Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Signorina Granger    15/12/2016    8 recensioni
INTERATTIVA || Conclusa
1944: Gellert Grindelwald rappresenta più che mai una minaccia e la Camera dei Segreti è stata misteriosamente aperta da circa un anno; nemmeno Hogwarts è un luogo sicuro.
Nella speranza di preparare i suoi studenti a ciò che potrebbe aspettarli dopo il Diploma, il Preside Armando Dippet convoca alcuni tra i suoi più talentuosi ex studenti per far seguire delle lezioni nuove, creando così una classe speciale formata dai più capaci studenti dell’ultimo anno.
Queste nuove lezioni li aiuteranno ad affrontare la crudeltà della vita vera?
Oppure anche i loro nuovi insegnanti si ritroveranno ad imparare qualcosa da loro?
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maghi fanfiction interattive
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Magisterium '
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 22: Raccontarsi (Parte II)
 
 
 
Sbuffò, continuando a camminare a passo svelto nel corridoio deserto e poco illuminato: ci aveva messo un po’, ma alla fine era riuscito a districarsi dal gregge di studenti che aveva occupato il corridoio come pecore disordinate.
 
“Andate a cena, non avete di meglio da fare?”      Alle sue parole e, soprattutto, di fronte al suo tono seccato e sbrigativo molti si erano finalmente dati una mossa, affrettandosi a lasciare il corridoio e permettendogli di passare.  Will abbassò lo sguardo senza smettere di camminare, rivolgendo un’occhiata leggermente apprensiva a Charlotte, che se ne stava pallida e immobile tra le sue braccia.
Che accidenti ti è preso, Selwyn?
Quando arrivò finalmente davanti alla porta dell’infermeria l’aprì con un piede, entrando e guardandosi nervosamente intorno alla ricerca di Madama Chips.
“E’ questo il modo di entrar- Ah, è lei… Che cosa è successo?”        La donna spuntò sul fondo della stanza, avvicinandosi quasi a passo di marcia e puntando lo sguardo dritto su Charlotte, chiedendosi cosa fosse successo ancora una volta: in quella scuola non stava mai tranquilla un attimo.
 
“Non lo so… credo che abbia avuto un attacco di panico, non respirava.”
“La metta lì, Signor Cavendish.”  

William obbedì, avvicinandosi ad un letto e appoggiandoci delicatamente Charlotte sopra prima di sedersi accanto al letto con aria risoluta, quasi a voler sfidare Madama Chips a mandarlo via: non avrebbe levato le tende finchè non si sarebbe svegliata, potevano starne certe entrambe. 
                                                                                      *

 
Quando aprì gli occhi tirò quasi un sospiro di sollievo, sorridendo leggermente nel rendersi conto di riuscire a respirare normalmente e senza alcuna difficoltà.
 
Tuttavia quella piacevole sensazione ebbe vita breve, e ben presto Charlotte si guardò intorno… accorgendosi che intorno a lei non c’era proprio un bel niente.
Era al buio, sul pavimento ruvido di una specie di stanza apparentemente vuota… fatta eccezione per lei, ovviamente.
 
“Si, in effetti non è molto carino qui… Motivo in più per darsi una mossa, non credi anche tu?”
 
Quasi perse un battito, nel sentire quella voce quasi dolorosamente familiare… era da tanto che non la sentiva, ma l’avrebbe riconosciuta tra mille anche se a volte le sembrava di averla dimenticata.
Charlotte si voltò, deglutendo alla vista di suo fratello, seduto accanto a lei. Sean si stava guardando intorno con aria quasi annoiata, ma voltandosi verso di lei le sorrise, come aveva fatto per 27 anni.
 
“Ciao Charlie… ti sono mancato?”
 

“Direi di sì… Dove siamo?”
 

“Onestamente non lo so… ma credo, ad occhio, di essere nella tua testa, in un angolo remoto della tua mente.”
 

“La scatola nera…”
 
“Come?”     Sean inarcò un sopracciglio, guardando la sorella scuotere leggermente il capo, scacciando le parole di Luisa in fretta come le erano tornate in mente:
“Niente, non importa. Piuttosto, mi dici perché ti vedo? Ti ho sognato tante volte, ma per lo più erano ricordi… questo sembra diverso.”
 
“E’ diverso, Charlie. Credo sia arrivato il momento di farmi uscire, non sei d’accordo? E’ tanto che vai avanti così.”
 

“Vorrei farlo Seannie… ma non c’è sempre un modo per scappare. Lo sappiamo entrambi.”

 

“Non ti ho insegnato niente, piccoletta? Non c’è mai niente di chiuso, Charlie… se si entra, si esce. Sempre.”
“Non sempre. Tu non sei uscito, sei rimasto bloccato dentro… Non c’è sempre una strada, se ci fosse stata l’avresti trovata.”
 
“O forse no. Mi hai sempre idealizzato molto Charlie, almeno ora devi vedere le cose per come stanno davvero… Forse non l’ho trovata, ma c’era. Infondo tu sei ancora viva, forse perché sei stata più in gamba di me.”
Sean le sorrise ma la sorella scosse il capo, abbassando lo sguardo cupo sulle sue gambe. 
“Non sono più in gamba di te Seannie… ho avuto fortuna, e tu mi hai aiutato.”

 

“E sono felice di averlo fatto, lo rifarei se potessi. Prima o poi dovrai voltare pagina Charlie, e farmi uscire dalla tua testa… Sai, non credo che sarei felice di vederti stare male, considerando che ho fatto di tutto per aiutarti.”
“Saresti?”
“Sta succedendo tutto nella tua testa sorellina, sono solo una specie di proiezione, sto dicendo quello che secondo te Sean direbbe ora. Forse non te ne rendi conto, ma infondo sai di dover andare avanti… Esci da questa bolla Charlie, fallo per tuo fratello, se non vuoi farlo per te.”
 

Sean le sorrise, sporgendosi verso di lei per darle un bacio sulla fronte, mentre Charlotte deglutiva, abbracciandolo:
 

“Mi manchi.”
“Lo so piccoletta… ma non hai più bisogno di me ormai. Vai avanti Charlotte.” 
Chiuse gli occhi, sentendo la mano del fratello accarezzarle i capelli mentre cercava di memorizzare la sua voce, non volendola dimenticare.
Eppure, sapeva che prima o poi sarebbe successo.


“Ci proverò, te lo prometto.”

 
                                                                               *

 
Venerdì 2 Aprile
 
 
Quando aprì’ gli occhi non era al buio… la luce filtrava attraverso le alte finestre ad arco, e solo guardando il soffitto della stanza sopra di lei Charlotte seppe dove si trovava. 
Perfetto… ci mancava solo questa.

 
“Beh, era anche ora. Hai dormito come un sasso per ore, stavo iniziando a considerare l’idea di buttarti un secchio d’acqua addosso.”
Si voltò, trovandosi davanti Will, seduto su una sedia accanto al letto. Malgrado il tono ironico le sorrise leggermente, come se fosse felice di vederla sveglia…. Sorriso che Charlotte non ricambiò, sospirando leggermente:
 
“Immagino, per te dev’essere stato devastante non potermi parlare per… che ore sono, esattamente?”
“Le 7. Hai dormito per quasi 12 ore di fila Charlotte, i miei complimenti.”
 
La donna sbuffò leggermente, sprofondando la faccia nel cuscino: attacco di panico nel bel mezzo di un corridoio, poi sveniva sempre nel corridoio… e poi dormiva per un’eternità. In effetti non le succedeva da un sacco di tempo di non svegliarsi neanche una volta nel cuore della notte…  
“Grandioso… ma tu come lo sai che ho dormito ininterrottamente? Sei stato qui?”    Charlotte sollevò il capo, puntando gli occhi sul suo interlocutore con un’espressione leggermente accigliata che lo fece esitare per un attimo prima di stringersi nelle spalle:
“… Certo che no. Me l’ha detto Madama Chips.”                   
“Grazie per ieri sera, ma non serviva portarmi qui. In effetti credo che dovrei andar-“
La donna fece per scostare le coperte per alzarsi, ma Will la bloccò con un’occhiataccia, intimandole silenziosamente di non muoversi:
 
“FERMA. Altrimenti Madama Chips ucciderà entrambi… e poi Regan starà arrivando per parlarti, probabilmente. Ieri sera era un fascio di nervi, poverino.”

“Ti prego, non dirmi che lo sa tutta la scuola…”
“Cosa credi, che abbia appeso dei volantini in giro? Comunque… come ti senti?”
 
“Bene. Come ho detto, posso benissimo andare… ok va bene, non serve fare quella faccia!” 
Charlotte sbuffò, incrociando le braccia al petto e guardando il collega con cipiglio leggermente seccato, facendolo sorridere con aria divertita: non era mai successo che lei lo ascoltasse, in effetti. 
 
“Ma che brava… Mi vuoi dire che ti è preso, ieri sera?”
“Non lo so. Però grazie per avermi aiutata.”         Charlotte abbassò lo sguardo sulle proprie gambe, non sapendo sinceramente come rispondere a quella domanda… e probabilmente Will stava per dire qualcos’altro ma la porta si aprì, permettendo anche a Regan di entrare: 
“CeCe! Che sollievo, sei sveglia… come stai?”
 
“Ciao Reg… bene. Ma perché resti lì? Dai, vieni!”     Charlotte inarcò un sopracciglio, notando che l’amico era rimasto a debita distanza dal suo letto, osservando prima lei e poi Will con leggera apprensione. Quest’ultimo però sembrava quasi divertito dalla cosa, ridendo sotto i baffi mentre Regan si avvicinava lentamente e tenendo il capo chino, come un bambino che va a prendersi un rimprovero:
 
“Andiamo Reg, non ti voglio ammazzare!” 
“Ah no? Perché se così fosse ti vorrei ricordare che tu e mia moglie siete anche e non vorrai farla diventare vedova, vero?”
“No, mi ucciderebbe… Will, puoi lasciarci soli per favore? Voglio fare due chiacchiere con Regan.” 
La donna spostò lo sguardo sul mago, sorridendogli amabilmente mentre invece Regan sgranava gli occhi, iniziando già a temere il peggio… probabilmente avrebbe anche pregato Will di restare, ma non ne ebbe il tempo: William gli diede una pacca sulla spalla, annuendo prima di alzarsi:
 
“Ok… Io sono qui fuori, in caso chiamatemi… Buona fortuna Reg.”
“WILL! Non mi abbandonare!” 
L’uomo sbuffò, parlando con un filo di voce ma senza ottenere alcun risultato: William gli sorrise prima di darsela quasi a gambe, lasciandoli soli nell’Infermeria deserta.
 
“Ma perché tutti pensano sempre che io li voglia ammazzare? Risulto così crudele? Voglio solo parlarti Reg, ti voglio bene anche se sei un inguaribile pettegolo!”
Charlotte sospirò, alzando gli occhi al cielo mentre appoggiava la schiena alla testiera del letto. Regan sorrise per un attimo con aria sollevata prima di tornare serio: 
“CeCe… sapevo che avresti reagito male, avevo chiesto a Will di non dirtelo… ma lui fa sempre quello che gli pare, spero solo che tu non voglia uccidermi adesso.”
 
“In effetti non me l’ha proprio… detto, diciamo che l’ho scoperto a modo mio. In ogni caso Reg, non ce l’ho con te… forse sarebbe stato meglio tenere la bocca chiusa, ma ti conosco e so che avevi le migliori intenzioni.”    Con somma sorpresa dell’uomo l’amica gli sorrise leggermente, come se non avesse DAVVERO intenzione di tenerlo a testa in giù per un’ora per fargliela pagare.
 
“Davvero? Beh, è un sollievo… insomma, lo sai che ti voglio bene! Volevo solo che non stessi male di fronte a qualche domanda scomoda, tutto qui.” 
“Lo so… e per questo ti perdono.”        Regan guardò l’amica, leggermente sorpreso dalle sue parole e dal tono calmo di Charlotte… però il suo sorriso era decisamente chiaro: la prossima volta non sarò tanto indulgente, per quanto ti voglia bene.
 
                                                                                *
 
L’erba le solleticava piacevolmente il collo e le mani, mentre se ne stava comodamente stesa sul prato, sotto il sole. Non era l’unica ad aver deciso di passare la giornata all’aria aperta visto il bel tempo, ma quasi tutti si erano sistemati sotto qualche albero in prossimità del Lago… lei invece no, le piaceva il calore del Sole.

 
“A cosa stai pensando?”
Una mano le sfiorò i capelli, accarezzandoglieli e facendola sorridere leggermente, scuotendo il capo:
 
“A niente.” 
“Per favore, ti conosco… cosa c’è?”        Dante sbuffò, girandosi su un fianco per poterla guardare in faccia, osservandola con aria inquisitoria.
 
Jane non si voltò, evitando di guardarlo mentre esitava, pensando a cosa dire… lo sapeva, lui la conosceva forse fin troppo bene.
“Niente di importante.”

 
“Una volta ho provato a nasconderti qualcosa che mi faceva stare male Jane, e sappiamo che non ha portato a nulla di buono… per favore, non fare come me.”    Dante sbuffò, guardandola con la sua faccia da cucciolo e continuando ad accarezzarle i capelli.
“Oggi… è il compleanno di mio padre.”   
 
 
Jane parlò con un filo di voce, tormentandosi le dita e tenendo gli occhi azzurri puntati sul cielo dello stesso colore, deglutendo mentre si sforzava per non piangere.  
“Non merita le tue lacrime, piccola Jane…”
 
Ricordava benissimo le parole di Dante, ma faticava a dargli retta, almeno su quel punto.
Per qualche istante il ragazzo non disse nulla prima di sospirare, prendendola delicatamente tra le braccia e dandole un bacio sulla nuca:
 
“Perché devo sempre tirarti fuori le cose con le pinze, piccola Jane? Non puoi stare sempre zitta, quando stai male.” 
“Ma proprio tu parli?”
 
“Io sono una testa di rapa, non devi imitarmi!” 
Malgrado tutto Jane rise appena, appoggiando la testa sul petto del ragazzo. Restò in silenzio per qualche istante ma poi alzò lo sguardo per poterlo guardare negli occhi, parlando a bassa voce:
 
“In teoria non mi dovrebbe mancare, lo so… però è così comunque.”
“E’ normale, era pur sempre tuo padre, non un estraneo. Prima o poi smetterai di pensarci Jane, vedrai. Impara che quando stai male devi parlarne con me, capito testona?”    Dante sbuffò, dandole un pizzicotto sul braccio e facendola sorridere di riflesso, abbracciandolo quasi con sollievo, chiudendo gli occhi:
 
“Grazie Dan.”  
“Non ho fatto niente.”
“Beh, grazie lo stesso.”
 
                                                                               *

 
“Ehy… ciao. Sono felice di vederti, visto che ieri sera continuavi a ripetere che CeCe ti avrebbe ucciso non appena sveglia. Come sta?”
 
Lyanna sorrise, chiudendo il giornale nel vedere Regan entrare in Sala Professori, trascinandosi fino alla poltrona libera: 
“Bene, o almeno così dice… Ma Charlotte direbbe di stare bene anche con una gamba rotta, quindi non fa molto testo. E’ ancora in Infermeria, credo che ci starà ancora per qualche ora…”

 
“E’ da sola?”
“No, Will è ancora lì. Credo che abbia dormito in Infermeria, in effetti.” 
Regan si lasciò cadere sulla poltrona, passandosi una mano tra i capelli lisci e come sempre leggermente spettinati, pensando alla conversazione appena avuta con l’amica.
 
Lyanna invece sfoggiò un lieve sorrisetto, assumendo quasi l’aria di chi la sa lunga prima di parlare di nuovo:
“E com’è andata? Ti ha lanciato contro qualche maledizione?”
 
“No, è stata stranamente molto calma. Non sembrava arrabbiata con me, ha detto che forse non avrei dovuto dirvelo… ma che in un certo senso mi è grata, perché sa che difficilmente lei l’avrebbe ammesso di sua spontanea volontà.” 
“Avevi le migliori intenzioni del mondo Reg, sono sicura che lo sa anche lei. Insomma, ce lo hai detto solo perché temevi che potessimo fare domande inopportune.”
“Si, glie l’ho detto… e credo che l’abbia capito. Ad un certo punto si è sporta verso di me, in un primo momento ho pensato volesse picchiarmi e invece mi ha abbracciato.”

“Sai, io penso che potrebbe farle solo bene… magari ora si deciderà a parlarne apertamente. Credo che aiuti, dire le cose ad alta voce.” 
Lyanna fece per riaprire il giornale, ma a quelle parole Regan si voltò di nuovo verso di lei, esitando per un attimo prima di parlare nuovamente:
“Tu dici?”
 
“Si, penso sia così.”
“Perché finalmente non mi dici perché sei qui, allora?”   
 
Lyanna si bloccò, tenendo il giornale a mezz’aria per un istante prima di sospirare, piegandolo e mettendolo di nuovo sulle sue ginocchia.  Tenendo lo sguardo basso fece per andare a rigirarsi la fede, come faceva sempre quando si trovava in difficoltà… Ci mise un attimo a ricordarsi che non la portava più da tempo, sentendosi per un istante a disagio, come se le mancasse qualcosa di fondamentale.    Contraendo la mascella intrecciò le mani, appoggiandosele in grembo prima di parlare di nuovo: 
“Mio marito è morto circa un anno fa, lo sai già… ha avuto un incidente. E dopo è stato… difficile. Non solo emotivamente, ma anche… economicamente. Ad inizio Gennaio Dippet mi ha scritto e ho subito accettato… infondo, adoravo stare qui. E gli ultimi mesi sono stati senza dubbio i migliori, rispetto all’anno passato. Da quando sono qui ci penso molto meno.”
 
“Non devi… smettere di pensarci, Lyanna. Devi solo smettere di stare male.” 
“Sai Reg, ti invidio tantissimo… quando dici che tua moglie ti manca. Anche a me manca molto, ma tu sai che la rivedrai… E non c’è niente di più bello che sapere che c’è qualcuno, a casa, che ti pensa e che ti aspetta. Non vorrei fare la melodrammatica, ma credo che tra noi quattro, tu sei l’unico ad avere questo magnifico lusso."
 
Lyanna sfoggiò un sorriso, lieve quanto amaro… e Regan non potè che annuire, perfettamente consapevole di quanto fosse felice e fortunato:
“Lo so… sono consapevole di quanto sia fortunato. Ma non dire così Lyanna, sei una persona meravigliosa, e adori la tua famiglia, ti ho visto stritolare tuo nipote in un abbraccio più volte. Sai, credo che tu sia una persona tremendamente difficile da odiare, sai senza dubbio farti voler bene dagli altri.”           Regan le sorrise, pensando sinceramente quello che le stava dicendo… in breve tempo aveva imparato a volerle bene, con il suo sorriso, il suo arrivare spesso e volentieri in ritardo quando si perdeva in giro per il castello e la sua gentilezza incondizionata.
 
“Anche tu. Lo so, senza la mia famiglia non so davvero come avrei fatto a superarlo… però a volte è stato molto difficile lo stesso. Non invidio per nulla chi non ha questa fortuna e non ha una famiglia unita come la mia, pronta a starti vicino quando soffri.”
“In teoria dovrebbero essere tutte così… sfortunatamente però, in pratica non è così.”
 
                                                                                     *
 
“Non potevamo andare in un altro bagno?”   Isabella sbuffò, dondolando nervosamente le gambe dal lavandino dove si era seduta. Ingrid sbuffò mentre si lavava le mani accanto a lei, guardando l’amica come se proprio non capisse il suo atteggiamento:
 
“Si può sapere perché scappi sempre da questo bagno? Cosa ti ha fatto?” 
“Beh… Lasciamo perdere, forse è meglio se non lo sai.”    La rossa sbuffò, piegando le labbra in una lieve smorfia: era passato un anno, ma le sembrava fosse successo il giorno prima… Mirtilla era morta proprio lì dentro, e la cosa la innervosiva leggermente.
 
“Ormai sono curiosa Bella… coraggio, che sarà mai?” 
“Ok, ma ti avevo avvertito: ricordi quando ti ho raccontato della ragazza morta, della Camera dei Segreti e tutto il resto? Beh, hanno trovato Mirtilla proprio QUI. Nessuno ci viene spesso, da allora.”
 
“Davvero? Ok, in effetti è leggermente inquietante… poverina, se penso che avrebbe l’età di mia sorella…”    Ingrid sospirò con aria malinconica, mentre invece Isabella si guardava intorno con apprensione, pregando che il fantasma di Mirtilla non comparisse da qualche angolo… il posto le piaceva già molto poco, anche senza un fantasma piagnucoloso.
 
“Sì beh, ora lo sai… possiamo andare? Mi sento strana qui!”
“Ok, andiamo… Olly e Dante ci aspettano per studiare."
Isabella sorrise, scendendo dal lavandino quasi con sollievo… e nel farlo sfiorò qualcosa inciso sul lavandino, una forma che inevitabilmente attirò la sua attenzione: un serpente.

Per l’amor del cielo, mi perseguitano!
La rossa inarcò un sopracciglio, esitando per un attimo… non se n’era mai accorta, in effetti nessuno usava quel rubinetto, che non funzionava mai.

 
“Bella? Ci sei? Non morivi dalla voglia di uscire da qui?”
 
“Si… arrivo!”   Isabella sorrise, girando sui tacchi e affrettandosi a seguirla, smettendo di pensarci… probabilmente non era niente di importante, dopotutto.
 
 
                                                                            *
 

“Mi dici a cosa stai pensando? E’ da un’eternità che te ne stai lì senza dire una parola!”
 
“Sono passati dieci minuti, Charlotte.”

L’ex Corvonero inarcò un sopracciglio prima di voltarsi verso l’orologio, non credendo alle parole di William… insomma, non potevano essere passati solo dieci minuti!
Sfortunatamente però il marchingegno confermò le parole dell’uomo, facendola sospirare con esasperazione:
 
“Oddio… Si prospetta una giornata molto lunga…”       Charlotte sbuffò, reggendo il capo con una mano mentre Will continuava a restare in silenzio, seduto accanto al letto della donna a riflettere su qualcosa a cui stava pensando da praticamente tutto il giorno… o anche dalla notte precedente, quando non si era mosso dall’Infermeria per controllare che Charlotte non smettesse all’improvviso di respirare.
 
Dopo che Regan era uscito dall’Infermeria quasi svolazzando per il sollievo di essere ancora tutto intero, Will era tornato dentro per tenere compagnia a Charlotte… o almeno così aveva detto a Madama Chips e a alla diretta interessata, ma in realtà il suo intento era principalmente di fare in modo che la donna non se la desse a gambe.

 
Trovando strano che non stesse parlando anche solo per prenderla in giro Charlotte si voltò verso di lui, guardandolo con lieve scetticismo negli occhi verdi:
 
“Sei strano oggi Will… che ti succede?”
“Niente, sto solo pensando ad una cosa. Ma anche tu hai la testa per aria.”
 
“Non rigirare la frittata! Stavo solo pensando che…”     Charlotte non finì la frase, esitando prima di sbuffare sommessamente, torturandosi le mani mentre cercava un modo per dire qualcosa a cui stava pensando già da un po’… ma non era mai stata brava a chiedere scusa.
Intanto Will la stava osservando con aria scettica, chiedendosi che cosa volesse dirgli… però per una volta era quasi piacevole vederla in difficoltà:
 
“Beh, ti volevo chiedere scusa. Per… essere entrata nella tua testa. Sono molto impulsiva, a volte non mi fermo a riflettere.”
William inarcò un sopracciglio prima di sorridere quasi allegramente, guardandola tenere lo sguardo basso con ostinazione: 
“Wow… prima mi ringrazi, poi mi chiedi scusa… Che ti succede?”
 
“Bella domanda… me lo sono chiesta mote volte. Piuttosto, mi dici perché non ti sei mai mosso da qui?”
 
“Mi assicuro che tu non scappi, sono sicuro che muori dalla voglia di uscire da qui… Senti, per ammazzare il tempo perché non mi racconti che cosa è successo a te e a tuo fratello? Non guardarmi come se fossi matto, secondo me ti aiuterebbe… non ne hai mai parlato ad alta voce, vero?”
 
“No, ma… non mi va.”    Abbassò lo sguardo, puntandolo sul lenzuolo del letto mentre piegava le gambe, avvicinandole al petto e stringendole istintivamente con le braccia.
Will le sorrise leggermente, alzandosi dalla sedia per sedersi sul letto, davanti a lei: 
“Lo immagino… ma credo che ti sarebbe utile per affrontarlo.”
 
“Ma Regan ve l’ha già…”
“Non si è soffermato su molti particolari CeCe, nemmeno lui sapeva molto… Senti, facciamo così: lo so che ti costerà, ma se accetti io ti racconto la MIA storia. Ci stai Selwyn?”      
 
Non sapeva nemmeno perché stava dicendo una cosa del genere… per un attimo si chiese se non stesse diventando matto, perché fino a poco tempo prima avrebbe riso se gli avessero detto che un giorno avrebbe pronunciato una frase simile. Vide lo stupore anche sul volto di Charlotte e si chiese se fosse la cosa giusta… in effetti non parlava mai della sua famiglia, ma forse lei avrebbe parlato più facilmente se l’avesse fatto anche lui.
 
“Non fraintendermi, muoio dalla voglia di conoscere la biografia di William Cavendish, ma…” 
“Bene, lo prendo come un sì. Possibile che ti metti a blaterare sempre? Tu non le conosci, le risposte brevi…”
 
Vale anche per te, simpaticone…”    Il borbottio sommesso di Charlotte lo fece sorridere, guardandola con lieve divertimento prima di parlare di nuovo:
“Andiamo Selwyn… non hai molto altro da fare, no? E hai la fortuna di poter passare del tempo con me, non sei felice?”
 
Sorrise con aria divertita e lei sbuffò, roteando gli occhi chiari prima di rispondere con il tono leggermente seccato che usava spesso e volentieri quando battibeccavano:

 
“Tantissimo. D’accordo Will, ma solo perché so che continuerai finché non acconsentirò… e per ringraziarti per ieri sera. Non mi piace essere in debito con le persone.”
“Non mi devi ringraziare, non potevo lasciare che passassi a miglior vita davanti ai miei occhi! Insomma, devo stare qui per altri due mesi… come mi divertirei, senza una graziosa rompiscatole da prendere in giro?”
 
Will sorrise, allungando quasi senza pensarci una mano per sfiorare quella di Charlotte. Era sicuro che l’avrebbe tirata indietro, ma con sua somma sorpresa non lo fece, esitando per un attimo prima di intrecciare le dita tra le sue.
Non sapeva neanche come gli fosse venuto in mente di proporle un simile “scambio” … non parlava mai con nessuno della sua famiglia, ma sapeva che se voleva che lei si aprisse doveva fare uno sforzo a sua volta.
 
Charlotte esitò ma poi annuì, sospirando leggermente:
“Ok… però cominci tu.”
“Ci avrei giurato. D’accordo, dopotutto l’idea è stata mia… dunque Charlotte, sai chi è mio padre?” 
“Naturale, se a scuola ti chiamavo “piccolo Lord” un motivo c’è.”
“Tanto perché tu lo sappia, ODIAVO quel soprannome!”
“Lo sapevo già. Vai avanti.”   Charlotte sorrise, inclinando leggermente il capo e facendolo sbuffare prima di continuare, le dita ancora intrecciate con quelle della donna: 
 
“Ok, ma cerca di non interrompermi… hai il potere di farmi innervosire, e non posso stare qui per ore. Comunque… beh, come sai mio padre è un Duca, ma non ho mai conosciuto mia madre. Sua Eccellenza ha fatto in modo che se ne andasse non appena sono nato… forse era Babbana, non ne ho idea, ma so che l’ha pagata per sparire. Non ho neanche mai capito perché mi ha riconosciuto, in effetti.”
Will spostò lo sguardo dal volto di Charlotte alla finestra accanto al letto, osservando il panorama quasi senza vederlo, pensando con odio a suo padre e a tutte le volte in cui si era chiesto chi fosse sua madre… ma non glie l’aveva mai voluto dire, e molto probabilmente non l’avrebbe mai fatto.
 
Charlotte dal conto suo non disse nulla, limitandosi ad ascoltarlo e consapevole di quanto probabilmente gli costasse dire quelle cose.  
“Ad ogni modo, non ho mai avuto un vero rapporto neanche con lui, mi veniva a trovare di rado e crescendo ho decisamente smesso di volerlo vedere, credo di averlo sempre odiato, infondo. Quando ero piccolo ho vissuto in una delle sue case di campagna, fino ai quattro anni… c’era una tata con me. Mi ha trasmesso più affetto lei che mio padre in 27 anni.”    William sorrise quasi senza rendersene conto, ricordando con sincero affetto i giorni passati in campagna… non era con i suoi genitori certo, ma aveva davvero voluto bene a quella donna gentile e affettuosa che gli portava ogni sera il latte con il cioccolato.
 
“Come mai veniva a trovarti poco?”
“Immagino sia stato per il mio caratterino, già da piccolo ero un bel personaggio… Non fare commenti.”
 
“Ok.”    Charlotte sfoggiò un sorriso innocente di fronte alla sua occhiata quasi minacciosa, trattenendosi dal dire qualcosa e interromperlo, permettendogli di continuare:
“Quando avevo quattro anni però mio padre mi ha tolto da quella casa, lui manda tutti i suoi figli in collegio, fino ai 18 anni… anche se ovviamente io ne sono uscito agli 11, Hogwarts è stata la mia salvezza. Detestavo stare lì, mi sentivo diverso… un po’ per la magia repressa e un po’ perché ero più intelligente degli altri.”      Will sorrise appena, facendo roteare gli occhi alla sua interlocutrice, che proprio non ce la fece a starsene zitta una seconda volta:
 
Ci mancherebbe altro…” 
“Vedo che stai tornando ad essere la stessa Charlotte di sempre molto velocemente… Bene.”
 
“Tutto merito tuo. Comunque… mi dispiace, davvero. Non dev’essere stato facile. Ora ti posso quasi perdonare per essere insopportabile.”       Charlotte sorrise, ma malgrado il tono ironico gli fu grata di averle raccontato della sua infanzia… se l’aveva fatto lui, poteva farlo anche lei. E anche se spesso e volentieri diceva di trovarlo poco simpatico, gli dispiaceva sinceramente per William Cavendish.
“E io che pensavo che saresti stata più carina dopo avermi ascoltato... Comunque non so se è stato proprio un male crescere lontano da mio padre, lo odio più di quinque altro... Ma ora tocca a te Selwyn, illuminami.”
 
“D’accordo… Ma non credo che vorrò ripeterlo, quindi ascoltami per favore.”
 
                                                                                      *

 
Jane teneva il capo appoggiato contro il vetro, rigirandosi nervosamente la bacchetta tra le dita.
Non aveva mai saltato una lezione in vita sua, ma aveva chiesto a Lizzy ed Aerin di dire a Lumacorno che non se la sentiva proprio, di andare a lezione quel pomeriggio…  e non era neanche andata a studiare con Bella, Olly, Dante e Ingrid durante un'ora buca.
Si odiava per il peso che stava dando a quel giorno… avrebbe voluto non provare niente, ma proprio non ci riusciva.
Sospirò leggermente, cercando di seguire le parole di Dante… le diceva di non pensarci, di non permettere a suo padre di farla soffrire anche ora che era morto.
 
Ci provava, ma da quando si era svegliata non la smetteva di pensarci.  
 
Pensa a qualcos’altro
Ma a cosa?
 
La Tassorosso chiuse gli occhi, costringendosi a pensare a qualcosa che la facesse sorridere e stare bene… sua madre, i suoi cugini, le sue amiche, Amos e ovviamente Dante.
Intorno a lei c’erano sempre state persone meravigliose… non era giusto permettere a suo padre di rovinarle tutto.

 
Rivisse dei momenti passati con sua madre a chiacchierare o a passeggiare, o a quando aveva insegnato a lei a e Connie a ballare, anni prima; le infinite chiacchierate con Aerin ed Elizabeth di sera, quando avrebbero dovuto dormire ma nessuna delle tre ne aveva voglia…   Rivisse i viaggi sull’Espresso per Hogwarts con Amos e Dante, le gite ad Hogsmeade insieme a loro, e quando Dan l’aveva baciata per la prima volta.
 
 Non seppe perché lo fece, ma tenendo ancora la bacchetta in mano e gli occhi chiusi mormorò le due parole che aveva già detto più di una volta… ma sempre senza risultato.
“Expecto Patronum.”
 
Quando aprì gli occhi, Jane Prewett sorrise sinceramente forse per la prima volta da quando si era svegliata… allungò una mano per sfiorare il muso d’argento del gattino Sacro di Birmania che la fissava di rimando con gli enormi occhi dello stesso colore dei suoi.
“Ciao… Sai, mi hai davvero fatto penare… però sei proprio carino, ne è valsa la pena.”

 
                                                                                   *
 
“Il 21 Dicembre, per il Solstizio, viene organizzata ogni anno una festa, è una specie di tradizione del Parlamento.  Dovevamo esserci, perché avevamo saputo dalla Germania che sarebbero state presenti persone che ci interessavano… Persone che cercavamo già da tempo, vicine ad Hitler e che molto probabilmente lo controllano per mano di Grindelwald.  A mio fratello è stato chiesto di andare ovviamente, era il migliore sotto copertura… aveva deciso di portarsi dietro anche il resto della squadra, ma a me disse di restare al Dipartimento, di non andare.”
“Perché?”
 
“Non l’avrebbe mai ammesso, ma immagino che l’abbia fatto perché temeva che potessi finire nei guai… ha sempre cercato di proteggermi, ma mi ha spesso dato fastidio, quando eravamo al lavoro. E sono solita ascoltare poco gli ordini, così sono andata lo stesso. Mi sono detta che non poteva essere peggio che restare chiusa in ufficio a girarmi i pollici e chiedermi cosa stesse succedendo dall’altra parte della città… Forse avrei dovuto ascoltarlo.” 
Charlotte sfoggiò un sorriso amaro, ripensando alle parole e agli ammonimenti del fratello, quando le aveva detto di restare al Dipartimento… ma lei non l’aveva ascoltato e aveva fatto di testa sua, come sempre.
 
Will invece non disse una parola, restando in silenzio e continuando ad osservarla, seduto sul letto davanti a lei nell’Infermeria deserta.
 
Dopo una breve pausa Charlotte si schiarì la voce, riprendendo a raccontare mentre la gola le si faceva sempre più secca man mano che andava avanti… ormai non poteva scappare per l’ennesima volta, era arrivato il momento di raccontare tutto per filo e per segno e magari anche di togliersi un grosso peso:
“Insomma, alla fine sono andata ugualmente. Per noi infiltrarci dopotutto non è certo difficile, basta confondere qualche Babbano… niente di complicato. Mio fratello era già lì e si è accorto subito che c’ero anche io… mi ha anche detto di andarmene ma non l’ho voluto ascoltare, così sono rimasta. Le persone che cercavamo, e che abbiamo continuato a cercare per mesi, sono Maghi… di certo sotto Pozione Polisucco, non avrebbero mai fatto entrare dei tedeschi ad una serata nel genere. Hanno preso le sembianze di qualche Ministro e voilà, eccoli a bere champagne in compagnia di qualche Babbano che tiene le redini del Paese.” 
“Li avete presi?”
 
“No… Sono riusciti a scappare, ma due di loro sono morti qualche settimana fa, il 20 Gennaio, quando noi inglesi abbiamo bombardato Berlino. Il terzo… beh, lo sto cercando.”
 
Charlotte contrasse la mascella, e il suo sguardo si indurì per un istante, ricordando il volto che aveva solo intravisto di sfuggita quella sera, quasi tre mesi e mezzo prima.
Di nuovo Will non aprì bocca, limitandosi ad osservarla e aspettando pazientemente che continuasse, lasciando che si prendesse i suoi tempi per non metterla a disagio.
“Beh, in ogni caso… di certo lo sapevano… si erano resi conto che avevamo avuto una soffiata, che sapevamo che erano lì sotto mentite spoglie. Ne sono usciti indenni, a differenza nostra e anche di molti Babbani. L’edificio è stato in gran parte distrutto da una bomba, e nel bel mezzo del caos hanno preso un mio collega… sono andata al suo funerale un paio di settimane fa.” 
 
“Quindi… tuo fratello è rimasto ferito dalla bomba?”
 
“Non esattamente. Non lo ricordo molto bene, è successo tutto in un attimo, e c’era davvero una confusione assurda… un attimo prima stavo pedinando Schmidt dopo averlo individuato per sbatterlo fuori a calci, lontano dai Babbani… e un attimo dopo il candelabro è crollato nel bel mezzo della sala. Lo rivedo ancora dondolare sopra la mia testa, a volte.”       Charlotte sbattè le palpebre, puntando lo sguardo davanti a sé, oltre la spalla di Will… le sembrò di rivederlo ancora una volta e un senso di nausea la pervase, portandola a desiderare di non averne mai più uno sopra.
“Ho avuto davvero fortuna, in effetti… non sono stata ferita, ma il soffitto è in parte crollato… sono morte sul colpo diverse persone, persone importanti per il Governo, in Inghilterra. Ma sai come sono fatta, io non mi arrendo facilmente… erano settimane che gli correvamo dietro come segugi, non volevo farmeli sfuggire così, da sotto al naso. Così ho cercato di inseguire uno dei tre, Schmidt... ma non ci sono riuscita. Mio fratello aveva ragione… non bisogna essere impulsivi, bisogna fermarsi e pensare anche solo per un istante. Purtroppo io non lo faccio sempre, ma Sean sì. Non sarebbe morto, probabilmente… era molto più accorto di me.”
 
Charlotte inclinò le labbra in un sorriso, ricordando tutte le volte in cui suo fratello l’aveva guardata e le aveva detto che era stata brava… ma che doveva anche imparare a riflettere di più, ad essere meno impulsiva e a non mettere le missioni o gli obbiettivi su un piano personale.
 
Mentre indugiava abbassò lo sguardo, puntando gli occhi sulla propria mano ancora stretta in quella di Will, quasi a volerla invitare a continuare.
 
“Ha cercato di aiutarti?”
“Si, purtroppo lo faceva sempre. Diceva che ognuno di noi aveva un punto debole, che tutti potevamo finire fregati da qualcosa che gli altri potevano rigirarci contro… il mio problema è l’impulsività, ma guardandomi indietro credo che il suo fossi io. Io non ero ferita gravemente, ma ci eravamo persi di vista in mezzo a tutto quel caos, gente che urlava e correva da tutte le parti, la polvere e il fumo ovunque… sono anche volati un paio di incantesimi, due miei colleghi sono stati uccisi e non sono morti a causa del crollo.”

 
“CHARLIE!”
 
Non si voltò, neanche sentendosi chiamare dalla familiare e rassicurante voce di suo fratello. Continuava ad avanzare, con la vista offuscata dalla polvere e dal fumo e il battito cardiaco accelerato. Zigzava tra le persone che correvano per uscire dall’edificio o che cercavano di trascinarsi dietro un ferito, ma non fece caso a nessuno di loro… Gli occhi della donna, per quanto lacrimanti e annebbiati, erano puntati su una figura precisa che le dava le spalle, camminando con una calma che quasi la esasperava: come poteva essere così tranquillo? Il soffitto sarebbe potuto crollare anche sopra la SUA testa, dopotutto… anche se molto probabilmente a dare l’ordine era stato lui, certo.
“Charlie, fermati!”         Una mano si chiuse intorno al suo braccio con forza, costringendola a fermarsi e a voltarsi, incrociando lo sguardo di Sean e il suo volto pallido e sanguinante a causa di un profondo taglio che aveva su una guancia.
 
“Sean, lasciami… lo posso prendere. Lo devo prendere, non me lo faccio scappare di nuovo!”
“Charlie, dobbiamo uscire, lascia stare!” 
 
Il tono e lo sguardo del fratello erano quasi imploranti… ma Charlotte si voltò di nuovo, puntando la bacchetta contro la causa di un sacco di problemi, lanciando con rabbia un incantesimo che infranse un grosso pezzo di intonaco che era crollato, proprio accanto alla testa del suo obbiettivo.
 
“Sean, lasciami, non riesco a prendere la mira! Ti prego, non possiamo tornare al Dipartimento a mani vuote dopo tutto questo casino!”
“Ok. Vado io. Vattene Charlie, ti prego.”     Senza darle neanche il tempo di fare qualcosa Sean mollò la presa sul suo braccio, superandola con uno scatto e correndo dietro a Schmidt, che era sparito fuori dalla sala, nella parte inferiore dell’edificio.
 
“Aspetta! Non…”       Ferma, nel bel mezzo della sala. Proprio quando non avrebbe dovuto farlo, Charlotte Selwyn aveva indugiato, mentre intorno a lei crollavano pezzi di intonaco, le persone urlavano e gli incantesimi dei suoi colleghi volavano attraverso l’ampia sala.
 
Aveva appena mosso dei passi per seguire il fratello maggiore quando un crack quasi l’assordò: una mano la fermò proprio mentre la parte inferiore dell’edificio, quello colpito più vicino dalla bomba, iniziava a crollare quasi come un tassello del Domino. 
“Charlotte. Dobbiamo andare.”
 
“C’è Seannie lì! Aiutami!”
Il tono implorante e affrettato di Charlotte sembrarono convincere Stephanie, che sospirò prima di inseguire la collega verso le macerie, dicendosi che non poteva lasciarla andare da sola. 
Con un gesto secco Charlotte sollevò tutti i pezzi del muro dal pavimento, riuscendo finalmente a passare… ma non pensava più a quello che avrebbe dovuto fare. Pensava solo a tirare fuori suo fratello. 
“Seannie…”

 
Era riuscita a tirarlo fuori prima che tutto crollasse definitamente, quello sì. Mentre pompieri, ambulanze e Auror insieme piombavano sulla scena, lei si era fermata su un marciapiede, con Stephanie accanto a suo fratello tra le braccia.
Improvvisamente tutto aveva smesso di girare o di avere importanza intorno a lei, mentre guardava suo fratello ferito mortalmente e sanguinante, ormai innaturalmente pallido.
 
Charlotte Selwyn aveva visto la vita andarsene dagli occhi di molte persone, durante la sua carriera… e di certo l’avrebbe visto molte altre volte. Ma non vide mai suo fratello smettere di respirare, quando lo trovò tra le macerie gli occhi verdi-azzurri di Sean Selwyn erano già completamente privi di vita.
E forse la cosa peggiore era che non sapeva se avrebbe preferito potergli dire addio o risparmiarsi quello spettacolo. 
 
“Mi dispiace Seannie… mi dispiace tanto.”   Praticamnete non disse altro per diverso tempo, dopo averlo trovato.  Sia sul ciglio di quella strada, che al San Mungo, che al Dipartimento… e anche a casa, quando si era chiusa dentro la camera che anni prima era stata del fratello per non vedere i genitori e sentirsi vicina a lui, in qualche modo.
 
“Non doveva andare così.”
“Oh, lo so. L’ho pensato milioni di volte."

 
Charlotte sfoggiò un sorriso amaro, annuendo leggermente mentre invece Will sbuffava, smettendo di stringere la sua mano per asciugarle le lacrime che stavano per colarle rovinosamente sul viso.
“Si, non doveva andare così, ma non nel modo in cui pensi tu. Non dovevi morire tu, semplicemente non doveva morire nessuno. Siete rimaste vive solo tu e Stephanie?”
 
“Si, gli altri sono stati uccisi da Meyer o da Schwarts, o sono rimasti feriti come mio fratello... Credo che la cosa peggiore sia che non solo Sean è morto, ma è anche morto per niente... A lui sono crollate delle macerie addosso, ma non a qualcuno che se lo meritava.”
 
“Mi dispiace Charlotte… ora ti senti meglio?”

“Vuoi la verità? No.” 
 
“Ok, forse ora no… ma presto le cose cambieranno, ne sono sicuro. Dovresti vederla così: tuo fratello sapeva quello che faceva… Non ti devi sentire in colpa.” 
Charlotte non rispose, osservandolo per un attimo prima di parlare:

 
“Ricordi quando ti ho detto che non ti avrei mai voluto come mio terapeuta?”
“Certo.”
 
“Beh, forse non saresti tanto male. Ma continuo a preferire Luisa, scusami.”          La donna sorrise leggermente e lui la imitò, cercando di fingersi stizzito mentre replicava:  
“Mi considero molto offeso, ma cercherò di perdonarti.”

 
                                                                                    *

 
“Ok… su o giù?” 
“Non so, è uguale.”    Bella si strinse nelle spalle, trattenendo a fatica uno sbadiglio mentre Antares sospirava, tirando fuori uno zellino dalla tasca dei pantaloni neri della divisa:
“Ok, tiriamo a sorte, altrimenti staremo qui ore a deciderci… Testa su, Croce giù… Croce, andiamo di qua.”

Senza tante cerimonie Antares mise una mano sulla spalla di Bella, quasi spingendola lungo il corridoio quasi totalmente buio. La rissa alzò lo sguardo sul compagno, guardandolo con lieve disappunto: 
 
“Ehy! Perché mandi avanti a me?”
“Ti uso come scudo umano nel caso compaia qualcosa di strano… Come una vespa.”
 
“Non parlarmene, a volte mi sogno ancora il Quintaped.”     La rossa sfoggiò una smorfia, ignorando deliberatamente le ultime parole del compagno cariche di riferimenti puramente casuali e rabbrividendo anche solo al ricordo della creatura che per poco non le aveva staccato una gamba solo poco tempo prima.  
 
“Quella sì che è stata una serata divertente… quasi quanto questa.”
“Ah-ah. Guarda che anche io adesso preferirei essere a dormire, sai? Coraggio, andiamo… di qui si va verso le cucine, in effetti.” 
 
La Corvonero inarcò un sopracciglio, rendendosi conto che lei e Antares si stavano avvicinando alla Sala Comune dei Tassorosso, oltre che alle cucine.
 
“Come fai a saperlo?” 
“Beh, al quinto anno gironzolavo parecchio durante le ronde… almeno ho avuto modo di ficcanasare in giro senza essere disturbata.”
 
Isabella sorrise allegramente mentre il compagno alzava gli occhi al cielo, astenendosi dal dire che ormai aveva finalmente capito DOVE si cacciasse la collega durante i turni, un paio d’anni prima. 
Probabilmente la Corvonero avrebbe detto qualcos’altro ma entrambi si fermarono di colpo, zittendosi all’istante nel sentire un rumore piuttosto vicino.
 
“Hai sentito?”
 

“Dovrei essere sordo per non aver sentito, Burton!”
“Come sei scorbutico… domani mattina beviti un po’ di latte e miele, ti farà bene!  Piuttosto… veniva da lì.”
I due si voltarono in perfetta sincronia verso una porta alla loro destra, prima che Antares parlasse di nuovo:
 
“Probabilmente c’è qualcuno che si diverte a giocare a mosca cieca.” 
Mentre parlava un sorriso spuntò sul volto di Isabella, che parlò con gli occhi azzurri quasi luccicanti nella penombra:
 
“Magari è un ladro!” 
“Lo dici come se la cosa ti divertis-“
 
“Aspettami qua, vado a catturarlo!”   Senza neanche dargli il tempo di dire una sillaba Bella quasi corse verso la porta, sparendo in men che non si dica dalla visuale del ragazzo, che imprecò a mezza voce prima di seguirla:
“BELLA! Ma chi diamine vuoi catturare, non siamo in un libro… aspettami, maledizione! Ma perché Silente non mi ha sistemato con una persona normale…” 
 
                                                                                   *
 
“Ti dico che si entra da QUI!”
“Ma sei sicuro? Secondo me stiamo prendendo un granchio…” 
Oliver Miller sbuffò, chiedendosi COME si era fatto convincere da Dante Julius a scendere fino alle cucine per rubare del cibo… a quell’ora solitamente già dormiva della grossa, ma quella sera il suo amico e compagno di Casa aveva deciso di fare incursione diversi piani più in basso.
 
Il tutto perché Dante aveva deciso di prendere del cibo e portarlo a Jane, non accettando che praticamente non avesse toccato cibo per tutto l’arco della giornata.
 
“Sicurissimo, mio fratello Lucas le aveva trovate anni fa… mi aveva anche spiegato come si entrava, ma non ricordo bene… accidenti!”
 
Dante sbuffò, cercando di ricordare cosa aveva detto suo fratello anni prima, mentre lui e Oliver erano fermi di fronte ad un quadro a suo parere orrendo, che raffigurava un enorme cesto di frutta.
Lui e Oliver avevano persino fatto cadere un vaso poco prima, ma l’avevano già riparato e con un po’ di fortuna nessuno li aveva sentiti… o forse no.

 
Due secondi dopo, mentre i Grifondoro se ne stavano a rimuginare davanti al dipinto, la porta infondo al corridoio si spalancò, facendo comparire una rossa di loro conoscenza sulla soglia:
 
“AH-AH, TI HO FREGA- ah, siete voi.”
L’espressione di Isabella passò molto rapidamente dal vittorioso al deluso, osservando i due amici con aria quasi seccata.
 
“BELLA? Che ci fai qui?”
Io? Voi semmai!”
 
“Eccoti finalmente, hai trovat- ah, siete voi.”
 
Di fronte al tono e alla faccia vagamente delusa di Antares Oliver si voltò verso Dante, inarcando un sopracciglio:
“Com’è che stasera sembrano tutti delusi di vederci?”
 
“Non lo so, forse speravano di incontrare Lumacorno con i bigodini in testa… Cosa fate qui?” 
“Oh beh, sai Julius… io e Isabella non riuscivamo a dormire e ci siamo casualmente incontrati fuori da questa porta, perché non avevamo altro da fare se non passeggiare per i corridoi a quest’ora… Secondo te cosa stiamo facendo?”
 
“Black, mi hai tolto le parole di bocca… piuttosto, state cercando di entrare nelle cucine?” 
Di fronte ai due sorrisi angelici di Dante e Oliver Bella roteò gli occhi, avvicinandosi mentre Antares inarcava un sopracciglio:
 
Ma perché tutti sanno da dove si entra tranne me?
 
“Fate spazio, principianti… lasciate passare l’esperta.” 
 
                                                                                        *
 
“Per l’ultima volta, non mi serve la scorta…”
“Smettila di brontolare, non ti liberi di me se ho deciso di accompagnarti!”
 
Charlotte sospirò, decidendo saggiamente di lasciar perdere e non obbiettare oltre: del resto sapeva che Will aveva ragione… e non aveva nessuna voglia di discutere per la centesima volta.  
Così continuò a camminare lungo il corridoio, diretta alla sua stanza con Will al seguito… Non sapeva bene perché avesse deciso di accompagnarla, ma non glie l’aveva chiesto: di sicuro sarebbe rimasto sul vago, come faceva sempre quando non aveva voglia di rispondere sinceramente.
 
“D’accordo Cavendish, ti ringrazio per avermi tenuto compagnia e per tutto il resto… buonanotte, ci vediamo domani.”
 
“Sai… oggi è il mio compleanno.”      Dopo essersi fermata davanti alla sua porta Charlotte stava per aprirla, ma la voce e le parole di Will la fermarono, facendola voltare di nuovo verso di lui.
“Dici davvero? Perché non l’hai detto prima? Beh… auguri, anche se in ritardo.”
 
“Credo che oggi tu abbia avuto altro a cui pensare.”
 
“Si beh… è il tuo compleanno e l’hai passato a tenere compagnia a me? Ti hanno mai detto che sei un po’ masochista?”
Will scosse il capo, sfoggiando un lieve sorriso alle parole della donna senza smettere di guardarla quasi con aria divertita:
 
“No, mai. Ma visto che, come hai detto tu, è il mio compleanno e l’ho passato quasi interamente con te… Non credi di dovermi fare un regalo?”
 
Charlotte mosse di riflesso un passo indietro quando William invece le si avvicinò, sorridendole: 
“La gentilezza improvvisa era un po’ strana, in effetti… che cosa vuoi?”
 
Charlotte sentì la porta contro la sua schiena, ma a differenza della sera prima non cercò la maniglia con la mano, restando nervosamente immobile mentre Will invece allungava una mano, prendendole il mento e sollevandole leggermente il capo verso di lui:
 
“Rilassati Selwyn, niente di complicato.”
 
Charlotte lo vide sorridere di nuovo, gli occhi castano-verdi luccicanti alla luce delle torce che illuminavano il corridoio. Un campanello d’allarme suonò nella sua testa ma non ebbe il tempo di fare niente, perché un istante dopo Will si chinò verso di lei, appoggiando le labbra sulle sue.
 
No, no, no! Non se ne parla neanche, ma ti sembra il momento?
 
Sentiva quasi una vocina urlarle di staccarsi, che aveva un tempismo assolutamente pessimo e che era già abbastanza incasinata per conto suo…   Ma mentre Will le appoggiava una mano sulla schiena e una tra i capelli, premendole la nuca contro la sua, non ce la fece a staccarsi, o almeno non subito.
Dopo qualche istante Charlotte si ritrasse di scatto, piuttosto rossa in viso e con il battito cardiaco accelerato mentre cercava la maniglia della porta con la mano, parlando con un filo di voce:
 
“Devo andare…buonanotte.”
 
Prima di dargli il tempo di fare qualunque cosa, Charlotte era già sparita dentro la sua stanza, chiudendosi la porta alle spalle prima di sbuffare, appoggiandosi al legno e chiedendosi perché andava sempre ad incasinarsi la vita.
 
Will invece esitò prima di sorridere, infilandosi le mani in tasca prima di allontanarsi nel corridoio, improvvisamente più allegro rispetto a molti compleanni precedenti e parlando a bassa voce:
 
“Sogni d’oro CeCe.”




.........................................................................................................................
Angolo Autrice:

Buonasera! Scrivere questo capitolo è stato una specie di parto, quindi spero davvero che vi sia piaciuto e che non mi siano sfuggiti molti errori.
Di sicuro non è esattamente all'insegna della gioia e dell'allegria... a parte per un paio di punti ovviamente, ma di certo mi rifarò.

Ci sentiamo domenica con il prossimo capitolo... un bacio e buona serata!

Signorina Granger
   
 
Leggi le 8 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Signorina Granger