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Autore: effe_95    10/12/2016    4 recensioni
Questa è la storia di diciannove ragazzi, i ragazzi della 5 A.
Questa è la storia di diciannove ragazzi e del loro ultimo anno di liceo, del loro affacciarsi a quello che verrà dopo, alla vita. Questa è la storia di Ivan con i suoi tatuaggi , è la storia di Giasone con le sue stelle da contare, è la storia di Italia con se stessa da trovare. E' la storia di Catena e dei fantasmi da affrontare, è la storia di Oscar con mani invisibili da afferrare. E' la storia di Fiorenza e della sua verità, è la storia di Telemaco alla ricerca di un perché, è la storia di Igor e dei suoi silenzi, è la storia di Cristiano e della sua violenza. E' la storia di Zoe, la storia di Zosimo e della sua magia, è la storia di Enea e della sua Roma da costruire. E' la storia di Sonia con la sua indifferenza, è la storia di Romeo, che non ama Giulietta. E' la storia di Aleksej, che non è perfetto, la storia di Miki che non sa ancora vedere, è la storia di Gabriele, la storia di Lisandro, è la storia di Beatrice che deve ancora imparare a conoscersi.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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I ragazzi della 5 A
 
49.Che sollievo, Anima e L’ultima cosa nella vita.


Aprile

<< Zia fai scendere Alješa? Cosa, non è ancora pronto?! Ok, lo aspetto giù … ciao >>.
Gabriele quella mattina si sentiva particolarmente euforico, allegro e comprensivo.
E non c’entrava nulla il bel tempo, il sole caldo che finalmente faceva capolino in cielo o il canto degli uccelli con il suo cambiamento d’umore, Gabriele era euforico perché finalmente aveva rimosso i punti dal braccio operato e perché suo padre gli aveva riconsegnato le chiavi della macchina nonostante gli strilli di Lara.
Era ancora un po’ ammaccata in alcuni punti, ma tutto sommato Gabriele era felice di  riaverla, di tornare alla sua quotidianità.
Si allontanò velocemente dal citofono e raggiunse la macchina appoggiandosi svogliatamente con la schiena sulla portiera dal lato del guidatore.
Incrociò le braccia al petto e lo sguardo gli cadde inevitabilmente sulla lunga cicatrice ancora fresca che gli attraversava tutto il braccio fino al gomito, una cicatrice che si sarebbe portato dietro per il resto della sua vita. Fu strappato ai suoi pensieri quando sentì picchiettare sul finestrino dall’interno dell’auto, si spostò e aspettò pazientemente che Katerina abbassasse il vetro, quando il suo viso spigoloso comparve per intero Gabriele venne completamente investito dal suo familiare odore al cocco.
Era solamente un caso che quella mattina Katerina si trovasse in macchina con lui, solitamente andava a scuola in motorino con il fratello gemello, ma Jurij era rimasto a casa con la febbre alta e Gabriele si era proposto di andare a prenderla.
Dopotutto da quando sua sorella Alessandra aveva preso l’abitudine di fare la strada per scuola a piedi con Zosimo, Gabriele aveva ricavato un posto in più nella macchina.
<< Alješa non scende? >> Domandò Katerina guardando Gabriele dritto negli occhi, lui fece spallucce e ne approfittò per chinarsi e darle un bacio veloce a stampo sulle labbra.
Sorrise quando le guance di Katerina si imporporarono di rosso.
<< Zia Claudia ha detto che non era ancora pronto, il solito ritardatario! >>.
Katerina fece per replicare qualcosa, ma lo sbattere violento del portone di un palazzo la distrasse, entrambi i ragazzi si voltarono verso la fonte del rumore e videro Aleksej imprecare ad alta voce contro la tracolla della sua cartella che si era incastrata sulla maniglia. Gabriele alzò gli occhi al cielo e incrociò le braccia al petto.
<< Che combini Alješa? Stamattina ti sei alzato con le mani di ricotta? >>
Lo prese in giro mettendo su uno dei suoi sorrisi migliori, era sicuro che quella mattina nulla avrebbe potuto guastare il suo umore, ma quando Aleksej si girò a guardarlo con quegli occhi di fuoco, occhi che non gli aveva mai visto prima, Gabriele cominciò a dubitarne.
Vide Aleksej avanzare verso di lui con passo fermo e oltrepassarlo sfacciatamente senza rivolgergli nemmeno la parola, diretto verso da fermata dell’autobus.
Gabriele rimase pietrificato sul posto per alcuni secondi, continuando a fissare il vuoto davanti a se, poi sbatté ripetutamente le palpebre, come se si fosse appena svegliato da un incubo, e si girò di scatto afferrando il cugino per il braccio.
La reazione di Aleksej fu talmente inaspettata che Gabriele ne rimase scioccato per parecchi minuti, il biondo si girò di scatto a sua volta e gli mollò un pugno sulle labbra.
Gabriele sentì immediatamente il sapore metallico del sangue sulla lingua, il liquido scarlatto scivolargli repentinamente sulle labbra fino a sporcargli il pullover e gocciolare sull’asfalto, dove si era inginocchiato a causa del colpo.
Sentiva anche il dolore da qualche parte in lontananza, ma era come attutito dallo shock, in realtà qualsiasi suono aveva perso la propria consistenza in quel momento, giungeva ovattato e distante alle sue orecchie.
Non poteva essere successo davvero, Aleksej non poteva avergli tirato un pugno, non lo aveva mai fatto prima, doveva essere solo un incubo da cui non riusciva a svegliarsi.
Scosse  più volte la testa per liberarsi le orecchie dal fischio fastidioso che le attraversava e appoggiò saldamente i palmi delle mani sull’asfalto caldo, come per trovare la stabilità.
Sentì solo vagamente il grido soffocato di Katerina, aveva la vista appannata dallo shock quando la vide scagliarsi contro Aleksej ed inveire contro di lui come un demonio, sbatté più volte le palpebre, scosse la testa a destra e sinistra ancora una volta e alcune gocce di sangue bagnarono nuovamente l’asfalto.
Fu la vista di tutto quel sangue a fargli riprendere i sensi, come se una pellicola fastidiosa fosse stata strappata di botto riprese a sentire tutti i rumori, e il dolore del pugno lo travolse prepotentemente provocandogli una smorfia involontaria.
Si portò una mano sul labbro spaccato e si tirò in piedi, guardando con occhi spalancati Katerina che teneva Aleksej per la collottola della camicia, lo scuoteva violentemente urlandogli contro come un’ossessa e lui lasciarglielo fare impassibile, atterrito.
<< Sei impazzito?! Cosa diavolo ti passa per la testa! Come ti viene in mente di colpirlo in quel modo? Guarda quanto sangue gli stai facendo uscire, Aleksej! E’ così che tratti il tuo migliore amico? Se sei arrabbiato, nervoso, sfoga la tua rabbia altrove, se ti permetti di farlo ancora una volta giuro che te le do di santa ragione Alješa! Devi essere davvero ammat- >>
<< Lo ami davvero così tanto? >>.
Alla domanda quasi sussurrata di Aleksej, che sembrava lontano anni luce nei suoi pensieri, come se la sfuriata di Katerina l’avesse osservata da un altro pianeta, la bionda smise di infuriare e Gabriele dovette appoggiarsi con la spalla sulla macchina per non barcollare.
Era quello il motivo per cui Aleksej l’aveva colpito?
Aveva scoperto tutto?
Gabriele non aveva mai davvero pensato a quanto doloroso sarebbe stato vedere Aleksej reagire proprio nel modo in cui si era aspettato avrebbe reagito.
Aveva pensato di essere sempre stato pronto a ricevere quel colpo, a rinunciare alla sua amicizia e vedersi buttare addosso milioni di insulti e quintali di risentimento.
Ma pronto non lo sarebbe stato mai.
<< E se lo ami così tanto, perché diavolo non me l’hai detto?! >>.
Fu come se il tempo si fosse fermato nel momento esatto in cui Aleksej pronunciò quelle parole inveendo contro la cugina più piccola, che sobbalzò con le lacrime agli occhi.
<< Voi due … voi due siete davvero dei grandi idioti senza speranza! >> Esplose Aleksej liberandosi malamente dalla stretta di Katerina, sia lei che Gabriele non riuscivano a far altro che guardare atterriti Aleksej che li additava sbraitando << Per tutto questo tempo … per tutto il fottuto tempo, mentre io non potevo capire a causa del vostro silenzio, voi avete pianto e sofferto … inutilmente! Avete capito? Inutilmente, RAZZA DI IDIOTI CHE NON SIETE ALTRO! >> Aleksej concluse il suo sermone/sfuriata con la gola che gli bruciava.
Il petto gli si alzava ed abbassava freneticamente, le nocche della mano pulsavano per il dolore e così anche le tempie, che sembravano davvero sul punto di esplodere.
Eppure si sentì tremendamente bene dopo aver gridato a quel modo.
<< Alješa … >> Mormorò Katerina, ma le parole che aveva in mente morirono sfumando.
<< E tu! Tu! >> Aleksej si girò con le guance paonazze verso Gabriele, pallido, atterrito, con il mento imbrattato di sangue e ancora completamente accasciato sulla macchina << Tu sei l’idiota più idiota di tutti i tempi! Ho dovuto scoprirlo da un bambino, se non fosse stato per Simone non avrei mai avuto la conferma di quello che ormai già sapevo >> Gabriele sussultò nel sentire quelle parole << Ma ti sei bevuto il cervello?! Sono davvero così spaventoso? Hai davvero pensato che me la sarei presa se l’avessi scoperto? Che ti avrei voltato le spalle? Che avrei fatto di tutto per impedire che voi stesse insieme? Dimmi di no Gabriele, perché altrimenti ti strangolo con le mie mani! >> Gabriele non aveva mai visto Aleksej così fuori di se, e non l’aveva nemmeno mai sentito alzare così tanto la voce << Allora non hai capito niente di me? Che colpo basso! Per me sei sempre stato come un fratello, dannazione! Sei stato tu a dirmi che dovevamo sempre dirci tutto, sei sempre stato tu ad incoraggiarmi, come hai potuto pensare che io non ne sarei stato in grado con te? Ti sei rinchiusi in te stesso come un idiota e non ti sei reso conto che … >> Aleksej afferrò bruscamente Katerina per le spalle e la spinse verso Gabriele come se fosse un trofeo, un oggetto prezioso << … che non avrei potuto desiderare nessun’altra persona che non fossi tu per lei! >>.
Gabriele lasciò andare tutto il fiato che aveva in gola nel sentire quelle parole, appoggiò le mani sulle ginocchia respirando affannosamente come se avesse corso una maratona, scoppiò a ridere e poi a piangere contemporaneamente.
<< Che sollievo >>.
Quando ebbe pronunciato quelle parole rivolgendo ad Aleksej un sorriso bagnato di lacrime, il biondo non riuscì più a trattenersi, lasciò andare delicatamente Katerina e raggiunse Gabriele afferrandolo con fermezza per le braccia.
<< Se era la mia benedizione che volevi Gabriele, te la do adesso con tutto il cuore. Ma non mentirmi mai più, e non nascondermi niente mai più. Sono il tuo migliore amico >>.
<< Lo so, mi dispiace. Sono uno stupido >>.
<< L’importante è che tu lo sappia Gab, è già un passo avanti. >>
<< Grazie Alješa … >>
ti prometto che non scapperò mai più.
 
Oscar aveva come la sensazione di essersi completamente svuotato.
Ma non sapeva esattamente di cosa.
Era da più di mezz’ora che camminava senza una meta in quel parco che tanto gli piaceva, sapeva bene di dover tornare a casa prima che facesse buio, erano le sette di sera e sua madre sicuramente lo stava aspettando, ma non riusciva a prendere una decisione concreta.
Quel pomeriggio avevano finalmente messo in scena le prove generali dello spettacolo di Tancredi e Clorinda, era stato soddisfatto di se stesso, aveva recitato bene, era stato bravo.
E allora perché sentiva quel vuoto terribile nel petto?
Oscar ricordava bene il momento in cui aveva preso la decisione ferma di farlo, di interpretare quel ruolo che tanto gli aveva fatto paura. Aveva litigato anche fin troppo con Catena per le sue ridicole paura, l’aveva fatta soffrire e disperare.
Le aveva gettato sulle spalle un carico che nessuno aveva il dovere di sopportare, e l’aveva fatto senza alcun riguardo nei suoi confronti, senza preoccuparsi di quanto male avrebbe potuto farle, l’aveva fatto perché Catena non aveva mai ceduto di un passo.
Perché era sempre stata lì, presente, anche quando Oscar non si meritava altro che schiaffi.
Era stata un punto fisso nella sua vita, una luce in tutta quell’oscurità che lui stesso aveva creato con il suo rancore, il suo odio e la sua paura insensata.
Oscar si fermò di botto nel parco, proprio di fronte l’elaborata fontana di pietra che finalmente aveva ripreso a funzionare con zelo, e si ritrovò a ringraziare il cielo per aver trovato Catena sul suo cammino, per averla incontrata tra tutta quella gente.
Guardò intensamente l’acqua limpida, infilò una mano nella tasca del giubbotto e tirò fuori una monetina da dieci centesimi, la scrutò per bene e senza ripensamenti la gettò nell’acqua.
Prometto qui e ora che ti renderò felice.
Prometto qui e adesso che lascerò andare tutti i miei fantasmi.
Premetto che ti rispetterò, che non avrò paura.
Prometto che non mi sentirò più in colpa e che ti amerò senza scappare.
Prometto che mi fermerò lungo la strada e smetterò di correre.
Prometto che da adesso in poi, non mi volterò mai più indietro.
Oscar pronunciò quelle promesse con gli occhi chiusi e le mani congiunte, come se stesse pregando silenziosamente di fronte un altare.
E fu in quel momento che realizzò il perché di quel vuoto nel petto, perché si rese conto di non aver provato nulla mentre recitava nei panni di Tancredi.
Che non aveva provato assolutamente nulla di quello che aveva temuto di provare.
Non aveva provato nulla, perché era nulla quello che sentiva per Giulia.
Perché odiarla, maledirla, non serviva più a nulla se aveva Catena.
Non serviva davvero a nulla.
Davvero.
Quella rivelazione lo frastornò come se qualcuno gli avesse tirato un pugno sulla tempia, barcollò fino alla panchina più vicina e si lasciò cadere a peso morto, scioccato.
Si accorse solo vagamente del cane del suo vicino che gli annusava i piedi e gli saliva sulle ginocchia, gli sembrava di aver camminato verso la direzione sbagliata per tutto il tempo, gli sembrava di aver corso inutilmente.
<< Alla fine chi resta deve continuare a vivere, te ne sei accorto eh? >>.
Oscar si spaventò quando sentì quella voce, fece un piccolo saltello sulla panchina e il cane che lo stava annusando ringhiò mostrando i denti. Il padrone lo strattonò e la creatura andò ad accucciarsi docilmente ai suoi piedi lasciando in pace Oscar, che in quell’istante stava guardando Luca con gli occhi sgranati dalla sorpresa.
<< L’ultima volta che ci siamo visti mi hai trattato proprio da cani, sai? >>.
Oscar non poté fare a meno di notare che Luca aveva un aspetto terribile, sembrava sciupato, stanco, rassegnato a vivere una vita che lo stava schiacciando sulle spalle senza perdono, senza riserve, senza pietà.
Oscar iniziò a chiedersi se fosse normale che un ragazzo ancora così giovane avesse quell’espressione sul viso, poi trasalì, deviando il corso della sua stessa domanda:
Anche io ho avuto quell’espressione sul viso per tutto il tempo?
<< Puoi biasimarmi? >>. La voce gli uscì leggermente roca dopo le tante prove a teatro.
<< Direi di no >>. Il commento di Luca fu accompagnato da una risatina amara, stanca, priva di qualsiasi brio << Sembri stanco Oscar >>.
<< Davvero? Ti sei visto di recente? >>.
<< Oh, io sarò stanco tutta la vita, ma tu, non è ora che ti liberi di quel peso sulle spalle?>>.
<< So che devo, l’ho capito, ma non so come farlo >>. C’era angoscia nella voce di Oscar.
<< Ti aiuterò io >>. Quella di Luca era spenta.
<< Davvero? Non lo trovi ironico? >>.
<< C’era una cosa che volevo dirti quella volta che ci siamo incontrati, ma poi mi è mancato il coraggio quando ho visto che eri ancora così arrabbiato … >>.
Oscar esitò dopo quelle parole, esitò per un solo piccolo istante, un istante insignificante in quella bolla sospesa di tempo che si era andata a creare attorno a quella panchina.
Lasciando tutto il resto del mondo dall’altra parte della strada, dall’altra parte della vita.
<< Cosa? >>.
<< “Sono una persona cattiva Luca, sono stata cattiva per tutto il tempo. Oscar è un bravo ragazzo, è davvero troppo buono per me. Gli ho fatto delle promesse che sapevo non avrei mantenuto, gli ho dato carezze che sapevo erano false, gli ho detto di amarlo e non era vero.
Vedi? Sono cattiva, e da domani lui mi odierà, mi disprezzerà, e contemporaneamente desidererà poter tornare indietro nel tempo e rifare tutto d’accapo. Digli, ti prego, che per una stronza come me non ne varrà la pena. Digli, perché non ho il coraggio, che arrabbiarsi, gridare, soffrire o sentirsi in colpa per una come me non ne male la pena. Mai.” Mia sorella mi disse queste parole qualche ora prima di salire su quella macchina. Lei non avrebbe mai voluto vederti così Oscar, pensava davvero che non ne valesse la pena >>.
Oscar aveva temuto per tutto il tempo che il carico di quella verità l’avrebbe schiacciato senza rimedio, aveva temuto che la ruggine depositata sulle sue spalle avrebbe finito per ricoprirlo irrimediabilmente fino a soffocarlo, ma non fu così.
Si sentì libero come non lo era mai stato in quei due anni.
<< E perché … queste belle parole te le fai uscire solo adesso? >>.
La bolla si ruppe all’improvviso quando Luca si alzò in piedi, tutti i rumori del parco, che erano improvvisamente spariti, tornarono a farsi sentire lentamente, progressivamente.
<< Perché adesso hai Catena >>.
Oscar non replicò più nulla dopo quelle parole, si limitò a seguire con sguardo perso la figura emaciata di Luca che andava pian piano allontanandosi dalla strada, dalla sua vita.
Aveva le spalle più leggere quella sera.
A riportarlo al presente fu l’arrivo di un messaggio sul cellulare, lo sfilò senza fatica dalla tasca del cappotto e osservò con fare distratto le telefonate senza risposta di sua madre, la sua attenzione era tutta per il messaggio di Catena.
“I cannot live without my life! I cannot live without my soul!”
Oscar si ritrovò a sorridere riconoscendo la citazione tratta da Cime Tempestose.
Era un gioco che facevano entrambi da un po’ di tempo ormai, la sera si salutavano in quel modo, usando le parole di chi già prima di loro si era amato.
Non posso vivere senza la mia vita, non posso vivere senza la mia anima.
Oscar l’aveva capito, la sua anima era Catena.
Non avrebbe guardato indietro mai più.
 
Lisandro aveva sempre trovato simpatico Daniele Colombo.
Era completamente diverso da Enea, e non solo perché era il fratello maggiore, ma perché era allegro, solare e schietto.
Praticamente tutto quello che Enea non era e non sarebbe mai stato.
<< Enea dovrebbe tornare tra qualche minuto, lo aspetti in camera sua? >>.
Lisandro venne bruscamente richiamato al presente quando Daniele gli rivolse quella domanda, erano seduti attorno all’isola della cucina da una ventina di minuti, con i bicchieri ormai vuoti e le conversazioni di circostanza terminate da un pezzo.
Lisandro aveva persino dimenticato il motivo per cui aveva deciso di andare da Enea, in realtà forse un motivo non lo aveva mai avuto fin dall’inizio, era stata solo l’abitudine.
<< D’accordo … >>.
Si tirò lentamente in piedi e seguì Daniele lungo il corridoio, attraverso quel percorso familiare che risvegliava tanti ricordi infantili; corse sfrenate per andare a nascondersi, combattimenti galattici con le scodelle sulla testa e gli ombrelli in sostituzione delle spade laser, cadute e cicatrici, lacrime e litigi.
Lisandro non ricordava esattamente quand’era stato che aveva smesso di andare a casa di Enea con frequenza, se ne era allontanato pian piano, tanto che nemmeno con Daniele, lo stesso Daniele che da bambino giocava con loro a Star Wars,  riusciva ad essere se stesso.
<< Ecco qui, il regno inespugnabile di mio fratello minore >>.
Il commento di Daniele gli strappò un tenue sorriso.
Lisandro entrò timidamente nella camera del suo migliore amico e si guardò attorno con nostalgia, era un posto ordinato e tranquillo, completamente estraneo ai suoi ricordi.
Le pareti erano di un anonimo bianco asettico, c’era una sola finestra con le tende blu aperte giusto il necessario per far passare la luce, il letto era ad una piazza e mezza ed occupava una buona parte di spazio. Lisandro osservò con nostalgia il grande piumone blu, un tempo su quel letto ne avevano costruiti di fortini e fortezze inespugnabili.
L’armadio era anonimo e completamente nuovo, senza più alcuna traccia di scritte con il pennarello o poster di Dragon Ball e Naruto, Lisandro provò uno strano senso di vertigini quando notò la scrivania sistemata ed ordinata, provò le vertigini perché in bella mostra, in una cornice semplice e bianca, se ne stava una fotografia di quando andavano alle medie. Lisandro vi si avvicinò senza nemmeno pensarci, rivolgendo solo uno sguardo fugace alle mensole piene di modellini di Star Wars, altre fotografie di famiglia e trofei scolastici, la sua attenzione era tutta per quell’unica fotografia che abbelliva una scrivania asettica, abitata solo da un computer portatile d’ultimagenerazione, una lampada da lettura e un plico di documenti ordinati proprio al centro del tavolo.
<< Enea si arrabbia se la mamma la sposta di lì, sai? >>.
Lisandro trasalì quando sentì la voce di Daniele, per un istante aveva dimenticato che nella camera c’era anche lui, per un istante aveva dimenticato tutto ed era tornato indietro nel tempo, al giorno in cui quella foto era stata scattata.
<< D-davvero? >> Domandò con voce secca.
<< Uhm, dice che guardarla gli ricorda tempi felici >>.
Lisandro trasalì impercettibilmente e incrociò lo sguardo di Daniele, che per tutto il tempo se n’era stato appoggiato allo stipite della porta e l’aveva osservato con un sorriso bonario ed enigmatico sulle labbra, un sorriso che comunicava molto più di tante parole.
Quei tempi felici se ne sono andati, vero? Siete cresciuti, eh?
Lisandro distolse lo sguardo e fu solo in quel momento che vide l’altra fotografia, domandandosi come avesse fatto a non notarla prima visto che occupava da sola quasi tutta la parete. Il cuore gli si fermò in gola quando si rese conto di chi erano i due protagonisti, era una foto in bianco e nero di Enea e Beatrice, sorridenti con le sciarpe sulla bocca per ripararsi dal vento, i capelli di lei nel vento, stretti in un abbraccio pieno d’affetto con gli occhi persi inesorabilmente, terribilmente l’uno nell’altro.
Lisandro si sentì terribilmente piccolo.
Sentì il cuore restringersi e contorcesi dolosamente all’interno del suo petto.
Faceva male, faceva davvero troppo male.
Distolse velocemente lo sguardo e appoggiò distrattamente una mano sulla scrivania per non barcollare, per non vacillare davanti a Daniele, e fu in quell’istante che l’occhio gli ricadde sulla pila di documenti ordinati al centro del tavolo, si accigliò, contrasse le sopracciglia e …
E gli sembrò che tutto il mondo avesse cominciato a girare all’incontrario.
<< Daniele … cosa – cosa sono questi documenti? >>.
Lisandro cercò di rivolgere quella domanda con un contegno che temeva di aver perso.
<< Cosa? Ah, si. Enea ha vinto una borsa di studio per andare a studiare un anno all’estero. Non te l’aveva detto? >>.
<< Ah, si … l’avevo dimenticato >>.
Lisandro aveva come la sensazione che in quel momento il cervello sarebbe potuto esplodere da un momento all’altro insieme alla sua collera, strinse forte i pugni e rivolse a Daniele un sorriso che non lo convinse per nulla.
<< Lisandro, sei sicuro che … >>.
<< Che ci fai nella mia stanza Daniele?! Quante volte ti ho detto … oh, Lis >>.
Sia Lisandro che Daniele si voltarono a guardare Enea con sguardo allucinato, erano stati talmente presi dalla situazione che non avevano nemmeno sentito la porta di casa aprirsi.
Daniele rivolse un’occhiata veloce ai due ragazzi, alzò le mani in segno di resa e li lasciò soli.
<< Ehi, è da un po’ che non venivi qui, è succ- >>.
<< Questa non te la perdonerò mai! >>.
Enea aveva mosso solo  un passo nella stanza quando Lisandro sollevò il plico di fogli e glielo gettò addosso con foga, guardandolo negli occhi con una rabbia che non gli aveva mai visto prima.
<< Non l’hai detto a Beatrice, vero? Non gliel’hai detto che te ne vai un anno all’estero, ho ragione?! Vero?! >>.
Lisandro aveva il fiatone mentre gridava quelle parole, una collera cieca si era impossessata di lui, perché non gliel’aveva detto?
Perché Enea non si era confidato con lui come avrebbe fatto con il bambino nella foto?
Perché diamine le cose doveva andare a finire in quel modo?
Enea rimase atterrito per un solo istante, poi si chinò a terra e con mani tremanti afferrò il plico di fogli, riordinandoli automaticamente.
<< Non ho ancora firmato niente, io non lo so se … >>.
<< Se le fai una cosa del genere Enea, se ti permetti di farle una cosa del genere … giuro che te la porto via. Dovesse essere l’ultima cosa che faccio nella vita! >>
Non erano quelle le parole che Lisandro avrebbe voluto pronunciare.
 

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Effe_95
Buongiorno a tutti :)
Avrei dovuto pubblicare questo capitolo due settimane fa più o meno, ma non ho potuto farlo per una serie di problemi di salute che lentamente stanno finalmente sparendo. Da adesso in poi mi impegnerò affinchè questi ritardi diminuiscano sempre di più, dovessi fare le ore piccole per scrivere u_u. Allora, sono tornata con un capitolo un po' più ( è un eufemismo vero?)  pesante del precendete e succedono tantissime cose.
Nella prima parte abbiamo finalmente il confronto tra Aleksej e Gabriele, spero che non ci siate rimasti troppo male per il pugno che Aleksej molla a Gab, ma mi sono messa nei suoi panni e ho capito che personalmente io non avrei potuto reagire diversamente.
Alla fine quello di Aljesa è stato un rimprovero un po' violento, ma dettato dall'affetto ;).
Per la parte di Oscar, ci tengo a precisare che è solamente un inzio del suo percorso a "ritroso", avevo già detto che Luca sarebbe tornato ancora una volta, ed eccolo qui, da adesso in poi non comparirà più, quindi ci ha lasciato con quelle parole.
Spero che questa parte vi sia piaciuta perchè mi ha fatta penare davvero xD
Per quanto riguarda la parte di Enea e Lisandro non dirò nulla, voglio sapere le vostre reazioni, positive o negative che siano ;)
Grazie mille come sempre per il sostegno, per la pazienza nonostante le lunghe attese.
Alla prossima :) 

 
 
 
 
 
 
 
  
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