, curioso, e li sentii.
“Sia chiaro, mi aspetto una spiegazione.”, sbottò nostro padre, visibilmente arrabbiato.
“Caesar, noi vogliamo solo il tuo bene.”, feci una smorfia disgustata, sentendo la voce dell’Imperatrice Eleazer. Era passato ancora pochissimo tempo da quando quell’USURPATRICE aveva preso il posto di mia madre, e ancora non riuscivo a perdonarla abbastanza, tanto era l’odio e il rancore accumulato nei suoi confronti. “Se tuo padre ti dice certe cose, è solo perché si preoccupa per il tuo futuro, e la tua posizione. Sei l’Erede, non puoi permetterti certe libertà, tantomeno con una semplice servetta di corte. Cosa c’è stato tra voi due?”
Sussultai.
A quel tempo, ero ancora troppo legato al modo di pensare dei miei “simili”. Un principe che si legava a una serva? Non c’era niente di peggio! Almeno secondo i miei canoni di bambino ancora privo di esperienza nelle cose del mondo.
Solo dopo avrei maturato il mio amore smisurato per il mio popolo, apprendendo che, forse, sono proprio coloro dei ceti più bassi che mostrano al meglio l’identità di un paese. Coloro che hanno più bisogno di essere protetti, e amati.
Comunque, a quel tempo tutto ciò era per me una grandissimo scandalo.
Insomma, mio fratello, il mio fratello perfetto, legare con una misera serva?
Disgustato, indietreggiai, incapace di ascoltare altro.
Pentito dell’idea di riconciliarmi con lui, me ne andai ad ampie falcate, furioso con me stesso e con lui per la sua stupidaggine.
 
Fu quello ciò che ci separò per sempre.
Perché anche dopo aver capito le sue azioni, non avrei potuto dimenticare come, nei giorni seguenti, non fosse mai venuto a cercarmi.
Ero ancora convinto che non avesse mai tenuto realmente alla nostra amicizia, e quella convinzione mi accompagnò per la maggior parte dei miei anni.
Eppure, dentro di me, la speranza che tutto potesse tornare come prima non si era mai realmente sopita.
 
Ora, lo osservo, la corona sul capo, e la folla che lo inneggia sotto di lui.
Sorrido.
Insomma, forse, saranno anche dovuti passare anni, ma, alla fine, tutto è tornato come prima.
Non pretendo più di essere come lui, ho smesso di biasimare la mia unicità da tempo.
Eppure, non c’è proprio dubbio.
Mio fratello sarà un re straordinario …


Note dell'Autrice:
Rieccomi tornata!
E con questo siamo già al terzo capitolo, dedicato interamente al rapporto tra Castiel e Caesar, quando erano ancora giovani.
Spero di aver rappresentato a dovere il modo di pensare ancora infantile e inesperto del primo, che diversamente dal secondo ha solo nove anni, e quindi ancora non riesce a vedere il mondo come lo vedrebbe un adulto. Rendere bene il pesiero di un bambino è quanto di più complesso si possa immaginare, e spero di aver fatto un buon lavoro.
Ringrazio tutti quelli che continuano a seguirmi e a recensirmi.
Vi adoro ragazzi!
Teoth

 
   
 
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